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AGI  – Nell’autunno del 1968 si compiva il sogno jazz del sedicenne Danny Scher. Aveva invitato Thelonious Monk e il suo stellare quartetto ad esibirsi presso la sua scuola superiore a Palo Alto, in California. Tra complicazioni, annullamenti, giravolte e inciampi organizzativi, che si sommavano alle tensioni razziali e politiche, il concerto alla fine ebbe luogo, e fu registrato dal custode della scuola, per venir fuori dopo 52 anni.

‘Palo Alto’, pubblicato su etichetta Impulse! e in versione digitale da Legacy Records, contiene una “performance tra le migliori registrazioni dal vivo di Thelonious che io abbia mai sentito”, dice T.S. Monk, batterista figlio del maestro pianista-compositore e fondatore del Thelonious Monk Institute. “Non avevo neanche idea che mio padre si fosse esibito in una scuola, ma lui e il suo quartetto lo hanno fatto. Quando ho ascoltato il nastro a prima volta, gia’ dalle prime note ho capito che mio padre quel giorno era in gran forma.”

Si tratta di 47 minuti che vedono il quartetto di Monk (completato da Charlie Rouse al sax tenore, Larry Gales al contrabbasso e Ben Riley alla batteria) impegnato in un concerto in cui figurano alcune delle sue migliori composizioni. Il 1968 era un anno di tumulti negli Stati Uniti, segnato dalle uccisioni di Martin Luther King e Robert Kennedy, dalle rivelazioni di quanto veniva compiuto in Vietnam, con proteste e rivolte in tutto il Paese. Paolo Alto e la vicina East-Paolo Alto (abitata da una maggioranza nera) non facevano eccezione.

Danny Scher era un idealista appassionato di jazz con il pallino di diventare un organizzatore di concerti (cosa che realizzo’ anni piu’ tardi, quando si conquisto’ una meritata fama lavorando anche al fianco del leggendario rock promoter Bill Graham). “Ho sempre pensato che la musica fosse in grado di sospendere i problemi – racconta – o a costringere le divergenze (fossero di natura politica o sociale) a confrontarsi. Il 27 ottobre 1968 ci fu una tregua fra Palo Alto e East Palo Alto. E questo e’ quello che la musica e’ in grado di fare”.

Nel 1968, Thelonious Monk era per molti versi all’apice della sua carriera. Il suo quartetto era al meglio della forma, ed era noto al grande pubblico per avere conquistato (un paio d’anni prima) la copertina della rivista Time, ma era a corto di soldi e spesso ammalato. Cio’ non gli impedi’ di ascoltare l’appello di un sedicenne nel mezzo di un ingaggio di tre settimane al Jazz Workshop di San Francisco. “Chiamai Monk un paio di giorni prima”, ha raccontato Scher in una intervist a All About Jazz. “‘Non vediamo l’ora di vederla al liceo”, gli dissi. E lui: ‘Di cosa stai parlando?’.’Suona al nostro liceo domenica’. ‘No’. ‘Sì, abbiamo un contratto con Jules Colomby, e ci ha inviato materiale per la stampa. Abbiamo avuto le sue registrazioni. Le abbiamo trasmesse alla stazione radio della scuola. Abbiamo poster in tutta la città. Abbiamo ha creato un programma per lo spettacolo’. ‘Beh, ho un concerto quella sera’, rispose. ‘Sì, lo so, ecco perchè suona nel pomeriggio. La verrà a prendere mio fratello, io sono troppo giovane per guidare l’auto’, dissi io”.

Cosi’ il 27 ottobre 1968, Monk e il suo quartetto scesero dall’auto di famiglia degli Scher (a casa dei quali il nastro di ottima qualita’, e’ rimasto in questi anni, attraversando sotto una pioggia scrosciante il parcheggio gremito a attoniti abitanti di Palo Alto e East Palo Alto, per raggiungere l’auditorium della Palo Alto High School e travolgere tutti con un set muscolare e straordinario, pronto ad entrare nella storia  del jazz.

Nel repertorio troviamo la lirica “Ruby, My Dear” (tocca a Rouse esporre il tema, seguito da un abbagliante assolo del leader), la dinamica e trascinante “Well, You Needn’t” (ben 13 minuti, con assoli di tutti i membri del quartetto), la personalissima rilettura in piano solo dello standard di Jimmy McHugh “Don’t Blame Me” , una danzante, epica “Blue Monk” e una versione quasi spensierata e giocosa di “Epistropy”. Lo show si conclude con un abbozzo di un datato successo del 1925 di Rudy Vallee, “I Love You Sweetheart of All My Dreams”: anche qui piano solo (in cui Monk evoca lo “stride piano” di quegli anni), un bis concesso in fretta, salutato a una standing ovation: il quartetto doveva far ritorno a San Francisco entro la sera, dove lo attendeva il Jazz Workshop.

