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I colossi dell’hi tech cinesi aiutano Pechino a spiare i cittadini. Nel potenziare la sicurezza del cyberspazio il governo si è dotato di sofisticati occhi e orecchie per guardare e sentire meglio: sono quelli di Alibaba, Tencent, Baidu.

I tre giganti privati dell’internet cinese, racchiusi nel collettivo BAT, sono al fianco delle autorità nella lotta alla criminalità e al dissenso politico. La tecnologia sviluppata nei loro quartier generali viene usata nelle telecamere di sorveglianza installate nelle città cinesi. E non solo. La collaborazione richiesta da Pechino supera di gran lunga quella offerta dai colossi tecnologici occidentali ai propri governi. Lo svela un’inchiesta del Wall Street Journal, entrato in possesso di documenti che provano l’accesso ai big data da parte delle forze dell’ordine, confermato dagli stessi impiegati di Alibaba interpellati dai giornalisti americani.
 
La Cina – seconda solo agli Usa per investimenti nell’intelligenza artificiale  – sta costruendo un enorme database per il riconoscimento facciale, che sarà in grado di identificare 1 miliardo e 300 milioni di cinesi in tre secondi. Pechino è ossessionata dalla sicurezza.

L'orgoglio di Jack Ma

Un nuovo rapporto statunitense svela l'avanzamento tecnologico della Cina nel campo dell'intelligenza artificiale applicata al settore militare, che entro cinque anni potrebbe eguagliare e superare quello degli Stati Uniti. E chi collabora con il governo dischiudendo le tracce elettroniche che i cittadini lasciano online, non ne fa un mistero ma questione di vanto.

Ma Huateng, anche detto Pony Ma, il secondo uomo più ricco di Cina nella lista stilata da Fortune, a capo di Tencent, e Jack Ma, l’eccentrico Ceo del colosso dell’e-commerce Alibaba, terzo tra i più ricchi, hanno più volte dichiarato l’importanza del supporto che le aziende private devono garantire al governo nelle questioni relative alla sicurezza pubblica, e all’applicazione della legge. “Il sistema politico e legale del futuro è inseparabile da internet e dai big data”, ha detto Jack Ma a una commissione legale del Partito Comunista Cinese (Pcc), che ha l’ultima parola sugli ordinamenti giuridici. Presto la tecnologia – ha aggiunto – renderà possibile prevedere le minacce alla sicurezza.

I colossi telematici cinesi sono cresciuti in fretta, agevolati dalle restrizioni all’accesso del mercato online da parte delle aziende straniere, e oggi sono le colonne sulle quali poggia il disegno di Pechino di diventare leader delle tecnologie del futuro.

Il piano Made in China 2025, che individua dieci settori strategici per creare un’industria all’avanguardia puntando sull’innovazione, prevede massicci investimenti nei settori dell’hi-tech. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha in tutto questo un ruolo di primissimo piano. La sfida asiatica ai big americani, che ancora dominano il mercato, è sempre più stringente. In Cina il Partito, sovrapposto quasi completamente allo Stato, domina ogni sfera della vita pubblica e dell’economia. Tencent, la più grande società al mondo nel settore dei giochi online per gli smartphone, proprietaria della popolare piattaforma di messaggistica WeChat (che alla fine di settembre ha raggiunto quota 980 milioni di utenti), leader nei pagamenti mobile (alla fine del 2016, il 72,5% degli utenti faceva acquisti online), la prima azienda cinese hi-tech a sfondare il tetto dei 500 miliardi di dollari per capitalizzazione in Borsa, partecipa attivamente alla vita dei cittadini cinesi: quando chattano, mangiano, pagano, giocano e ascoltano la musica.

Allarme fionda su WeChat

Pony Ma è noto per essere vicinissimo al Pcc: il 23% dei suoi dipendenti ha la tessera del Partito (che in tutto conta quasi 90 milioni di membri). La metà degli utenti di WeChat usa l’app più di 90 minuti al giorno. Tra questi anche gli attivisti politici. Hu Jia, uno dei più noti dissidenti cinesi, rilasciato nel 2011 dopo tre anni e mezzo di detenzione, ha detto che l’uso dei dispositivi lo ha esposto a una maggiore sorveglianza da parte degli agenti della polizia. Tempo fa aveva comprato online una fionda, suggerita da un amico come anti-stress. Aveva utilizzato il telefono per pagarla con WeChat. Qualche giorno dopo fu interrogato dagli agenti, i quali sospettavano che Hu avesse acquistato l’arnese per colpire le telecamere di sorveglianza installate vicino al suo appartamento. L’attivista ha denunciato episodi simili, affermando che “ognuno ha una spia che li osserva, e la spia è nel proprio smartphone”.
 
La Cina già da tempo ha annunciato un sistema di rating che assegna un voto alle attività online dei cittadini e delle imprese. Il 14 giugno 2014 il Consiglio di Stato emanò un documento chiamato “Pianificazione per la costruzione di un sistema di credito sociale”. In realtà un sistema che valuta l’affidabilità degli utenti in base a ciò che comprano, a cosa comunicano, premiando o sanzionando, esiste già. Lo ha messo a punto il triumvirato dell’hitech: Tencent, Alibaba e Baidu prevedono promozioni e sconti per chi si comporta bene. Il governo cinese punta a creare un sistema che unisca i meccanismi di rating entro il 2020. Un grande fratello che premia i buoni e punisce i cattivi.

Ma a tutto c’è un limite. “Non è vero che il governo centrale ha un accesso indiscriminato ai nostri dati: come negli Stati Uniti, per ottenerli, devono avere una ragione”, ha detto il vice presidente di Alibaba, Joseph Tsai, durante una conferenza organizzata a ottobre scorso da Journal’s D.Live. Anche un funzionario della polizia ha confermato al Wall Street Journal che il governo richiede informazioni riservate sulla base di una procedura ferrea. Ma tutti sanno che in Cina non esiste la separazione dei poteri. Le leve di comando sono nelle mani del governo centrale. Cioè, del partito – sottolinea il quotidiano statunitense.

I cinesi si difendono dalle accuse di collaborazionismo con le forze dell’ordine ricordando agli americani la vicenda di Edward Snowden, che fece luce sul massiccio passaggio di informazioni da parte delle grandi aziende di telecomunicazione al governo statunitense.

Una cosa è certa. Il primo giugno il governo ha emanato la nuova legge sulla cybersicurezza. Tra le novità c’è l’obbligo, da parte degli operatori di infrastrutture informatiche, di immagazzinare “informazioni personali e dati vitali” per la Cina “raccolti e prodotti in Cina”. “La Cina ha il diritto di fare leggi e normative per regolare la sovranità nel cyberspazio in linea con le pratiche internazionali”, aveva dichiarato il Cyberspace Administration of China (Cac) – l’ente di supervisione del settore​ – per rispondere alle perplessità dei gruppi stranieri che operano in Cina. Wangluo zhuquan, cioè la sovranità cibernetica. Nella visione cinese, devono essere i governi a guidare lo sviluppo di internet, importante per il mantenimento della stabilità sociale in un Paese con 750 milioni di utenti online.