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All’inizio pareva essere uno dei quattro appuntamenti elettorali regionali di quest’anno: destinati sulla carta a rafforzare il governo gialloverde come già avvenuto in altre consultazioni che si sono svolte subito dopo la nascita dell’esecutivo. Invece l’appuntamento della Sardegna (24 febbraio, tra una settimana) ha assunto un carattere di assoluta centralità. Determinerà gli equilibri all’interno della maggioranza, sempre che non determini la sua stessa fine. Lo si vedrà una volta pubblicato il risultato dello spoglio; certo è che difficilmente gli assetti resteranno immutati. Del resto la Sardegna è già stata determinante anche in altri momenti: lo si chieda al Pd, che per via di un voto nell’Isola perse un segretario. Si chiamava Walter Veltroni, ed era il 19 febbraio 2009. Esattamente dieci anni fa.

La speranza di un colpaccio

Quest’anno il Partito Democratico si presenta con un timore ed una speranza. Il timore è quello di veder confermata la crisi iniziata con le politiche del 4 marzo 2018: minimi storici, partito serrato da allora nella camicia di forza di un dibattito interno mai decollato, nemmeno ora che si avvicinano le primarie. La speranza è quella della ripresa: le regionali abruzzesi di una settimana fa non sono andate poi così male, anzi (il centrosinistra ha superato il 30 percento, anche se il Pd si è fermato all’11). Soprattutto, le suppletive di Cagliari della fine di gennaio hanno visto a sorpresa la vittoria del candidato del centrosinistra. Aiutato magari dall’aver tenuto lontano da Cagliari i leader nazionali e dalla scarsa affluenza alle urne, ma intanto ha vinto. E che poca gente vada a votare è cosa che dovrebbe preoccupare semmai i due partiti di governo.

Il timore del declino

A rischiare molto sono i Cinque Stelle. In Abruzzo hanno dimezzato il consenso rispetto a un anno fa. Un bis della sconfitta potrebbe portare a conseguenze difficilmente evitabili, sia per la leadership di Luigi Di Maio, sia per tutto il Movimento. Sia per il governo. Negli ultimi giorni, non a caso, Di Maio ha varato una riforma radicale della struttura interna dell’M5s, portandolo a somigliare molto più di prima ad un partito in senso classico, Contemporaneamente ha rafforzato il proprio ruolo di capo politico in vista della formazione delle liste per le europee della fine di maggio.

Ha messo la mordacchia al dialogo con i Gilet Gialli, che ha scatenato la guerricciola diplomatica appena conclusasi tra Italia e Francia, ha virato ulteriormente al centro per marcare le distanze con Fico e Di Battista. Chissà se basterà. Anche perché sta per giungere il momento del dunque: la decisione sul caso dell’autorizzazione al processo nei confronti di Matteo Salvini per il caso della nave Diciotti. E comunque, se dovesse continuare il trend negativo, le spinte a chiudere l’alleanza con la Lega si potrebbero fare irresistibili.

Il dubbio del vincitore

Matteo Salvini pare destinato ad una nuova affermazione. In Abruzzo lui i voti li ha raddoppiati (ma, sottolineano i maligni, restando lontano dalle percentuali attribuitegli nei sondaggi nazionali). Un alleato grillino troppo indebolito, e quindi molto più agitato, non farebbe bene alla tenuta del governo. Conviene allora andare all’incasso di elezioni politiche anticipate? Aprire una crisi di governo è, per dirla con Massimo Troisi, sapere da cosa si fugge senza sapere cosa si cerca. Un vaso di Pandora che, una volta aperto, potrebbe riservare qualche sorpresa, non necessariamente gradita. Tanto più che Berlusconi è all’offensiva.

Il Cavaliere sogna 

Il Cavaliere in Abruzzo si è fermato intorno al 10 percento. Rispetto ai tempi d’oro non è molto, ma come avrebbe titolato l’Unità nei giorni delle Botteghe Oscure, “ha tenuto”. Il suo progetto è apertamente quello di riportare la Lega nell’alveo di una rassicurante, tradizionale alleanza di centrodestra (che avrebbe i numeri per governare), ma tutto si blocca di fronte ad un interrogativo vecchio quanto il mondo: chi darà le carte? Nessuno dei due alleati è ontologicamente disposto ad un ruolo di secondo piano, anche se i rapporti di forza pendono decisamente per Salvini. La strada è in salita, per l’uno e per l’altro.

Chi sono i candidati governatori

Sono sette, tutti uomini, i candidati alla presidenza della Regione Sardegna. E queste elezioni sono le prime con la novità della doppia preferenza di genere nel voto per i consiglieri. Tra loro, quattro sono politici di lungo corso (un sindaco, un senatore, un ex assessore ed ex consigliere regionale, un ex parlamentare ed ex presidente della Regione), uno ha esperienza come amministratore locale, mentre per due la candidatura segna il debutto in politica. M5s e Lega, alleati di governo, corrono divisi in Sardegna, dove il centrodestra si presenta secondo la tradizionale coalizione con FI e FdI. Dal centrosinistra sardo, invece, si stacca Sinistra sarda, che faceva parte della coalizione del 2014. Per il M5s sono le prime elezioni regionali in Sardegna.

