Ultime News
Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterEmail this to someone

A guardare oggi Guga Kurten che insegue i due figli e gli sorride anche se rovesciano il termos col latte e si rincorrono pericolosamente per le scale del rifugio dei giocatori (la players lounge), viene in mente che un eterno bambino non potrà mai essere un padre tradizionale. Quel sorriso sempre aperto col quale reagisce a qualsiasi marachella è lo stesso col quale scioglieva e conquistava chiunque, e che è rimasto scolpito nel tennis e nel Roland Garros più ancora dei suoi tre trionfi e del cuore – idealmente, il suo cuore – che disegnò sul campo centrale. Ci si stese addirittura dentro, affranto, dedicandolo al pubblico che l’aveva trascinato al successo (dopo aver salvato un match point), contro l’americano Michael Russell negli ottavi, prima di conquistare il terzo e ultimo titolo a Porte d’Auteuil, nel 2001. 

A guardare oggi il tennis, viene in mente quando divertiva a prescindere, quando c’era in campo l’uomo felice, il giocatore allegro, il brasiliano sempre contento, semplicemente Guga, perché nessuno mai, come per Pelé, si è mai sognato di chiamarlo col nome intero, Gustavo. Così doveva essere: vicino, vicinissimo, da eroe dei sogni di qualsiasi ragazzo, da Signor Nessuno che, nel 1997, esplose, a 20 anni, da appena numero 66 del mondo, centrando non solo il primo successo di sempre sul circuito maggiore, ma anche la prima finale Atp, sorprendendo tre ex campioni del Roland Garros, Thomas Muster nel terzo turno, Yevgeny Kafelnikov nei quarti e Sergi Bruguera in finale, in un crescendo irresistibile che sembrò una favola. Come lo furono, per motivi diversi, con trame diverse, anche i successi di Parigi 2000, domando Magnus Norman (che l’aveva appena battuto in finale a Roma), al match point numero 11, e di Parigi 2011, col famoso match point salvato, impresa facendo. 

A guardare oggi che entra nell’Hall of Fame, e si commuove, e parla da ambasciatore, ci viene in mente che non c’è campione ideale come lui. Che, con una racchetta da tennis, è venuto fuori da una vita povera e anonima, ha superato la tragica morte per infarto del papà giudice di tennis (mentre arbitrava un match quando Guga aveva appena 8 anni) e l’inguaribile malattia del fratello minore, poi scomparso. Che esempio è stato in campo e fuori, che campione semplice e vicino alla gente, che persona normale un attimo dopo il torneo, quando tornava fra gli amici delle mille spiagge della sua Florianopolis. Un po’ come Rafa Nadal quando stacca la spina dal tennis e va a pesca nella sua Maiorca.

 A ben guardare Guga, ci sta benissimo anche Jelena Ostapenko che si qualifica a sorpresa per la finale del Roland Garros. La sorridente neo ventenne che nessuno s’aperta così in alto, con quella targa, Latvia, di una nazione ancor più lontana dalla storia del grande tennis del Brasile (che aveva vinto 7 titoli Slam con Maria Bueno negli anni ’50-60). Anche quella coraggiosa picchiatrice – lanciata dal manager-cacciatore di talenti italiano, Ugo Colombini – è lontana dai quartieri alti della classifica (n. 47), anche lei non era mai arrivata nemmeno in finale in un torneo Wta. Certo, non ha ancora vinto il titolo, e quindi il record di prima vincitrice di un torneo che coincide con uno Slam, di Christine O’Neil agli Australian Open 1978, non è ancora battuto. Ma sapete chi è stato l’ultimo a vincere il primo titolo in carriera al Roland Garros? Guga, l’8 giugno 1997, esattamente il giorno in cui è nata la Ostapenko… Con questo numero 20 che ricorre, come l’età del brasiliano allora e della lettone oggi, come i titoli di singolare vinti alla fine da Kuerten: sembrano le lancette del destino.

Vincenzo Martucci

www.sportsenators.it