AGI – Parte dal caso e dallo scandalo della Lombardia Film Commission l’editoriale  firmato dal giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese sul Corriere della Sera, per denunciare il mondo delle fondazioni no-proft che pesano sui bilanci regionali. 

“Tutte queste fondazioni non profit, ma costose per i bilanci regionali, pur essendo tra di loro in concorrenza, sono associate in un organismo nazionale, l”Italian Film Commision’ e persino in un ‘European Film Commissions Network’, che ne raggruppa 98” spiega Cassese, secondo cui queste istituzioni “sono un bell’esempio del tentativo di specializzazione dell’azione dei poteri pubblici, che conduce all”ad-hoc-crazia’, ma è anche indice del sempre crescente loro interventismo e del conseguente sfarinamento dello Stato”.

Cassese si pone allora tre domande: “La prima: è ragionevole che le Regioni si interessino di cinema e audiovisivo? Non dovrebbero piuttosto dedicare le loro energie alla sanità, ai trasporti, all’assistenza? Se il cinema rientra nell’ambito della cultura, non dovrebbe interessarsi anche di questo il ministero dei Beni culturali e del Turismo? La seconda: se le esistenti diciannove istituzioni locali-regionali si riconoscono come omogenee, tanto da associarsi sia a livello nazionale, sia a livello sovranazionale, perché poi seguono regole diverse nella gestione (ad esempio, alcune applicano le regole sulla trasparenza, altre sembrano dimenticarle)?”

“La terza domanda riguarda tutto l’ambito delle partecipate: se da queste dipende un milione di persone, perché mai continuiamo a sostenere che gli addetti delle pubbliche amministrazioni sono circa 3 milioni e mezzo? Non dovremmo aggiungervi anche questo altro milione, con la conseguenza di smentire coloro che sostengono la tesi secondo la quale il rapporto dipendenti pubblici-popolazione sarebbe in Italia tra i più bassi d’Europa (ciò che consente di far partire nuovi concorsi in abbondanza)?” Per poi concludere: “Una volta, fino agli anni 90 del secolo scorso, avevamo un vasto numero di enti e società nazionali. Ridotti questi, si è ampliata la sfera delle organizzazioni satelliti locali. Sarebbe ora di razionalizzare queste frange degli enti territoriali. Se ne accorgeranno coloro che vogliono ridurre parlamentari, vitalizi, indennità?” 

AGI –  “Mi chiamo Valentina Crepax. Sono nata a Milano il 17 giugno sotto lo stesso tetto di via Settala dove mio zio Giulio studiava per l’esame di maturità”. E poi avanti con una “piccola tiritera anagrafica” soltanto perché questo “promemoria mi aiuta a confermare la mia esistenza” perchè “dopo i primi 13 anni di vita da monovalentina è nato il mio doppio. Né clone né sosia, ma una ladra di identità. Un’altra Valentina che, come il mondo ignora (o finge di ignorare per farmi dispetto), di cognome farebbe Rosselli. Ma è di Crepax e quel ‘dì è scivolato via subito senza che nessuno ci facesse caso. Così nella mia famiglia, da allora ci sono due Valentine Crepax”.

Nel libro della giornalista, figlia del discografico Franco Crepax, scomparso a 92 anni a marzo, e nipote del fumettista Guido (scomparso nel 2003), creatore dell’iconica donna col caschetto bruno alla Louise Brooks modellata sulla figura della moglie Luisa Mandelli, ‘Io e l’asino mio – Storie dei Crepax raccontate da Valentina Crepax’, pubblicato da pochi giorni postumo da Bompiani nella collana Amletica leggera diretta da Stefano Bartezzaghi (308 pagine, prezzo 18,00 euro), la Valentina ‘reale’ vuole affermare la propria identità.

E lo fa con una serie di racconti, di aneddoti divertenti, curiosi, personali, romantici o familiari in cui racconta a volte in parallelo la vicenda sua personale e quella della famiglia dello zio Guido. Quella dei Crepax (perchè il padre Franco ha pagato 500mila lire per sanare un errore commesso dall’anagrafe veneta) e quella dei Crepas dello zio Guido (che “per tirchieria”, scrive Valentina, non ha pagato le 500mila lire, ma che ha comunque continuato a firmare le sue tavole col suo cognome originale).

Un libro, quello scritto da Valentina Crepax piacevole e interessante, in cui si parla delle vicende familiari, del padre Franco (Franchestìn), che per la nonna era “poveraccio perché non ha alimentato la sua dote naturale assecondando la sua fragilità d’artista” (in realtà negli anni Sessanta, come direttore generale prima alla Dischi Ricordi e poi alla Cgd, ha contribuito a lanciare i primi cantautori come Gino Paoli, Giorgio Gaber, Umberto Bindi, Enzo Jannacci, Sergio Endrigo e Luigi Tenco ma anche interpreti della canzone italiana come Ornella Vanoni, Gigliola Cinquetti, Caterina Caselli e Marcella Bella), dello zio Guido, che per la nonna era “poveretto ma fortunato perchè aveva una dote naturale che gli permetteva di gestire il proprio estro”.

