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Anche l'Inter sarebbe finita nel mirino della Guardia di Finanza. In particolare, l'acquisto nel 2013 della società nerazzurra da parte di Erik Thoir, che la rilevò dalla famiglia Moratti. Lo scrive Il Sole 24 Ore. Ad una settimana dall'inchiesta della Stampa sulle attenzioni di procura di Milano e Fiamme Gialle sulla cessione del Milan da parte di Silvio Berlusconi all'imprenditore cinese Yonghong Li (la procura ha seccamente smentito l'indagine), sarebbe ora l'Inter ad aver attirato l'attenzione dei finanziari.

In particolare, scrive il Sole, la Guardia di Finanza starebbe verificando alcune presunte irregolarità sui 75 milioni di euro che l'uomo d'affari indonesiano ha versato nelle casse dell'Inter sotto forma di aumento di capitale riservato. "Nel novembre 2013 Thohir e i suoi storici soci Roeslani e Soetedjo hanno infatti acquistato il 70% dell'Inter attraverso una società veicolo, la “The International Sports Capital consortium” (in cui Thohir ha la quota di maggioranza). La valutazione globale dell'Inter ammontava a circa 350 milioni, essendo incluso nell'operazione l'accollo di circa 180 milioni di debiti su un indebitamento totale che al 30 giugno 2013 era di 432 milioni. Per la vendita del Milan, il faro degli investigatori si è acceso invece sulla caparra da 300 milioni versata in più. Li Yonghong ha chiuso poi l'affare pagando altri 240 milioni e accollandosi debiti per circa 200 milioni, per un totale di 740 milioni".

In entrambi i casi perciò si sarebbe ancora in una fase preliminare di esame delle transazioni. Leggi qui il servizio completo.

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Andreas Seppi è agli ottavi di finale degli Australian Open. Per la quarta volta in carriera. Ha battuto, dopo una battaglia lunga quasi 4 ore, il gigante croato Ivo Karlovic resistendo alle sue cannonate al servizio e non mollando mai la presa. Neanche quando l’avversario ha recuperato due set di svantaggio. Neanche quando, nel decimo game del set decisivo, sfumava un match point. Una palla break sul servizio di Karlovic, un evento rarissimo. Un treno che, in una partita così combattuta, passa pochissime volte. Perché alla fine Seppi è così. Non si arrende fino a che non è l’avversario a dimostrarsi superiore e a costringerlo alla resa. Ed è forse per questo che ogni sua vittoria ha un sapore diverso rispetto a quella di altri tennisti, più dotati ma meno costanti, meno rispettosi del gioco e di tutte le sue componenti. Seppi è l’erede, vero, di quel Corrado Barazzutti che forse non tutti ricordano ma che, in campo, dava sempre tutto. Come Andreas che, a 34 anni, gioca ancora come fosse all’inizio della carriera.

L’abbonamento al quinto set

Il quinto set ,per quelli che non seguono con assiduità il mondo del Tennis, si gioca solo nei 4 tornei principali dell’anno: Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open. In questi tornei per vincere le partite bisogna conquistare tre set su cinque. Negli anni Seppi è arrivato a giocarlo ben 37 volte e ne ha vinti 22. Quello con Karlovic è stato il dodicesimo nella terra dei canguri. Il primo dodici anni fa, perso, contro Tipsarevic.

Una stagione iniziata alla grande

Nel 2018 Seppi ha iniziato la sua quattordicesima stagione nel circuito professionistico. Ed è partita benissimo con la vittoria del Challenger di Canberra, uno dei tornei di preparazione in vista degli Australian Open. Da quando si è allacciato per la prima volta le scarpette, a 11 anni, non ha mai cambiato allenatore. Era il 1995 quando Massimo Sartori e Andreas Seppi iniziarono il loro lungo sodalizio: “lui rispetta l’allenatore, io rispetto il giocatore”. E secondo l’allenatore non è ancora vicino il ritiro: Seppi giocherà almeno fino al 2019.

I quarti di finale, un traguardo alla portata

Domenica notte, il tennista altoatesino scenderà in campo contro l’inglese Kyle Edmund, classe 1995, per approdare per la prima volta ai quarti di finale in un torneo dello Slam. Edmund è un buon giocatore, numero 49 del ranking mondiale, ma è alla portata di questo Seppi in forma smagliante. Solo un precedente tra i due, ad Anversa, nel 2016. Vinse l’inglese in due set, nei quarti di finale del torneo belga. Ma conta poco. Andreas, come ha fatto Barazzutti, ha la possibilità di togliersi una grande soddisfazione. Sempre lavorando a testa bassa e amando quello che, almeno per lui, non è soltanto uno sport.

 

La Uefa lancia la Nations League. È una nuova competizione che riguarda le nazionali di calcio in una formula che, in più di un particolare, ricorda quella attualmente applicata nella Champions League. È stata presentata oggi, sulle pagine della Gazzetta dello Sport, da Giorgio Marchetti, il vice-segretario Uefa che promette: “Sarà una coppa vera”. L’obiettivo è quello di sostituire le amichevoli, spesso poco spettacolari, con una competizione fatta di promozioni e retrocessioni, di sfide a eliminazione diretta e grande spettacolo, di interesse televisivo e mediatico. Il primo sorteggio è previsto a Losanna per il 24 gennaio e, per l’occasione, sarà svelato anche il trofeo che come ricorda Marchetti “ è stato prodotto da un’azienda italiana ed è quasi una realizzazione plastica del logo”.

