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AGI – “Se vogliamo guardare alla partecipazione di Alex alle Olimpiadi di Tokyo, bisognerà fare molto presto istanza al Comitato Olimpico Internazionale che è ente supremo così potrà verificare tutta questa incredibile situazione”. Così in un’intervista con l’AGI, Gerhard Brandstaetter, avvocato bolzanino che sin dal 2012 difende Alex Schwazer, parla della strategia difensiva che molto probabilmente verrà adottata nelle prossime settimane per non lasciare intentata la possibilità di partecipazione del suo assistito alle Olimpiadi di Tokyo 2020 che si terranno tra cinque mesi.

Le gare di marcia e maratona non si svolgeranno a Tokyo bensì a Sapporo dove le temperature dovrebbero essere più basse rispetto alla capitale. Schwazer, 36 anni, campione olimpico della 50 km di marcia nel 2008 a Pechino, nel 2012 era stato trovato positivo ad un controllo antidoping per aver assunto, come lui ha confessato, eritropoietina.

Un caso esploso cinque anni fa

Nel 2016 ad un mese dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro, era arrivata la notizia che nel controllo antidoping di quel giorno di Capodanno (oltre sei mesi prima), era risultato positivo al testosterone sintetico dopo che quelle urine erano già state certificate negative al doping.Una vicenda apparsa sin da subito ricca di torbidità, singolare in tutto il suo iter, dalla non anonimità delle provette di urine al lungo braccio di ferro tra il laboratorio di Colonia, che non voleva consegnare la provette di urine, e la giustizia italiana che le aveva richieste per farle analizzare dai carabinieri del Ris di Parma.

L’ordinanza del Gip di Bolzano

Schwazer, assieme al suo allenatore Sandro Donati e ai legali, ha iniziato una causa che ha portato pochi giorni fa all’archiviazione sotto l’aspetto penale da parte del Gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino perché, come scritto, “il fatto non sussiste”. Nell’ordinanza di archiviazione di 87 pagine, il giudice ha ritenuto che “i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer l’1.01.2016 siano stati alterati allo scopo di risultare positivi” e denunciato il  sistema “autoreferenziale sistema da parte di Wada e Iaaf che non tollerano affatto controlli dall’esterno e pronte a tutto per impedirlo, al punto da produrre dichiarazioni false e porre in essere frodi processuali”.  

Il ricorso

“In questi giorni stiamo valutando la strada da percorrere, presenteremo ancora istanza alla Corte federale svizzera e anche alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo dove, però, i tempi si prospettano lunghi – ha aggiunto Brandstaetter –. Il Comitato Olimpico Internazionale è ente supremo e per questo chiederemo un suo intervento”.

L’ira della Wada

Rispondendo alla domanda su un commento alla presa di posizione dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada) che si è detta “inorridita” delle motivazioni del Gip Pelino, Brandstaetter dice, “è molto triste che la Wada perda la sua posizione di terzietà e che cerchi di attaccare un provvedimento della magistratura italiana anche perché l’Italia come Paese sostiene la Wada”. Il legale altoatesino ha aggiunto, “è molto triste che mettano in discussione il provvedimento e, quando dicono che si inorridiscono, sono io che mi inorridisco”.

Brandstaetter tramite l’AGI accusa la Wada: “non è vero che hanno collaborato, durante l’incidente probatorio ha contrapposto tantissimi ostacoli” e conclude, “auspico che chi di dovere possa intervenire in questa situazione, altrimenti andremo avanti noi”.