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“Investire in cultura e turismo significa puntare su uno dei fattori più forti, e unici, che abbiamo in Italia. Non dovevo convincere gli operatori del settore, ma gli altri decisori politici”. In un colloquio con Il Foglio, il ministro della Cultura Dario Franceschini sostiene che “l’investimento sulla cultura non solo è doveroso ma fa crescere il paese, aiuta l’export” in quanto “In tutto il mondo dici Italia e pensano a bellezza e storia”. E, paradossalmente, “ci vuole più turismo per modificare il turismo”.

Tanto che l’indice mondiale che misura i Best countries for cultural influence mette l’Italia al primo posto, sopra la Francia. “Per influenza, non per quantità di opere d’arte” chiosa il ministro del Collegio Romano. Ma all’obiezione che in Italia c’è chi, appena sente parole come valorizzazione e turismo, mette mano alla pistola, Franceschini risponde che si tratta di “un pregiudizio tardo ideologico che difficilmente mi spiego” in quanto “nell’articolo 9 della Costituzione tutela e valorizzazione ci sono già” quindi “non c’è contrapposizione” tanto più che “in un paese come l’Italia è logico che la sede più naturale per le competenze sul turismo sia il ministero che si occupa di beni culturali, di paesaggio” nella cui sigla MiBac è stata reintrodotta da Franceschini la “t” finale, MiBact, tolta dal predecessore Bonisoli. Il governo gialloverde aveva infatti accorpato il Turismo all’Agricoltura.

Tuttavia, Franceschini ammette che l’overtourism è un problema. “Non ci sono solo le grandi navi a Venezia, su cui confermo quanto già dichiarato, che entro la fine di questo mio mandato non entreranno più nel bacino di San Marco” ma secondo il titolare della Cultura italiana “il problema è più ampio e non si può affrontarlo da catastrofisti” perché “non si può impedire a chi viene in Europa una volta nella vita di vedere il Colosseo”. Però Franceschini per arginare le masse non vuole ricorrere ai ticket, ai quali si dice “contrario” mentre “al massimo si possono utilizzare dei contatori di accessi”.

Il vero problema, perciò, resta “far crescere un altro tipo di turismo, più di qualità, moltiplicando gli attrattori turistici, che sono le città d’arte meno frequentate, i luoghi e i borghi fuori dai percorsi più sfruttati”. Quindi “ci serve un turismo più lento, di qualità. E abbiamo la possibilità di un’offerta infinita rispetto ad altri paesi” dice il ministro, anche se “sotto Napoli il turismo non ci va. Nel sud il rapporto tra bellezza, importanza dei siti e numeri è sproporzionato”.

Ma ai Musei, alle grandi istituzioni culturali serve più o meno autonomia di quanta ce ne è adesso? All’interrogativo il ministro risponde “che è un bel tema di discussione ma complesso” e che tuttavia può solo anticipare che “i cda torneranno nei musei” ma “la loro rimarrà un’autonomia dentro al sistema museale dello stato”. Poi Franceschini decanta le sorti magnifiche e progressive dell’art bonus, che “ha ingranato molto bene, 386 milioni di euro in donazioni da quando esiste. E sono tutti soldi vincolati, con destinazione certa, non è che si buttano nel calderone” ma il bonus “le imprese dovrebbero utilizzarlo di più, avendo il 65 per cento di credito d’imposta” magari facendo crescere il crowdfunding.