Ultime News
Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterEmail this to someone

AGI –  “Bentornati sulla Terra. Grazie per aver volato con SpaceX”.  Come se fosse l’atterraggio su un volo di linea. Così si è chiusa la prima missione spaziale con razzo e navicella privati, quelli di Elon Musk. Nella cronaca di questa svolta epocale ogni dettaglio ha un valore simbolico.

“Splashdown” alle 14:48 nelle acque del Golfo del Messico, al largo di Pensacola, in Florida, per gli astronauti della Nasa, Dough Hurlet e Bob Behnken, fasciati nelle tute spaziali, stile Batman e Halo, firmate non a caso dal costumista dei supereroi Jose Fernandez. Quattro paracadute hanno accompagnato la discesa della capsula Space Dragon, poi recuperata da una nave. 

Immagini dal sapore un po’ retrò, in un rinvio continuo tra passato e futuro. Non accadeva dal 1975, dalle missioni Apollo-Soyuz, che gli astronauti tornassero a casa con questa procedura entrata nella storia con la conquista della Luna, mentre russi e cinesi per i loro cosmonauti hanno sempre scelto di ‘precipitare’ sul terreno.

La missione Demo-2, partita il 31 maggio scorso dal Kennedy Space Center, la stessa location dell’ultima missione Usa verso la Luna, è stato il primo lancio di astronauti effettuato dal suolo americano dal 2011, quando è  andato in pensione il programma dello Shuttle. Il viaggio di ritorno dalla Stazione spaziale internazionale  (Iss) è durato 19 ore. 

“Grande avere gli astronauti della Nasa di nuovo sulla Terra dopo due mesi di missione di successo. Grazie a tutti”, ha twittato il presidente Donald Trump. Tecnicamente “un test di volo”, il successo della Demo-2 spalanca le porte ai viaggi spaziali commerciali e ai piani di “colonizzazione” dello spazio  di Trump che emancipa così la sua corsa dalla dipendenza dai russi e in concorrenza diretta con la Cina, in un contesto di nuova guerra fredda con Pechino, come ai tempi dell’Unione sovietica. Protagoniste di un intenso confronto diplomatico, con tanto di ‘spy story’ e ‘guerra dei consolati’, Washington e Pechino hanno lanciato due missioni verso Marte a pochi giorni di distanza l’una dall’altra: la cinese Tianwen-1 e  l’americana Mars 2020,  in un botta e risposta che ricorda la competizione di 60 anni fa.

Nel 2017 il neo eletto Trump aveva firmato la “Space Policy” aprendo alla partnership con i privati. La missione con SpaceX è la sua piattaforma di lancio verso l’obiettivo ancora più ambizioso, che si salda al sogno del fondatore di Tesla, Elon Musk, primo investitore privato della storia a collaborare con la Nasa: portare un giorno milioni di persone a vivere su Marte.

La sinergia con i privati  è considerata cruciale per finanziare un progetto che prevede un costo medio tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari a “viaggio”, parte dei quali verrebbero coperti dai 20 miliardi in dotazione alla Nasa. E Musk non è il solo protagonista privato di questa ‘new space economy’ con risvolti geopolitici potenzialmente dirompenti, che potrebbero mettere in crisi lo stesso modello della Stazione Spaziale Internazionale, oggi all’insegna della cooperazione internazionale. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che ha sviluppato tecnologie spaziali con il razzo Vanguard della Blue Origin, sta puntando allo sviluppo di un veicolo per l’esplorazione lunare e marziana. La Nasa per ora si è affidata a due società per il trasporto di astronauti sull’Iss: SpaceX e Boeing, ma quest’ultima ha accumulato ritardi con il programma Starliner. Affari, politica, potere, immaginario. Il carburante dell’esplorazione, del viaggio, della scoperta, la nuova frontiera americana. 

Come John Kennedy che il 12 settembre del 1962 alla Rice University di Houston, in Texas, rivelò l’intenzione Usa di andare sulla Luna in piena guerra fredda, Trump ha usato il discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso 4 febbraio per rilanciare la nuova sfida americana nello spazio. Durante il suo intervento al Congresso, il comandante in capo ha parlato del programma “Artemis”, sorella di Apollo, con cui la Nasa punta a inviare astronauti sulla Luna entro il 2024 e su Marte nel prossimo decennio. All’inizio i tempi erano più lunghi, si parlava del 2028, ma con le elezioni presidenziali alle porte e il coronavirus che incombe, la Casa Bianca ha chiesto di accelerare, accorciando di almeno quattro anni la scadenza. Lo spazio è il dominio su cui Trump vuole riaffermare il primato americano e magari scongiurare uno scenario come in “For All Mankind”, la serie di Apple Tv+ che riscrive l’appassionante corsa allo spazio alla fine degli anni Sessanta, ma a carte rimescolate, con i russi che anticipano lo sbarco sulla Luna americano dell’Apollo 11, datato 21 luglio 1969.  Oggi è in gioco non solo il prestigio, la leadership tra le stelle, ma il controllo dei sistemi satellitari di comunicazione civile e militare, e di navigazione, a cominciare dai Gps di ultima generazione.

Quanto Trump sia determinato a dominare il cosmo lo dimostra anche la creazione della ‘Space Force’, sesta branca militare Usa con il logo di Star Trek. “La miglior forma di diplomazia che conosco è una batteria di laser a piena potenza”, diceva Montgomery Scott, l’ufficiale ingegnere capo dell’astronave Enterprise, mentre la campagna per la rielezione di Trump alla Casa Bianca paragona la futura potenza elettorale del presidente alla Morte Nera, l'”arma oscura” della saga hollywoodiana, confermando quanto il cinema sia presente nella strategia trumpiana. Ciak, si gira nello spazio. Il 3 novembre torneranno tutti sulla Terra. Musk pensa al pianeta rosso, Trump alla Casa Bianca. Questo non è un film per marziani.