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L’escalation della guerra commerciale tra Cina e Usa ha spaventato i mercati, mandando in tilt le Borse europee e ha scatenato la corsa ai beni rifugio, tra cui in Bund tedesco. Ieri per la prima volta tutti i titoli di Stato della Germania sono finiti in territorio negativo, compreso il Bund trentennale, sceso sotto zero a -0,0069% per poi assestarsi a -0,002%. Anche il Bund decennale ha segnato un nuovo minimo storico a -0,50%, scivolando al di sotto del tasso sui depositi Bce, che è a -0,40%. Per i titoli di Stato italiani, considerati rischiosi, il trend è stato inverso, con il rendimento del Btp a 10 anni tornato all’1,6% e lo spread salito sopra quota 210. La Germania si è quindi accodata alla Svizzera, che ha anch’essa tutti i bond sotto zero.
 

Che significa avere tassi negativi

Normalmente chi compra dei titoli di Stato, o chi deposita dei soldi in una banca viene remunerato, con un tasso di interesse. Il tasso negativo significa invece che per comprare un titolo di Stato, cioè per prestare soldi ad uno Stato devo pagare. Lo stesso avviene per i depositi, cioè per depositare soldi in una banca, anche in questo caso con i tassi negativi devo pagare. Nel caso del tasso di deposito della Bce, sono le banche che per depositare i loro soldi su un conto della banca centrale devono pagare. Apparentemente è un’assurdità. In realtà non è così. I titoli di Stato tedeschi e quelli svizzeri sono gli unici, insieme a quelli della Danimarca, ad essere negativi, ma sono anche particolarmente sicuri. Dunque, in tempi difficili, rappresentano una garanzia per i risparmiatori. Cioè l’investitore, per comprare un titolo che non si svaluta, è anche disposto a pagare.
 

Il caso della Germania

La Germania ha un’economia in crescita, seppure di poco (+0,4% nel primo trimestre), un’inflazione che a luglio è risalita all’1,7%, un bilancio pubblico in pareggio e nel 2019 si appresta a raggiungere l’obiettivo di un debito/Pil sotto al 60%. E’ dunque un Paese con i conti a posto e con un’economia sana, seppure in rallentamento. Per questo i risparmiatori sono pronti a comprare Bund e, se per farlo devono sborsare qualcosa, lo fanno. È il prezzo della stabilità. Non è detto che questo trend sia destinato a durare, magari a un certo punto i risparmiatori si stuferanno di acquistare Bund. Sicuramente se l’economia globale dovesse migliorare saranno pronti a rischiare di più per avere tassi più remunerativi. Ma in tempi difficili, con Trump all’assalto dei dazi, specie con la Cina, preferiscono rivolgersi a beni rifugio e non c’è niente di più sicuro dei Bund tedeschi.
 

La domanda di titoli tedeschi 

Un terzo del debito pubblico tedesco (750 miliardi di euro) mostra rendimenti negativi: un investitore paga per il privilegio di prestare denaro fino a 30 anni al governo tedesco. I Bund non sono solo beni rifugio ma sono titoli privi di rischio, per questo sono diventati merce rara. Con i tassi negativi, il mercato quota anche l’ipotesi di rottura dell’euro e la possibilità di un conseguente rimborso del Bund in nuovi marchi che – perdendo la “zavorra” dei Paesi periferici dell’Eurozona – varranno più di quanto vale l’euro. Esattamente come quota, attraverso lo spread per i titoli di Stato italiani, il rischio che il debito pubblico italiano venga ridenominato e rimborsato in nuove lire svalutate rispetto all’euro.

In questo fragile contesto si sono inseriti gli stimoli monetari varati dalla Bce con il Quantitative Easing (Qe). Questi ultimi, data la regola della capital key – che sostanzialmente prevede la ripartizione degli acquisti in base alla dimensione dell’economia di ciascuno Stato rispetto all’Eurozona – hanno privilegiato proprio i Bund aumentandone ulteriormente la domanda e favorendo così l’effetto-scarsità che ha contribuito ad abbassarne i rendimenti.
 

Vantaggi e svantaggi dei tassi sottozero 

I tassi sotto zero hanno fatto bene alla finanza pubblica tedesca. Il debito pubblico tedesco si è praticamente liquefatto. Dal 2014 al 2018 il rapporto debito/Pil della Germania si è ridotto in media di 3,6 punti l’anno, passando dal 75,3% al 60,9% e si stima che nel 2023 sarà in area 50%. In compenso la redditività del sistema finanziario tedesco, a partire dal settore bancario, è oggi compromessa proprio per via dei protratti tassi negativi: secondo la Bundesbank, nel 2017 il margine netto da interessi delle banche si è assottigliato del 6,2%, rappresentando la componente principale della contrazione del margine operativo netto degli istituti di credito tedeschi.

Per questo ai risparmiatori tedeschi i tassi negativi non piacciono per niente, anzi li odiano, non tanto perché sono poco redditizi, visto che il valore patrimoniale è stabile, ma perché la scarsa profittabilità del sistema finanziario colpisce i fondi pensione, i fondi sanitari, le assicurazioni e persino alcuni hedge funds costretti, per motivi di regolamentazione prudenziale, a investire quote più o meno elevate della massa gestita in safe-assets come appunto i titoli di Stato tedeschi.

A causa dei tassi negativi questi fondi rischiano cioè di perdere parte del capitale investito o di dover tagliare i benefici riconosciuti ai soggetti assicurati o ai sottoscrittori delle loro quote, senza contare che i gestori potrebbero cercare di recuperare redditività spostando parte del portafoglio su investimenti illiquidi e particolarmente rischiosi.

Insomma, ai tedeschi che più che mettere i soldi in banca o nel mattone, come gli italiani, investono nei fondi, i tassi negativi non piacciono perché non convengono. ​Lo stesso ordine di problemi si pone per il sistema pensionistico e sanitario pubblico e, più in generale, per una larga parte di quelle che, nell’ambito del welfare State, sono le prestazioni future, la cui sostenibilità in prospettiva dipende dalla capacità di accrescere o quantomeno preservare il capitale versato dai contribuenti. In conclusione: i tassi così a lungo e così profondamente negativi potrebbero diventare a breve un serio problema per la Germania nonostante il beneficio in termini di abbattimento dello stock di debito pubblico.