La composizione delle Leghe

Vi parteciperanno le 55 nazionali che fanno parte della UEFA. Le squadre saranno suddivise in leghe, in base al ranking, e all’interno delle leghe si creeranno dei gironi.

  • Lega A: Saranno iscritte le prime 12 squadre d’Europa
  • Lega B: Anche in questo caso ci sono 12 squadre, dalla 13esima alla 24esima posizione
  • Lega C: Sarà composto dalle 15 nazionali successive
  • Lega D: Completerà il tutto con le ultime 16 squadre

Le Leghe A e B saranno a loro volta suddivise in quattro gironi da tre squadre; la Lega C avrà un girone da tre squadre e tre gironi da quattro; la Lega D sarà formata da quattro gironi da quattro squadre.

Retrocessioni, promozioni e formula delle finali

Le prime classificate dei gironi della Lega A si giocheranno il titolo in due incontri di semifinale e nella finalissima. Le ultime 4 retrocedono in Lega B e verranno sostituite dalle vincenti del girone di questa Lega che verranno così promosse. Stessa formula anche per le Leghe C e D. La fase iniziale sarà giocata, in gare di andata e ritorno, fra settembre e novembre 2018 con le finali sono in programma nel giugno del 2019.

Gare valide per la qualificazione agli Europei

Marchetti ha parlato dell’importanza della Nations ai fini della partecipazione agli Europei: ”I due tornei saranno in simbiosi, nessuna cannibalizzazione. Le qualificazioni dell’Euro non cominciano più a settembre, ma a marzo, dopo i gruppi di Nations. E il sorteggio dei 10 gruppi di qualificazione all’Euro sarà fatto proprio in base ai risultati della Nations”. Ovvero le prime 10 squadre della nuova competizione saranno in prima fascia, le ultime 2 della Lega A e la prime 8 della Lega B in seconda fascia e così via. “Dopo i gruppi di qualificazione che assegneranno 20 posti per l’Euro, per i 4 rimanenti si andrà alle classifiche della Nations: i migliori di ogni serie non ancora qualificati faranno gli spareggi”. Dopo le ultime delusioni, quindi, l’Italia può già ripartire guardando a questa nuova possibilità di riscatto.

 

 

 

Sofia Goggi, Federica Brignone, Nadia Fanchini. La valanga rosa è tornata portando a casa un risultato storico per lo sci italiano. Mai in passato lo sci alpino femminile aveva centrato la tripletta nella discesa libera.

Ci sono riuscite loro tre (prima Goggi, seconda Brignone, terza Fanchini) a tingere d’azzurro il podio della discesa libera delle nevi austriache di Bad Kleinkircheim, un tracciato mitico, impegnativo e molto tecnico. Un podio ‘Made in Italy’ frutto di una giornata memorabile, avvolta nella nebbia tanto da costringere gli organizzatori a rivedere il tracciato abbassandolo da dove era partito il Super G di sabato, vinto, non a caso, dalla stessa Brignone.

Oggi è stata una giornata pazzesca” ha sintetizzato Sofia Goggi a caldo, e per tutte e tre, da sempre accomunate dalla passione per questo sport e dalla provenienza. Sia Gogg che Brignone e Fanchini sono lombarde e proprio sulle nevi di questa regione hanno mosso i primi ‘passi’.

Goggi, 25 anni, è di Bergamo, e con la vittoria di domenica ha raggiunto i 17 podi in carrriera. Fa della versalità il proprio punto di forza anche se predilige le disciplini veloci. Il suo miglior piazzamento è stato il terzo posto in classifica generale nella Coppa del mondo dello scorso anno.

Milanese, 27 anni, Brignone è una veterana della squadra italiana e frequenta il ‘circo bianco’ ormai dal 2005. In carriera ha vinto un argento nel 2011 ai mondiali nello slalom gigante di Garmisc-Partenkirchen, mentre in coppa del mondo ha ottenuto già 22 podi (7 vittorie, di cui 2 i SuperG, 4 in slalom gigante e 1 in combinata).

La più esperta del terzetto è Nadia Fanchini, di Lovere, sulla sponda bergamasca del lago d’Iseo, 31 anni. Fa parte della nazionale italiana dal 2003, per la quale ha vinto due medaglie ai mondiali: la prima nella libera della Val d’Isere nel 2009 (un bronzo), poi l’argento del 2013 a Schladming.

In Coppa del Mondo ha vinto due volte, per altre 3 è arrivata seconda, 8 sono i terzi posti. Scontata la dedica di Fanchini per la tripletta di ieri: alla sorella Elena, anche lei sciatrice della valanga rosa, che proprio alla vigilia di Bad Kleinkircheim ha annunciato di dover sospeso l’attività agonistica per curare un tumore. 

Un anno fa ci eravamo lasciati con questa clip che, su twitter, è stata vista da più di un milione di persone.

