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E adesso? Quali i riflessi sul governo dopo il ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e 5Stelle, visto il successo elettorale di Matteo Salvini che ha quasi doppiato Luigi Di Maio? Crisi di governo oppure no? Buon viso a cattiva sorte oppure nessuna crisi e politica dei calci negli stinchi?

È chiaro che il Carroccio si appresta ad una competizione a 360 gradi con il Movimento, ma “in termini di programmi non certo di poltrone” si dice sicuro Francesco Verderami nel retroscena sul Corriere della Sera. Perché l’obiettivo leghista “non sarà il rimpasto, ma lanciare un’Opa sulla coalizione”. E tutto questo rende la faccenda del governare più complicata, perché il vaso di coccio è ora il presidente del Consiglio “o è tagliato fuori, sarà una sorta di osservatore interno” sostiene Verderami, perché la sua idea di riprendere in mano i dossier più importanti insieme all’auspicio o al segreto convincimento che da oggi si possano deporre le armi e mettere da parte liti e conflitti, “sono frasi di circostanza”. Nulla più.

La linea Di Maio non paga

I toni della campagna elettorale non hanno certo giovato. E ad averli imposti, in definitiva, è stata la “linea Di Maio”. Che oggi paga il fio di un considerevole ridimensionamento nelle urne. Sconfitto e scornato. “Il punto è se Di Maio, pesantemente ridimensionato dalle urne e senza un piano di riserva, avrà ancora la forza (prima che la voglia) di accettare le condizioni dell’alleato-avversario” si legge nel retroscena di via Solferino. Ma i rapporti di forza nel Parlamento sono diversi, in quanto il M5S è pur sempre il partito del 32%. “E questo paradossalmente non aiuterà”.

Camera e Senato diventeranno terreno di guerriglia come un Vietnam? “Anche per lui i margini sono limitati i margini della mediazione da offrire”. E se il segretario del Carroccio può oggi vantare una presa ferrea sul gruppo dirigente leghista, “per evitare la crisi di governo e non riconsegnarsi al vecchio centrodestra, dovrà portare risultati: la Tav, l’autonomia regionale, la separazione delle carriere dei magistrati, una politica economica centrata sulla riduzione delle tasse e che dovrà essere ‘prioritaria’ rispetto alle richieste dei grillini. È su questi punti che ieri ha ricevuto il voto di ‘fiducia’ dagli elettori, e non potrà fallire”. Punto.

Si gioca tutto qui il duello e per Di Maio sarà un prendere o lasciare. Duello tra vice dove Conte non conta. Non conta più, posto che lo abbia anche se è riuscito ad accreditarsi in questo ruolo. Premier che per altro, secondo la cronaca de la Repubblica già a metà pomeriggio “capisce che il tracollo grillino può davvero trascinarlo a fondo, promette che mai si trasformerà in un sacco da boxe. ‘Io ho un mio stile – confida in privato, perché ufficialmente invece parlerà soltanto stasera – e non starò fermo a farmi massacrare. Se riusciremo a fare le cose, benissimo. Altrimenti sarò il primo a trarne le conseguenze’. Giuseppe Conte sembra ricordarlo a se stesso, più che ai suoi consiglieri. Dopo un anno già difficile, da premier a sovranità limitata, adesso scorge all’orizzonte giorni tormentati. ‘E nessuno sa – ammette – come questa storia andrà a finire’”.

Ma Salvini non vuole tornare con Silvio

Ma nella partita a scacchi Lega-5Stelle, c’è un terzo incomodo, il centrodestra di Berlusconi, che più che avanzare arretra. O quanto meno non si afferma né si conferma. E attraverso le colonne de La Stampa Maurizio Gasparri con un’intervista lancia un messaggio a Salvini dicendo che “il vero problema adesso è del Carroccio Per tenere il consenso deve stare con noi”. Perché il senatore forzista si dice convinto che Salvini corra il rischio di finire come Renzi, in quanto “gli elettori corrono dietro le mode del momento” e “i crolli, come le vittorie, arrivano improvvisi”. Come dire? È capitato a tutti, e Berlusconi ne sa qualcosa… Una moda declinata, anche se nel giro di vent’anni.

Ma oltre a Berlusconi ci sono anche i Fratelli d’Italia, sottolinea la Repubblica in altro articolo sul Capitano che da oggi diventa Generale, come lo ribattezza Libero. E a questo proposito, osserva ancora la Repubblica, “col voto di ieri cambia la geografia politica. Basta sommare le percentuali di Lega e Fratelli d’Italia, anche senza Berlusconi, per sfiorare la soglia del 40 per cento. Quella che, legge elettorale alla mano, alle politiche garantirebbe la maggioranza in Parlamento”. Insomma, se il vicepremier leghista decidesse di staccare la spina “avrebbe i numeri per puntare dritto su Palazzo Chigi. Da solo o quasi”.

Il vecchio centrodestra continua infatti a mietere successi, non ultimo anche il quel Piemonte finora governato per una lunga stagione dal Pd. Ma il capo del Viminale e della Lega non sembra disposto a ripercorre i passi del gambero perché convinto che ”se riabbracciassi Silvio perderei il 10 per cento dei consensi di oggi”. E anche Salvini, nonostante il pienone di voti che lo fanno l’uomo politico più votato dagli italiani, se non proprio il più amato, ha i suoi problemi. Perché questa sua ostinazione di non voler tornare “al vecchio” (Berlusconi) lo costringerà a dovrà tenere a bada “l’insofferenza dei suoi ministri. Che persiste. E che da oggi con questi numeri lieviterà ulteriormente”. Insofferenza che ha nomi e cognomi precisi: “La Trenta dobbiamo tenercela ancora alla Difesa? E Toninelli che ostacola le opere pubbliche alle Infrastrutture? E la Grillo alla Sanità?” sussurra qualche leghista all’orecchio del cronista attento, che annota sul suo taccuino.

E se Salvini, come annota Il Sole 24 Ore, spinge avanti tutta sull’agenda del Carroccio, c’è chi (la Repubblica) sottolinea che quella del premier “oltre mercoledì non va”. Oggi presiederà una riunione con i tecnici del ministero dell’Economia per un aggiornamento sul quadro economico. Martedì riunirà un tavolo per valutare gli emendamenti al decreto “sbocca cantieri”, autentica mina vagante sul cammino dell’esecutivo. Poi, nel pomeriggio, volo di Stato verso Bruxelles, per il vertice informale con gli altri leader sulla nuova Commissione Ue. “Vista la tormenta in arrivo, meglio non darsi obiettivi troppo ambiziosi”, chiosa il quotidiano diretto da Carlo Verdelli.

Quanto al Pd, Zingaretti ha recuperato. “Salvini estremista fa paura”, dice. E rilancia l’ipotesi di una cirisi di governo con un ritorno alle urne. In quanto alternativi ai gialloverdi? Ma le alleanze? E i numeri?