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Quattordici luglio, finale di Wimbledon: Roger Federer manca due match point e s’inchina a Novak Djokovic al quinto set per 7-6 1-6  7-6  4-6  13-12, dopo 4 ore 57 minuti, il match più lungo del torneo più famoso. La festa s’interrompe sul più bello, il Magnifico, campione-record di 20 Slam, lanciato dalla trionfale semifinale sul rivale storico, Rafa Nadal, perde contro il campione di gomma serbo: addio primato di più anziano vincitore di uno Slam, era Open, a 37 anni e 340 giorni. 

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“Spero di aver dato ad altri la possibilità di credere che a quest’età non è tutto finito”, mormora lo svizzero delle meraviglie al microfono in campo. “Mi sento bene, ovviamente ci vorrà del tempo per riprendermi, anche fisicamente, certo che mi sento triste, forse anche arrabbiato. Non riesco a credere di aver mancato una possibilità così grande. Ma va bene. Non potevo dare di più, ho dato tutto, sento che è giusto così, anche se un punto ha deciso tutto, decidete voi quale dei due. Io sono ancora in piedi. Similitudini con la finale persa nel 2008 contro Rafa? La delusione. Niente Masters 1000 di Montreal, torno a quello di Cincinnati”. 

Tre settimane dopo, il più forte tennista della storia rispunta qua e là sul web, rimbalzando dalle passerelle dei munifici sponsor ai primi allenamenti in Svizzera col super-coach Ivan Ljubicic e col fido amico tuttofare Severin Luhti, fra tanti flash, gentile e disponibile, insieme a sorpresissimi tifosi/curiosi: “Ancora non ci credo, Federer ha accettato di farsi una foto con me” . Dove? In montagna a 1284 metri d’altezza, al Plattenbodeli, cantone di Appenzell Innerhoden, nelle Alpi orientali della sua Svizzera, lontano dalla pazza folla, insieme a Mirka e alla doppia coppia di gemelli. Dicono che giri in camper. Ma magari, come scorta, ce n’è un altro che lo segue, con mamma, papà e il solito codazzo di assistenti e baby-sitter.

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Eccolo con la dolce metà, con tanto di zaino, eccolo un mountain bike e occhiali da sole, eccolo col solito sfondo di montagne verdi, simbolo di pace e relax. Eccolo spesso non rasato e un po’ trasandato, ben diverso dall’elegante ballerino dei campi da tennis. Dicono che faccia tante scarpinate e nuotate, alla ricerca del silenzio e della meditazione. Dicono, in attesa che parli di nuovo lui. E racconti com’è stata questa vacanza, che cosa intravede dietro l’angolo.

La sua fama è andata oltre: tutti vogliono sapere di lui, tutti vogliono guardarlo da vicino, tutti vogliono osservarlo palleggiare. È una febbre a tempo? Per via della famosa clessidra dell’età, quella reale, all’anagrafe, e quella trascorsa nel tennis, che sta terminando la sua magica sabbia d’oro? È un mito che ha trasceso tutto e tutti, entrando nelle nostre case come un caro amico di cui non possiamo fare a meno di chiederci: “Dove sarà, con chi, che cosa farà?”.

È una scommessa vivente, quella che, come ha detto lui a Wimbledon, ci aiuta a superare i nostri umanissimi limiti? Di sicuro, il suo popolo, che è uscito a pezzi come lui dalla disfatta di Wimbledon, non è rilassato: sa, sente che Roger è motivato di testa e pronto di fisico, e monitorizza la situazione foto dietro foto, tweet dietro tweet, in attesa dei un tabellone fortunato agli Us Open del 26 agosto-8 settembre, lo Slam più maledetto del maledetto Roland Garros.

Perché, dal trionfo del 2008, il quinto consecutivo sul cemento di New York, RogerExpress ha perso le finale 2009 e 2015, ha buttato via una coppia di match point nelle semifinali contro Djokovic 2010 e 2011, ha dilapidato il match di quarto turno di dodici mesi fa contro John Millman, ha sciupato più che mai e spesso da favorito, sulla terza superficie preferita, dopo l’erba e la moquette indoor. Ma le prospettive sono più rosee che mai per il numero 3 del mondo, reduce da una scia di 38 successi in 43 partite, coi titoli a Dubai, Miami ed Halle, in appena nove tornei. Che significa freschezza fisica e mentale, batterie cariche, capacità di competere sempre al 100%.

L’età? Ancora c’è qualcuno che si pone il problema della sua età? Certamente, c’è, è tangibile, è delicata, pretende attenzioni diverse da quelle di un diciottenne, e quel numero, 38, tornerà imperiosamente d’attualità per il compleanno, la torta, gli auguri, le candeline da soffiare, e poi ancora domattina e dopodomani ancora. Finché lui avrà voglia di armarsi di racchetta e allenarsi su un campo da tennis. Ma il Magnifico è sicuramente più attento ad altri numeri: il Masters 1000 di Cincinnati, che parte domenica, dov’ha vinto sette titoli in otto finali, l’ultima, sfortunata, proprio dodici mesi fa, persa sempre per mano di Djokovic. Che ritroverà proprio lì, in Ohio, incattivito più che mai nella più che plausibile rincorsa alla storia, ma nell’impossibile rincorsa alla popolarità di Federer e Nadal.

Troppo più amati di lui dal pubblico, come ha toccato con mano nella finale di Wimbledon. Si può non amare la erculea essenzialità di Rafa, si può non apprezzare la ferrea copertura fisica del campo di Novak, ma è davvero difficile non tifare per Roger, soprattutto davanti al suo tennis diverso da quello di tutti gli altri, dalla semplicità del campione, da come addomestica con dolcezza qualsiasi bolide gli arrivi di là del net, da come faccia uno sberleffo a ogni colpo, a ogni punto, a ogni game, match dietro match.

Difficile non pensare alla scadenza dell’anno prossimo all’Olimpiade di Tokyo, a quella boa, dove poteva arrivare con il nono trionfo a Wimbledon e dove sogna di arrivare con il sesto Us Open. Lo Slam che, paradossalmente, non si aggiudica da più tempo. Dal 2008. Quando sembrava che avrebbe rivinto per chissà quanto ancora. Ma questo è anche il suo destino: i compleanni del Magnifico sono diversi da quelli di noi umani, vanno interpretati, come  i successi Majors che sembravano finiti e sono ripartiti, come i 102 titoli pro, come le passerelle sulla terra rossa del Roland Garros.

Come tutta la vita di un extra-terrestre con la racchetta magica. Che è andato oltre le consuetudini, tutte le consuetudini, inclusa quella che voleva l’eroe forte e vincente che non mostra le emozioni, non piange, non fa figli durante la carriera agonistica, non coinvolge i figli, non si mostra così com’è. Ecco perché il suo compleanno fa sorridere con affetto tutto lo sport, a cominciare dai gemelli di data, il promettentissimo aspirante stregone del tennis, Felix Auger Aliassime, e il nostro faro del basket, Danilo Gallinari. Perché Roger Federer ha messo d’accordo tutti, come pochi altri miti dello sport, diverso, unico, come pochissimi altri, dal “Più grande”, Ali, al Figlio del vento, Carl Lewis, ad Air Jordan a Saetta Bolt. Come non augurargli buon compleanno di cuore?