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AGI – Italia e Cina sono rappresentanti “eminenti” delle civiltà occidentale e orientale e Pechino è pronta a collaborare per promuovere l’uguaglianza, l’apprendimento reciproco e il dialogo tra le civiltà. Con questo messaggio, inviato nel luglio scorso al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente cinese, Xi Jinping, ha rimarcato i legami culturali tra i Paesi eredi di due grandi imperi dell’antichità, cogliendo l’occasione dell’apertura a Pechino della mostra “Tota Italia – Alle origini di una nazione”.

Il legame culturale tra Italia e Cina, nell’anno del Turismo e della Cultura Italia-Cina, rimane forte e apparentemente inossidabile nel tumulto delle relazioni internazionali, dalla guerra in Ucraina alla questione di Taiwan, passando per i sempre più complessi rapporti di Pechino con gli Stati Uniti e, più in generale, con il blocco occidentale.

Pechino riconosce a Roma un ruolo di primo piano sul piano culturale, ma gli entusiasmi innescati dall’adesione alla “Belt and Road”, la Nuova Via della Seta cinese, appaiono lontani. Era il marzo 2019 quando l’Italia entrava nell’iniziativa di sviluppo infrastrutturale euro-asiatico lanciata proprio da Xi sei anni prima, e già allora non erano mancate le polemiche, sia da Bruxelles che da Washington.

“Non ci sono pasti gratis”, fu il monito della Commissione Europea al 124esimo Paese (e primo del G7) a firmare il protocollo d’intesa con la Cina. L’amministrazione Usa, in particolare l’allora segretario di Stato, Mike Pompeo, si era detta “preoccupata” per l’adesione italiana, e l’arrivo del presidente cinese in Italia per la prima visita di Stato da quando è salito al potere aveva innescato dubbi e polemiche.

Xi venne accolto a Roma con tutti gli onori. Il presidente cinese visitò anche Palermo nei tre giorni di permanenza su suolo italiano – prima volta dal 2011, quando da vice presidente cinese partecipò alle celebrazioni per i 150 anni dall’Unità d’Italia – e la tappa nel nostro Paese rappresentò il culmine delle relazioni bilaterali: nel novembre successivo, a Shanghai, per la China International Import Expo, la fiera delle importazioni inaugurata da Xi due anni prima,  il ministro degli Esteri Luigi Di Maio avrebbe dichiarato che “Italia e Cina non sono mai state così vicine“.

Covid e cooperazione sanitaria

 Quasi un idillio, quello tra Roma e Pechino, trainato in gran parte dai volumi in aumento dell’export italiano diretto verso la Repubblica Popolare, ma l’atmosfera si sarebbe raffreddata solo poche settimane dopo, all’inizio del 2020, apertosi con la pandemia che ha tragicamente unito Cina e Italia, primo e secondo Paese colpiti dall’alto numero di decessi.

Nei primi mesi del nuovo anno, la solidarietà cinese si era manifestata con l’invio di kit sanitari, mascherine e respiratori all’Italia, ma il clima si stava già guastando per i dubbi a livello internazionale sull’origine del coronavirus che sarebbe stato identificato come Sars-CoV-2 e che si stava diffondendo in tutto il mondo.

Alcune sortite da parte cinese hanno fatto inarcare più di un sopracciglio, come quando un portavoce del ministero degli Esteri cinese – Zhao Lijian, noto per i toni duri da “lupo guerriero” in difesa di Pechino – aveva diffuso su internet un video di dubbia provenienza che mostrava un quartiere di Roma da cui si udivano voci in sottofondo di persone che, durante un flash-mob, inneggiavano alla Cina, ringraziandola per l’aiuto dato all’Italia.

Golden Power, gli altolà a Pechino

Le polemiche sull’origine della pandemia rimangono sullo sfondo, mentre l’Italia adotta posizioni sempre più caute verso Pechino. Più delle parole e dei contatti con Washington, l’andamento delle relazioni tra Italia e Cina, dopo la firma del protocollo d’intesa con Pechino sulla Nuova Via della Seta, è dato dalle cifre che riguardano l’utilizzo di uno strumento a disposizione del governo italiano per bloccare l’interesse straniero verso gruppi ritenuti strategici: il Golden Power.

Secondo calcoli citati dall’agenzia Reuters, dalla sua introduzione, nel 2012, il governo italiano ha fermato per sette volte gli interessi stranieri in Italia; in sei di queste, lo strumento anti-acquisizione è stato usato nei confronti di imprese cinesi; di queste sei, cinque volte a farvi ricorso è stato il governo guidato da Mario Draghi.

Gli stop del governo italiano spaziano per vari settori: l’ultimo caso, di quest’anno, riguarda il tentativo di acquisizione del gruppo Robox, con relativo trasferimento della tecnologia, da parte del gruppo Efort Intelligent Equipment, quotato alla Borsa di Shanghai.

