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Carcere e multe salate per chi ruba la Pay Tv senza pagare il canone. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che ha condannato a quattro mesi di carcere e duemila euro di multa un utente che usufruiva di codici piratati per visualizzare i canali di Sky Italia. D’ora in poi non sono più solo i pirati a pagare per la diffusione fraudolenta di trasmissioni criptate (principalmente Sky e Mediaset), ma anche gli utilizzatori finali, anche in assenza di lucro.

Una sentenza che riguarda gli utenti comuni

Come ricostruito dal Corriere della Sera, la sentenza n. 46443/2017 emessa ieri della Corte di Cassazione, ha “confermato il giudizio della Corte d'Appello e la pena di 4 mesi di carcere e 2.000 euro di multa per un soggetto che aveva ‘installato un apparecchio con decoder regolarmente alimentato alla rete LAN domestica e Internet collegato con apparato TV e connessione all'impianto satellitare, così rendendo visibili i canali televisivi del gruppo Sky Italia in assenza della relativa smart card’. La fattispecie è quella del cd. Card Sharing, per la quale la Corte d'Appello aveva a sua volta confermato quella di primo grado. L'ultimo ricorso dell'imputato è stato ritenuto inammissibile dalla Cassazione, cosa che di fatto conferma la sentenza precedente e obbliga il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 euro in favore della Casse delle Ammende.”

Pagamento del canone non aggirabile

Nella sentenza si legge che “la condotta incriminata (è) pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato, e dunque protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l'accesso […], senza che assumano rilievo le concrete modalità con cui l'elusione venga attuata, evidenziandone la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone […]’. In pratica non importa come si aggirano i vincoli tecnologici posti dalla Pay TV, quel che conta è il risultato e il fine fraudolento del mancato pagamento del canone”. Risulta dunque chiaro che le modalità con le quali è stato possibile accedere ai contenuti piratati non è rilevante al fine di sanzionare l’utente. 

Il card sharing era stato depenalizzato nel 2000, ma ha riacquisito rilevanza penale nel 2003 grazie a un decreto legislativo.” spiega Repubblica. “L'imputato si è difeso sostenendo di aver acquistato i codici di decodifica dei programmi sul web per giustificare il fatto che, durante la perquisizione a casa sua, non ‘era mai stata rinvenuta la smart card’. Secondo la Cassazione i giudici palermitani hanno ‘correttamente’ emesso la condanna ‘evidenziando la finalità fraudolenta del mancato pagamento del canone’”.