Si parla molto di vita privata, del suo status di ragazza madre (il padre della figlia Alice è il regista Marco Tullio Giordana), del suo matrimonio fortunato col giornalista Gigi Zazzeri, scomparso un anno fa, dei suoi fratelli e dei suoi cugini, i Crepas. E, ovviamente, si parla molto anche dell’alter ego cartaceo col quale Valentina Crepax ha dovuto convivere per tutta la vita. Un’omonima (ma solo nel nome, visto che quello del personaggio dei fumetti di cognome da Rosselli) che l’ha accompagnata per tutta la vita e con la quale ha dovuto, suo malgrado, rivaleggiare.

“Una volta scoperto il mio nome, i miei interlocutori viaggiano rapidi sul mio corpo e non trovando stivali di cuoio nero, calze a rete, chiappe in vista, si sentono defraudati di qualcosa”, scrive. E poi, ancora, cita (forse mettendoci un po’ di fantasia) una risposta “con tono sconcertato” a una domanda un po’ perversa rivoltale da un ammiratore della Valentina dello zio Guido: “No, non ho mai avuto un rapporto sessuale con un televisore Brionvega nè ho mai visitato la città di Ko’myatan”.

In definitiva, come scrive l’autrice, “tutte le famiglie felici si somigliano, ma questa no, non somiglia a nessun’altra. Nella felicità i Crepax sono inclini al riso, vivissimi, brillanti, inarrestabili – aggiunge – adulti, bambini, cani, tartarughe, case e mezzi di trasporto, avi e fidanzati: l’appartenenza o la prossimità al casato porta un taglio di luce obliqua su ogni cosa e persona e tutto così diventa sketch, teatro, epopea.

Che si tratti di rivoltare un cappotto vecchio, affrontare una crisi famigliare, produrre musica o fumetti (e che musica, e che fumetti), tutti loro mostrano i tratti di una creatività istintiva che li rende, generazione dopo generazione, perfetti personaggi da romanzo. Eppure quelle che ci racconta la Valentina di carne (e non quella di carta, disegnata da uno zio geniale) sono storie di vita reale e quotidiana, a volte travagliate e dolorose, sempre attraversate dalla forza dirompente dell’ironia. Sullo sfondo, bellissima e riservata, la Milano degli anni Cinquanta, dove c’era da rifare tutto – la musica leggera, i giornali, l’arredamento, il modo di stare al mondo”.

Valentina Crepax, quella vera, la giornalista e scrittrice non ha fatto in tempo a vedere stampato il suo ultimo libro. Malata da tempo, se n’è andata lo scorso 30 luglio a soli 68 anni a Milano.

Autrice di molti libri di successo – tra cui ‘Gli uomini: istruzioni per l’uso’ (Mondadori, 1986) e ‘Tipi metropolitanì (Mondadori, 1988), entrambi illustrati con le tavole tavole in bianco nero a piena pagina di Guido Crepax – lascia questa sua autobiografia per Bompiani, ‘Io e l’asino mio. Storie di Crepax raccontate da Valentina’, che chiude per sempre un conflitto-amore tra le due Valentine e riporta l’umorismo naturale di una famiglia che ha speso con amore e senza mai risparmiarsi il suo talento nella Milano di quegli anni dove, come scrive Natalia Aspesi nella lettera all’autrice che chiude il libro, “ogni giorno era il futuro e si era molto ottimisti sognando falce e martello perchè il telefono aveva ancora il filo e non c’era la tomba di Facebook e tutto il resto”.  

AGI – “Nel 1972, con la morte della sorella Savina, Alberto Sordi ha chiuso la sua casa e non ha più invitato nessuno fino alla sua morte avvenuta nel 2003″. Alessandro Nicosia, curatore e organizzatore degli Eventi per il Centenario Sordi, presenta così alla sindaca Virginia Raggi la casa in Piazza Numa Pompilio, alla fine di via Amba Aradam a Caracalla, che da domani al 31 gennaio 2021 si aprirà ai romani e a tutti coloro che vorranno visitare questo luogo ‘misterioso’.  

L’attesa mostra ‘Il Centenario – Alberto Sordi 1920-2020‘, che doveva essere inaugurata a marzo ed è slittata a oggi a causa della pandemia, è un’esposizione senza precedenti, un’esperienza immersiva e totalizzante, un viaggio spettacolare alla scoperta dell’artista e dell’uomo, un ritratto completo e inedito del grande ‘Albertone’.