Il sorriso di Roger Federer e le sue braccia levate, più volte, al cielo. E poi le urla, la gioia, i salti. Il tennista svizzero aveva appena giocato l’ultimo punto di una partita storica. La finale degli Australian Open, edizione 2017, contro il rivale di un’intera carriera, lo spagnolo Rafael Nadal.

La conquista del diciottesimo titolo dello slam (ne sarebbe arrivato un altro, a Wimbledon, pochi mesi dopo) aveva però un sapore particolare. Quasi inedito. A 35 anni, Federer tornava a essere competitivo ad alti livelli dopo mesi difficili e molti dubbi sul suo stato fisico.

E la stessa cosa poteva dirsi anche per Rafa Nadal. I due non si incontravano dal 2015 e, per molti, avevano già intrapreso quella strada che li avrebbe portati, in breve tempo, al ritiro definitivo. Ma quell’epica finale, sempre in bilico, vinta dopo una lunga battaglia durata cinque set, 3 ore e 37 minuti di gioco all’ultimo scambio, è stata capace di rilanciare entrambi i giocatori.

Lo spagnolo ai nastri di partenza del 2018 si è presentato come numero uno del tennis mondiale. Lo svizzero, dopo essere diventato il più vecchio finalista di uno slam dal 1972 pareggiando uno dei miti di questo sport, Ken Rosewall, è tornato a essere il più forte di tutti sulle superfici veloci.

Federer e Nadal

Ancora loro nella lista dei favoriti. Rivali gentleman, alla ricerca di record e conferme. Questa è, senza dubbio, la copertina maschile degli Australian Open 2018 che si aprono, ufficialmente, lunedì 15 gennaio. Per quanto riguarda il torneo femminile, invece, è un’altra copertina a tenere banco: quella di Serena Williams neo-mamma, che ha rilasciato una bella intervista a Vogue dove spiegava, tra le tante cose, la decisione di rimandare il ritorno sui campi da gioco. E la storia recente ci ha insegnato che, quando manca la regina assoluta della racchetta, si aprono scenari inaspettati e preziose possibilità per tante giocatrici.

Le caratteristiche del torneo australiano

È il primo torneo dello Slam e apre ufficialmente la grande stagione del tennis. La prima edizione maschile si gioco nel 1905 mentre quella femminile nel 1922. Per molti decenni fu appannaggio dei giocatori locali visto che, arrivare in Australia, non era semplicissimo. Fino a trent’anni fa, le partite si disputavano sull’erba, come a Wimbledon.

Da quella data a oggi si sono alternati due tipi di superficie che, per comodità, viene identificata come cemento. Prima il Rebound Ace, utilizzato fino al 2007, e poi il Plexicushion, in uso ancora oggi, più veloce e rapido. Prima dell’edizione del 2017 furono in molti, tennisti e addetti ai lavori, a criticare l’eccessiva rapidità dei campi. Una polemica che si è riproposta anche quest’anno e che è stata spenta dal direttore del torneo, Craig Tiley, che ha fatto notare come l’arrivo in finale di Rafa Nadal, certamente non un amante delle superfici veloci, fosse la prova che confutava il presunto condizionamento del rendimento dei giocator: “È così avverrà anche nel 2018”. 

Tutti i 51 campi degli Australian Open, 16 coperti dalle telecamere per un totale di oltre 800 match trasmessi, sono stati rifatti per la nuova edizione e, sempre secondo Tiley, la velocità che garantiscono non è uniforme, anche a causa della diversa esposizione al sole.

Eurosport, che da anni trasmette il torneo sulle piattaforme italiane, ha analizzato l’aspetto economico di un torneo che, quest’anno ha battuto ogni suo record. Si tratta in realtà di una escalation che, negli ultimi anni, sembra irrefrenabile. Il record assoluto, infatti, è detenuto detenuto dall’ultimo slam giocato, gli Us Open 2017, con 50 milioni di dollari americani (circa 60 milioni di euro). Il prize money finale del torneo di Melbourne è di 55 milioni di dollari australiani, circa 36 milioni di euro. Per la prima volta in assoluto i vincitori dei due tornei, quello maschile e quello femminile, riceveranno circa 2,6 milioni di euro a testa. Dieci anni fa la cifra era quasi la metà. Anche i biglietti, come racconta il Sole 24 Ore, costeranno di più. Si va da un aumento del 20% per i primi 4 giorni ai prezzi, che toccheranno un massimo di circa 815 dollari australiani, per le finali.

Dal ritiro di Murray alla voglia di riscatto di Djokovic. Gli altri

Andy Murray non ci sarà. Il tennista britannico ha annunciato il suo forfait sui social a causa dei problemi all’anca che lo hanno tormentato negli ultimi tempi. Non è esclusa per lui anche un’operazione chirurgica che potrebbe tenerlo fuori per gran parte del 2018. Tra gli assenti eccellenti va citato anche il nome del giapponese Kei Nishikori, infortunato al polso.

