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Era nascosto in Argentina nel fitto della selva di Misiones, ai confini con il Paraguay, un rifugio per nazisti scappati in Sud America dopo la seconda guerra mondiale. “Invisibile” fino agli anni duemila, e fino a un paio d’anni fa indicata arbitrariamente come “casa di Bormann”, la piccola costruzione in pietra è stata studiata per due anni nei dettagli da una équipe archeologica guidata da Daniel Schávelzon e Ana Igarita, che ne hanno anche tratto un libro da poco pubblicato in Argentina.

Una casa rimasta fantasma per decenni

Le ricerche sui resti di simili dimore, spesso ignorati o equivocati, potrebbero riservare nuove sorprese storiche sulla presenza dei nazisti nel Paese e sui percorsi seguiti per disperdere le tracce dopo il ’45. “Bisogna sottolineare l’importanza che siti di questo genere, in località molto isolate, siano ripensati e rivisti alla luce di questa nuova ipotesi mai immaginata prima d’ora” dichiara all’AGI Daniel Schávelzon, capo ricercatore del Conicet (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas) e direttore del Centro di archeologia urbana presso la facoltà di Architettura dell’Università di Buenos Aires. Per Schávelzon, insomma, il rifugio nel parco naturale di Teyú Cuaré, a Misiones, non sarebbe necessariamente l’unico: “Esiste una infinità di rovine disseminate qua e là, che restano incomprese dall’archelogia. Sono considerate meramente – spiega – come resti antichi, riutilizzati dalla popolazione nel XX secolo e nulla più. E’ possibile invece che, col tempo, vengano fuori altri siti come quello”.

Il rifugio di Misiones, tre metri per tre, restò ignoto così a lungo perché celato nella selva, per l’assenza di qualsiasi documento catastale e grazie agli stessi materiali impiegati nella costruzione, mattoni di pietra che ingannavano a prima vista anche occhi di esperti, che datavano la casa al diciassettesimo secolo e la collegavano alla presenza gesuitica nell’area senza mai approfondire l’investigazione.

Monete tedesche, un cinturone, ritagli e fotografie

Schávelzon e la sua squadra si resero invece conto che si trattava di un manufatto moderno e avviarono l’indagine, individuando una cucina a legna, una vasca in maiolica, addirittura tubazioni sottostanti per l’acqua e un pozzo per la spazzatura che ai ricercatori parve una soluzione irrazionale, considerando la prossimità del fiume Paranà e la presenza tutt’intorno della selva. Aveva invece la funzione di occultare il più possibile le tracce degli ospiti. Gli scavi successivi hanno premiato gli archeologi: hanno ritrovato monete tedesche e dei paesi dell’Europa dell’Est occupati dalla Germania negli anni ’40, ritagli di giornale e fotografie dell’epoca, una scatola di latta arrugginita per la cotognata su cui fu stampata una fotografia di Hitler e Mussolini.

 “La scatola fu fabbricata da un’azienda alimentare argentina molto popolare a quel tempo. Mentre la foto di Hitler e Mussolini – racconta ancora Schávelzon all’AGI – fu impressa da un italiano, che viveva in Cile e fu arrestato alla fine della guerra come collaborazionista”. Non è possibile sapere da chi e per quanto tempo la dimora fu occupata, anche se sono stati rinvenuti diversi articoli di provenienza germanica e un cinturone della Falange di Francisco Franco in ottimo stato di conservazione.

Detratto il ‘mito’ di Martin Bormann, l'ultimo segretario di Hitler, del quale non c'è alcun indizio che sia passato per Misiones, l'archeologo ricorda le ragioni della particolare importanza assunta, in Argentina, dai destini dei nazisti: “Qui c’è una imponente immigrazione tedesca o di parlanti tedesco e la gran parte arrivò con la guerra. Ebrei prima di tutto, quindi quelli sopravvissuti all’Olocausto e più in generale tedeschi la cui vita fu distrutta dalla guerra, che facessero parte o no dell’esercito.
 

E poi, l’Argentina fu rifugio di gerarchi nazisti con il beneplacito del governo”. E se si è parlato di Bormann anche per la dimora di Teyú Cuaré, è perché “lui fu l’elemento agglutinante che permise ai neonazisti di mantenersi vivi, benché fossero un gruppo minoritario quasi insignificante, eppure molto attivo”, commenta Schávelzon. “Oltretutto, l’esercito argentino proveniva da una tradizione prussiana e antisemita, e dal 1943 contammo una lunga sequenza di militari al governo, che fossero dittature o democrazie. Perón, ad esempio, era un generale formato anche in Europa. Pertanto, il tema dei nazisti è radicato nella nostra storia anche se dalla guerra eravamo lontani”.