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Non c’è pace per i socialdemocratici tedeschi e non c’è pace per la Grosse Koalition. E’ un nuovo tsunami in casa Spd la bocciatura – a sorpresa solo fino ad un certo punto – della coppia ‘governativa’ Olaf Scholz e Klara Geywitz come nuovi leader del partito che fu di Brandt e di Schmidt.

Con il 53% dei voti contro il 45,3%, la base ha preferito i “campioni” della sinistra socialdemocratica, ossia il ticket composto da Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans.  È un risultato – questo del referendum su base nazionale tra gli iscritti, arrivato dopo un percorso durato oltre sei mesi – che potrebbe avere conseguenti pesanti sul governo in carica guidato da Angela Merkel.

Non tanto perché indebolisce Scholz che è vicecancelliere e ministro alle Finanze, ma perché l’elezione di Esken e Walter-Borjans rappresenta a sua volta una sorta di referendum tra i socialdemocratici sul futuro della Grosse Koalition, dato che ambedue hanno costruito buona parte della loro campagna in opposizione all’attuale alleanza di governo. Formalmente i due non sono ancora capi dell’Spd: saranno i delegati del congresso convocato per il prossimo 6 dicembre a dire l’ultima parola. Ma, in effetti, loro elezione a questo punto è data per scontata.  

La battaglia per formare il nuovo vertice dell’Spd è partita oltre sei mesi fa, dopo le dimissioni di Andrea Nahles in seguito alla debacle elettorale alle Europee, ed ha conosciuto già diversi passaggi, prima di arrivare al ballottaggio finale. Ora la partita si sposta alla prossima settimana: è qui che i delegati socialdemocratici decideranno se l’alleanza con la Cdu/Csu di Merkel continuerà fino a fine legislatura (ossia fino al 2021) oppure no. Ed è qui che la nuova coppia di vertice farà sentire tutto il suo peso.

In teoria, Walter-Borjans ed Esken non sono favorevoli ad una fine traumatica della GroKo: il primo passo, secondo loro, è una rinegoziazione del contratto di governo. A quanto affermano le gole profonde nella Spd, il nuovo ticket intende proporre una serie di condizioni da sottoporre agli attuali alleati Cdu e Csu, tra cui ulteriori investimenti miliardari nella lotta contro i cambiamenti climatici ed un reddito minimo di 12 ore.

Proposte che difficilmente i cristiano-democratici di Annegret Kramp-Karrenbauer e i cristiano-sociali bavaresi di Markus Soeder saranno disposti ad accettare: a quel punto, dato che in caso di un ‘no’ sonante i nuovi vertici consiglieranno al partito di uscire dalla coalizione, rischia di aprirsi la strada delle elezioni anticipate. L’altro scenario è quello di un governo di minoranza, ovviamente sempre targato Merkel, ma comunque a termine.

Va detto che all’attuale situazione si arriva dopo diversi passaggi elettorali disastrosi per l’Spd, dalle elezioni nazionali del 2017 fino alle Europee di quest’anno passando da vari appuntamenti regionali, mentre anche i sondaggi assegnano all’ex partito di massa socialdemocratico risultati inferiori al 15%. L’Spd appare profondamente lacerata. Da una parte i “governativi” guidati appunto da Scholz, che poteva contare sull’appoggio di vari altri ‘big’ del partito, tra cui il ministro degli Esteri Heiko Maas e l’ex segretario Martin Schulz. Dall’altra, la sinistra interna – che la coppia Walter-Borjans ed Esken è arrivata ad incarnare solo pochi mesi fa – a sua volta sostenuta dalla potente associazione giovanile del partito, gli Jusos, guidati dal carismatico Kevin Kuehnert, che aveva condotto una strenua battaglia contro la GroKo già dopo le elezioni del 2017.

Ai piani alti della Willy-Brandt-Haus, quartier generale della Spd, la preoccupazione è che la battaglia intorno alla nuova leadership possa indebolire ancora di più il partito, che dalle dimissioni di Nahles viene guidato ad interim dai “commissari” Malu Dreyer, Thorsten Schaefer-Guembel e (fino allo scorso settembre) Manuela Schwesig. “Noi rimarremo coesi, e quello che chiediamo all’esterno vale anche al nostro interno”, ha promesso Dreyer. Anche la ministra alla Famiglia Franziska Giffey e Maas non mancano di lanciare appelli all’unità del partito.

Le previsioni che fanno le altre forze politiche non sono particolarmente ottimiste: “Sono senza parole. Questo spostamento a sinistra dell’Spd sanciscono la fine della Grosse Koalition”, ha detto il leader dei liberali dell’Fdp, Christian Lindner, secondo cui “la Germania si trova davanti al voto anticipato oppure ad un governo di minoranza. Per quanto ci riguarda siamo pronti ad un’assunzione di responsabilità”.

Dal canto loro, anche per i vincitori a sorpresa la parola d’ordine ora è “coesione”: “Lo sappiamo tutti, ora dobbiamo stare insieme”, ha detto Esken subito dopo l’annuncio del conteggio finale, effettuato da decine di militanti che hanno scrutinato i voti arrivati per posta da tutto il Paese. “Sappiamo, però, ci si aspetta un lavoro immane”, ha aggiunto. Il tour de force con le 23 conferenze regionali attraverso le quali si è arrivato al ballottaggio finale “era solo l’inizio”.  Signorilmente, il battuto Scholz, nonostante le evidenti differenze, promette di non fare mancare il suo sostegno alla nuova leadership: “Ci metteremo tutti dietro la nuova direzione”.

Il bello è che fino a poche settimane fa il mantra nella politica tedesca era “Borjan-Esken chi?”. Ambedue vengono da un’intensa attività a livello regionale. Walter-Borjans, 67 anni, è stato segretario di Stato nel Saarland e ministro alle Finanze nel Nordreno-Vestfalia. Esken, deputata dal 2013, alle spalle una laurea in germanistica, eletta nel Baden Wuerttemberg e in questa legislatura membro delle commissioni Interni e Digitale, in passato era nota soprattutto per aver duramente criticato l’Agenda 2010, ossia il pacchetto di riforme sociali ed economiche dell’allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder, da lei definito “il peccato per il quale paghiamo ancora il conto”.

Lui, invece, oggi si sente definire “il Bernie Sanders tedesco”: in parte anche grazie al fatto che come titolare delle Finanze del suo Land “era uno che non si tirava indietro di fronte ai potenti dell’economia, perseguendo senza timori i miliardari che sfuggivano al fisco”, come annota la Zeit. Lo chiamavano il “Robin Hood dei contribuenti”: non a caso può contare, nonostante l’età ormai non più verdissima, sull’appoggio convinto dei giovani socialdemocratici.

Non proprio l’identikit più conforme alla Cdu sempre più post-merkeliana. Per ora il segretario generale dei cristiano-democratici, Paul Ziemiak, si dice “fiducioso” di poter continuare a governare insieme alla Spd: “C’è una buona base, e quello è il contratto di coalizione”. Peccato che sia proprio la prima cosa che la coppia Walter-Borjans ed Esken intendano mettere in discussione. Appuntamento alla settimana prossima, al congresso della Spd: la battaglia è assicurata.