Novak Djokovic, invece, è arrivato in silenzio e spera di poter ripercorrere lo stesso viaggio fatto da Federer e Nadal un anno fa: rilanciarsi dopo un periodo disastroso, quattro mesi e mezzo di stop dopo l’intervento al gomito, per riprendersi, stile Gomorra, tutto quello che è suo. Intanto, come ha riportato La Stampa, il serbo è già apparso in ripresa con la vittoria al Kooyong Classic, il torneo-esibizione che precede gli Australian Open, slam che Djokovic ha vinto già cinque volte. “La buona notizia è che sono qui”.

Stesso discorso vale per Wawrinka. Il tennista svizzero giocherà in Australia ma le sue condizioni di forma sono un assoluto mistero. In seconda fila partiranno quei giocatori che hanno bisogno di un anno solido e ricco di vittorie per confermare i progressi incredibili fatti vedere durante l’ultima stagione. Parliamo di Dimitrov, Zverev e Thiem. Con un occhio a Kyrgios, che gioca in casa, e ai soliti noti: Goffin, Cilic, Del Potro e Tsonga.

Halep, Pliskova, Muguruza. Le favorite per i bookmakers

Come abbiamo detto l’assenza di Serena Williams rende difficile qualunque pronostico. L’effetto Ostapenko non è affatto escluso. La tennista lettone, classe 1997, si aggiudicò l’anno scorso il Roland Garros da (quasi) perfetta sconosciuta. Fu la prima, nella storia, a imporsi in uno Slam senza essere testa di serie. In Australia si presenta con il numero 7 e, al primo turno, affronterà Francesca Schiavone. Secondo le agenzie di scommesse principali, tuttavia, a condurre i giochi c’è un terzetto di atlete che non hanno mai vinto in Australia.

La rumena Simona Halep, numero 1 del mondo, la ceca Karolina Pliskova, numero 6, e la spagnola Garbine Muguruza, numero 3. Soprattutto sull’iberica però c’è più di un dubbio sulle sue condizioni fisiche che non sembrano ottimali. Molti giornali sportivi però hanno gettato un riflettore sulla danese Caroline Wozniacki, intenzionata a riprendersi la vetta della classifica WTA e, soprattutto, su Maria Sharapova. Dopo il recente stop per doping la tennista russa vuole tornare a fare la voce grossa smentendo critiche e accuse. Da non sottovalutare, infine, l’eterna Venus Williams, 37 anni, e altre tre outsider: Svitolina, Konta e l’idolo di casa Asleigh Barty.  

E gli italiani?

Un record lo abbiamo registrato anche qui. Sono undici i tennisti italiani che hanno partecipato alle qualificazioni. Il numero più alto di sempre. E due sono riusciti a raggiungere il tabellone principale: Salvatore Caruso, numero 209 del ranking, e soprattutto Lorenzo Sonego, numero 218, che ha superato l’australiano Bernard Tomic, un tempo giocatore da top 20 mondiale, a cui gli organizzatori hanno negato una wild card.

I due si aggiungono ai quattro tennisti entrati di diritto in tabellone. Fabio Fognini, testa di serie n°25, affronterà al primo turno l’argentino Zeballos, numero 66 della classifica ATP mentre Andreas Seppi, scivolato al numero 87, ha pescato il francese Corentin Moutet, numero 155. Meno fortunati nel sorteggio Paolo Lorenzi che affronterà il bosniaco Damir Dzumhur,  testa di serie numero 28, e Thomas Fabbiano che se la vedrà con un vero fenomeno: il citato Alexander Zverev, che occupa la quarta posizione del ranking mondiale.

In campo femminile la delegazione italiane è fortemente rimaneggiata rispetto al passato. In tabellone ci sono solo Camila Giorgi, che aspetta una qualificata, e Francesca Schiavone che, come detto, se la vedrà con la forte lettone Ostapenko. Eliminate nelle qualificazioni le altre 5 azzurre, tra cui anche Sara Errani, che si è arresa all’ultimo turno alla thailandese Luksika Kumkhum, e Roberta Vinci all’ultima partecipazione della carriera.

Due (ultime) notizie

Si tratta di notizie diametralmente opposte. Da una parte una polemica, aspra, e dall’altra un ritorno sui campi, inatteso. La prima riguarda Margaret Court, 75 anni, la più forte giocatrice australiana di tutti i tempi, vincitrice del Grande Slam nel 1970, a cui gli organizzatori dell’Australian Open hanno dedicato uno dei campi principali del torneo. Court è sempre stata un po’ la madrina dello Slam ma quest’anno ha deciso di rispedire al mittente l’invito dagli organizzatori. Il motivo? Lo scandalo che hanno causato alcune sue parole, pronunciate da fervente cattolica, contro gay e lesbiche. Parole omofobe che sono state condannate da diverse tenniste, come Samantha Stosur, che hanno minacciato di non mettere piede sul campo a lei intitolato

Storia decisamente più gradevole è quella che riguarda il ritorno sul campo di uno dei tennisti più amati. E non solo in Australia dove è di casa e dove, attualmente, è capitano della squadra di Coppa Davis. Lleyton Hewitt, ex numero uno del mondo, ha deciso di accompagnare il suo amico e connazionale, Sam Groth, all’ultimo torneo della sua vita. I due hanno annunciato di essersi preparati al meglio per affrontare rivali più giovani e che non sarà solo una passerella di commiato. Staremo a vedere, da lunedì, quando anche con loro partirà non solo un grande torneo ma una grande stagione di tennis.

