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AGI – Il nuotatore azzurro Francesco Bettella ha conquistato la medaglia di bronzo nei 100 metri dorso S1 alle Paralimpiadi di Tokyo. Quella di Bettella, 32 anni di Padova, è la prima medaglia dell’Italia ai Giochi Paralimpici. Medaglia d’oro all’israeliano Iyad Shalabi, argento all’ucraino Anton Kol. Per l’italiano e’ la terza medaglia paralimpica dopo gli argenti di Rio 2016 sui 50 e 100 dorso S1. 

AGI – Questa sera l’imperatore Naruhito darà il via ufficialmente ai XVI Giochi Paralimpici. La cerimonia inaugurale si terrà alle ore 20 in Giappone, le 13 in Italia. L’evento planetario per il movimento paralimpico si concluderà il 5 settembre, e da assegnare 540 medaglie in 22 sport. La pandemia terrà ancora vuoti buona parte dei 68.000 posti dello Stadio Olimpico di Tokyo, ma il Giappone è pronto a celebrare i Giochi e animare le speranze degli oltre 4.400 atleti di 162 squadre nazionali di battere nuovi record e infrangere ogni residuo degli stereotipi.

L’attesa per “Blade Jumper”

Tra gli atleti più attesi c’è il saltatore in lungo tedesco Markus Rehm, soprannominato “Blade Jumper”, che ha stabilito un record mondiale, e la leggenda giapponese del tennis Shingo Kunieda. La previsione di molti è che la Cina continuerà il suo dominio di medaglie d’oro restando in cima al medagliere, così come ha fatto in ogni Paralimpiade da Atene 2004 in poi. Ma il Giappone spera che la sua squadra record di 254 persone possa ripetere la corsa all’oro olimpico del Paese.     

L’ombra del Covid

Anche su questi giochi pesa però l’ombra della pandemia da Covid-19, che ha prima posticipato i Giochi 2020 di un anno e poi continuato a minacciarlo di ritardi e spostamenti delle gare. Dopo mesi di sondaggi negativi però, l’opinione pubblica giapponese sulle Olimpiadi dopo che i giochi sono iniziati è cambiata e hanno accolto la manifestazione con entusiasmo.      

L’impatto dei Giochi

Nonostante questo, è un fatto che la situazione dei contagi in Giappone è peggiorata nelle settimane successive alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi, con il paese che ha registrato più di 25.000 infezioni giornaliere nell’ultima settimana. L’epidemia giapponese rimane tuttavia relativamente meno pesante rispetto ad altri Paesi, con circa 15.500 morti finora, ma solo il 40% della popolazione è completamente vaccinata. Un numero insufficiente a contenere la variante Delta che si sta diffondendo rapidamente

AGI – L’Inter riparte stravincendo e, nonostante le pesanti partenze di questa sessione estiva di mercato, inizia alla grande la stagione da ‘scudettata’ battendo il Genoa per 4-0. A San Siro, nel giorno del ritorno del pubblico sugli spalti (seppur al 50% della capienza), decidono le reti di Skriniar, Vidal e dei nuovi arrivati Calhanoglu e Dzeko, autori anche di un assist a testa. Fa festa la Milano interista, che esulta nel segno dei neo arrivati dimenticando almeno per ora Lukaku, Hakimi e Conte. I nerazzurri partono con il piede pigiato sull’acceleratore e in meno di un quarto d’ora indirizzano la gara sui binari giusti: dopo 6 minuti apre le danze Skriniar con un colpo di testa perentorio sul corner di Calhanoglu, che al 13′ invece indossa i panni di goleador indirizzando un gran destro all’angolino dopo uno scambio con Dzeko. Subito decisivo l’ex milanista, che si presenta con un assist e un gol ai suoi nuovi tifosi. Al 24′ anche Dzeko prova a timbrare all’esordio in nerazzurro, ma è sfortunato a colpire una traversa con un tiro deviato da Criscito. Soltanto al 45′ prova a farsi vedere il Genoa, che va ad un passo dal 2-1 con Kallon, impreciso sotto porta a pochi passi da Handanovic. Prima del riposo ci sarebbe spazio anche per il tris dell’Inter firmato Perisic, pescato però in fuorigioco al momento della verticalizzazione di un compagno. Anche a inizio ripresa alla squadra di Inzaghi viene negato il terzo gol, segnato da Calhanoglu ma annullato per un altro offside di Perisic. I nerazzurri restano in totale controllo del match e dopo aver sfiorato ancora il 3-0 con Dzeko, lo trovano al 74′ con il neo entrato Vidal, che mette dentro da due passi sul tacco geniale di Barella. Prima del triplice fischio c’è spazio e gloria anche per Edin Dzeko, che firma di testa il definitivo 4-0 sul cross perfetto di Vidal, bagnando anche lui con un gol l’esordio in nerazzurro.

