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Il calcio, certo, resta lo sport più semplice e diffuso al mondo. Il secondo con più proseliti sul pianeta terra è invece più complicato e geograficamente determinato, il cricket, si focalizza su 12 Paesi, ma è addirittura una religione in alcune fasce del Sud Asia, un evento più geopolitico che un gioco quando coinvolge vicini popolosissimi come India (1.35 miliardi di abitanti), Pakistan (212) e Bangladesh (161). 

Si pratica nell’Inghilterra del sud-est già a partire dal 1300, importato da pastori fiamminghi, ed è una delle tracce più tangibili del colonialismo dell’ex impero britannico. In Gran Bretagna è ancora sport d’èlite. Fino al non lontano 1962, l’Inghilterra divideva ancora i sudditi del “bat & bowl” fra “gentlemen, che giocavano per puro piacere”, e “lavoratori, che venivano pagati ma spesso erano trattati come servi”.

E, anche se poi, negli anni a venire, ha abbracciato sfarzo e glamour, sfruttando i grandi numeri dell’Asia meridionale e l’impressionante e inarrestabile crescita dell’India. Paesi dove, invece, il cricket è lo sport del popolo più povero. Con evidente discrepanze fra la retribuzione media di un lavoratore dipendente e un giocatore, superiore a quelle di star di altri pur renumeratissimi sportivi del resto del mondo, come i calciatori britannici e i cestisti Nba, fino ad arrivare alla mostruosa media di 361.350 dollari per ogni incontro, con il record di 210mila dollari individuali in un anno.

Vera e propria punta di diamante del nuovo capitalismo indiano. Anche se non vanno dimenticati gli altri paesi del Commonwealth interessati al cricket, quelli asiatici come Bangladesh, Sri Lanka, ma anche Galles, Australia – che s’è aggiudicata 5 delle 11 World Cup disputate dal 1975 – , Nuova Zelanda, Sudafrica, Zimbabwe e Caraibi anglofoni (Indie Occidentali Britanniche).

I numeri di questo sport sono talmente grandi da spiegare, se non giustificare, tanto interesse di massa. A cominciare da 1.96 miliardi di persone che formano la base degli appassionati di questo sport, per continuare con i 2.55 miliardi di dollari che Rupert Murdoch ha sborsato per assicurarsi i diritti tv della Premier League Indiana per il quadriennio 2018-2022: nel 2017, addirittura 313 milioni di indiani hanno guardato le partite di campionato!

È uno sport particolare che unisce tecnica ed agonismo, potenza e maestria, eleganza e furbizia. Anche troppa. È uno sport di squadra praticato con mazza, palla e guantone (del wicket keeper-ricevitore) giocato fra due gruppi di undici giocatori ciascuno, somiglia molto al baseball Usa, e come quello esalta i suoi eroi individuali fino a renderli immortali. Più di quello, predica il fair-play, va praticato secondo lo “spirito del gioco”, che va condotto dai capitani, mentre spetta agli arbitri giudicare cosa sia fair e cosa non lo sia.

Come nel baseball, la partita può durare moltissimo. Nel cricket, può prolungarsi per vari giorni, con tanti intervalli e ha una complicata terminologia che lo rende difficilmente comprensibile a molti spettatori europei. Ha due varianti, a over illimitati, quando una squadra deve eliminare tutti i battitori avversari due volte per vincere la partita, che dura quattro giorni (nelle competizioni domestiche) o cinque ( nei Test, le competizioni internazionali), e a over limitati, a 50 over (One Day International, dette ODI se giocate dalle nazionali), che dura un giorno, e quella a venti over (Twenty20), di tre-quattro ore.

Il match ufficiale più lungo, nel 1939, durò addirittura dieci giorni e fini in pareggio fra Inghilterra e Sud Africa, solo perché gli inglesi dovevano imbarcarsi e tornare a casa. Poi i test match sono stati limitati a cinque giorni.

È uno sport a parte, con 42 non “rules”, regole, bensì “laws”, vere e proprie leggi. La palla va anche a 161.3 chilometri all’ora, colpisce parti scoperte, crea danni anche pesanti ma, così come deve essere preservata la divisa bianca dei partecipanti – come il prevalentemente bianco del tennis a Wimbledon –  il rispetto verso l’avversario, verso gli umpires (arbitri) e i valori tradizionali del gioco; il divieto di indirizzare verso un umpire e verso gli avversari parole irrispettose o offensive (è addirittura vietato avanzare verso un umpire con passo aggressivo); e soprattutto la condanna assoluta di qualsiasi atto violento tra giocatori.

Il cricket va oltre lo sport puramente detto. È parte integrante della lingua inglese. Tanto che si dice: “I’ve been cricket to you”, per definire l’estrema lealtà mostrata verso una persona, viceversa, si dice: “it’s not cricket”, per lamentarne una mancanza. Già dall’800 romanzieri e poeti, da Dickens a Kipling a Grenville o Wodehouse, hanno contribuito alla mitologia di questo sport. Che però è in perenne equilibrio fra stile, comportamento e gioco, tanto da stuzzicare anche il senso dell’umorismo tipicamente britannico.

Ma è anche una cosa terribilmente seria, tanto che può innalzare anche al vertice della carriera politica, com’è avvenuto al leggendario Imran Khan, oggi primo ministro del Pakistan. O il mitico Tendulkar, il battitore e il giocatore indiano più famoso di sempre, che è entrato in Parlamento per meriti sportivi. Era anto famoso che Barack Obama, l’ex presidente degli Stati Uniti, disse: “Non conosco molto il cricket, ma lo guardo per veder giocare Tendulkar”.

L’altra faccia della medaglia sono la corruzione e gli imbrogli, che passano dalla manomissione della palla alle scommesse illegali. Un business che, soltanto in India, tocca i 100 miliardi di dollari, con ovvi influssi della malavita e quindi di corruzione di giocatori e di match truccati. Come il capitano  del Sud Africa, Hansie Cronje, squalificato a vita nel 2000 che ha ammesso di aver accettato 100mila dollari di tangenti dai bookmakers indiani, inclusi quelli per un test match contro l’Inghilterra.

Nel 2011 il capitano del Pakistan, Salman Butt e due giocatori sono finiti in carcere in Inghilterra per aver orchestrato dei “no balls”, quando cioè il lanciatore rende ingiocabile la palla che arriva troppo vicina al battitore. Che è uno dei sistemi di truffa più utilizzati. Oltretutto questi accordi con gli scommettitori finiscono anche con la morte violenta di qualche protagonista, per uno sgarbo, un accordo non rispettato, un errore imprevisto. Come nel 2007, l’allora allenatore del Pakistan, Bob Woolmer, che fu trovato esanime in un albergo di Kingston, in Giamaica, qualche giorno dopo l’eliminazione della sua squadra ai Mondiali.

Un altro record del secondo sport più amato del mondo.