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"La nazionale italiana deve essere italiana”. Chissà se Roberto Mancini ha cambiato idea ora che è ad un passo dal diventare il commissario tecnico dell’Italia. Era il 2015, su quella panchina c’era Antonio Conte che, come era già avvenuto in passato, aveva scelto di convocare due oriundi, nello specifico Eder e Vazquez.

“Penso che un giocatore italiano meriti di giocare in nazionale, mentre chi non è nato in Italia, anche se ha dei parenti, credo non lo meriti. È la mia opinione”. Erano gli anni della seconda esperienza all’Inter, riabbracciata dopo le parentesi all’estero, quella fortunata con il Manchester City in Inghilterra e quella meno fortunata in Turchia con il Galatasaray, e lasciata poi, a malincuore, nel 2016.

Non è una questione da poco. Se dopo tre anni Mancini dovesse restare fedele a questa linea cesserebbero le possibilità di vedere in nazionale, come in passato, giocatori come Jorginho e Thiago Motta. E dovremmo dimenticarci di calciatori come Camoranesi e Altafini che, in tempi diversi, hanno contribuito ai nostri successi, anche se nati in un altro Paese.

Il tecnico di Jesi, infine, dovrebbe rinunciare alla possibilità di convocare uno dei suoi pupilli allo Zenit di San Pietroburgo: quel Sebastian Driussi, classe 1996, cresciuto nel River Plate ma già entrato nell’orbita dei grandi club del Vecchio Continente. Driussi infatti, ha il passaporto italiano perché i nonni sono friulani e in patria, quella natia, già lo chiamano “il nuovo Aguero”. Uno, insomma, che potrebbe farci molto comodo.

Una scelta di personalità

Mancini, del resto, è uno disposto ad andare oltre le proprie convinzioni e a cambiare idea. Il 14 novembre del 2014, durante la conferenza stampa di presentazione, spiegò così il suo ritorno all’Inter: “Non si dovrebbe mai tornare dove si è fatto bene, ma l’affetto per l’Inter mi ha convinto”. 

Al tecnico marchigiano, insomma, non manca di certo la personalità. La sua carriera da allenatore, ma anche da giocatore, è sempre stata caratterizzata da una solidità mentale che pochi possono vantare. Dall’esordio a sedici anni con la maglia del Bologna ai trionfi in campo e in panchina, il “Mancio” ha sempre lasciato un segno importante della sua presenza. E per questo spesso è stato rimpianto da tifosi e presidenti. Famosa l’intervista in cui Noel Gallagher, ex leader degli Oasis, rimpiangeva la partenza del tecnico da Manchester: “Un po' mi manca Mancini, Pellegrini ha vinto un titolo ma è noioso, Mancini è uno con le palle”. Una qualità che oggi, più che mai, servirebbe alla nazionale italiana.

I trofei di Mancini

Poi ci sono i successi a parlare a favore di Mancini. Da giocatore può vantare due scudetti vinti con le maglie della Sampdoria e della Lazio (1991 e 2000), due Coppe delle Coppe, sempre con i blucerchiati e i biancocelesti (1990 e 1999) e una Supercoppa europea. Nel 1991 si classificò 19esimo nella classifica del pallone d’oro. Da allenatore, invece, ha conquistato tre scudetti consecutivi con l’Inter, di cui uno a tavolino, e due Supercoppe italiane; una FA Cup, una Community Shield e una Premier League con i Citizens; una Coppa di Turchia con il Galatasaray. E poi c’è il feeling con la Coppa Italia vinta ben 10 volte, da trascinatore in campo e da guida tecnica, con Sampdoria, Lazio, Fiorentina e Inter.

La nazionale da giocatore

Tra Mancini e la maglia azzurra non c’è mai stato grandissimo feeling. Tante convocazioni senza vedere il campo e pochi, pochissimi gol. Almeno per uno come lui. Appena 4 in 36 partite. L’esordio nel 1984, a 19 anni, a Toronto in amichevole contro il Canada, buttato nella mischia a inizio secondo tempo da Bearzot che, come raccontato dallo stesso tecnico, era particolarmente severo: “Mi ha portato con gli azzurri a New York per una tournée. Si doveva andare a dormire presto, la sera. Io sono uscito, insieme con alcuni senatori della squadra, e sono tornato la mattina dopo. Bearzot si è incavolato come una bestia. Me l'ha fatta pagare. E giustamente”.

Poi il secondo momento difficile, più tardi, con Arrigo Sacchi: “Mi sono rifiutato di seguirlo in America (ai mondiali del 1994, ndr). Altro errore pagato caro. Oggi posso dire di essere pentito, ma, naturalmente, è troppo tardi”. Ora, se tutto andrà come sembra, Mancini avrà l’occasione per riscattarsi e per provare a completare, con la nazionale, il suo ricchissimo palmares.