AGI – Johnny Depp, la rockstar del cinema hollywoodiano, compie 60 anni. John Christopher Depp II, così all’anagrafe, quella di Owensboro, nemmeno 60 mila abitanti sul fiume Ohio, nello Stato del Kentucky, è partito da lì per la conquista del mondo come uno dei più amati e controversi (persino odiati) artisti della storia della settima arte.
Johnny Depp ha cominciato da “Nightmare – Dal profondo della notte”, per poi passare a “Platoon”, “Edward mani di forbice”, “Ed Wood” e proseguire con “Donnie Brasco”, “Paura e delirio a Las Vegas”, “Il mistero di Sleepy Hollow”, “Chocolat”, “Blow”, “C’era una volta in Messico”, “Secret Window”, “Neverland – Un sogno per la vita”, “La fabbrica di cioccolato”, “Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo”, “Alice in Wonderland”, “Dark Shadows” e tanti altri film che hanno, di fatto, composto un’ampia parentesi della storia del cinema; portandolo a lavorare con maestri del calibro di Wes Craven, Oliver Stone, Tim Burton, Emir Kusturica, Jim Jarmusch, Terry Gilliam, Roman Polaski, Robert Rodriguez, Marc Forster, Michael Mann, Rob Marshall e Kevin Smith.
Del tutto a parte la parentesi riguardante la saga dei “Pirati dei Caraibi”, non solo perchè probabilmente lo ha portato al ruolo, o perlomeno uno dei ruoli, per i quali verrà ricordato per sempre, ma perchè forse più e meglio degli altri, attraverso il personaggio del pirata Jack Sparrow, si può intuire quale siano le scelte, l’andatura, le intenzioni di un personaggio come Depp. E pensare che lui non aveva mai nemmeno pensato al cinema, lui si trasferisce a Los Angeles sul finire degli anni ’70 per sfondare come chitarrista e non è che ci fosse nemmeno così lontano con la sua garage band chiamata The Kids, con la quale aprirà i live dei Talking Heads, dei B52s e di Iggy Pop, il suo idolo musicale da sempre.
Il debutto
Nel frattempo si sposa anche, lei è la truccatrice Lori Ann Allison, di sei anni maggiore di lui, durano appena due anni ma quanto basta a conoscere un amico della sua consorte: Nicolas Cage, che ci vede più lontano di tutti e lo propone subito alla sua agente, che lo propone a Craven per il suo cult “Nightmare” e viene ingaggiato. Tra Depp e la recitazione è amore a prima vista, i Kids infatti si sciolgono a breve e lui viene ingaggiato da Oliver Stone per “Platoon”, uno dei suoi capolavori. Nel 1987 arriva la tv con la serie “I quattro della scuola di polizia”, non il più intellettuale dei progetti ma è il titolo che lo consacra come teen idol.
Ma il ruolo non lo entusiasma, dura tre anni e nel 1990 incontra una delle persone più importanti della sua carriera e della sua vita: Tim Burton, che lo vuole per il ruolo protagonista del suo prossimo progetto, “Edward mani di forbice”, lui e la sua compagna del tempo una giovane Winona Ryder, per la quale si fa tatuare “Winona forever” sul braccio, che poi farà trasformare con un’operazione chirurgica in “Wino forever”, cioè “ubriaco per sempre”. Il passo è definitivamente compiuto: Johnny Depp è una star mondiale.
Gli eccessi
Il successo però, come può capitare, porta agli eccessi, Depp apre il Viper Room, beve molto e fa molto uso di cocaina; a farlo rinsavire è solo la morte per overdose, avvenuta proprio nel marciapiede del proprio locale, dell’amico River Phoenix. Arrivano gli anni ’90 e lui ne è protagonista con una serie di personaggi che diventeranno delle vere e proprie icone, dall’agente dell’FBI infiltrato di “Donnie Brasco” al giornalista tossico di “Paura e delirio a Las Vegas”.
In quel decennio Depp ha una serie di molto chiacchierate relazioni, dalla super top model Kate Moss ad alcune affascinanti colleghe come colleghe Sherilyn Fenn, Juliette Lewis e Jennifer Grey. Trova però una certa stabilità con Vanessa Paradis, attrice e cantante francese conosciuta a Parigi, dove i due andranno a vivere insieme nel 1998; e l’anno dopo nasce la loro prima bambina, Lily-Rose Melody. Continuano ad essere anni irrequieti ma anche pieni di titoli che conquistano i botteghini di tutto il mondo e che lo consacrano star assoluta del cinema mondiale.
I Pirati dei Caraibi
Nel 2002 nasce anche Jack John Christopher Depp III, il suo secondo figlio, e l’anno dopo è il momento della saga che gli cambierà la vita, quella dei “Pirati dei Caraibi”, quella di Jack Sparrow, personaggio che Depp prepara ispirandosi a Keith Richards, chitarrista dei Rolling Stones (che poi interpreterà il padre di Jack, il capitano Edward Teague nel terzo, quarto e quinto film). Il personaggio di Sparrow è scoordinato, divertente, audace, un antieroe del cinema per famiglie del tutto inedito ma che in qualche modo rappresenta perfettamente lo stile e il fascino che Depp riscuote nel pubblico e che in qualche modo ritorna sempre in ogni personaggio interpretato.
