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La stampa, tutta, anche quella meno ostile ai Cinque Stelle, boccia le primarie del Movimento e irride i candidati che sfidano il 'prescelto' Luigi Di Maio. "Sconosciuti" nella più soft delle definizioni, "Nani", "Carneadi" e "Comparse" nelle altre. Che non risparmiano critiche al sistema voluto da Beppe Grillo e Davide Casaleggio, ma soprattutto alla scelta di unificare la figura di candidato premier e quella di leader del Movimento.

Il Corriere della Sera parla di "Carneadi" e riporta il "malumore" di quello che sarebbe dovuto essere il vero sfidante, Roberto Fico, che "non ha apprezzato l'abbinamento di candidatura e leadership". Il quotidiano riferisce di "più di un mal di pancia tra i Cinque Stelle più avveduti che si erano accorti per tempo del rischio" e accusano Casaleggio di voler "evitare il doppio turno, ripetendo uno schema già visto, per paura degli hacker, ma anche perché incurante delle accuse sul plebiscito in stile coreano".

Per La Stampa, "se fosse una fiaba potrebbe intitolarsi 'Luigi e i sette nani'. Il quotidiano torinese sottolinea la mutazione di Di Maio, "che pare aver abbandonato lo spontaneismo dei primi tempi", ben incarnato, ad esempio, da uno dei sette altri candidati, Vincenzo Cicchetti da Riccione, secondo cui "l'incoronazione di Di Maio è uno schiaffo al Paese e ai giovani" perché "non possiamo presentarci con uno che non è laureato, non ha mai lavorato e non sa l'inglese".

E a Cicchetti si rifà anche Il Messaggero per ricordare la "faglia pentastellata romagnola dove ci sono diversi gruppi M5S in contrasto tra di loro", mentre Repubblica ricostruisce la giornata romana di Beppe Grillo, "arrivato a Roma per tentate un'ultima mediazione" e in sostanza convincere un altro big, nello specifico il solito Fico, a sfidare D Maio per dare un minimo di pepe alla sfida. 

Il Fatto, da parte sua, non risparmia stoccate e definisce "comparse, improbabili come nessuno poteva attendersi" gli sfidanti di Di Maio. "Una sfilata di Carneadi che fa infuriare molti lealisti" e fa piovere critiche sulla scelta di Casaleggio di abbandonare le Quirinarie (dove gli iscritti indicavano il loro candidato ideale) in favore delle autocandidature.