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Inefficienze e scarsa qualità dei servizi erogati sono costate all’Italia una perdita di circa 70 miliardi di Pil. E, nel confronto internazionale, su 36 Paesi Ocse, fatto scivolare il nostro Paese al terzultimo posto passando dalla 20esima del 2009 alla 33esima posizione del 2018: questi, in sintesi, i risultati di un’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla qualità della burocrazia e il suo impatto sulla crescita economica del Paese.

Le valutazioni sulla qualità della burocrazia nella comparazione internazionale sono ricavate dal Quality of Government Index dell’Università di Goteborg, indicatore composto da tre pilastri: livello di corruzione, caratteristiche della legislazione e osservanza della legge, qualità della burocrazia in senso stretto.

Quindi è un indice che, oltre alle singole procedure burocratiche, dà conto anche dei loro effetti sui comportamenti e le performance dei legislatori e dei cittadini. Il risultato è che non solo siamo piuttosto distanti dalle migliori posizioni ma, cosa ancora piu’ grave, scendiamo in graduatoria con il passare del tempo.

Su 36 paesi Ocse, l’Italia scivola dalla mediocre 26esima posizione del 2000 alla pessima 33esima, terz’ultima, del 2018. Il livello della qualità della burocrazia, commenta Confcommercio, è dunque ben lontano dallo standard dei migliori tra le economie avanzate.

Tutto questo ha probabilmente a che fare anche con i ritardi del nostro Paese sull’innovazione tecnologica e sul capitale umano della Pa, con inevitabili ricadute negative sulle performance della burocrazia e, conseguentemente, con un pesante impatto sulla crescita.

Se l’Italia avesse, ad esempio, la stessa qualità dell’amministrazione della Germania, calcola l’ufficio studi della confederazione, tra il 2009 e il 2018 la crescita cumulata sarebbe stata del 6,2% invece che del 2,3% e il livello del prodotto lordo sarebbe piu’ elevato di circa 70 miliardi di euro.

“Con una migliore burocrazia”, inoltre, prosegue Confcommercio, “si avrebbero evidenti benefici anche per i conti pubblici. Infatti, una maggiore crescita del Pil genererebbe maggiori entrate, minore disavanzo e, dunque, minore debito sia come dimensione dello stock, sia in rapporto al Pil. In conclusione, ci sono ampi margini per migliorare il benessere economico del Paese e questo si può fare con strategie che non richiedono maggiori risorse o ricette fantasiose: una delle più profittevoli e di lungo termine consiste semplicemente nel migliorare la qualità della pubblica amministrazione”.