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Si può cercare di sbloccare un telefonino usando le dita, e quindi le impronte digitali, di un morto? Lo si può fare, per di più, all’interno delle pompe funebri che ne ospitano il corpo? Linus F. Phillip, 28 anni, è stato ucciso a Largo, in Florida, da un agente di polizia mentre cercava di scappare ed evitare una perquisizione. Una morte non chiara, i cui punti oscuri, secondo gli investigatori, possono essere sciolti accedendo proprio alle informazioni contenute all’interno dello smartphone. Un modo, ad esempio, per scoprire se il giovane facesse uso di droghe. La storia è stata raccontata dal Tampa Bay Times per poi rimbalzare sui principali siti di news americani.

Secondo la fidanzata di Philip, Victoria Armstrong, è stato compiuto un gesto irrispettoso che ha violato la sensibilità della famiglia e degli affetti del giovane. Due detective si sono presentati all’interno delle onoranze funebri, senza mandato, per essere condotti nella stanza dove era conservato il cadavere. A quel punto hanno provato a sbloccare il telefono della vittima usando le sue dita. Un tentativo che non ha dato i frutti sperati, come confermato dal tenente Randall Chaney e che ha scioccato i familiari.

La ricostruzione della morte

Philip è stato ucciso il 28 marzo, all’interno di un parcheggio di una stazione di servizio della Wawa. La macchina che aveva preso a noleggio, scrive FOX13, aveva i vetri oscurati. Un particolare che avrebbe spinto due poliziotti ad avvicinarsi alla vettura per un controllo. Gli agenti avrebbero riferito di aver sentito un forte odore di marijuana intimando al ventottenne di scendere dalla macchina. In quel momento Philip avrebbe cercato di scappare rischiando, con una manovra pericolosa, di trascinare uno dei due agenti contro la pompa di benzina. Poi gli spari, quattro, e la morte. Una ricostruzione che non ha mai convinto del tutto la famiglia e l’avvocato che la rappresenta, John Trevena. In passato Philip era già finito due volte in prigione ed era stato condannato, scrive sempre FOX13, per 22 reati.

Nessun mandato. È morto

Un defunto non ha diritto alla proprietà privata. E non occorre nessun mandato, secondo Chaney, per portare avanti un’azione come quella. Il quarto emendamento della Costituzione americana, infatti, difende l’individuo da qualunque tipo di perquisizione invasiva o confisca irragionevole. Ma come ha ricordato il Guardian, riprendendo le parole di Charles Rose, professore alla Stetson University College of Law, i morti non possono far valere le protezioni del quarto emendamento perché “quando non ci sei più non possiedi più nulla”.  Secondo Chaney, però, c’è una finestra precisa per poter accedere a quel tipo di informazioni usando il sensore di impronte digitali. Dalle 48 alle 72 ore.

Una questione “economica”

Anche Forbes si è occupato di questa pratica che non è nuovissima e che ha dei vantaggi molto evidenti. Oltre alla mancanza di restrizioni legali, infatti, il metodo delle impronte digitali risolve un problema economico non di poco conto. Permette cioè di non rivolgersi a realtà come Cellebrite o GrayShift per sbloccare un telefono. Insomma, l’azione condotta all’interno della Camera Ardente non è stata illegale ma certamente ha aperto una discussione sul suo valore etico. Interpellato dal Tampa Bay Times, Remigius Nwabueze, professore associato alla facoltà di giurisprudenza di Southampton, ha ribadito come sarebbe stato più ragionevole ottenere prima l’autorizzazione di un giudice o quantomeno avvertire la famiglia. Perché la legge, secondo, Nwabueze “è più crudele nei confronti di chi è deceduto”.