Il Sassuolo espugna Verona

 Inizia nel migliore dei modi l’avventura di Dionisi sulla panchina del Sassuolo, che espugna il Bentegodi alla prima di campionato battendo il Verona per 3-2. Esordio da dimenticare alla guida degli scaligeri, invece, per Di Francesco, costretto al ko dalle reti di Raspadori, Djuricic e Traore e dopo poco più di metà gara giocata in inferiorità numerica (espulso Veloso). Ai gialloblu non basta neanche la doppietta di Zaccagni. Pronti via e la retroguardia scaligera rischia la frittata dopo neanche 20 secondi, regalando a Boga la possibile palla del vantaggio che l’attaccante spara a lato. Dopo un altro tentativo a testa per Barak e Frattesi da una parte e dall’altra, è Zaccagni ad avere la migliore chance del match al 24′, sprecata calciando alto da ottima posizione. Il Verona aumenta i giri del motore e va ad un passo dal vantaggio anche al 31′ centrando una traversa con Kalinic, ma sul ribaltamento di fronte è il Sassuolo che affonda il colpo: Djuricic lancia Raspadori, bravissimo a controllare e presentarsi a tu per tu con il portiere firmando l’1-0 emiliano. Prima del riposo si mette ancora più in salita la partita per la squadra di Di Francesco, costretta all’inferiorità numerica per il rosso (doppia ammonizione) a Veloso. Zaccagni prova a scuotere i gialloblu ad inizio ripresa, ma al 51′ il Sassuolo trova il raddoppio con uno scambio da manuale tra Djuricic e Caputo, con quest’ultimo ad offrire un cioccolatino al compagno che trasforma nel 2-0. Il Verona non ha intenzione di mollare e al 70′ trova l’episodio per tornare in partita: Zaccagni viene atterrato in area da Toljan guadagnandosi un calcio di rigore, lo stesso numero 10 va dal dischetto e firma il 2-1 che riapre il match. Speranze veronesi che però sembrano venire definitivamente spente al 77′ dal neo entrato Traore, bravissimo a disegnare un destro a giro dal limite mortifero per Pandur. Soltanto nel recupero il Verona trova il gol del 3-2 ancora con Zaccagni, che mette a segno la sua doppietta personale ma inutile ai fini del risultato. 

Parte bene la Lazio di Sarri, 3-1 all’Empoli

La Lazio di Maurizio Sarri inizia con il piede giusto la stagione, prendendosi subito tre punti in casa dell’Empoli alla prima di campionato. Successo 3-1 in rimonta per i biancocelesti, che dopo il vantaggio di Bandinelli, ribaltano tutto con Milinkovic, Lazzari ed Immobile già prima dell’intervallo. Amaro il ritorno in A dei toscani allenati da Andreazzoli, che nonostante una buonissima prestazione escono a mani vuote dal campo. Inizio di partita pazzesco al Castellani, con un botta e risposta nel giro di 6 minuti scarsi che infiamma subito il match. Apre le danze Bandinelli che di mancino realizza il suo primo gol in serie A, risponde poco dopo Milinkovic che di testa anticipa il portiere sul cross di Felipe Anderson. Gioca bene la squadra di Andreazzoli, che sfiora un paio di volte il nuovo vantaggio prima con Mancuso poi ancora con Bandinelli (palo esterno), ma superata da poco la mezz’ora è la Lazio che colpisce ribaltando il risultato: Milinkovic inventa per Lazzari, che mette il turbo e una volta in area indovina il diagonale che vale il 2-1. Al 40′ la squadra di Sarri fa 3-1 e allunga: Vicario frana su Acerbi in area di rigore, l’arbitro assegna il penalty e Immobile non sbaglia spiazzando lo stesso portiere azzurro. Al rientro dall’intervallo l’Empoli prova a rientrare in partita e al 55′ costruisce una clamorosa doppia occasione: Bandinelli viene murato da Reina, sulla respinta invece si fionda Bajrami che calcia di potenza trovando la deviazione provvidenziale di Luiz Felipe sulla linea. Con il passare dei minuti la sfida perde intensità, calano i ritmi e diminuiscono le emozioni. La Lazio difende bene il doppio vantaggio, viene salvata nel finale da una traversa sul destro di Bajrami e si prende il primo successo stagionale. 