L’esposizione si snoda tra i vari ambienti della casa, per la prima volta aperta al pubblico, con due tensostrutture di oltre 800 mq create per l’occasione e il Teatro dei Dioscuri al Quirinale: spazi lungo i quali si distende l’intero racconto che ci fa rivivere la lunga carriera dell’attore e allo stesso tempo ci fa scoprire il Sordi privato, attraverso oggetti, immagini, video, abiti, curiosità, documenti inediti.

Un’esposizione volta a restituirci con rara completezza il ritratto di un uomo e di un artista, lasciando emergere le sue poliedriche capacità professionali maturate in sessanta anni di carriera – è stato doppiatore, cantante, compositore, musicista, giornalista, attore, sceneggiatore, regista – ma anche la sua personalità, i tratti del suo carattere e il suo modo di essere nella vita pubblica e privata. Un ritratto completo in tutti i suoi risvolti e le possibili sfaccettature; un racconto che lascia emergere il contributo unico e insostituibile che ci ha lasciato in eredità. La mostra è curata e organizzata da Alessandro Nicosia con Vincenzo Mollica e Gloria Satta, prodotta da C. O. R. Creare Organizzare Realizzare. 

“Oggi non c’è un Alberto Sordi, non potrebbe esistere, non c’è più alcun attore che si prenda il posto responsabile, in complicità coi registi, di rappresentare l’italiano medio – peggiorato nel frattempo a dismisura – nelle sue funzioni private di marito-scapolo-seduttore o pubbliche di vigile-moralista-commissario-medico della mutua-tassinaro o perfino mafioso in un bellissimo e ignorato film di Lattuada”. Così lo descrive il critico Maurizio Porro nella presentazione di uno dei due cataloghi che accompagnano la Mostra, e conclude: “Sordi è stato un grande protagonista del cinema, perché la sua storia si fa cultura attraverso un rincorrersi di temi e valori, di ambiguità e amoralità, di grandi finzioni e piccole pìetas…”.

La villa, immersa nel verde, in piazzale Numa Pompilio a Caraccalla, è stata progettata negli Anni Trenta dall’architetto Clemente Busiri Vici e offre uno scenario eccezionale che permetterà al pubblico di immergersi nella vita quotidiana dell’attore. Sordi si innamorò immediatamente della villa che si affaccia sulle Terme di Caracalla e che acquistò nel ’54 (era appartenuta a Alessandro Chiavolini, segretario particolare del Duce, anche se la leggenda narra che il proprietario fosse un altro gerarca fascista, decisamente più noto, Dino Grandi, l’uomo che con l’omonimo ordine del giorno, portò alla destituzione di Mussolini, il 25 luglio 1943) pagandola 10 milioni di lire e ‘soffiandola‘ all’amico Vittorio De Sica che ci aveva messo gli occhi sopra.  

Il percorso inizia proprio con la storia della Villa, dal contratto ai bozzetti di Busiri Vici. I visitatori scoprono all’inizio del percorso il teatro che Sordi fece costruire per rappresentazioni private o proiezioni con pochi amici (c’è anche una cabina di proiezione). Un vero gioiello architettonico, con tanto di camerini per gli attori, una galleria di sculture commissionate a Spadini e un fondale ad opera di Severini. Questa sala per decisione della sindaca di Roma e della Fondazione Sordi, dovrebbe essere aperta in maniera permanente al pubblico e ospiterà le proiezioni dei film dell’attore.

All’interno del teatro, come in una sorta di presentazione generale, si racconta il piccolo e poi il giovane Alberto, inserito nel suo contesto di origine, tra le amate sorelle Aurelia e Savina e il fratello Giuseppe, la madre maestra e il padre musicista che tanto ha influito nella sua prima formazione.

Si potranno visitare poi la palestra – con il toro meccanico con cui Sordi faceva a gara con gli amici, la bicicletta, con cui andava in giro, la cyclette, e tanti altri attrezzi sportivi – i saloni, con tre quadri originali di Giorgio De Chirico che Sordi aveva acquistato direttamente dal pittore, suo amico (si racconta che il pittore ci rimase male nel vedere come Sordi avesse piazzato le sue opere, quasi in penombra e senza dargli alcuna evidenza). 

Si potrà poi accedere al piano superiore dove c’è il suo studio, allestito così come lui lo aveva lasciato, la sua camera da letto dove è morto il 24 febbraio 2003 e ancora la curiosa e unica barberia. C’è anche la cucina, ampia con un tavolo al centro e un balcone che affaccia sul giardino, ma questo luogo non è accessibile per la visita.

All’esterno della villa i visitatori troveranno nei giardini e due tensostrutture allestite per ospitare i tantissimi documenti, gli audio, i filmati, che permetteranno di percorrere in maniera puntuale i momenti principali dagli inizi: il doppiaggio, la radio, i film. Nella prima struttura – sotto la quale in origine c’era la piscina – sono di particolare interesse i manoscritti autografi di copioni, le sceneggiature per la radio, il Giro d’Italia per il quale Sordi fece il cronista, e gli sketch radiofonici con i personaggi di Mario Pio e Conte Claro. Qui anche uno spazio dedicato a ‘Mamma mia che impressione’ primo film scritto e prodotto da Sordi nel 1951, che il pubblico potrà vedere interamente nella saletta cinema.