 

Chi sono le tre 'regine delle nevi' che hanno portato lo sci italiano in vetta? I nomi di Federica Brignone, Sofia Goggia e Nadia Fanchini sono destinati a restare nella storia per l'impresa compiuta a Bad Kleinkirchheim, dove hanno dipinto di azzurro il podio della discesa libera.

Negli annali resterà il loro inno di Mameli cantato a squarciagola e stonando senza ritegno, piene di felicità e di orgoglio 

Federica Brignone

E' nata a Milano 25 anni fa ma abita, da quando ha 6 anni, a La Salle, in Valle d’Aosta. E' figlia d’arte: la madre, Ninna Quario, è stata una delle componenti della Valanga Rosa a cavallo tra anni Settanta e Ottanta. Specialista nello slalom gigante (nel quale è stata vice-campionessa mondiale a Garmisch-Partenkirchen nel 2011), durante la sua carriera ha avuto modo di perfezionarsi molto anche nelle discipline veloci, ottenendo ottimi risultati in discesa libera e in super gigante. 

Il 17 dicembre 2012 la sua carriera ha subito un'interruzione, poiché ha deciso di operarsi per la rimozione di una ciste al malleolo che le procurava problemi da tempo[3]. È rientrata nella stagione 2013-2014 partecipando alla gara di gigante svoltasi a Sölden il 26 ottobre 2013, classificandosi 25ª.

Ai XXII Giochi olimpici invernali di Soči 2014 si è classificata 11ª nella supercombinata e non ha concluso né lo slalom gigante né lo slalom speciale. Ai successivi Mondiali di Vail/Beaver Creek 2015 è stata 19ª nello slalom speciale e non ha completato lo slalom gigante, mentre il 24 ottobre 2015 ha conquistato la sua prima vittoria in Coppa del Mondo, aggiudicandosi lo slalom gigante di Sölden. Ai Mondiali di Sankt Moritz 2017 si è classificata 8ª nel supergigante, 4ª nello slalom gigante, 24ª nello slalom speciale e 7ª nella combinata.

Il 19 marzo 2017 si aggiudica lo slalom gigante di Aspen, davanti alle compagne Sofia Goggia e Marta Bassino, in uno storico podio tutto tricolore, il cui unico precedente risale allo slalom gigante di Narvik del 1996 (Compagnoni, Panzanini, Kostner).

Sofia Goggia

nata a Bergamo il 15 novembre 1992. Ha iniziato a sciare a Foppolo fin da giovanissima, all’età di 3 anni, e da allora non si è più fermata nonostante alcuni gravi infortuni l'abbiano frenata in più occasioni. Oggi Sofia, che fa parte del Gruppo Sportivo Fiamme Gialle, è una sciatrice potente e polivalente, caratteristiche che le consentono di esprimersi ad alto livello in tutte le discipline dello sci alpino. Una peculiarità che le può consentire di puntare alla vittoria della Coppa del Mondo Generale.

La quattro differenti specialità che la vedono protagonista sono: Discesa, SuperG, Gigante e Combinata. Il suo esordio in Coppa del Mondo risale al 2011, e da allora Sofia ha continuato costantemente a migliorarsi, arrivando a essere oggi una delle principali protagoniste del circo bianco. Nella stagione 2016/2017 ha conquistato la medaglia di bronzo in Gigante ai Mondiali di Saint Moritz, mentre in Coppa del Mondo ha ottenuto 13 podi battendo il record di Debora Compagnoni di 11 podi in una sola stagione. Le sue due vittorie in Coppa del Mondo le ha ottenute a Jeongseon (Korea), in Discesa e SuperG. A queste si aggiungono i 6 secondi posti e i 5 terzi posti che le hanno permesso di conquistare 1197 punti nella Classifica Generale di Coppa del Mondo, terminando così la stagione al terzo posto assoluto.

Dopo un’annata ricca di grandi risultati ad attendere Sofia c'è una stagione altrettanto importante, che culminerà con le Olimpiadi Invernali di Pyeongchang (Corea del Sud) in programma dal 9 febbraio al 25 febbraio 2018. Studentessa di Scienze Politiche, la sua famiglia è composta da mamma Giuliana, insegnante, papà Ezio e il fratello Tommaso, entrambi ingegneri, e il suo cane di nome Belle.

Nadia Franchini

E' nata il 25 giugno 1986, abita in Provincia di Brescia a Montecampione di Artogne in Val Camonica, appartiene al gruppo sportivo delle Fiamme Gialle, fa parte della Nazionale Italiana di sci alpino dal 2003 ed ha esordito in Coppa del Mondo il 13 dicembre 2003 in Alta Badia. Proprio due giorni prima del trionfo di Bad Kleinkirchheim, la sorella Elena – campionessa di sci come Nadia e come la più piccola Sabrina – aveva annunciato uno stop alle gare e agli allenamenti per curare un tumore.