PIccoli in gol al 93′ e l’Atalanta conquista i tre punti

L’Atalanta vince 2-1 all’ultimo respiro in casa del Torino, prendendosi subito 3 punti all’esordio in campionato. Decisiva la rete del giovane Piccoli al 93′, dopo la risposta di Belotti all’iniziale vantaggio di Muriel. Parte con il piede giusto Gasperini nonostante una prestazione poco entusiasmante dei suoi, mentre resta tanto amaro in bocca per Juric, che esce sconfitto alla prima gara sulla panchina granata. Sei minuti sul cronometro e la stagione dei bergamaschi inizia alla grande nel segno del solito Luis Muriel, che s’inventa un’autentica prodezza indirizzando sotto al sette un mancino dal limite, imprendibile per Milinkovic. La risposta granata arriva al 13′, quando Sanabria prova la torsione di testa su un cross da sinistra, indirizzando però troppo centralmente tra le braccia di Musso. Il Toro non demorde e non molla un centimetro, spaventando la Dea nel finale di primo tempo prima con Aina respinto da Musso, poi con Mandragora il cui sinistro dalla distanza si spegne di poco a lato. Nella ripresa il motore dell’Atalanta cala di giri e i granata tentano più volte gli assalti alla porta nerazzurra alla ricerca del pareggio, ma dalle parti di Musso grandi pericoli non ne arrivano. Juric prova a giocarsi anche la carta Belotti, partito inizialmente dalla panchina, e il ‘gallo’ al 79′ risponde presente, segnando con un po’ di fortuna il gol dell’1-1. Il tiro dal limite dell’attaccante, infatti, viene deviato in maniera decisiva da Maehle, disegnando una traiettoria beffarda per il portiere bergamasco. Nel finale il pareggio sembra ormai scritto, ma in pieno recupero ci pensa il giovane bomber Piccoli, entrato all’83’, a segnare il gol del 2-1 decisivo per la vittoria dell’Atalanta.

 

AGI – Gabriele Oriali “è stato sollevato dall’incarico di First Team Technical Manager”. Lo si legge in un comunicato ufficiale dell’Inter, nel quale la società “ringrazia il dirigente per il lavoro svolto” e “augura il meglio per il prosieguo della sua attività professionale”. 

AGI – Lo spagnolo Pedro è un giocatore della Lazio. L’ufficialità arriva dalla sua ormai ex squadra, la Roma, che sui social saluta l’attaccante: “Grazie per la stagione vissuta insieme in giallorosso, Pedro17”. Ora è ufficiale, ma la certezza si era avuta già da qualche ora quando il club biancoceleste aveva postato sul suo profilo Twitter una foto del giocatore corredata dal seguente commento: “Vi presentiamo il nostro nuovo numero 9”. L’attaccante, il cui nome completo è Pedro  Eliezer Rodríguez Ledesma campione del mondo e d’Europa con la nazionale iberica, con la maglia della Roma lo scorso campionato ha totalizzato 40 presenze, 6 reti e 7 assist e in biancoceleste ritrova Maurizio Sarri, tecnico avuto al Chelsea.

Pedro ceduto a titolo definitivo alla Lazio.

Grazie per la stagione vissuta insieme in giallorosso, @_Pedro17_! #ASRoma pic.twitter.com/TAnCRZLNTX

— AS Roma (@OfficialASRoma)
August 19, 2021

;Il calcio nella Capitale è qualcosa di sanguigno, di passionale, di viscerale. I tifosi appartengono a una o all’altra delle squadre della città e la loro rivalità dura tutto l’anno, diventando talvolta addirittura odio. Basti pensare al supertifoso giallorosso Francesco Totti odiato a tal punto dai laziali da vederli in massa tifare perché sbagliasse il rigore con l’Australia ai quarti di finale dei mondiali del 2006, che avrebbe certamente condannato l’Italia. Per questo il passaggio di Pedro dalla Roma alla Lazio non è trasferimento come gli altri. E, a conferma di ciò, basta vedere che dalla metà degli anni Trenta a oggi è solo il quindo giocatore a cambiare sponda del Tevere direttamente (senza passare, cioè, prima in altre squadre come fecero calciatori molto noti come Manfredonia o Kolarov). La storia racconta di due passaggi dai biancocelesti ai giallorossi e di due dalla Roma alla Lazio.

