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Per la seconda volta nel 2019 e la quarta in 4 anni, in un clima di crescente incertezza economica e di crisi irrisolta in Catalogna, gli spagnoli tornano alle urne per le elezioni generali con la speranza di far uscire il Paese dallo stallo politico-istituzionale, sebbene metà degli aventi diritto consideri “probabile” la necessità di dover ripetere le elezioni un’altra volta ancora.

Anche a questa tornata, infatti, si ripropone lo stesso equilibrio di forze di sette mesi fa, seppur con qualche cambiamento. In base agli ultimi sondaggi i socialisti (Psoe) di Pedro Sanchez, a capo del governo spagnolo da giugno 2018, si confermano al primo posto, con 27,6% (26,7% secondo Ipsos) delle intenzioni di voto, ma in una posizione più debole rispetto alle elezioni dello scorso aprile.

Per loro gli analisti preannunciano una “vittoria amara“, con un numero di seggi nel nuovo Parlamento presumibilmente inferiore – tra 110 e 126 – che costringerà Sanchez, fino a pochi mesi fa convinto di avere la vittoria in tasca, a stringere alleanze con più formazioni per raggiungere la maggioranza assoluta dei 176 seggi, e quindi essere certo di riuscire ad ottenere il voto di fiducia per il suo nuovo governo.

Sanchez pagherebbe il calo nei consensi per la crisi catalana, gli ultimi dati economici non proprio positivi e le critiche da alcune parti per la sua decisione di riesumare la salma del dittatore Franco per spostarla in un cimitero “riaprendo ferite del passato”.

Il Partito Popolare (Pp) si presenta rinvigorito, con il suo leader Pablo Casado accreditato del 21,2% delle preferenze, riducendo sempre di più le distanze dal Psoe, presumibilmente a soli 15 seggi di differenza: un recupero di 4,5 punti nelle ultime settimane che gli osservatori ricollegano alla scelta vincente di Casado di aver portato avanti una campagna elettorale con un profilo più moderato, incentrata sulle problematiche economiche, riuscendo così ad allontanare il fantasma del sorpasso da parte dei centristi Ciudadanos di Albert Rivera, ora al 9,3%, in calo di 6,6 punti.

La penisola iberica rischia di dovere fare i conti con l’ascesa del partito di estrema destra Vox, guidato da Santiago Abascal, che potrebbe ottenere fino al 14% dei voti e 45 deputati, molto meglio dei 24 di questa legislatura. Se così fosse, i populisti diventerebbero il terzo partito politico in Spagna.

Secondo il quotidiano La Vanguardia Abascal sta ottenendo risultati dal “suo approccio duro” sul tema della Catalogna: Vox è “il partito che ruba voti a tutti” e che può contare sull’elettorato “più fedele” dell’intero scacchiere politico. Abascal, spesso definito dalla stampa locale come “il rappresentante di Salvini in Spagna”, si presenta come il nuovo catalizzatore del malessere sociale, strenuo difensore della sovranità, dell’identità nazionale e dei confini per bloccare l’invasione dei migranti, oltre ad essere fortemente euroscettico. Per alcuni osservatori è uscito vincitore del dibattito televisivo di lunedì sera, il primo al quale il partito di estrema destra è stato autorizzato a partecipare.

In realtà anche lo scorso aprile Vox era al centro della scena politica, ma poi ha ottenuto un risultato al di sotto delle sue aspettative, così come pure alle europee di maggio. A pochi giorni dal voto il quotidiano El Pais ha pubblicato un duro editoriale contro Abascal, criticando le sue posizioni “xenofobe e intolleranti“.