Il primo podio in Coppa del Mondo lo ha ottenuto il 1 dicembre 2006 piazzandosi al terzo posto nella discesa libera di Lake Louise; sulla stessa pista, il 6 dicembre 2008, all’81esima gara di Coppa del Mondo della sua carriera, vince per la prima vittoria in Supergigante, dopo il secondo posto nella discesa di due giorni prima. La vittoria di un’italiana in supergigante mancava dal marzo 2003 (Karen Putzer a Lillehammer). Anche la sorella Elena aveva vinto a Lake Louise nel dicembre 2005 la sua prima gara di Coppa del Mondo.

Ai Mondiali in Val d’Isère del febbraio 2009 ha ottenuto un nono posto nel supergigante vinto dalla statunitense Lindsey Vonn, mentre nella discesa libera, vinta sempre dalla Vonn, è arrivata terza conquistando la medaglia di bronzo. Alla fine della stagione ha chiuso nona nella Coppa generale di Coppa del Mondo ma seconda nella classifica di supergigante, perdendo la Coppa di specialità proprio all’ultima gara.

Durante il supergigante di St. Moritz del 31 gennaio 2010, Nadia Fanchini è stata protagonista di una rovinosa caduta; nell’impatto con una porta ha riportato la lesione di entrambi i legamenti crociati e collaterali delle ginocchia. È questo l’infortunio più grave patito dalla sciatrice in carriera, che le ha impedito di partecipare alle Olimpiadi di Vancouver 2010.

In questa triste occasione passò alla “storia” la sua telefonata per tranquillizzare la sorella che sarebbe dovuta partire dopo di lei. Ancora dolorante mentre veniva soccorsa le riferì che non si trattava di nulla di grave e le diede anche preziosi consigli su come affrontare il tracciato.

La tenacia di Nadia nella lotta contro la sfortuna è famosa in tutto il Mondo, si è allenata alacremente per convincere i tecnici azzurri a disputare il 21 gennaio 2012 a Kraniska Gora (SLO) lo Slalom Gigante di Coppa del Mondo. Nella circostanza ha gareggiato per la prima volta insieme alla sorella Sabrina, avventura che si sta poi protraendo per tutta la stagione sia in Coppa del Mondo che in Coppa Europa.

Tra pochi giorni inizia il primo grande torneo della stagione tennistica. Il primo slam, in Australia. Ma vedendo ballare Andrea Petkovic, classe 1987, tennista tedesca di origine bosniaca, numero 101 del ranking WTA (ma ha vinto 6 tornei ed è arrivata fino alla posizione n. 9) non si direbbe di essere già in un clima iper-agonistico.

L'atleta ha sfruttato al meglio un classico stop per pioggia durante il torneo esibizione di Kooyong Classic, a Melbourne. Il classico torneo, sul cemento, che serve agli atleti per prendere confidenza con i veloci campi australiani. La pausa forzata ha fatto sì che dalle casse risuonasse musica disco il cui ritmo ha conquistato la tennista tedesca tra mosse, passi e tanta ironia. Una coreografia che ha coinvolto la sua avversaria, la ventenne svizzera Belinda Bencic, gli arbitri, i giudici di linea e anche il pubblico. Un divertente siparietto in attesa di lunedì quando si inizierà, davvero, a fare sul serio. 

 

Per il dopo Tavecchio sono in corsa in tre. Damiano Tommasi, ex calciatore di Verona e Roma, presidente dell'Associazione calciatori. ​Cosimo Sibilia, presidente della Lega nazionale dilettanti, e Gabriele Gravina, numero uno della Lega Pro. Oggi a milano i tre candidati alla guida della federazione gioco calcio incontreranno i rappresentanti della Lega di Serie A per illustrare i rispettivi programmi. "La montagna ha partorito un topolino – ha detto Marcello Nicchi, capo degli arbitri, all’uscita della riunione che si è svolta ieri a Firenze – le tre posizioni si stanno confrontando, domani (oggi, ndr) andremo tutti a parlare con i rappresentanti di Lega di A a Milano e diremo le nostre posizioni per far sì che si possa sbloccare la situazione. Le probabili posizioni sono Gravina, Tommasi e Sibilia, sperando diventino una o due. Ho visto il programma di Gravina che è interessante, gli altri non li hanno presentati". Leggi di più sul Corriere dello Sport.

Il calcio, la Roma, il numero 17, la fede, Don Milani, la solidarietà, quel ginocchio ‘esploso’ nel 2014, le sue montagne, Chiara e i suoi sei figli. Se la vita di un uomo potesse essere riassunta in pochi flash, quella di Damiano Tommasi potrebbe passare per questi momenti. ‘Anima candida’, questo il soprannome che gli è stato affibbiato in campo, è nato a Negrar il 17 maggio 1974 nel cuore della Valpolicella, ma è cresciuto a Vaggimal, frazione di Sant'Anna d’Alfaedo: un borgo di 75 famiglie a 30 chilometri da Verona. Settecento metri sul livello del mare. Ha 43 anni, più di 30 passati a tirare calci ad un pallone. Prima all’oratorio, poi sui campi veri. Dopo 6 anni al vertice dell'Associazione italiana calciatori potrebbe essere il nuovo presidente della Federcalcio. 

