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Il ritorno dell'ambasciatore italiano al Cairo segna una distensione importante tra due Paesi troppo vicini e con troppi interessi in comune per mantenere congelate a tempo indefinito le proprie relazioni diplomatiche, entrate in crisi in seguito all'omicidio, rimasto senza colpevoli, di Giulio Regeni. Ancora non si sa chi fossero e quali informazioni cercassero coloro che, il 3 febbraio del 2015, abbandonarono, in un fosso nella periferia della capitale egiziana. il cadavere del giovane ricercatore italiano, martoriato da giorni di torture. La decisione della Farnesina giunge però in risposta a un atteggiamento più collaborativo degli inquirenti del Cairo, che hanno inviato nuovi atti alla Procura di Roma. E la vicenda non smette di far discutere il Paese. C'è chi, soprattutto alla sinistra dello spettro politico, ritiene l'invio al Cairo di Giampaolo Cantini, nominato ma mai insediatosi, come un'offesa alla famiglia di Regeni, che non ha mai smesso di chiedere "tutta la verità". E c'è invece chi plaude a una ritrovata "realpolitik", al necessario riavvicinamento a un Paese che gioca un ruolo fondamentale nello scacchiere libico (il presidente al-Sisi è uno dei principali sostenitori di Khalifa Haftar, l'uomo forte di Tobruk). Un dibattito che si riflette nei commenti, di segno assai differente, pubblicati dai principali quotidiani.

Repubblica: "Il governo non si è assunto la responsabilità politica"

Sul fronte di chi critica la scelta del ministero degli Esteri troviamo La Repubblica che, in un articolo firmato dal direttore Mario Calabresi, parla di una decisione che "non può che lasciare stupiti e provocare amarezza". "Perché dalla verità siamo ancora distanti ma soprattutto siamo lontanissimi dalla possibilità di avere giustizia", prosegue Calabresi, "la sensazione è che ora tutto possa passare in secondo piano, che la morte di Giulio Regeni sia diventata di intralcio agli interessi nazionali.

"Tenere l’ambasciatore a Roma era considerato come il modo più efficace per fare pressione sul regime di Al Sisi. Il governo ha cambiato idea. Si può comprendere il perché", osserva ancora Calabresi," E qui entra in ballo l’interesse nazionale, che ancora una volta porta in Libia. Cercare di gestire la situazione libica e i flussi migratori senza avere rapporti diretti con l’Egitto — che è il principale sostenitore del generale Haftar e delle sue milizie — è come giocare con un braccio legato. La nostra assenza al Cairo è stata sfruttata a fondo dai francesi e si capisce l’urgenza di porre rimedio. Ma allora perché non chiamare le cose con il loro nome? Perché non avere il coraggio di assumersi la responsabilità politica del gesto? Dire con chiarezza: abbiamo bisogno di un ambasciatore in Egitto che agisca nel pieno delle funzioni per gestire la situazione libica. Spiegarlo alla famiglia e agli italiani. Non venderlo come un modo per accelerare la verità".

Per Il Fatto è "sfregio a ferragosto"

Ancora più duro Il Fatto Quotidiano che parla di "sfregio a ferragosto" e si concede come 'lead' "pagare moneta, vedere cammello". La testata diretta da Marco Travaglio ricorda la netta contrarietà della famiglia Regeni, che ha parlato di "resa incondizionata", afferma che "a oggi, dopo 18 mesi, non c'è stata alcuna vera svolta e parla di un "procedimento preso sulla fiducia". Il Fatto riconosce comunque che "rispetto all'8 aprile, quando il governo Renzi decise di ritirare l'allora ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari, di strada ne è stata fatta parecchia. Sembrano lontani i tempi in cui sembrava di sbattere contro un muro di gomma, con i vertici istituzionali, al-Sisi compreso, impegnati a creare una serie di assurde spiegazioni, dal banale incidente stradale alla pista omosessuale".

La Stampa: "Un atto di responsabilità, era ora"

"C'è una sola vera spiegazione alla decisione del governo italiano di inviare l'ambasciatore al Cairo: l'Italia fa sul serio in Libia", sostiene invece Stefano Stefanini su La Stampa, in un editoriale intitolato "Realpolitik in versione mediterranea". "Era ora", scrive Stefanini, "la decisione, coraggiosa sul piano interno, è soprattutto un atto di responsabilità di politica estera. Stiamo imparando la lezione della realpolitik – ed è un valore aggiunto alla nostra credibilità internazionale ed europea". Sul caso Regeni "non facciamoci troppe illusioni", avverte La Stampa, è probabile che la controversia continui. Dovremo riuscire a gestirla separatamente dal resto dei nostri rapporti con l'Egitto – come fanno tutti i Paesi che fanno politica estera seria". Un punto di vista condiviso dal Messaggero che titola "Cairo, torna l'ambasciatore. Mossa per trattare in Libia" e sottolinea come l'invio di Cantini sia funzionale soprattutto a "riavviare il dialogo con Khalifa Haftar nel tentativo di normalizzare la situazione libica".

Sul fronte della Realpolitik anche il Corriere della Sera. "L'Egitto è troppo importante perché il nostro Paese potesse ancora rinunciarce ad avervi rapporti anche a livello di ambasciatori", osserva Maurizio Caprara, "il governo di Paolo Gentiloni ha deciso di allontanarsi da una rotta di collisione che non avrebbe dato risultati positivi, se mai ci saranno, neppure sull'jnquietante buco nero del caso Regeni".