Il primo fu il campione del mondo Attilio Ferraris IV che, dopo sette anni nelle file dei giallorossi, nell’anno in cui vinse il mondiale, il 1934, passò alla Lazio dove giocò per due stagioni. Stesso tragitto lo fece anche Franco ‘Ciccio’ Cordova (scelta clamorosa visto che era stato per 4 anni il capitano giallorosso, per ripicca con l’allora presidente giallorosso Anzalone che voleva venderlo al Verona). Percorso inverso lo ha fatto lo svedese Arne Bengt Selmosson, soprannominato ‘Raggio di luna’ per via dei suoi capelli biondissimi e della pelle molto chiara, che nel 1958 scatenò l’ira dei tifosi laziali. L’estrosa mezzala scandinava fu anche il primo – e unico fino a Kolarov – giocatore a segnare nel derby con entrambe le maglia. Altro passaggio dalla Lazio alla Roma è quella di Carlo Perrone. In realtà si è trattato di ‘andata e ritorno’ per il difensore che all’inizio degli anni ’80 passò dai biancocelesti ai giallorossi dove rimase un anno per poi ritornare alla Lazio (nell’anno in cui la Roma vinse il suo secondo scudetto). 

AGI – “L’annuncio di oggi è che dobbiamo ricominciare a seguire anche le fasi finali dei tornei femminili, non solo quelle dei tornei maschili”. Con questa battuta in collegamento con gli studi di Supertennis al termine della finale del ‘National Bank Open’ (torneo Wta dotato di un montepremi di 1.835.490 dollari) sul cemento di Montreal, vinta contro la ceca Karolina Pliskova, n.6 del mondo, per 6-3 7-5, il presidente della Fit ha commentato con grande entusiasmo l’exploit della 29enne tennista marchigiana nel WTA 1000 canadese.

“Sono molto contento per lei e per la sua famiglia – ha detto – credo che questa vittoria possa aprirle una seconda, nuova vita da tennista nella quale spero che non perderà tutte le occasioni che le sono passate davanti nella sua prima vita tennistica. Spero che riuscirà a migliorare in tanti aspetti del suo gioco nel quale, secondo me, può fare ancora grandi progressi. L’ho vista giocare questa settimana e mi è sembrata veramente una spanna sopra tutte le sue avversarie”.

“Probabilmente sconta ancora un po’ di inesperienza – ha aggiunto Binaghi –  perché oggi era molto più nervosa della sua avversaria che era più abituata a giocare match così importanti. Ma credo anche che troverà nuove soluzioni dentro il campo e anche fuori dal campo. Imparerà a gestire meglio i momenti importanti della partita, troverà maggiore continuità durante il match. Questo succede a tutti giocatori con l’avanzare dell’età e a maggior ragione è immaginabile che succeda per una giocatrice che fino a ieri era, direi, abbastanza immatura per il livello di tennis che stava esprimendo. Io credo anche imparare tutte queste cose e saperle gestire renderà il tennis di Camila più divertente e credo che anche lei si divertirà molto più di prima. Tra l’altro, avendo un fisico, direi, bestiale per il tennis femminile, credo che avrà una carriera lunga, che sarà una giocatrice longeva”. 

Il movimento femminile sta facendo notevoli passi avanti, ricordando gli ottimi risultati estivi anche di Lucia Bronzetti, due quarti di finale a livello Wta. Il risultato della Giorgi certifica che questo è un buon momento anche per il tennis femminile.

“Al di là del risultato di Camila, gli altri non sono paragonabili a quelli delle ragazze del periodo d’oro – ha spiegato Binaghi – però Camila può vincere qualunque torneo al mondo. Deve trovare continuità nel torneo come è riuscita a trovarla oggi. Deve trovare un pochino più di continuità nel servizio e nella gestione delle singole partite ma io credo che questo successo le darà una consapevolezza dei propri mezzi molto maggiore di quella che ha avuto nel passato e l’aiuterà a gestire meglio situazioni importanti non solo dentro al campo ma anche fuori dal campo. Credo che questa sia la strada giusta”, ha aggiunto.

AGI – ‘Der Bomber der Nation’, ‘il capocannoniere della Nazione’. Era soprannominato così Gerd Mueller, leggenda del calcio tedesco in particolare del glorioso Bayern Muenchen, morto questa mattina all’età di 75 anni in una casa di cura del capoluogo della Baviera dove si trovava da circa sei anni perché affetto da Alzheimer. 