È lui, al momento, il personaggio più rappresentativo di un calcio che vuole voltare pagina dopo l'eliminazione della Nazionale maggiore dai prossimi Mondiali di Russia. Un calcio che vuole cambiare pagina e registro dopo anni in cui le squadre di club non hanno brillato a livello internazionale, in cui si contano sulle dita di poche mani i bilanci in salute delle società sportive, in cui i legami tra società e ultras restano troppo stretti.

Il calciatore. Damiano Tommasi ha debuttato col Negrar a undici anni nel 1985. Poi è passato al San Zeno, dove da centrocampista si è trasformato in difensore centrale. L’esordio da professionista in B col Verona (entrò in sostituzione di Pessotto) nella stagione 1993-1994, a 20 anni. Nel 1996 passa alla Roma, dove è tra i centrocampisti di riferimento della squadra di fine millennio. Nel 2001, l'anno del terzo scudetto, Fabio Capello lo definì il giocatore più importante della squadra. Più di Totti e Montella, più di Batistuta. “Siamo stati compagni di squadra per dieci anni e abbiamo vinto: abbiamo affrontato assieme un'infinità di sfide e di partite. Lo conosco benissimo ed è una delle persone più limpide e altruiste che abbia conosciuto nel mondo del calcio nella mia carriera”, scrive di lui Francesco Totti sulla pagina nella Hall of Fame della Roma. È nella classe 2015, insieme a Guido Masetti, Sergio Santarini e Batistuta. Ha disputato anche i Mondiali del 2002. Con la Nazionale ha collezionato 25 presenze e 1 gol. 

L’infortunio. Giocò un anno con lo stipendio al minimo sindacale, 1500 euro o poco più. Dopo essere stato vittima il 22 luglio 2004 di un grave infortunio a un ginocchio durante un’amichevole con gli inglesi dello Stoke City, tornò dopo 15 mesi di riabilitazione  e chiese di essere messo al minimo salariale. La diagnosi dell’infortunio sembra un bollettino di guerra: lesione complessa di tutte le strutture capsulo-legamentose del ginocchio destro, rottura dei menischi interni ed esterni, rottura del crociato anteriore e posteriore, rottura del collaterale mediale, rottura dell'inserzione dei flessori della coscia destra. Il 27 novembre 2005 si gioca Roma-Fiorentina. E’ in campo dal primo minuto e dopo 120 secondi segna. La partita finisce 1 a 1, ma per Damiano è la fine di un incubo. Lo ha descritto come il momento più felice della carriera, la fine di un incubo. 

La beneficenza. Nel 2001, dopo aver vinto lo scudetto con la Roma, acquistò un'intera collina in Valpolicella, con una villa dell'800, una chiesa del ‘400, più 100 ettari di bosco e 12 vigneti (valore 3 miliardi): diede tutto in gestione ad una comunità locale. Ha fatto costruire un campo di calcio in Kosovo con le multe raccolte dai giocatori in campionato, è attivo sostenitore della battaglia per la donazione del midollo osseo e anche impegnato con l’Unicef. Ma ricostruire il rapporto di Damiano Tommasi con la solidarietà è impossibile. La sua, era ed è una pratica quotidiana e nascosta.

Le passioni. Il suo libro preferito è ‘L’alchimista’ di Paulo Coelho. Fra i film stravede per la ‘La vita è bella’. Fra le sue canzoni ‘Farewell’ di Guccini (altri dicono ‘Ho ancora la forza’ sempre del cantautore emiliano).

L’associazione italiana calciatori. Dal 2011, già consigliere, è nominato presidente dell'Associazione italiana calciatori: ad agosto la minaccia dello sciopero dei calciatori, il braccio di ferro con la Lega e la firma in extremis del contratto collettivo. “La sfida più complicata di oggi è il fondo di garanzia per le squadre minori. Io credo in un sindacato unito: questa secondo me è una prerogativa e nostro obiettivo è mantenere salda l’unione” la sua prima dichiarazione da neo presidente. A poche settimane dall'assemblea elettiva del 29 gennaio da cui uscirà il nome del nuovo presidente della Federcalcio le sue parole sono un programma di azione. Il 5 gennaio ha ufficializzato la sua corsa alla presidenza della FIGC in nome "di un progetto che sia il più possibile di condivisione. Oggi i calciatori vogliono essere quelli che uniscono”. Non è così strano se poi sul suo profilo Twitter (@17tommasi) si descrive con questa frase: “Se uno sogna da solo è solo un sogno, se molti sognano insieme è l'inizio di una nuova realtà”. Ecumenico.

 

In origine fu il Perù, poi venne la Spagna e ora, infine, è il turno dell’Iran. L’Italia del pallone non riesce proprio a rassegnarsi a non vedere la propria nazionale ai mondiali. In questi giorni, per la terza volta, sul web è circolata la parola “ripescaggio”. L’ennesimo spiraglio che, aprendosi, porterebbe gli azzurri in Russia. Ma anche stavolta, come nei casi precedenti, si tratta di un’effimera illusione destinata a rimanere tale, a meno di clamorose decisioni da parte della FIFA. Sarebbe ora, dunque, di mettersi il cuore in pace. Le parole di Gianni Infantino, presidente del massimo organo del calcio, non lasciano dubbi: “La qualificazione bisogna conquistarsela sul campo”. Difficile essere più chiari di così.

