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AGI – Non azzardatevi a chiamarla anziana. Perché Barbara Alberti, scrittrice, sceneggiatrice, attrice, giornalista, drammaturga, detentrice di poste del cuore di gran livello domani compie ottant’anni, ed è orgogliosa, chiarisce all’Agi, di essere “una vecchia”. Come suo marito Amedeo Pagani, suo coetaneo, appena uscito allegramente da una frattura al femore: “Festeggeremo in casa, mangiando una pastiera portata da un amico, gioendo del fatto che siamo ancora qui, abbiamo una vita fortunata, ci siamo dedicati e lo facciamo ancora, al lavoro che amiamo” chiarisce, sottolineando come fino a qualche tempo fa, un ottantenne che si rompeva il femore “era praticamente condannato a morte e a sessant’anni avevano quasi tutti la dentiera”.

Quelli della sua generazione, spiega, sono stati molto fortunati: “Essere vecchi oggi è una gran cosa, non ci leviamo mai dai piedi e questo diventerà un problema sociale. Siamo nati alla fine della seconda guerra mondiale e per fortuna non ce la ricordiamo e siamo cresciuti liberi. E la medicina ha fatto dei tali progressi che invecchiare è diventato quasi un piacere. Eugenio Scalfari se n’è andato a 98 anni quando era ancora sulla tolda, io lavoro ancora a pieno ritmo…”.

Alla fierezza anagrafica Alberti ammette di essere arrivata lentamente e non senza difficoltà: “Non avrei mai pensato di compiere ottant’anni perché da giovane facevo fatica ad accettare l’idea degli anni che passavano, mi facevano pensare alla morte ed era un’idea che trovavo indigeribile – racconta – tant’è che pensavo anche (ma sapendo bene che mai ne avrei avuto il coraggio) al suicidio, come paradossale atto, autoderminante, contro l’invecchiamento”.

La prima volta che si sentì vecchia, ricorda, risale addirittura ai suoi 24 anni: “Incontrai un compagno di università che non vedevo da un po’ e che davanti a qualche mia piccola ruga intorno alla bocca, dovuta al fatto che ho sempre riso tanto, mi disse “ma come sei invecchiata”. Ci rimasi malissimo, e a lungo, poi con il tempo ho capito che gli uomini esorcizzano la loro paura di invecchiare trasferendola sulle donne”.

La consapevolezza, se non la fierezza (“non mi sento orgogliosa di essere arrivata a ottant’anni non ho nessun merito”) è arrivata con il tempo anche grazie al suo carattere: “Ho capito che si può invecchiare gioendo della vita, delle piccole cose, del gatto che abbiamo preso da poco, degli amici che abbiamo. Non ho mai cercato amicizie mirate, di convenienza, ma solo quelle disinteressate”. E al traguardo degli ottanta vorrebbe che i vecchi fossero guardati con riguardo, come un tempo: “I vecchi ricordano la morte, un tabù di questa era consumistica. Una volta invece la vecchiaia era uno status: ai miei nonni, ma anche i miei genitori, che chiamavamo “i vecchi” conferivamo un’autorità assoluta”. Lei intanto, evita chi comincia a guardarla “come se non ci fossi più. Voglio frequentare soltanto chi mi considera eterna”.