Il Golden Power è stato utilizzato, però, anche nell’agroalimentare, con l’altolà alla multinazionale dell’agro-chimico svizzero Syngenta – dal 2017 di proprietà del colosso cinese della chimica ChemChina, poi fusosi con un altro gigante del settore, SinoChem, andando a formare un polo della chimica del valore di 150 miliardi di dollari – per l’acquisto del produttore di sementi Verisem, una “realtà strategica per la sovranità alimentare nazionale”, come l’ha definita, in una nota, il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.

La Cina come “avversario strategico” 

Gli stop del governo italiano ai gruppi di Pechino hanno attirato l’attenzione anche del Mercator Institute for China Studies che ha sollevato la questione delle collaborazioni tra università europee e cinesi: quasi tremila paper a carattere scientifico pubblicati dagli atenei dell’Unione Europea sono stati realizzati con ricercatori collegati a università direttamente o indirettamente controllate dall’Esercito Popolare di Liberazione cinese e, di questi, il think-tank tedesco indica 123 paper che riguardavano partner italiani, con applicazioni che spaziano dalla tecnologia per droni e missili ai semi-conduttori, fino al settore strategico del 5G.

I rischi della cooperazione accademica sono noti anche a Roma. “La Cina rappresenta un avversario strategico la cui presenza viene registrata a livello nazionale nel mondo accademico e delle start-up nazionali”, è il giudizio del Copasir, emesso nel rapporto di febbraio scorso, nel quale si aggiunge, per quanto riguarda la Cina, che “si tratta di una precisa strategia di lungo periodo che ha come obiettivo mercati strategici come quello dell’innovazione tecnologica che punta a penetrare sia il tessuto imprenditoriale che ad avvantaggiarsi degli incentivi alla cooperazione scientifica internazionale con il fine ultimo di guadagnare posizioni di grande vantaggio in un ambito così cruciale”.

Per quanto riguarda il tessuto accademico, infine, il Copasir sottolinea che è ritenuto “un bacino di coltivazione di rapporti privilegiati con esponenti del panorama scientifico, economico e istituzionale del nostro Paese”.

#beltandroadsummit
Li Junhua – Ambassador of #China to #Italy “The #globalization is reshaping the world, China is trying to connect this new world with the Belt and Road Initiative” pic.twitter.com/dfC3IhqF95

— The European House – Ambrosetti (@Ambrosetti_)
November 21, 2019

La crisi afghana e il G20 di Roma 

Il ritorno dei talebani in Afghanistan ha contribuito ad aumentare la percezione di un raffreddamento dei rapporti tra Italia e Cina. La presa del potere degli studenti coranici, nell’agosto dello scorso anno, ha acceso nuovamente i riflettori sul Paese centro-asiatico, da cui gli americani non avevano ancora completato il ritiro dopo venti anni di campagna militare.

Si pensa anche a una riunione straordinaria del G20, sotto presidenza italiana lo scorso anno, e a settembre il presidente del Consiglio parla al telefono con il presidente cinese. Nel colloquio telefonico, secondo il resoconto fornito dall’emittente televisiva statale cinese Cctv, Draghi ha parlato della situazione nel Paese, con cui la Cina condivide 76 chilometri di confine, ma non vi è menzione che Xi abbia toccato l’argomento: il presidente cinese viene citato a favore di un generico sostegno a “lavorare insieme per affrontare sfide comuni” e nell’auspicio che l’Italia svolga un “ruolo attivo” nella promozione delle relazioni bilaterali con Pechino.

Xinhuanet, interfaccia in lingua inglese dell’agenzia Xinhua, rimanda come unico passaggio del colloquio telefonico la menzione alle Olimpiadi Invernali di Pechino 2022, al termine delle quali il testimone passerà proprio all’Italia, che ospiterà nel 2026 i Giochi Olimpici Invernali a Milano e Cortina d’Ampezzo. Xi, che settimana scorsa è uscito per la prima volta dalla Cina dallo scoppio della pandemia, è tra gli assenti del G20 dell’ottobre 2021 a Roma, assieme al presidente russo, Vladimir Putin.

Al suo posto, c’è il ministro degli Esteri, Wang Yi. A margine del summit Wang incontra per cinquanta minuti in una sala del Parco dei Principi il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che ammonisce la Cina a non tentare di cambiare lo status quo nello Stretto di Taiwan.

Roma sarebbe stata palcoscenico per i rapporti tra Cina e Stati Uniti nuovamente pochi mesi dopo, a marzo di quest’anno, per un incontro – questa volta durato sette ore – tra il consigliere alla Sicurezza Nazionale Usa, Jake Sullivan, e il direttore della Commissione Affari Esteri del Partito Comunista Cinese, l’alto diplomatico Yang Jiechi.