Ma d’altra parte a destra c’è chi accusa Sanchez di fare leva sulla “paura di Vox” per conquistare i voti degli indecisi, che sono almeno l’11% degli aventi diritto. Il quarto posto dovrebbe andare a Unidas Podemos di Pablo Iglesias, nei sondaggi al 13% e circa 36 deputati, in calo rispetto ad aprile come conseguenza dell’ascesa sulla scena politica del partito Mas Pais, guidato dal popolare 35enne Inigo Errejon, fuoriuscito da Podemos, che sta recuperando voti da elettori delusi, anche nelle fila del Psoe. Ma il calo più forte è quello registrato da Ciudadanos di Albert Rivera: nel prossimo Parlamento dovrebbe essere rappresentato da soli 23 deputati, invece dei 57 eletti lo scorso aprile.

All’ultimo posto, con 4,7% delle intenzioni di voto, Mas Pais, che si avvicina alla soglia di sbarramento del 5% per poter avere in Parlamento un suo gruppo proprio. A completare l’emiciclo, la Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) con 14 deputati, Junts per Catalunya con i suoi 8 rappresentanti e il Partito Nazionalista basco (Pnc) con 7.

Gli osservatori evidenziano l’importanza del risultato che otterranno i partiti indipendentisti catalani in un momento di divisione del governo sulla crisi e di tensione in loco. Nei giorni scorsi in occasione della visita a Barcellona di Felipe VI e della principessa Leonor si sono scatenate violenti proteste anti-monarchiche.

Oltre alla Catalogna, l’altra posta in gioco riguarda l’economia, in deciso rallentamento da alcuni mesi. Secondo il ministero dell’Industria, nei primi otto mesi del 2019 gli investimenti esteri nel paese sono letteralmente crollati: 6 miliardi in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno, il peggior dato degli ultimi 9 anni.

Secondo l’Ocse l’economia spagnola sta rallentando il doppio rispetto al resto d’Europa. La compravendita di immobili ha avuto ad agosto un crollo del 21%, rispetto allo stesso periodo del 2018. Gli economisti evidenziano che il Paese viene da un lungo periodo di crescita ed un rallentamento è anche fisiologico, ma questi dati preoccupano poiché la Spagna ha problemi strutturali di alto debito e di bassa produttività, che rendono la sua economia molto più fragile di quanto si possa pensare.

Secondo il giornale El Confidencial, il premier uscente ha già promesso spese aggiuntive per 6,6 miliardi di euro, in particolare per le pensioni, con il rischio di portare fuori controllo il deficit in pochi anni se non verranno attuati interventi strutturali. In soldoni, gli spagnoli tornano alle urne in uno scenario politico più complesso rispetto a quello dello scorso aprile, con la necessità per i socialisti di allacciare nuove alleanze con più formazioni, ma non è ancora chiara quale sarà la formula magica che potrebbe finalmente consentire a Sanchez di governare stabilmente.

Uno scenario possibile, secondo i media spagnoli, è quello di un accordo tra partiti che hanno ottenuto l’approvazione della mozione di sfiducia al governo Rajoy nel giugno 2018: Psoe, Unidos Podemos, Ma’s Pai’s, PNV, ERC e Junts, che insieme dovrebbero arrivare a quota 184.

Un’altra combinazione potrebbe consistere in un’astensione patriottica da parte del Partito Popolare e di Ciudadanos per consentire ai socialisti di governare da soli. Una terza opzione del tutto nuova si sta facendo strada nelle ultime ore: quella di un patto tra Popolari, Ciudadanos e Vox che insieme potrebbero ottenere più seggi del blocco di centro sinistra formato da Psoe, Podemos e Mas Pais. Un’ultima considerazione riguarda invece il tasso di affluenza degli elettori, che non dovrebbe superare il 70%, contro il 75,76% alle ultime votazioni, conseguenza diretta della stanchezza degli spagnoli per lo stallo politico-istituzionale che dura ormai da troppo tempo. A smuovere le acque, prevedono alcuni analisti, l’effetto Vox, gli ultimi eventi in Catalogna e la possibilità di operare uno ‘tsunami democratico’ cambiando del tutto le carte in tavola per sbloccare finalmente la situazione.