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Se gli Stati Uniti sono diventati la più grande potenza al mondo, lo devono a tre elementi chiave che ne hanno permesso l’espansione fino agli attuali confini: un direttore di giornale, una reporter e una montagna di dollari.

Dietro l’intenzione di Donald Trump di comprare la Groenlandia c’è, in realtà, una tradizione consolidata lunga 120 anni fatta di acquisizioni di territori come fossero proprietà immobiliari, oppure annesse dopo una guerra o scoperte dai navigatori. Tutte nel segno del “Manifesto del Destino”, termine coniato da John O’Sullivan, fondatore e direttore del giornale Democratic Review, per promuovere l’annessione del Texas e dell’Oregon e dalla parola “Annessione” rilanciata da una giornalista, Jane Cazneau, per chiedere l’acquisizione di tutte le terre del Messico che si trovavano a ovest del Rio Grande.

Il “Manifesto del Destino” è ciò che ha guidato da sempre gli americani nella loro sete di espansione. Il fatto che i promotori fossero un uomo e una donna dalle origini diverse, uno nato in mare durante una traversata, l’altra a New York in una famiglia borghese, conferma come lo spirito del tempo fosse quello della conquista.

Nel Manifesto redatto da O’Sullivan si sintetizzavano i tre principi che avevano mosso nei cinquant’anni precedenti i coloni e che li avrebbero guidati nel futuro:

  • le virtù del popolo eletto americano,
  • la missione nel redimere l’Occidente attraverso la potenza agraria dell’America
  • il “destino inarrestabile”.

O‘Sullivan aveva analizzato la storia della prima metà dell’Ottocento e ne aveva ricavato la convinzione che gli americani fossero stati scelti per rilanciare il mondo. L’espansione era andata avanti in modo veloce e verticale. Il primo “investimento” americano risaliva già al 4 luglio 1803 quando gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Thomas Jefferson, acquistano in blocco dalla Francia di Napoleone, con il nome di “Louisiana purchase”, quindici stati, o parte di essi, e due province canadesi: oltre alla Louisiana, Arkansas, Missouri, Iowa, Oklahoma, Kansas, Nebraska, gran parte del Nord e Sud Dakota, aree del Montana, Wyoming, Colorado, Minnesota e il nord di New Mexico, Texas e New Orleans. Più le province del Canada, Alberta e Saskatchewan.

La parola ‘annessione’

Nel 1845 entra nel vocabolario degli americani la parola “annessione” grazie all’articolo di una reporter di New York, Cazneau, andata sul fronte della guerra tra Stati Uniti e Messico per documentare gli scontri.

La giornalista usò quel termine per invocare l’annessione dei territori messicani alla fine della guerra. Dopo l’acquisizione del Texas, nel 1848, con il trattato di Guadalue Hidalgo, vennero annessi gli stati della California, Nevada, Utah, Arizona. La giornalista invocò la necessità di fissare “confini chiari” e invalicabili perché sancissero la potenza degli Stati Uniti.

Dove non arrivavano le armi e i trattati, gli americani, in modo pragmatico, hanno fatto pesare i dollari: tra il 1857 e il 1898 gli Stati Uniti si espandono oltremare, acquisendo le isole Baker, Howland e Jarvis nel Pacifico, le isole Midway che diventeranno, nel ‘900, basi di sosta per i voli della Pan-American, e Guam e Portorico prese, con il trattato di Parigi del 1898, dalla Spagna a cui gli Usa versarono 20 milioni di dollari per compensarli delle perdite.

L’acquisto dell’Alaska, delle Hawaii 

L”acquisto’ più sensazionale fu l’Alaska, forse uno dei più grandi affari della storia: la Russia voleva disfarsene perché la riteneva poco preziosa e troppo remota per difenderla. Gli Usa si fecero avanti e l’acquistarono, nel 1867, per 7,2 milioni di dollari, a un prezzo di 2,5 centesimi per ettaro, 4 dollari al chilometro quadrato, di un’area che era il doppio del Texas e abitata da poche migliaia di persone.

Nel ‘59, sotto il presidente Dwight Eisenhower, venne annessa come 49 stato. Ora conta oltre 700 mila abitanti, parchi naturali, siti preistorici e, soprattutto, giacimenti petroliferi.

Il 50esimo stato venne inglobato nel ‘59: le Hawaii. Ma l’ultima acquisizione vera risale al 1947: le isole Marshall, vicina all’equatore, nel Pacifico, le più grandi del gruppo della Micronesia.

Settant’anni fa c’erano solo 70 abitanti, ora sono 53 mila e anche in questo caso sono il paradigma del senso degli affari degli americani: appartenute alla Spagna fino al 1874, vennero cedute alla Germania per diventare la Nuova Guinea tedesca, poi passarono al Giappone durante la Prima Guerra mondiale e agli Stati Uniti dopo la Seconda, che la usarono come base per i test nucleari nell’atollo chiamato Bikini, nome che ispirò lo stilista francese Louis Reard nel disegnare il costume a due pezzi.

Da quel momento Bikini è diventato un brand. Nel Novecento gli Stati Uniti hanno finito per rallentare le acquisizioni, limitate all'”affitto” siglato con Cuba per lo sfruttamento dell’isola di Guantanamo. Restava la più grande e incontaminata isola al mondo tecnicamente unita al Nord America, la Groenlandia, tra i possibili investimenti, soprattutto ora che con lo scioglimento dei ghiacci ha perso valore: il presidente Harry Truman ci aveva provato nel ‘46, offrendo cento milioni di dollari alla Danimarca, ma ottenne un indignato no grazie.

Ora i tempi potrebbero essere cambiati. Per questo Trump, che ha costruito il suo impero sulle acquisizioni immobiliari, ha “fiutato” l’affare, allineandosi alla tradizione dei Padri fondatori ispirati dalla massima: se non lo puoi conquistare, compralo.