I successi in nazionale e col Bayern

Mueller ha scritto la storia del calcio tedesco tra gli anni ‘60 e ‘70. Con la maglia della Nazionale della Germania Ovest ha disputato 62 partite segnando 68 reti mentre con quella del Bayern in 607 incontri ha realizzato 566 gol diventando per sette volte il capocannoniere della Bundesliga. Numeri che lo hanno fatto diventare ‘Der Bomber’.

Mueller è stato uno dei grandi protagonisti della famosa partita ‘Italia-Germania 4-3′ ai Mondiali del 1970. Allo Stadio Azteca di Città del Messico il 17 giugno di 51 anni fa, Mueller segnò prima il 2 a 1 ai supplementari, poi firmò il pareggio del 3 a 3, un minuto prima dello storico 4 a 3 di Gianni Rivera. Nell’altra sfida di Mueller contro l’Italia, quella a Roma il 26 febbraio 1974, tra azzurri e tedeschi finì 0 a 0.

Di Mueller resteranno indimenticabili i gol decisivi nelle finali sia dell’Europeo del 1972 che e del Mondiale del 1974. Il 18 giugno del ’72, allo stadio Heysel di Bruxelles, Mueller realizzò la rete del 2 a 1 contro l’Unione Sovietica mentre il 7 luglio di due anni dopo, nel suo stadio, l’Olympiastadion di Monaco di Baviera, Gerd segnò il 2 a 1 contro l’Olanda. Gli olandesi erano passati in vantaggio dopo due minuti con Neeskens. AL pareggio su rigore di Breitner, a due minuti dal termine del primo tempo Mueller realizzò la rete del trionfo.

Cresciuto nella squadra della natia Noerdlingen, nell’estate del 1964, Mueller approdò al Bayern, prima nella formazione che militava nel campionato bavarese e successivamente nella prima squadra. Nella stagione 1971/1972, Gerd segnò 40 reti nella Bundesliga, record battuto di un solo gol nella stagione scorsa da Robert Lewandowski (Fc Bayern).

Resta il miglior marcatore della Bundesliga

Resta, invece, imbattuto il primato di Mueller di 365 reti segnate in 427 partite di Bundesliga. Nella bacheca di Mueller resteranno per sempre anche quattro titoli nazionali (1969, 1972, 1973 e 1974), tre Coppe dei Campioni (1974, 1975 e 1976), una Coppa Intercontinentale (1976) e una Coppa delle Coppe (1967). Rimasto nel Bayern fino al 1979, concluse la carriera nel 1981 dopo aver giocato due stagioni negli Stati Uniti con i Fort Lauderdale Strikers.

Dopo essere uscito dalla depressione e dall’alcolismo, dal 1992 al 2014 ricoprì vari incarichi negli staff tecnici delle giovanili del Bayern. Il 17 luglio del 2011, Mueller scomparve improvvisamente a Trento dove si trovava come dirigente accompagnatore della formazione under 23 del Bayern. Dopo 15 ore venne ritrovato in stato confusionale nel centro del capoluogo trentino.

Il presidente dell’Fc Bayern, Herbert Hainer ha scritto, “oggi è un giorno triste per l’Fc Bayern e per tutti i suoi tifosi, Gerd Mueller è stato il più grande attaccante che sia mai esistito, una brava persona, una personalità nel calcio mondiale”. Hainer ha poi aggiunto, “siamo profondamente addolorati insieme a sua moglie Uschi e alla sua famiglia (figlia Nicole, ndr) perché senza Gerd Mueller, l’Fc Bayern non sarebbe il club che tutti amiamo oggi: il suo nome e il suo ricordo vivranno per sempre”.

Nel 2014, quando Tokyo ha vinto l’assegnazione dei Giochi olimpici estivi del 2020, per il Giappone sembrava un’impresa impossibile. Soltanto tre anni prima, l’11 marzo del 2011, l’area centrale del Tohoku era stata colpita da una triplice catastrofe: prima il terribile terremoto, il più potente mai registrato; poi il maremoto, con onde alte oltre undici metri; infine l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. La scommessa olimpica, però, era stata cercata e vinta per un motivo preciso: le Olimpiadi servivano al governo giapponese soprattutto per avere una roadmap, un programma di ricostruzione a tappe obbligate che avrebbe dovuto portare il paese a rinascere, dal punto di vista dello sviluppo economico ed energetico, in tempo per i Giochi olimpici. Tokyo avrebbe avuto sei anni per uscire dall’emergenza e sfruttare il periodo di crisi per rilanciarsi in una nuova prospettiva green.