Nella seconda tensostruttura nel piazzale antistante la villa, due grandi sezioni: quella dedicata al Sordi segreto, con sette capitoli pieni di curiosità: attraverso ricordi, foto e materiale inedito, si racconta Sordi benefattore, Sordi e gli animali (la sua passione per i cani, i cavalli…), l’intenso rapporto del nostro con le donne (Sordi scapolo d’oro, fidanzato sempre, sposato mai), etc. E poi Sordi e il cinema dove gli amanti dell’artista potranno trovare oltre venti costumi dei film fra i quali ‘Il Marchese del Grillo’, ‘Il vigile’ e ‘Il medico della mutua’.

Al centro del salone la mitica Harley Davidson di ‘Un americano a Roma’. Infine, attraverso una installazione mediale Alberto Sordi saluterà il suo pubblico di ieri e di oggi. I visitatori potranno anche interagire nelle due postazioni di Radio Rai e di Rai Play. Accanto la Sala proiezioni: uno spazio aperto accessibile a tutti gratuitamente, dove verrà proiettato un filmato dedicato a Sordi curato da Luce Cinecittà.

AGI – Il Teatro alla Scala accoglie nuovamente il pubblico in teatro con un grande concerto il 12 settembre e, il giorno dopo, il 13 la Filarmonica regala alla città il tradizionale concerto slittato da giugno, che per l’occasione speciale cambia nome e da concerto per Milano diventa ‘concerto per l’Italia’. Sul podio il maestro Riccardo Chailly.

Un weekend di rinascita per il Teatro e per la Filarmonica

Il Piermarini è il simbolo di rinascita di Milano da sempre, oggi come nel 1946, quando dopo la distruzione per i bombardamenti della guerra, riaprì con una memorabile esecuzione diretta da Toscanini. Adesso, con un concerto straordinario dedicato a medici e infermieri in prima linea nella lotta alla pandemia, ‘rinasce’ nuovamente dopo la chiusura imposta dal Covid. Sono passati oltre sei mesi. Era il 23 febbraio quando il sovrintendente Dominique Meyer annunciò che ‘temporaneamente’ sarebbe calato il sipario. In 242 anni era accaduto solo sei volte.

La Nona di Beethoven

A celebrare il ‘nuovo’ inizio, al Piermarini, ci sarà anche la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. Mentre il capo dello Stato Sergio Mattarella (che ha assistito all’omaggio della Scala alle vittime del covid, in Duomo lo scorso 4 settembre) ha già fatto sapere che sarà presente alla replica del prossimo 17 settembre.  Per la ripartenza, l’organico scaligero, al gran completo, sotto la bacchetta di Riccardo Chailly eseguirà la Nona Sinfonia di Beethoven, con un illustre quartetto di solisti: Krassimira Stoyanova, Ekaterina Gubanova, Michael Konig e Tomasz Konieczny.  

La Filarmonica in piazza, 2.600 posti sul sagrato del Duomo 

Domenica 13 settembre, la Filarmonica si presenta all’appuntamento più atteso e amato dell’anno, quel concerto che dal 2013 offre alla città, attirando – in passato – sul sagrato del Duomo anche 50 mila persone. Quest’anno il Covid impone numeri decisamente diversi ma che comunque richiedono un grande sforzo organizzativo: la platea sotto il cielo di Milano sarà di 2.600 persone. Ben distanziate, con posti numerati. La prenotazione è obbligatoria su www.openfilarmonica.it. 

Il concerto per l’Italia si ascolta nel mondo

La musica della Filarmonica non risuonerà solo davanti alla Cattedrale gotica di Milano ma nelle case di tutto il mondo, vista la trasmissione in diretta su Rai 5, Radio 3 e RaiPlay in Italia, su Arte in Europa e distribuito in oltre 20 paesi nel mondo incluso Medio Oriente, Nordafrica, Giappone e Cina.

Con Chailly il violino di Vengerov

Sul podio dell’orchestra, come tradizione in questi anni ci sarà il maestro Riccardo Chailly, insieme a un ospite d’eccezione, il grande violinsta Maxim Vengerov che si cimenterà con Mendelssohn. In programma celebri Sinfonie, Ouverture e Intermezzi d’opera: da Don Pasquale di Donizetti a Manon Lescaut di Puccini, da Normadi Bellini a La Forza del Destino di Verdi. 

