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Un azzardo. Un bluff. I pezzi disposti sulla scacchiera. Lo scacco al re. Da quando Qassem Soleimani è stato ucciso in un attacco di droni statunitensi, si sono sprecate le metafore ludiche per analizzare le mosse di Washington e Teheran. E tra tutti i giochi non a caso sono stati scelti il poker e gli scacchi. Gli analisti e i politici di professione hanno definito l’attacco ordinato da Donald Trump ora come una mossa avventata, ora come una dimostrazione di grande capacità strategica.

Ma visto da chi gli scacchi e le carte le conosce bene, come appare il gioco sul tavolo mediorientale? “Il racconto più noto sulla ideazione degli scacchi è quello riportato in un antichissimo testo, composto verso il VII secolo d.C. e scritto in lingua ‘pahlavica’, ovvero in persiano antico” dice Adolivio Capece, maestro della Federazione scacchistica, “e la spiegazione che dà del principio degli scacchi è illuminante: la vittoria su chi è potente va ottenuta con la mente”.

Una metodologia di ‘gioco’ che gli iraniani conoscono bene e applicano da sempre.  “L’invenzione degli scacchi coincide con la fine di un lungo periodo di guerra” dice ancora Capece, “risale all’epoca di re Khusraw II Parviz, tra il 590 e il 628 d.C., uno degli ultimi sovrani (shah, in italiano ‘scià’) di Persia. Era di stirpe sàsànide ed è noto per aver conquistato e annesso al suo regno Damasco e Gerusalemme tra il 613 e il 614.

Ma al di là dei risvolti storici, va sottolineato che fu in un lungo periodo di pace, quasi 15 anni, che gli scacchi conclusero una evoluzione secolare e assunsero molte delle caratteristiche attuali. In un periodo in cui Khusraw – o Re Cosroe – faticava a trascorrere le giornate e spesso si annoiava, un suo dignitario, di nome Sissa si presentò con un tappeto sul quale aveva disegnato un reticolato composto da 64 piccoli quadrati e statuine che rappresentavano schematicamente due eserciti contrapposti pronti alla battaglia, secondo la concezione dell’epoca. Quindi guerrieri a piedi (i Pedoni), carri per il trasporto delle vettovaglie e delle salmerie (saranno le Torri), truppe a cavallo (il Cavallo) e su elefante (diverranno gli Alfieri) e poi il sovrano(il Re) con il suo generale (nell’anno 1000 al passaggio in Europa diverrà la Regina).

La partita a scacchi tra Iran e Usa

Sistemò quei pezzi e cominciò a spiegare le regole del movimento di ciascuno e lo scopo del gioco, che era evidentemente uccidere il re (lo scià) nemico. Chi fosse riuscito avrebbe potuto gridare “Shah mat!”, “il Re (lo Scià) è morto!” E proprio dall’espressione “Shah mat!” per assonanza deriverà “scacco matto!“. E se quella tra Usa e Iran si sta trasformando ora in una partita a scacchi, senza dubbio è iniziata come una partita a poker. Con quello che qualcuno ha definito bluff e qualcun altro azzardo.

“Bluff direi proprio di no” dice Andrea Piva, teorico del gioco del poker e autore del romanzo ‘L’animale notturno’ (Giunti) dedicato proprio al gioco di carte. “Per bluff si considera un’azione finta e invece qua l’azione c’è stata ed è stata fortissima”. Piva privilegia la definzione di ‘azzardo‘. “Del resto è nel carattere di Donald Trump imporsi nell’agone internazionale come uno scompaginatore. Può apparire più come un giocatore di dadi che come uno stratega che segue la teoria dei giochi. In uno schema che storicamente è basato sulla reciprocità, sulla collaborazione e sulla prevedibilità sta immettendo un elemento della assoluta imprevedibilità: la randomizzazione. È come se dicesse ai suoi avversari: io non agisco per razionalità, ma tirando un dado”.

E questa sovversione delle regole nel gioco paga? “Dal punto di vista della pratica di gioco, uno come Trump è il nemico che meno vorresti avere perché è impossibile prevedere con un anticipo di uno o due turni quale sarà la sua mossa. E’ il tipo che può distruggere una partita, ma tendenzialmente il valore atteso è molto basso”. E questo cosa significa?

La mossa di Trump, la reazione iraniana

“Nel gioco a somma zero, un giocatore vince e l’altro perde. Non c’è altra soluzione possibile” spiega Piva “E negli equilibri internazionali un gioco a somma zero non è previsto. Nel caso del confronto tra Iran e Stati Uniti, se la reazione di Teheran fosse stata molto violenta e avesse davvero fatto decine di morti, la mossa di Trump si sarebbe rivelata di poco valore o addirittura di valore negativo. Invece sembra che gli iraniani abbiano fatto di tutto per reagire sì, ma facendo il minor danno possibile.

Così può apparire che la mossa di Trump abbia avuto un valore atteso molto cospicuo – perché ha tolto di mezzo uno stratega delle forze iraniane senza subire una vera rappresaglia. Ma la teoria dei giochi non valuta mai gli esiti delle mosse, quanto piuttosto ma il processo che ha portato a quella mossa. Una decisione basata su un calcolo probabilistico-statistico può funzionare o avere esiti negativi, ma lo stesso può succedere con le mosse azzardate. La differenza è che giocare prevedendo la reazione del nemico permette di sottrarsi alla logica del gioco a somma zero, in cui possono esserci solo un vincitore e uno sconfitto”. E se fosse un gioco, per adesso chi sarebbe in vantaggio?

“I risultati positivi che Trump sta avendo nel breve periodo possono essere illusori, l’unico che ha fatto la mossa giusta dal punto di vista strategico è l’Iran che si è compattato, ha risposto in maniera misurata appellandosi all’articolo 51 e ha di fatto messo la palla nel campo degli Usa lasciando a Trump la scelta su cosa fare: rilanciare o impegnarsi in una de-escalation. Secondo la teoria dei giochi, ora Washington dovrebbe fare una valutazione dei risultati raggiunti e decidere il da farsi. Per come si è comportato finora, Trump potrebbe non fermarsi qua, ma è chiaro che questo non è un gioco a due e bisogna vedere come si disporranno gli equilibri tra falchi e colombe nella Casa Bianca e al Pentagono. Per non parlare di tutti gli altri attori regionali che seguono – e in qualche modo sponsorizzano – le sue mosse”.