Obiettivi e realtà

Non è andata proprio così. Il ritorno sulla scena mondiale del Giappone, la ricostruzione delle aree più colpite dal terremoto e dallo tsunami, ma soprattutto il ripensamento della politica energetica giapponese dopo il disastro nucleare non hanno dato i frutti sperati. L’ex primo ministro Shinzo Abe, alfiere di questa trasformazione, voleva rendere il Giappone leader nella battaglia globale per la riduzione delle emissioni e contro i cambiamenti climatici. Eppure la storia nipponica degli ultimi anni dimostra che la politica da sola non basta. La trasformazione deve essere accompagnata dal coinvolgimento della società, da una comunicazione efficace, dalla previsione degli imprevisti. Nell’anno 2020 l’energia rinnovabile ha rappresentato soltanto il 18 percento della produzione nazionale di energia elettrica giapponese. Il paese del Sol levante è ancora il quinto al mondo per emissioni di carbonio, e secondo quanto annunciato da Shinzo Abe nel 2018, l’obiettivo è di far diventare rinnovabile il 24 percento dell’energia totale prodotta entro il 2030. Due anni dopo, il successore di Abe, il suo braccio destro Yoshihide Suga, ha alzato ancora di più la posta in gioco. Il 26 ottobre del 2020, nel pieno della pandemia, Suga ha annunciato alla Dieta, il parlamento nazionale, che il Giappone raggiungerà le zero emissioni entro il 2050. Un piano a dir poco ambizioso, ma che riguarda soprattutto la competizione politica tra i paesi dell’Asia orientale. Nello stesso periodo del 2020, infatti, il presidente cinese Xi Jinping aveva dichiarato che la Cina – il paese che produce più emissioni al mondo – raggiungerà la carbon-neutrality entro il 2060. Contemporaneamente anche la Corea del sud del democratico Moon Jae-in aveva annunciato il suo “Green New Deal”: 54,3 miliardi di euro da investire nella transizione green, e la neutralità entro il 2050. Tokyo non poteva essere da meno.

I volti della trasformazione

Dal punto di vista politico, l’esecutivo giapponese ha almeno due volti a rappresentare questa trasformazione. Da un lato c’è Taro Kono, ex ministro degli Esteri, poi della Difesa, e da quasi un anno ministro per le Riforme amministrative. È uno dei politici più conosciuti all’estero: ottimo diplomatico e comunicatore, gli è stato affidato il compito di rivoluzionare il mastodontico freno al rilancio green giapponese, la burocrazia. Appena arrivato al dicastero, Kono ha promesso di eliminare, o almeno ridurre, una tradizione tutta nipponica, quella degli hanko. I timbri giapponesi, che si usano al posto della firma su carta nei documenti ufficiali, sono un piccolo esempio di quanto la rivoluzione digitale in Giappone si sia fermata agli anni Ottanta – un altro esempio: per moltissime procedure pubbliche c’è ancora bisogno dell’invio di fax. L’uso della carta negli uffici della Pubblica amministrazione giapponese non è mai stato sostituito dal digitale, ed è un problema soprattutto simbolico e di immagine: “Lo stesso governo deve mettersi a lavorare per ridurre le emissioni e aiutarci a raggiungere l’obiettivo del 2050”, ha detto Taro Kono durante una conferenza stampa a dicembre: “Per questo stiamo chiedendo ai ministeri di aumentare l’uso di energie rinnovabili fino al 30 percento del loro fabbisogno totale”.

L’altro volto della transizione green giapponese è ancora più popolare. Si tratta di Shinjiro Koizumi, classe 1981, figlio dello storico primo ministro Jun’ichiro Koizumi. Al di là del capitale politico che si porta dietro grazie a suo padre, Koizumi junior rappresenta il volto nuovo e giovane della politica giapponese anche e soprattutto sui temi ambientali. Dimostra spesso un’attenzione quasi personale nei confronti di certi temi, per esempio quando critica il suo stesso governo, accusandolo di fare troppi pochi passi concreti verso l’annunciato obiettivo del 2050. All’ultimo G7 dei ministri dell’Ambiente, Koizumi ha detto che il Giappone non esporterà più tecnologia per la produzione di centrali a carbone, e che le eccezioni che erano state autorizzate degli ultimi anni non saranno più consentite.

