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La condizione di “non professionismo” delle atlete in Italia è stata molto discussa anche di recente, durante gli ultimi mondiali di calcio tenutisi in Francia. Adesso, con un emendamento al disegno di legge di Bilancio per il 2020 approvato dalla maggioranza in Senato, la situazione sembra destinata a cambiare.

Ma qual è il quadro di partenza? E in che modo l’emendamento andrebbe a modificarlo? Andiamo a vedere i dettagli.

La situazione per le atlete in Italia oggi

La situazione attuale, come abbiamo scritto in passato, discende dalla legge n. 91 del 23 marzo 1981, conosciuta anche come la “Legge sul professionismo sportivo”, che divide la pratica sportiva in due categorie: quella professionistica e quella dilettantistica.

In base all’articolo 2 della legge in questione, gli atleti che svolgono un’attività sportiva retribuita e con continuità nelle discipline regolamentate dal Coni sono considerati “professionisti” se ricevono questa qualifica dalle singole federazioni sportive nazionali. Chi non è “professionista” è di conseguenza dilettante. Questo, come avevamo spiegato in particolare per quanto riguarda la situazione nel mondo del calcio, ha conseguenze in termini di stipendi massimi possibili e – come vedremo meglio tra poco – di contributi previdenziali.

Il potere di qualificare gli atleti come professionisti è dunque in mano alle singole federazioni sportive, non al governo, con la sola condizione fissata per legge che i professionisti svolgano un’attività retribuita e continuativa in una delle discipline regolamentate dal Coni.

E infatti le cose cambiano da federazione a federazione. In Italia sono quattro quelle che, ad oggi, ammettono il professionismo, oltretutto solo per gli uomini: calcio, golf, ciclismo e basket. In passato potevano essere professionisti anche motociclisti e pugili ma le rispettive federazioni negli anni recenti hanno chiuso i propri settori professionistici.

Oggi, riassumendo, c’è già la possibilità teorica che le donne possano essere atlete professioniste ma nessuna federazione sportiva ha in concreto agito in questa direzione. Anche le atlete più note, come la nuotatrice Federica Pellegrini o la calciatrice Sara Gama, ad oggi non sono formalmente professioniste.

Ma, allora, in che modo un emendamento alla legge di Bilancio potrebbe portare al professionismo per le atlete donne, quando il potere di qualificarle in tal senso spetta alle federazioni?

Il problema dei costi

Secondo quanto riporta il Sole 24 Ore, uno dei principali motivi che ha finora spinto le federazioni a non qualificare come professioniste le proprie atlete è il timore che il costo per le società sportive del passaggio al professionismo rischierebbe di soffocare i movimenti femminili.

Sarebbe infatti il “datore di lavoro” (quindi la società sportiva) che fa un contratto all’atleta a doversi fare carico del pagamento della gran parte (i due terzi abbondanti) dei contributi all’atleta professionista, mentre per l’atleta dilettante – in base all’art. 67 del Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi) e ss. – sono previste esenzioni e agevolazioni. Come vedremo tra poco, è quindi proprio su questo aspetto che va a incidere l’emendamento appena approvato in Senato.

Il testo dell’emendamento

L’emendamento (20.2, testo 3, che va ad aggiungere il comma 4-bis all’art. 20 del disegno di legge di Bilancio) ha come primo firmatario Tommaso Nannicini, economista e senatore del Partito democratico, e prevede in sostanza che lo Stato si faccia carico del costo dei contributi previdenziali per le atlete per i prossimi tre anni (non va invece a incidere sul potere delle federazioni di decidere in autonomia se istituire un settore professionistico o meno).

Si legge infatti nel testo dell’emendamento che “al fine di promuovere il professionismo nello sport femminile ed estendere alle atlete le condizioni di tutela previste dalla legge sulle prestazioni di lavoro sportivo, le società sportive femminili che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo (…) possono richiedere per gli anni 2020, 2021 e 2022, l’esonero dal versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali e assistenziali, con esclusione dei premi per l’assicurazione obbligatoria infortunistica, entro il limite massimo di 8.000 euro su base annua”.

Per finanziare questa misura vengono stanziati 2,9 milioni nel 2020 e 3,9 milioni a partire dal 2022. L’emendamento è stato approvato l’11 dicembre, con il parere favorevole dei relatori e del rappresentante del governo in Commissione. Dovrebbe quindi diventare una norma in vigore con l’approvazione della prossima legge di Bilancio, prevista entro fine anno.

Come risulta dal testo, ci sono due limiti alla portata di questo emendamento: il primo è di carattere temporale, per cui l’esonero dal versamento dei contributi dura solo per tre anni, passati i quali – in assenza di altri interventi normativi – il costo tornerebbe sulle società sportive. Il secondo è di carattere quantitativo: l’esonero può arrivare al massimo a 8 mila euro all’anno.

Per valutare l’impatto di questa novità bisognerà quindi vedere nei prossimi anni che decisioni prenderanno le varie federazioni, in particolare le quattro – calcio, golf, ciclismo e basket – che ammettono il professionismo almeno per gli uomini, ma non solo.

Al momento si registrano un’apertura positiva da parte di Damiano Tommasi, presidente di Assocalciatori (il “sindacato” dei calciatori), e un’accoglienza critica da parte di Mauro Fabris, presidente della Lega femminile di pallavolo.

Conclusione

L’emendamento alla legge di Bilancio approvato l’11 dicembre agevola il passaggio al professionismo per le atlete donne. In base alla norma infatti gli oneri previdenziali – che normalmente ricadrebbero in gran parte sulle società sportive – delle atlete professioniste saranno a carico dello Stato, nel limite di 8 mila euro all’anno per individuo, per i prossimi tre anni.

Questo non significa che, dopo l’approvazione della legge di Bilancio, le atlete italiane diventeranno automaticamente professioniste. Il potere di decidere se avere settori professionistici o meno spetta infatti alle federazioni sportive e non al governo (e l’emendamento in questione non incide su questo aspetto).

Finora solo quattro di queste federazioni hanno un settore professionistico e solo per uomini. Solo nei prossimi anni vedremo dunque quali e quante federazioni decideranno di approfittare dell’agevolazione prevista dall’emendamento per aprire al professionismo femminile.

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