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L'offensiva protezionistica di Donald Trump va avanti. E dopo la firma del decreto con gli annunciati dazi al 25% sull'acciaio e al 10% sull'alluminio importati – che per il momento esclude Canada e Messico – Unione europea e Cina promettono battaglia. Nonostante il presidente Usa abbia confermato l'intenzione di "mostrare flessibilità con i Paesi amici".

Per la Ue parla la commissaria europea al Commercio, Cecilia Malmstrom, che proprio alla suddetta flessibilità si appella: "Il dialogo" continua a essere "la prima opzione", afferma durante una cerimonia a Bruxelles. E poco dopo su Twitter osserva: "L'Ue è uno stretto alleato degli Stati Uniti e continuiamo a essere del parere che debba essere esclusa da queste misure. Cercherò maggiore chiarezza su questo tema nei giorni a venire. Non vedo l'ora di incontrare il rappresentante Usa per il commercio Robert Lighthizer sabato a Bruxelles per discutere".

Più duro il vicepresidente della Commissione Ue Jyrki Katainen, che pur considerando il dialogo come "primo obiettivo", non esclude "delle contromisure" che comunque, sottolinea, "speriamo di non dovere usare". Ma "se si avverasse il peggior scenario possibile – avverte Katainen – siamo pronti a portare gli Usa davanti al Wto".

Su Twitter il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani scrive "non dovremmo combattere tra noi", mentre da Berlino Angela Merkel esprime "preoccupazione" per i pesanti dazi "svantaggiosi per tutti". Per questo, spiega la cancelliera tedesca, la Germania "sostiene l'Ue nella ricerca del dialogo con gli Usa, ma anche con Paesi colpiti" dalle conseguenze, "come la Cina". Perché, "nessuno può vincere fino in fondo".

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha una conversazione telefonica con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker: "I dazi non sono la via da seguire", afferma il premier, sottolineando quanto sia "importante proseguire nel dialogo con gli Stati Uniti" e l'importanza di "assumere una posizione comune" da valutare "nel prossimo Consiglio europeo".

Cosa rischia l'Italia

All'allarme della politica e della diplomazia fa eco quello dei produttori d'acciaio, un mercato che coinvolge anche l'Italia che lo esporta per 650 milioni l'anno. Il 10% delle esportazioni italiane è diretto agli Usa e a preoccupare è la distinzione fatta da Trump tra i Paesi realmente amici e gli altri.

Nel 2017 le aziende siderurgiche italiane hanno esportato negli Stati Uniti 505.000 tonnellate di prodotti e semiprodotti siderurgici. Secondo i dati forniti da Federacciai, si tratta di circa il 10% del totale dell'export europeo del settore, pari a 4,935 milioni di tonnellate. L'export italiano verso gli Stati Uniti vale 653 milioni di euro, pari all'11,5% del totale europeo. 

Secondo dati elaborati dall'Ice su fonti Istat, nel 2017 (gennaio-novembre) l'Italia ha esportato negli Usa oltre un miliardo di euro di prodotti della metallurgia (non solo quindi acciaio e alluminio), registrando un aumento del 19,4% rispetto al 2016.

Ben superiore la crescita delle importazioni: oltre 725 milioni, il 123% in più dell'anno precedente. Il saldo è stato positivo per 342,695 milioni di euro. Nella categoria sono compresi prodotti della siderurgia (295,701 milioni); tubi, condotti, profilati cavi e relativi accessori in acciaio, esclusi quelli in acciaio colato (286,914 milioni); altri prodotti della prima trasformazione dell'acciaio (197,46 milioni); metalli di base preziosi e altri metalli non ferrosi, combustibili nucleari (313,991 milioni); prodotti della fusione della ghisa e dell'acciaio (10,239 milioni). L'export di alluminio e semilavoratori è aumento del 2,1% a 65,62 milioni, mentre l'import, a 49,815 milioni, e' balzato del 50%.

L'Istat, infine, ha calcolato nel 2016 lo scambio commerciale in America settentrionale suddiviso in due voci: esportazioni di lavori di ghisa, ferro e acciaio (893,1 milioni di euro) e lavori di alluminio (195,9 milioni); le importazioni si fermavano rispettivamente a 117,6 milioni e 54.800 euro.

Sul piede di guerra i produttori di acciaio cinesi che hanno espresso "forte opposizione" alla mossa del presidente Usa, e chiedono al governo di Pechino di intervenire. Immediata la risposta del ministero del Commercio, che promette di "difendere fermamente gli interessi e diritti legittimi" della Cina. Anche la Corea del Sud esprime rammarico per una decisione che sarà "un duro colpo per le esportazioni" di Seul. Intanto, però, il protezionismo sembra pagare almeno in termini dei consensi: il gradimento per Trump è balzato dal 38 al 42%, il massimo da quando si è insediato alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2017, dopo che a febbraio era scesa al livello minimo del 35%.