Come quello di Willy Wonka, propostogli nel 2010 da Tim Burton (del quale è stato anche testimone di nozze), che non poteva che affidarsi ad un amico e un fuoriclasse per il remake di un film interpretato dall’immortale Gene Wilder. Parallelamente alla sua carriera cinematografica riprende in mano la chitarra per proseguire con la musica, partecipa alla composizione del brano “Fade In-Out” degli Oasis, fonda la band P, che vede la presenza anche di Gibby Haynes, frontman dei Butthole Surfers, di Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers e Steve Jones, chitarrista dei Sex Pistols. Anche se il successo maggiore lo ottiene insieme ad Alice Cooper e Joe Perry con i quali fonda gli Hollywood Vampires, non solo attivi ma anche sempre più quotati. Il prossimo progetto lo vedrà avere a che fare proprio con l’Italia infatti ha annunciato che dirigerà e produrrà un film sull’artista Amedeo Modigliani: oltre a Depp il biopic verrà prodotto da Al Pacino e Barry Navidi.
La relazione con Amber Heard
Un capitolo a parte, non certo l’ultimo per importanza e rilevanza mediatica, ma solo in ordine di tempo, merita la sua relazione con Amber Heard, conosciuta sul set del film “The Rum Diary”. All’inizio tutto comincia con molto romanticismo, molta semplicità, da fuori sembrava che fosse quella giusta, il 3 febbraio 2015 i due si sposano con una cerimonia civile nella casa dell’attore a West Hollywood, mentre per i festeggiamenti sposi ed invitati si spostano sulla spiaggia di Little Hall’s Pond Cay, l’isola delle Bahamas di proprietà dell’attore.
Ma dopo soli 15 mesi di matrimonio, Heard chiede il divorzio da Depp sostenendo di aver subito violenze fisiche. Siamo agli albori del movimento femminista Me Too, il mondo del cinema americano (e non solo) si accorge di avere un problema grande come una casa: quello delle molestie e delle violenze, subite dalle donne (e non solo). Amber Hard lo denuncia e chiede il divorzio. Lui contrattacca e la accusa di adulterio, diffamazione e violenza domestica, chiedendo un risarcimento totale di 50 milioni di dollari.
Un processo lungo che si è concluso esattamente un anno fa con la vittoria dell’attore e la relativa condanna di Heard a risarcirlo con un totale di 10,35 milioni di dollari. Un capitolo drammatico, nella vita dell’attore americano: la vittoria processuale non ha infatti dissipato tutti i dubbi dell’opinione pubblica sul suo comportamento nei confronti della ex moglie, e la fama di ‘piratà e cattivo del grande schermo è rimasta comunque segnata.
AGI – Quattro donne nella cinquina del Premio Strega 2023: alla finale del 6 luglio a Villa Giulia a Roma approdano Rossella Postorino con ‘Mi limitavo ad amare te’ (Fetrinelli), Ada D’Adamo con ‘Come d’aria’ (Elliott) e Maria Grazia Calandrone con ‘Dove non mi hai portata’ (Einaudi) rispettivamente con 217, 199 e 183 voti. Quarto con 175 voti Andrea Canobbio con ‘La traversata notturna’ (La Nave di Teseo), quinta Romana Petri con ‘Rubare la notte’ (Mondadori) che ha ottenuto 167 voti.
Le scrittrici quest’anno l’hanno fatta da padrone con ben otto candidature su 12 e il sesto posto di Igiaba Sciego e il settimo di Silvia Ballestra annunciato nel Teatro romano di Benevento ha confermato un’edizione ‘en rose’.
Negli ultimi vent’anni gli unici due Strega vinti da scrittrici sono stati quello del 2003 a Melania Mazzucco per ‘Vita’ e di Helena Janeczek per ‘La ragazza con la Leica’ nel 2018.
La Elliott, una piccola casa editrice nata nel 2007 alla sua prima finale Strega, potrebbe addirittura trionfare con ‘Come d’aria’ di Ada D’Adamo, dedicato alla figlia nata con una terribile disabilità dalla ballerina abruzzese trasformata in scrittrice deceduta il primo aprile scorso all’eta’ di 55 anni. La D’Adamo ha già vinto lo Strega Giovani.
Annuncio dei finalisti al #PremioStrega2023 in diretta su Rai Play https://t.co/ztE2f7HNZx
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June 7, 2023
Romana Petri era già stata finalista allo Strega nel 1998 con ‘Alle case venire’ (Marsilio): in ‘Rubare la notte’ punta sull’immaginario del Piccolo Principe di Saint-Exupery. Possibile outsider la poetessa milanese Calandrone con un romanzo sulla propria madre dopo ‘Splendi come vita’ del 2021.