Olimpiadi a impatto ridotto

Dal punto di vista soprattutto comunicativo, la roadmap ecologica immaginata prima da Abe e poi da Suga avrebbe dovuto coincidere con i Giochi olimpici giapponesi. Erano stati previsti per l’estate del 2020, e poi la pandemia da Sars-Cov-2 ha costretto il Comitato olimpico internazionale a rimandarli all’estate del 2021. Nei progetti del governo centrale avrebbero dovuto essere le prime Olimpiadi a impatto zero, ma il rinvio di un anno, con le relative spese per la manutenzione degli impianti, unite alle stringenti misure di sicurezza anti-contagio hanno ridotto di molto la possibilità di essere davvero a impatto zero. Il Comitato organizzatore di Tokyo 2020 aveva pubblicato un “report sulla sostenibilità” già nel 2019, che poi è stato aggiornato secondo le ultime disposizioni in materia di sicurezza contro i contagi – per esempio l’uso della plastica e del monouso, che si voleva evitare del tutto, è stato reintrodotto. Tuttavia il documento “Towards Zero Carbon” comprende delle novità interessanti riguardo alla capacità dei mega-eventi di avere un impatto ridotto sulle città e di essere trasparenti per quel che concerne la loro sostenibilità. Anzitutto, le energie rinnovabili: secondo quanto ufficializzato dal Comitato, l’elettricità usata per alimentari i Giochi è al cento percento rinnovabile. Le fonti di energia sono tracciate e verificabili, e “includeranno elettricità provenienti dalle aree colpite dal terremoto e dallo tsunami del 2011”. L’impatto sulle emissioni, secondo i calcoli degli esperti nipponici, sarà inferiore rispetto alle precedenti edizioni dei Giochi olimpici estivi. La previsione è che l’evento produrrà 2,73 milioni di tonnellate di emissioni, “una riduzione di 280 mila tonnellate di CO2”. Grazie a una partnership con Toyota, colosso automobilistico giapponese, l’idrogeno sarà il carburante ufficiale delle Olimpiadi. Non solo gli atleti e le delegazioni si sposteranno su almeno cinquecento veicoli elettrici messi a disposizione dall’organizzazione, ma perfino le torce olimpiche saranno alimentate a idrogeno. E poi naturalmente ci sono gli aspetti più simbolici e d’immagine: i podi dove verranno consegnate le medaglie saranno tutti prodotti da materiale riciclato, nell’ambito della promozione delle “3R”, “reduce, reuse, recycle”; gran parte dell’attrezzatura verrà presa a noleggio o in leasing, senza acquisti di prima mano.

Ma al di là della vetrina olimpica, che sarà fondamentale per promuovere la trasformazione del Giappone, nel paese del Sol levante il tema dei cambiamenti climatici si avverte sempre di più anche nella vita quotidiana dei giapponesi: l’intensificazione della stagione dei tifoni, la siccità, le ondate di caldo letali per la popolazione più anziana degli ultimi anni hanno fatto diventare il tema ecologico una priorità soprattutto tra i cittadini. Ma per un paese dipendente dalle importazioni, con poche risorse naturali, resta cruciale il problema energetico, che è peggiorato enormemente dopo il 2011.

Il dibattito sul nucleare

L’11 marzo di quell’anno l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima ha aperto la strada a un movimento antinuclearista trasversale e determinato. La gestione dell’incidente fu peggiorata dal tentativo della società responsabile dell’impianto, la Tepco, di minimizzare i danni, ma anche dal governo centrale, che nei primi giorni post-disastro doveva far fronte a migliaia di morti per lo tsunami e ad altrettanti sfollati. L’opinione pubblica criticò entrambi, e nel giro di poche settimane la fiducia nei confronti dell’energia nucleare da parte dei cittadini crollò ai minimi storici. Lentamente, con la scusa della manutenzione, il governo di Tokyo decise di spegnere 46 dei suoi 50 reattori nucleari per ripensarne i livelli di sicurezza. Ma nel 2011 l’energia atomica rappresentava un terzo dell’intero fabbisogno energetico del paese. Per la prima volta dal periodo bellico tornarono i razionamenti, megalopoli come Tokyo spensero le loro luci, perfino i tipici distributori di bevande nelle strade. È allora che iniziò uno dei più importanti dibattiti pubblici del Giappone moderno: l’atomica era stata il simbolo del rilancio economico degli anni Ottanta, come poteva il paese tornare a crescere dopo vent’anni di stagnazione senza sufficiente energia?