AGI – È morto all’età di 82 anni l’editore Franco Maria Ricci. A dare la notizia della morte di Franco Maria Ricci, scomparso oggi nella sua casa a Fontanellato, in provincia di Parma è stato il nipote Edoardo Pepino, direttore del Labirinto della Masone ideato dallo stesso Ricci. Editore e collezionista, è diventato famoso per aver pubblicato negli anni ’80 la rivista patinata ‘FMR’ conosciuta in tutto il mondo. 

Chi era l’editorie e collezionista

Ricci, nato a Parma il 2 dicembre 1937, ha iniziato la sua carriera come editore nel 1963 con la ristampa anastatica del ‘Manuale Tipografico’. Ha coltivato in parallelo anche l’interesse per la grafica che lo ha portato a disegnare marchi e ideare pubblicità per grandi aziende, sia italiane che straniere. Diverse sono le collane pubblicate che lo hanno reso celebre, tra cui le Enciclopedie delle città e delle regioni d’Italia, come Milano, Parma, Roma e la Sicilia, volumi ricchi di immagine suggestive e testi.

Dal 1982 al 2004 ha pubblicato la rivista ‘FMR’ che lo ha reso famoso in tutta Italia e definita da Fellini “la perla nera”. Oltre che editore e grafico, Ricci era anche un collezionista d’arte, un appassionato bibliofilo e un costruttore di labirinti. Il suo capolavoro è il labirinto della Masone, a Fontanellato.

Il cordoglio di Franceschini

“La scomparsa di Franco Maria Ricci è un grande dolore – sottolinea il ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini – con lui viene a mancare un intellettuale di straordinaria sensibilità e intelligenza, un editore colto e raffinato, un uomo che ha sempre operato per divulgare la conoscenza del nostro patrimonio culturale”.

 

AGI – Remo Rapino con ‘Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio’ (minimum fax), ha vinto la 58esima edizione del Premio Campiello. Lo scrittore ha ottenuto 92 voti su un totale di 263 pervenuti dalla giuria popolare.      Al secondo posto si è classificato Sandro Frizziero con ‘Sommersione’ (Fazi), che ha ottenuto 58 voti, al terzo Ade Zeno con ‘L’incanto del pesce luna’ (Bollati Boringhieri), 44 voti. Quarto posto per Francesco Guccini con ‘Trallumescuro. Ballata per un paese al tramonto’ (Giunti),  39 voti. Alla quinta posizione Patrizia Cavalli con ‘Con passi giapponesi’ (Einaudi), 31 voti. Ad Alessandro Baricco è andato il premio alla carriera.

AGI – Milano ha reso omaggio alle vittime del Covid nella sua cattedrale simbolo della città, in una serata che vuole essere di rinascita e di ripresa verso una “nuova normalità” come l’ha definita il sindaco Giuseppe Sala.

Nel Duomo trasformato per una sera in una magnifica sala da concerto, l’orchestra scaligera al gran completo per la prima volta da febbraio, diretta dal maestro Riccardo Chailly ha eseguito la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, una composizione che, come ha osservato il sovrintendente Dominique Meyer, “appartiene alla Scala, i coristi la sanno a memoria”.

L’orchestra al completo con Mattarella in prima fila

Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, 90 orchestrali rigorosamente con mascherina, insieme a 94 coristi e 4 solisti eccellenti come Krassimira Stoyanova, Elna Garanca, Francesco Meli e Rene’ Pape si sono esibiti per 600 spettatori.

Un maxi schermo a Codogno 

In realtà non solo per loro, visto che il concerto è stato trasmesso in diretta tv su Rai 5 e anche su Radio 3. E un maxi schermo ne ha permesso la visione anche a Codogno, paese dove scoppiò il primo caso di coronavirus. 

Il monito di Delpini, basta beghe serve alleanza

Prima dell’inizio del concerto, ha risuonare è stato però il monito dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che ha richiamato alla necessità di una alleanza per superare il dolore provocato dalla pandemia. Basta con la “meschinità delle beghe”, ci sono state “contrapposizioni pretestuose, mentre sarebbe necessaria una alleanza, una coralità per affrontare insieme le sfide e le lacrime di questo tempo”.
Alleanza che trova d’accordo il governatore lombardo Attilio Fontana, che sottolinea come sia necessaria adesso più che mai “per affrontare la situazione economica e la ripresa”.

Per Sala, Milano è pronta per una nuova normalità

La città è pronta a guardare avanti, è “pronta per una nuova normalità”, la “sua parte l’ha già fatta e continuerà a farla”. Il sindaco Sala lo rivendica in un intervento prima del concerto. Parla con “emozione” dello “strazio della perdita” ma insiste sulla “volontà comune di segnare una nuova strada per la nostra comunità”, dove si torni a considerare “la salute come bene comune e più prezioso delle nostre vite”. 