Il caso Iran

La vicenda riguarda Masoud Shojaei, 33 anni, probabilmente il centrocampista con più qualità tecniche della nazionale iraniana di calcio che, a Russia 2018, è stata inserita nel girone B insieme a Spagna, Marocco e Portogallo. Dallo scorso agosto il commissario tecnico della squadra asiatica, il portoghese Carlos Queiroz, ha deciso di estrometterlo dai convocati. Per molti, però, non si tratterebbe di una esclusione tecnica, ma di una vera e propria richiesta da parte del governo di Teheran.

Quella che sarebbe, a tutti gli effetti, un’ingerenza e che secondo il regolamento FIFA porterebbe a sanzionare la federcalcio iraniana. Shojaei sarebbe considerato un traditore per aver giocato con il suo club, i greci del Panionios (nel frattempo ha firmato per un’altra squadra greca, l’Aek Atene), contro una squadra israeliana, il Maccabi Tel Aviv, durante i preliminari di Europa League. Un vero sacrilegio se si pensa che nessun atleta iraniano sfida un israeliano da 38 anni. Durante la gara di ritorno, Shojaei e un suo compagno, Hajisafi, anche lui iraniano, scendono in campo. Stavolta non possono rifiutarsi di giocare. In palio c’è una qualificazione importante, e diversi milioni di euro in ballo, che non sono pochi per un club piccolo come il Panionios (che perderà).

Hajisafi si scuserà pubblicamente per il suo gesto ottenendo il perdono da parte del suo Paese. Shojaei, invece, ritiene che non ci sia bisogno di mettere su “uno show” di questo tipo. È il capitano, ha 70 partite alle spalle e ritiene di non aver fatto niente di male. Ma i suoi appelli a Queiroz sono rimasti inascoltati. Del resto non è la prima volta che si espone così pubblicamente: nel 2009 indossò un braccialetto verde in sostegno alle proteste contro l’allora governo di Mahmoud Ahmadinejad mentre, nel 2016, fu uno dei pochi a parlare di corruzione nel calcio iraniano. Allora fu difeso da quello che è considerato il più forte giocatore del Paese di tutti i tempi Ali Daei. Se la caverà anche stavolta o dovrà, anche lui, saltare il mondiale?

Si chiamano Ryom Tae Ok, 18 anni, e Kim Ju Sik, 25, i due unici atleti nordcoreani qualificatisi per le Olimpiadi invernali della Corea del Sud, una partecipazione che potrebbe segnare una distensione senza precedenti nei rapporti tra le due Coree, dopo un anno segnato da gravissime tensioni intorno al programma missilistico di Pyongyang, tensioni che hanno fatto soffiare venti di guerra intorno alla penisola. Un traguardo che da una parte è frutto dello sforzo diplomatico dei due Paesi, dall'altra dagli anni di allenamento della coppia, che compete nel pattinaggio a figura ed è alla sua prima prova olimpica.

L'incontro con l'allenatore canadese

A preparare i due atleti per la prova olimpica è stato il canadese Bruno Marcotte, una celebrità del settore che allena anche una squadra sudcoreana, che ebbe modo di apprezzarli ai giochi invernali svoltisi in Giappone lo scorso febbraio e li avvicinò, complimentandosi per la loro performance e i loro progressi. Un mese dopo, al campionato di pattinaggio a figura di Helsinki, dove arrivano quindicesimi, i due gli chiederanno ufficialmente di diventare il loro coach.

Marcotte accetta e Ryom e Kim trascorrono l'estate del 2017 a Saint-Julie, una cittadina nei pressi di Montreal, per allenarsi con lui, accompagnati da un allenatore nordcoreano e da un rappresentante della federazione di Pyongyang che si incarica del ruolo di traduttore. E, dopo "A Day In The Life" dei Beatles, "Je Ne Suis Qu’une Chanson", una canzone di una cantante del Quebec, Ginette Reno, diventa il brano che fa da colonna sonora alle evoluzioni della coppia.

"Erano persone molto amabili, che portavano energia positiva ogni giorno. La loro sete di apprendere è così grande", ha raccontato Marcotte all'Huffington Post, "non vogliono che migliorare e hanno accolto a braccia aperte ogni critica che ho sollevato loro. Per un allenatore, erano gli allievi modello". Ryom e Kim, in Canada, hanno avuto anche modo di partecipare alle celebrazioni della festa nazionale e di frequentare corsi di yoga insieme alla moglie di Marcotte, Meagan Duhamel, ex campionessa mondiale di pattinaggio che, in alcune occasioni, si è allenata con loro.

 L'allenatore e la consorte si sono però guardati bene dal discutere la situazione politica della Corea del Nord con i due allievi, protetti dalle barriere linguistiche. E quasi nulla è emerso sulla loro vita privata. "Non sapevo cosa aspettarmi, se devo dirvi la verità", ha proseguito Marcotte, "ma tra quel ragazzo e quella ragazza ci sono una grande amicizia e una grande partnership. Erano molto affettuosi, una cosa che non mi aspettavo. Non erano per nulla freddi e non avevano paura di esprimersi e mostrare come si sentono davvero".