CENTRODESTRA. Undici sigle sostengono la candidatura di Christian Solinas, 42 anni, segretario del Psd’Az, eletto senatore con la Lega il 4 marzo dell’anno scorso e sponsorizzato direttamente dal segretario e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Per entrare a Palazzo Madama, Solinas si è dimesso da consigliere regionale. Da novembre, inoltre, è vicepresidente vicario della Commissione bicamerale d’inchiesta Antimafia. Dopo quattro anni – dal 2004 al 2008 – al vertice dell’Ersu di Cagliari, come presidente e per un periodo come commissario, nel 2009 è stato eletto consigliere regionale.

Nella XIV legislatura regionale è stato capogruppo sardista e anche assessore ai Trasporti della Giunta di centrodestra guidata da Ugo Cappellacci. Il suo nome è legato, tra l’altro, all’esperienza della cosiddetta ‘flotta sarda’, progetto avviato dalla Regione nel 2011 per collegare la Sardegna con la penisola a prezzi calmierati con due traghetti noleggiati tramite la controllata Saremar, poi fallita. L’operazione, bocciata dall’Ue, si chiuse nel 2012.

Solinas è sostenuto da Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale, Partito sardo d’Azione, Lega Salvini Sardegna, Partito Uds-Unione dei sardi, Fortza Paris, Energie per l’Italia, Sardegna civica, Sardegna20venti-Tunis e Udc.

CENTROSINISTRA. Il sindaco metropolitano di Cagliari Massimo Zedda, 43 anni, è sostenuto dalla coalizione di centrosinistra Progressisti di Sardegna, formata da 8 sigle: Partito democratico della Sardegna, Campo progressista Sardegna, Liberi e uguali, Sardigna Zedda presidente, Cristiano Popolari socialisti, Progetto Comunista per la Sardegna, Sardegna in comune con Massimo Zedda, Noi la Sardegna con Massimo Zedda e Futuro comune con Massimo Zedda. Come Solinas, il candidato del centrosinistra ha una lunga esperienza politica. Dal 2011 è sindaco di Cagliari, rieletto nel 2016 al primo turno. È stato consigliere regionale, eletto con Sel nella XIV legislatura, nel 2009: si era poi dimesso per candidarsi a guidare il Comune capoluogo. È stato segretario cittadino della Sinistra Giovanile, poi ha militato nel Pds e nei Ds, ma non si è mai iscritto al Pd, preferendo aderire a Sel e poi al Campo progressista dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, progetto poi concluso.

M5s. Francesco Desogus, 58 anni, dipendente pubblico, è il candidato presidente del M5s. E’ risultato il più votato alle ‘regionarie’ del Movimento, consultazione ripetuta in autunno dopo il passo indietro del vincitore della prima consultazione, l’ex sindaco di Assemini Mario Puddu, costretto a farsi da parte nell’ottobre scorso in seguito a una condanna per abuso d’ufficio. Desogus al ballottaggio di ha raccolto 450 preferenze (su 1350 iscritti votanti), 28 in più rispetto al secondo in corsa. Il candidato del M5s è un dipendente della Città metropolitana di Cagliari, funzionario del Settore Cultura, Istruzione e Servizi alla Persona.

PARTITO DEI SARDI. Paolo Maninchedda, 57 anni, fondatore e segretario del partito indipendentista, ha vinto le ‘primarias’, le primarie nazionali sarde organizzate on line per la scelta del candidato del PdS. Docente universitario di Filologia romanza, Maninchedda e’ stato consigliere regionale nella XIII legislatura (eletto con Progetto Sardegna di Renato Soru, poi passato al Misto) e nella XIV legislatura, in cui e’ stato capogruppo del Psd’Az prima di passare al Misto. Nella scorsa legislatura, dopo aver fondato il Partito dei Sardi, Maninchedda è entrato nella Giunta di centrosinistra, guidata dall’attuale presidente della Regione Francesco Pigliaru, quale esponente di punta della componente sovranista sarda. Si e’ dimesso dall’esecutivo, dove ricopriva l’incarico di assessore ai Lavori pubblici, nel maggio 2017.

SARDI LIBERI. L’ex presidente della Regione, già parlamentare del PdL, Mauro Pili, fondatore del movimento Unidos, ci riprova – per la terza volta – ma ora con la lista ‘Sardi liberi’, progetto sostenuto dagli indipendentisti di ProgRes e alcuni fuoriusciti del Psd’Az, fra i quali l’ex capogruppo in Consiglio regionale, Angelo Carta, e l’ex presidente sardista Giovanni Columbu. Pili, giornalista di 52 anni, è un politico di lungo corso. Prima di guidare la Regione nei primi anni Duemila, è stato sindaco di Iglesias, la sua città, dal 1993 al 1999. Entrato a Montecitorio nel 2006, è stato deputato fino ai primi dell’anno scorso. Nel 2014 si era candidato alle regionali con una coalizione indipendentista di quattro liste, inclusa quella del suo movimento, Unidos: era stato il quarto candidato presidente più votato (con poco meno del 6%), dietro a Francesco Pigliaru, eletto presidente, Ugo Cappellacci, e Michela Murgia, ma per i meccanismi della legge statutaria elettorale nessuno dei candidati delle sue liste era entrato in Consiglio regionale. AUTODETERMINATZIONE. Andrea Murgia, 47 anni, funzionario della Commissione europea a Bruxelles, dove lavora da quasi 15 anni, è candidato per la coalizione indipendentista ‘Autodeterminatzione’, composta da RossoMori, Irs-Indipendentzia Repubrica de Sardigna, Sardigna Natzione Indipendentzia, Liberu, Sardegna Possibile e Gentes.