In Duomo i lavoratori che hanno tenuto ‘aperta’ la città nel lockdown

Nella navata centrale della Cattedrale ad assistere al concerto, oltre a Fontana e Sala, l’ex premier Mario Monti, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, la presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, il prefetto Renato Saccone, il presidente della Confcommercio oltre che della Camera di commercio di Milano, Carlo Sangalli. E personaggi dello spettacolo come l’etoile Roberto Bolle con Carla Fracci, il musicista e compositore Michael Nyman. Presenti anche una quarantina di rappresentati delle categorie di lavoratori che hanno permesso alla città di andare avanti durante i mesi più duri del lockdown, da quelli dell’alimentare, a quelli dei trasporti e della sicurezza. Postini, fruttivendoli, panificatori, macellai, tranvieri, volontari, netturbini, poliziotti, vigili del fuoco, benzinai, farmacisti, medici, infermieri e anche giornalisti: non si sono mai fermati nei mesi dell’isolamento. 

AGI – Fare le prove, per sei ore filate, della Messa da Requiem di Verdi indossando la mascherina non sarà facile. Ma la voglia di ripartire è più forte di tutto. L’appuntamento simbolo della rinascita, non solo di Milano ma del Paese dopo mesi di isolamento, è dietro l’angolo: venerdì 4 settembre alle 20.30, il maestro Riccardo Chailly dirigerà il Requiem nella Cattedrale di Milano in memoria delle vittime della pandemia, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro dei beni culturali Dario Franceschini. Per l’occasione l’organico sarà al completo: 94 orchestrali, 90 coristi, 4 solisti più il direttore, tutti a debita distanza per rispettare le norme anti-contagio. 

L’orchestra scaligera renderà omaggio poi altre alle due città ferite dall’epidemia: Bergamo e Brescia. Dopo i 4 concerti-test di luglio, per Chailly e l’orchestra si prevede un tour de force con 12 serate, prima di arrivare all’inaugurazione della stagione il prossimo 7 dicembre, alla classica ‘prima di Sant’Ambrogio’.

Un programma ‘speciale’ 

“Questo Requiem – ha spiegato il direttore dell’orchestra scaligera, Chailly – è una scelta precisa: non viene mai inserito nella programmazione, ma scelto solo per occasioni speciali”. “Dal 2014 è la quarta volta che lo dirigo a Milano” ha poi ricordato, sottolineando “il coraggio collettivo e la volontà di esserci”, sebbene provare con la mascherina e distanziati “crea una difficoltà tecnica da gestire”, ma “lo sforzo merita per il significato che ha e che va oltre quello musicale”.

Il Requiem “è un pensiero per tutte le famiglie che sono state colpite da questa tragedia – ha poi aggiunto il sovrintendente Meyer -. All’inizio si parlava dell’epidemia in modo leggero, ma poi i numeri e ,la scomparsa di persone che conoscevamo hanno cambiato la percezione. Tutta la regione è stata molto ferita”. 

Tutti gli artisti hanno fatto il tampone

L’unica ‘libertà’ concessa agli artisti venerdì sera sarà quella di presentarsi sul palco senza mascherine, ma le regole di sicurezza, anche per gli ospiti, saranno rispettate, come ha assicurato il sovrintendente Dominique Meyer. Tutti, dai ballerini ai coristi, dai fiati agli archi dell’orchestra sono stati sottoposti al tampone: “Gli esiti non li sappiamo ancora per tutti – ha precisato – ma li avremo per le prove”.

Un nuovo palco per il distanziamento

Prove molto affollate, tanto che per garantire il distanziamento in teatro è stato realizzato un palcoscenico nuovo ad hoc.

Dopo l’appuntamento milanese, l’orchestra del Teatro alla Scala andrà lunedì 7 e mercoledì 9 settembre alle 20.30, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo e nel Duomo Vecchio di Brescia, stavolta con un organico più ridotto, adatto agli spazi. Il Coro è preparato da Bruno Casoni e si esibiranno i solisti Krassimira Stoyanova, Elīna Garanca, Francesco Meli e René Pape (a Bergamo sarà Michele Pertusi).  

Le tre serate saranno nell’insieme un momento di raccoglimento spirituale che unisce Milano a due delle città più colpite della Lombardia nella condivisione delle sofferenze di questi mesi.

Maxi schermi a Codogno, città del paziente 1

La serata sarà trasmessa in diretta televisiva da Rai Cultura su Rai5 (inizio trasmissione alle 20.15), in differita da Arte e in diretta radiofonica da Radio3. Alle trasmissioni radiotelevisive si aggiungono anche dei mega schermi, non solo a Milano ma nell’ormai nota Codogno, la città del Lodigiano dove è stato trovato il primo contagio: “Un fatto simbolicamente molto importante” per Meyer.

Gli schermi saranno montati infatti nella Parrocchia di San Biagio e della Beata Vergine Immacolata di Codogno, e in tre chiese milanesi, un po’ periferiche, a testimonianza della volontà di coinvolgere tutti i quartieri nella commemorazione: la Parrocchia di San Michele Arcangelo e Santa Rita al Corvetto, il Santuario di Santa Rita alla Barona e la Parrocchia di Sant’Agnese nel quartiere Vialba.

