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Bio-On crolla in borsa a due giorni dal report di Quintessential Capital Management che ne ha messo in dubbio l’assetto societario e il prodotto. L’azienda bolognese, quotata all’Aim, ha chiuso con un -69,76%, passando da 49,60 a 15 euro per azione. Nata nel 2007 e quotata dal 2014, la società capitalizzava prima del report circa un miliardo di euro. Dopo le ultime sedute di Borsa la capitalizzazione è crollata a 282 milioni, bruciando circa 758 milioni di euro in due giorni. 

Le accuse contenute nel report di Quintessential

Le accuse alla ex startup bolognese sono contenute in un report di 25 pagine redatto dal fondo newyorkese che in passato ha fatto le pulci, e con discreto successo, a diverse società. Buona parte di queste sono state poi costrette a chiudere. Quintessential titola il report senza mezzi termini: “Bio-On: Una Parmalat a Bologna?”. I documenti raccontano che la società avrebbe gonfiato i bilanci con crediti in buona parte derivanti da società controllate. Puntano il faro sul prodotto, definito “obsoleto e noto da almeno 100 anni” ma anche sui costi di produzione, ‘inspiegabilmente’ superiori fino a 15 volte rispetto alle principali società concorrenti. (AGI)

Gabriel Grego, il capo del fondo, dopo la pubblicazione del report ha registrato un video di circa 30 minuti su YouTube dove entra più nel dettaglio della sua inchiesta: “La parte più incredibile della storia di Bio-On è nella contabilità”. Cita testimonianze dirette: “Un ex dipendente che abbiamo consultato ci ha detto che nessuno ad oggi sta comprando plastica da Bio-On. Il 100% delle entrate arrivano dalla vendita di licenze, ma in realtà sono solo studi per vedere se la tecnologia funziona”. Ma oltre alle testimonianze ci sono i documenti, da cui risulterebbe che l’88% dei ricavi sarebbe fittizio, sostiene Quintessential, e ottenuto da transazioni con società controllate.

Il ‘sistema’ delle controllate

Così come gran parte delle immobilizzazioni, che verrebbero da questi contratti con società sussidiarie. Grego sostiene, attraverso documenti messi online, che la società bolognese abbia creato una serie di joint venture alle quali avrebbe venduto la propria tecnologia. Ma, essendo società inattive e senza capitali, “si tratta di debiti che non verranno mai estinti”. Mentre “nei pochi casi in cui Bio-On è riuscita a recuperare questi crediti”, spiega Grego, “lo ha fatto prendendo soldi dalla propria cassa, girandoli alla joint venture, e ripagandosi quindi coi propri soldi”. Nei documenti Quintessential ricostruisce questo ‘sistema’: 9 società controllate, “con gli stessi amministratori della Bio-On, ma senza sede né dipendenti”.

Il report inoltre sottolinea alcune incongruenze negli investimenti della società. L’impianto di produzione di Castel San Pietro, Bologna, che doveva costare 15 milioni, alla fine ne è costati 50, lanciando il sospetto di operazioni immobiliari dubbie. Ma il costo di produzione della bio plastica stessa sembrerebbe superiore di circa 6 volte rispetto ai principali concorrenti.

Il prodotto di Bio-On

Eppure il problema principale, secondo Quintessential, è proprio la promessa di una rivoluzione nella produzione delle bioplastiche attraverso l’uso del polimero PHA (polidrossialcanoati). L’opinione di alcuni esperti contattati dal fondo statunitense è unanime: “La base tecnologica scientifica è assurda e farneticante”, sintetizza. Il PHA sarebbe noto da almeno 100 anni e non avrebbe nulla di rivoluzionario. Al centro dell’inchiesta anche una serie di transazioni finanziarie definite ‘sospette’ e alcune operazioni che sembrerebbero finalizzate solo alla produzione di campagne di marketing per far salire il titolo in borsa, come l’annuncio della costruzione di nuovi impianti, in Brasile, in Francia o in Italia, a cui però non si è mai dato seguito. 

La replica della società

Bio-On ha replicato alle accuse di Quintessential in una nota in cui sostiene che sia incorretto “comparare i costi di produzione e costi di investimento di società terze” che operano nello stesso settore. Conferma la produzione di del bio-polimero PHA “e la commercializzazione dei prodotti a dimostrazione dell’effettivo funzionamento della tecnologia”.

E infine, pur non smentendo direttamente la ricostruzione sulle joint venture, rigetta l’accusa che si tratti di un sistema di società finte che presto porterà al collasso del gruppo, in quanto nel corso del 2019 “risultano già incassati crediti verso le joint venture per un totale di 12,5 milioni”, e che “il saldo verso le imprese collegate” ad oggi è di “euro 20,1”. La società assicura inoltre il pieno funzionamento dell’impianto di Castel San Pietro, e che al momento dà lavoro a 100 dipendenti. Rassicurazioni che però evidentemente non hanno convinto gli investitori. 

Il management di Bio-On, guidato da Marco Astori, contesta tutti i punti di questa storia. Vicenda che vede diversi attori in gioco. Banca Finnat, che ha redatto alcuni studi sul titolo di Bio-On e risulterebbe tra gli azionisti di una delle joint venture create dalla società bolognese, ha chiuso con un -3,5% in Borsa. EY risulta la società di consulenza che ha valutato e giudicato ‘positivi’ i bilanci di Bio-On, contattata da AGI spiega che non può commentare la vicenda per doveri di riservatezza. Ora toccherà alle istituzioni fare chiarezza su quello che è successo e verificare il report di Quintessential.  

 

@arcangeloroc