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Il leone ha perso la corona di numero 1, l’aurea di invincibile, l’artiglio luccicante, la criniera ma, soprattutto, ha smarrito la sicurezza. E, quindi, non fa più paura alla foresta. Il leone del tennis, “il cannibale” Novak Djokovic, s’è esaurito tutto ad un tratto quando gli applauditori di professione gli disegnavano trionfi e record in un futuro da indimenticabile campione dei campioni. 

Djokovic, l'extraterreste che si scopre umano

Succede. Gli umani si sorprendono moltissimo, ma succede, soprattutto ai forti. Che fondano le loro incrollabili, marmoree, certezze sulla routine, sul costringersi minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, a svolgere azioni che gli altri non farebbero. Così, stringendo i denti, accettando di bruciare la vita a velocità doppia, districandosi fra i ruoli di miglior tennista, miglior atleta, miglior patriota, miglior marito, miglior esempio, miglior tutto, al termine dell’ultimo tunnel, dopo aver corso così tanto in apnea, il fenomeno di Serbia s’è ritrovato pago del successo al Roland Garros 2016, l’ultimo Slam che mancava alla collezione.

'Svuotato' dentro senza sapere perché

Felicemente pago, e terribilmente stanco, ma soprattutto, serenamente in pace con se stesso, forse per la prima volta da quando ha cominciato a correre dietro alla palla gialla, partendo dai monti sopra Belgrado, dove i genitori gestivano una pizzeria, per scappare dalle bombe della Nato fin alla scuola di Monaco di Baviera di Niki Pilic, e poi ancora e ancora, inseguendo la perfezione del fisico e della mente e anche della nutrizione come altri computer del suo sport hanno fatto con dedizione assoluta, totale. Da Bjorn Borg a Ivan Lendl, per ritrovarsi ugualmente spenti, svuotati, d un giorno all’altro, senza un perché vero, e senza soluzione di continuità.

Dal 'guru' Pepe al punk André

Novak però ha insistito, insiste, ha abbandonato gli amici di nove anni d’avventure e di successi che si sarebbero buttati nel fuoco per lui, ha chiesto aiuto prima ad un guru, l’ex giocatore di tennis Pepe Imaz, ricavandone sorrisetti ironici di amici e nemici e zero vantaggi reali, e poi s’è rivolto al campione di tutte le rimonte su se stesso, Andre Agassi, che non aveva mai avuto davvero la dignità di atleta, che s’era espresso solo di talento naturale, che era scaduto dal numero 1 al 141 del mondo, che era risalito grazie a una coppia di maniaci dell’allenamento, fisico e mentale.

Così, ora, anche se non è affatto guarito, anche se i colpi e le gambe e i pensieri gli parlano un attimo dopo, svilendo il famoso anticipo, anche se stenta col folletto Schwarzman – che doma solo perché l’argentino finisce la benzina -, si esprime coi pensierini da Baci Perugina. “In genere, quando vengo fuori da partite così, poi arrivo fino la fine. A volte hai bisogno di essere messo in discussione per superare alcune cose, che non si vedono se stai vincendo comodamente. Sto cercando di godermi ogni possibile momento che Andre mi concede, anche quando non è presente c’è comunque nella mia vita e nella mia carriera. Spero di creare qualcosa che sia a lungo termine”. 

Novak il naufrago

Djokovic, è un naufrago che tende la mano per essere salvato, altro che l’uomo forte di esattamente dodici mesi fa, sulla stessa mitica terra rossa di Parigi. Le cose cambiano: allora Rafa Nadal rinunciava al terzo turno contro Granollers, ora vola verso un decimo trionfo nella sua Parigi, e fa sentire molto bene il ruggito del leone che è tornato.

 

Vicenzo Martucci
www.sportsenators.it