Dal 2000 al 2005 Murgia, già militante del Pds, poi dei Ds e, infine del Pd, è stato amministratore del comune di Seulo, il paese barbaricino dove è nato, prima eletto consigliere in una maggioranza di centrosinistra e poi assessore alla programmazione e ai lavori pubblici. Nel 2009 si è candidato alle regionali nel listino del candidato presidente Renato Soru, sconfitto quell’anno da Ugo Cappellacci. Nel 2013 Murgia si era candidato da indipendente, col sostegno dei giovani dem, alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato presidente della Regione, poi vinte da Francesca Barracciu.

SINISTRA SARDA. Vindice Lecis, giornalista sassarese, 61 anni, è sostenuto da Rifondazione – Comunisti italiani – Sinistra sarda. Scrittore prolifico, Lecis ha lavorato per il quotidiano regionale ‘La Nuova Sardegna’ e per altre testate locali del Gruppo Espresso. Nell’ultima parte della sua carriera giornalistica, è stato inviato regionale per l’Emilia-Romagna e nazionale dell’Agenzia giornali locali del Gruppo Espresso, e poi componente dell’ufficio centrale della stessa agenzia sino al 31 ottobre 2016.

Una legge elettorale forse giù superata dai fatti

In Sardegna, con una legge studiata a tavolino nel 2013 da centrodestra e centrosinistra per favorire il bipolarismo, il voto del 24 febbraio prossimo si terrà con il terzo incomodo: M5s. Chi cinque anni fa scrisse la legge statutaria elettorale in Consiglio regionale voleva tener fuori dal palazzo il Movimento assieme ad altre forze politiche esterne alle coalizioni tradizionali. Con queste premesse, confermate dagli ultimi sondaggi, saranno tre gli sfidanti a contendersi la vittoria che la legge elettorale assegna al candidato presidente che raccoglierà più voti: il senatore della Lega e segretario del Psd’Az, Christian Solinas, sostenuto dalle 11 sigle del centrodestra, dato per favorito; il sindaco metropolitano di Cagliari, Massimo Zedda, appoggiato dalle 8 liste del centrosinistra; e il funzionario della Città metropolitana di Cagliari, Francesco Desogus, scelto dal M5s con il meccanismo delle ‘regionarie’ on line sulla piattaforma Rousseau.

Vincerà chi prenderà più voti, anche se la sua coalizione dovesse riceverne meno di quelle degli avversari, circostanza resa possibile dal voto disgiunto: gli elettori sardi possono votare un candidato presidente e una lista non collegata. Questo meccanismo potrebbe premiare Zedda, dato in rimonta nei sondaggi, anche rispetto a Desogus, figura nuova della politica, individuata dopo che il candidato M5s della prima ora, l’ex sindaco di Assemini (Cagliari) Mario Puddu ha dovuto rinunciare in seguito a una condanna per abuso d’ufficio.

La legge elettorale prevede soglie di sbarramento: 10% per le coalizioni, 5% per le liste singole. Anche se non dovesse vincere, dunque, il M5s, che corre da solo, ha la possibilità di piazzare i propri eletti in Consiglio regionale, considerato che in Sardegna è accreditato con percentuali a doppia cifra. Potrebbero riuscirci anche altre liste singole come ‘Sardi liberi’ del candidato presidente Mauro Pili e il Partito dei Sardi che sostiene il proprio fondatore Paolo Maninchedda. A superare la soglia del 5% puntano anche Sinistra Sarda, col candidato presidente Vindice Lecis, e gli indipendentisti di Autodeterminatzione, guidati da Andrea Murgia.

L’incognita pastori

Nelle ultime settimane, infine, si è aggiunta alle tante incognite anche la vicenda dei pastori sardi che protestano contro le difficili condizioni del mercato in cui sono costretti ad agire. Nel corso di un recente vertice al Viminale sul prezzo del latte di pecora sarebbe stato proposto un prezzo di 70 centesimi al litro, ma loro si sono dichiarati insoddisfatti.

La questione dura da più di vent’anni: le eccedenze nella produzione di latte, cui non sono estranee le percentuali di produzione del pecorino rimano, impongono un abbassamento del prezzo al litro fino a livelli inferiori ai costi di produzione. Questa volta, però, la protesta ha assunto valenze e dimensioni particolarmente notevoli, sia per la vicinanza delle consultazioni, sia per la maestria nell’uso dei social che i contestatori hanno saputo dimostrare. Il 25 saremo se ci saranno state ricadute di carattere elettorale.