Il governo di Tokyo guidato dal Partito liberal democratico, nella sua strategia energetica, parla di un mix di produzione. Per arrivare all’obiettivo del 2050 a zero emissioni, spiega l’esecutivo nipponico, è necessario riattivare i reattori che rispondono alle nuove regole di sicurezza: l’energia nucleare è energia pulita, e se a oggi soltanto il 6 percento del fabbisogno viene dalle centrali atomiche, l’obiettivo è tornare al 20 percento dell’energia prodotta dal nucleare. In questo modo, il resto della domanda di elettricità potrebbe essere così suddiviso: la fetta più importante, il 50-60 percento, potrà essere sostenuta da fonti rinnovabili; il 10-20 percento da impianti termoelettrici e il resto (soprattutto per quanto riguarda il settore industriale) potrà essere prodotto da idrogeno pulito.

Non tutti sono d’accordo con questa pianificazione. Il ministro dell’Ambiente Shinjiro Koizumi fa parte della corrente antinuclearista del governo, e ha più volte rinnovato l’invito a guardare al “modello California” dei pannelli solari sulle case e gli edifici per aumentare la produzione di energia rinnovabile. A opporsi alla “Green Growth Strategy” del governo di Tokyo c’è poi il settore automobilistico, che rappresenta il 2,5 percento del PIL giapponese. Secondo la roadmap verde di Yoshihide Suga, il Giappone cesserà la vendita di veicoli a benzina entro il 2035, ma le case automobilistiche chiedono garanzie sul fatto che si possa effettivamente produrre un veicolo a zero emissioni e che siano alimentate da energia pulita. Altre critiche alla fattibilità del piano sono arrivate dal settore siderurgico e dalle imprese di costruzione.

Come molte altre potenze industriali, soprattutto asiatiche, il Giappone dovrà fare i conti con le promesse fatte alla Conferenza di Parigi sul clima e con gli obiettivi ecologici che si è posto. Ma allo stesso tempo dovrà essere capace di non strozzare i settori chiave della sua economia.

*Giulia Pompili è giornalista del Foglio dal 2010, dove segue soprattutto le notizie dell’Asia orientale. Dal 2017 è autrice della newsletter Katane, la prima in italiano sulle vicende asiatiche. è autrice del libro “Sotto lo stesso cielo” (Mondadori). Articolo pubblicato sul numero di luglio 2021 di WE World Energy.

WE World Energy è il magazine internazionale sul mondo dell’energia pubblicato da Eni – diretto da Mario Sechi – che con il suo portato di esperienza e scientificità si è guadagnato una posizione di grande rilievo nel panorama internazionale dei media di settore.

AGI – “Mi piacerebbe tronare a fare i 200 metri per abbassare il mio tempo e anche per preparare meglio i 100 metri. L’anno prossimo quindi farò anche i 200 metri, così per divertirmi“. E’ l’annuncio dato dal bicampione oplimpico Marcell Jacobs a Unomattina estate.

Il velocista ha poi aggiunto che il tempo ‘monstre’ registrato ai Giochi non è un limite per lui insuperabile. “Credo si possa fare anche meno di 9″77. Io sogno in grande e non mi pongo limiti. Quel 9″80 fatto a Tokyo senza vento sarebbe stato 9″77 con un briciolo di vento, quindi non dico nulla di strano. Se ti poni dei limiti poi non puoi superarli, per questo non me li pongo”, ha detto Jacobs.

L’atleta sarebbe dovuto tornare in pista da campione olimpico il prossimo 21 agosto, ma ha deciso di fermarsi per tutto il 2021. “Non è un a decisione semplice, c’è un momento in cui capisci che questo è solo un punto di partenza e il prossimo anno ci sono appuntamenti importanti e io voglio arrivare al top del top e ho bisogno di prendere tempo per migliorare su alcuni aspetti che mi mancano. Devo resettare il sistema per ricominciare”, ha detto Marcell Jacobs a Unomattina estate.

Quindi si è levato un sassolino dalle scarpe. Dopo la vittoria a Tokyo i media, soprattutto inglesi, hanno insinuato dubbi sulla regolarità della sua performance avanzando neanche troppo velatamente l’ombra del doping. Adesso però è uno dei loro staffettisti (sconfitti per un centesimo dall’Italia a Tokyo) ad essere stato trovato positivo. “Le accuse e i dubbi su di me non mi hanno toccato perché so tutti i sacrifici che ho fatto – ha detto Jacobs – credo però che qualcuno doverebbe guardare quello che ha in casa prima di lanciare accuse. Pochi giorni fa dicevano tante cose su di me, mentre ora l’accusa è per uno staffettista britannico”.