I lockdown scuotono la fiducia delle imprese italiane

Al riposizionamento verso Pechino, si sommano i problemi, più concreti, delle aziende italiane che operano in Cina. La rigidità dello “zero Covid” di Pechino – che rimarrà “fino alla vittoria finale” sul virus, ha detto Xi a giugno scorso – si è abbattuta sull’economia, tornata ai livelli più bassi dal 2020, e sugli apparati produttivi delle aree colpite dalle restrizioni, spesso improvvise e decretate sulla base di una manciata di contagi.

Le chiusure forzate hanno innervosito le aziende italiane in Cina, che ad aprile scorso, mentre Shanghai era in pieno lockdown, hanno lanciato un grido d’allarme: un sondaggio realizzato dalla Camera di Commercio Italiana in Cina rivelava che il 16% di loro era pronta a spostare le proprie attività fuori dal Paese, qualora le restrizioni si fossero estese anche al 2023, e il 40% degli interpellati ha dichiarato di provare incertezza verso il futuro e una “preoccupazione senza precedenti” rispetto alla permanenza nella seconda economia del pianeta.

Quella delle restrizioni legate al Covid-19 è una crisi che “ci colpisce profondamente”, ha detto il presidente dell’associazione, Paolo Bazzoni, con “importanti perdite di fatturato” e rischi legati alla logistica e alla supply chain. Le preoccupazioni delle aziende italiane sono condivise anche da quelle europee.

Nel suo Position Paper pubblicato nei giorni scorsi, la Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina ha manifestato preoccupazione per la “inflessibile” linea anti-pandemica di Pechino e, soprattutto, ha lanciato l’allarme per un deterioramento più complessivo del clima per le imprese europee in Cina, dove, si legge nel rapporto, “l’ideologia sta battendo l’economia”.

Crisi di governo sui media cinesi: torna l’atlantismo

A giovare all’atmosfera delle relazioni tra Italia e Cina non contribuiranno, con ogni probabilità, le ultime dichiarazioni della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. In un’intervista scritta rilasciata all’agenzia di stampa di Taiwan Central News Agency, Meloni ha espresso la “sincera amicizia” all’isola del suo partito, scagliandosi contro il “comportamento inaccettabile” di Pechino e ha dichiarato che la questione di Taiwan sarà “fondamentale” per l’Italia, nel caso in cui la coalizione di centro-destra vincesse le elezioni.

Quello della Cina è “un comportamento che condanniamo con forza”, ha affermato in risposta a una domanda sulle recenti tensioni attorno all’isola, “assieme con tutte le democrazie del mondo libero”.

Inoltre, in quello che appare uno schiaffo a Pechino, ha messo in dubbio il rinnovo dell’accordo tra Italia e Cina sulla Nuova Via della Seta, qualora diventasse la prossima premier. Firmarlo è stato un “grosso errore” e “se dovessi firmare il rinnovo del memorandum domani mattina, difficilmente ne vedrei le condizioni politiche”, ha dichiarato la leader di Fratelli d’Italia, citando a sostegno della sua posizione la repressione cinese a Hong Kong, le discriminazioni contro gli uiguri, la “posizione ambigua” di Pechino verso la Russia sull’invasione dell’Ucraina e le stesse dimostrazioni di forza nei confronti di Taiwan.

Nessun commento sulla crisi di governo, né sulla campagna elettorale è stato finora espresso ufficialmente da Pechino, il cui mantra è quello della non interferenza negli affari interni di altri Paesi, ma il ritorno dell’Italia su posizioni più atlantiste non è sfuggito alla Cina: l’epilogo dell’esecutivo guidato da Mario Draghi è stato seguito con attenzione dai media cinesi, e in particolare dall’agguerrito tabloid Global Times.

Nel bilancio dei 17 mesi di governo guidato dall’ex numero uno dell’Eurotower, il giornale, noto per i suoi editoriali al vetriolo in difesa della linea di Pechino sui temi di politica estera, aveva notato il cambio di passo in Italia rispetto a posizioni generalmente favorevoli a un aumento dei rapporti con la Cina, che si erano fatte strada nel periodo pre-Covid.

Al centro dell’editoriale sono le posizioni del governo italiano rispetto alla guerra in Ucraina. il Global Times aveva criticato l’esecutivo Draghi per il “duro approccio” adottato contro la Russia. La crisi di governo a Roma, aveva avvertito il tabloid pubblicato dal Quotidiano del Popolo, organo di stampa del Partito Comunista Cinese, avrebbe potuto costituire “un cattivo esempio” per altri Paesi europei, e mandava un segnale che la “coesione politica” si era disgregata in molti Paesi dell’Ue, colpevoli, agli occhi del giornale di Pechino, di seguire “ciecamente” gli Stati Uniti nella linea dura contro Mosca.