Biglietti già sold out 

“La voglia di ricominciare – ha osservato il sovrintendente – si vede anche dal fatto che gli oltre 400 biglietti per la serata del 4 messi a disposizione della cittadinanza sono andati esauriti in pochi minuti”.

Sentire la musica dal vivo ci mancava, molti hanno paura ma penso che dobbiamo superarla” ha aggiunto accennando già ai prossimi appuntamenti: la Nona Sinfonia di Beethoven, il 12 settembre al Piermarini per una serata riservata a medici e infermieri. Ne seguiranno il 14, 16 e 17 altre tre aperte al pubblico, che dopo oltre sei mesi potrà riascoltare orchestra e coro scaligeri in teatro. Il concerto di riapertura che riprenderà le celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Beethoven farà riunire un illustre quartetto di solisti: Krassimira Stoyanova, Ekaterina Gubanova, Michael König e Tomasz Konieczny.

Sempre a settembre, il 13, ci sarà l’appuntamento atteso da giugno (rinviato per la pandemia): il concerto per l’Italia della Filarmonica della Scala, in Piazza del Duomo: ospite lo straordinario violinista Maxim Vengerov. Infine, in autunno tornerà l’Aida in teatro, ma stavolta in forma di concerto e in una versione mai ascoltata del terzo atto: appuntamento dal 6 al 19 ottobre in teatro; il cast previsto è stellare: Saioa Hernández, Anita Rachvelishvili, Francesco Meli e Luca Salsi. 

 

AGI –  Un portale e una collezione d’arte contemporanea permanenti per Pompei. Un modo per connettere passato e presente. Nasce così ‘Pompeii Comittment. Materie archeologiche / Archaeological Matters’, progetto basato sullo studio e sulla valorizzazione delle materie archeologiche custodite nelle aree di scavo e nei depositi di Pompei che consentirà anche la costituzione progressiva di una collezione di arte contemporanea per il parco archeologico del sito più conosciuto al mondo. 

Sotto la direzione scientifica di Massimo Osanna, direttore del Parco, e a cura di Andrea Viliani, responsabile e curatore del Centro di ricerca del Castello di Rivoli museo d’arte contemporanea, con la partecipazione di Stella Bottai e Laura Mariano, il progetto si articola in due fasi. 

Dall’autunno 2020 all’inverno 2021 sarà realizzato un portale web dedicato, una nuova porta di accesso al sito archeologico attraverso la quale far confluire documenti, progetti di ricerca, saggi testuali e visivi, podcast audio e video di cui saranno autori artisti, critici, curatori, scrittori e attivisti contemporanei da tutto il mondo, dai cui materiali sarà realizzata una pubblicazione scientifica finale.

Il portale sarà manutenuto e aggiornato quindi come un centro di ricerca diffuso, mobile e plurale, in cui attivare un confronto diretto anche con i vari professionisti del parco archeologico (archeologi, storici, antropologi, archeozoologi, archeobotanici e agronomi, geologi, chimici, architetti, restauratori, informatici).

In parallelo, a inizio 2021, verrano commissionate, prodotte e presentate opere che, progressivamente, costituiranno la collezione d’arte contemporanea del Parco composta da manufatti, documenti, esperienze degli artisti invitati a riflettere sui molteplici significati della materia archeologica pompeiana. Questa seconda fase è ispirata alle linee guida del progetto Italian Council, promosso dal MiBACT. 

Opere, documenti e esperienze saranno acquisiti al patrimonio dello Stato italiano, in consegna al Parco Archeologico di Pompei, come collezione in-progress. Esposte e discusse in anteprima a Pompei, le opere prodotte saranno successivamente presentate anche in altre sedi istituzionali (sia in musei archeologici che di arte moderna e contemporanea, a partire dal Castello di Rivoli nel 2021) e in esposizioni temporanee o periodiche, oltre che accompagnate da un programma di seminari, conferenze e workshop. 

Nell’autunno-inverno 2020 è prevista, inoltre, la presentazione dei primi progetti editoriali e di ricerca e delle opere relative. La pubblicazione web è connessa all’opera ‘Indagare il sottosuolo. Atlante delle storie omesse / Digging Up. Atlas of the Blank Histories’ (2019) di Lara Favaretto; a ‘The School of Pompeii’ (2019) di Elena Mazzi; a ‘Black Med-POMPEI’ (2020) di Invernomuto; al volume monografico ‘Gianni Pettena: 1966-2021’, co-prodotto dal Parco Archeologico di Pompei. Il progetto si avvarrà anche del sostegno di soggetti privati sotto forma di Art Bonus, erogazioni liberali, sponsorizzazioni.