A scegliere i 5 titoli tra una rosa di 12 finalisti il voto dei collettivi, dei lettori dell’estero e degli Amici della domenica, 600 in totale gli aventi diritto di cui 596 lo hanno esercitato. Mario Desiati, vincitore un anno fa con ‘Spatriati’, era presidente di seggio.
La proclamazione del premio Strega 2023 si terrà il 6 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Roma, tradizionale appuntamento che anche questo anno sara’ trasmesso in diretta televisiva da Rai2, con la conduzione di Geppi Cucciari.
AGI – La francese Francoise Gilot, morta all’età di 101 anni, è sopravvissuta a quello che ha definito “l’inferno” di essere stata l’amante e la musa ispiratrice dell’artista spagnolo Pablo Picasso per poi diventare lei stessa un’artista rinomata a pieno titolo. Il Museo Picasso di Parigi ha confermato la sua morte all’AFP, dopo che il New York Times ha riferito che Gilot era deceduta a seguito di recenti disturbi cardiaci e polmonari.
Due delle altre donne nella vita di Picasso sono morte suicide e altre due hanno avuto un crollo mentale. Gilot si è invece opposta al gigante dell’arte moderna ed è stata l’unica donna a lasciarlo di sua spontanea volontà. “Pablo è stato il più grande amore della mia vita, ma dovevi prendere provvedimenti per proteggerti. L’ho fatto, me ne sono andata prima di essere distrutta”, ha confidato nel libro del 2021 di Janet Hawley “Artists and Conversation”.
“Le altre no, si sono aggrappate al potente Minotauro e hanno pagato un prezzo alto”, ha detto, riferendosi alla prima moglie di Picasso, la ballerina Olga Khokhlova, che è caduta in depressione dopo che lui l’ha lasciata; la sua ex amante adolescente, Marie-Therese Walter, che si è impiccata; la sua seconda moglie Jacqueline Roque, che si è sparata; e la sua musa più famosa, l’artista Dora Maar, che ebbe un esaurimento nervoso.
Il pittore di “Guernica” era, ha detto, “sorprendentemente creativo, un mago, così intelligente e seducente … Ma era anche molto crudele, sadico e spietato con gli altri, cosi’ come con se stesso”. Gilot aveva 21 anni ed era una pittrice in erba quando incontrò per la prima volta Picasso, che aveva 40 anni più di lei e sposato con la ballerina russa Khokhlova, nella Francia occupata durante la seconda guerra mondiale.
All’epoca dell’incontro era anche l’amante del fotografo, pittore e poeta francese Maar. L’incontro avvenne in un ristorante parigino nella primavera del 1943 quando lui porto’ sulla sua tavola una ciotola di ciliegie e un invito a visitare il suo studio. Amanti da 10 anni, non si sono mai sposati ma hanno avuto due figli, un figlio, Claude, nato nel 1947, e una figlia, Paloma, nel 1949.
Picasso la dipinse spesso, ritraendola come la radiosa e altezzosa “Donna-Fiore” nel 1946. In “Femme assise” (1949), venduta all’asta a Londra nel 2012 per 8,5 milioni di sterline, la ritrasse mentre fortemente incinta di Paloma. Nel 1948, il fotografo Robert Capa catturò la coppia su una spiaggia, con Picasso che giocava sulla sabbia con suo figlio, portando diligentemente un’ombra sulla testa di Gilot.
AGI – Una personalità complessa e singolare del ‘900, la cui vita diventa anche il filo conduttore per esaminare nodi cruciali del secolo che fu. Il volume ‘Giuseppe Prezzolini, l’anarchico conservatore‘ di Gennaro Sangiuliano, giornalista ora ministro della Cultura, edito da Mondadori, è la prima biografia esaustiva dell’uomo che appena ventiseienne, nel 1908, dava vita a La Voce, ritenuta la più importante rivista culturale del Novecento, ospitandovi le intelligenze più vive dell’epoca, da Amendola a Salvemini, Croce, Einaudi, Gentile, Missiroli, Soffici, Palazzeschi, Papini, Ungaretti e tanti altri, spegnendosi poi a 100 anni il 14 luglio 1982.
Sangiuliano riporta alla luce, tra l’altro, i poco noti rapporti fra Prezzolini e Oriana Fallaci, e quelli con Antonio Gramsci, ricostruendo l’avventura intelletuale e umana di un protagonista e testimone di una lunga stagione culturale e politica, italiana ed europea.
Le avanguardie culturali del primo Novecento, il fascismo, le due guerre, la Guerra fredda, gli anni Settanta scorrono insieme alla vita dell’intellettuale più originale e scomodo del Novecento italiano.
“Con Prezzolini nasce la figura dell’intellettuale moderno, che abbandona le cattedre per immergersi nelle contraddizioni della società di cui è allo stesso tempo testimone e protagonista – si legge in una scheda esplicativa del libro – l’attualità di Giuseppe Prezzolini è in tre caratteristiche che lo connotarono in tutto il lungo arco temporale della sua vita: l’essere politicamente scorretto, per vocazione e convinzione; l’essere coerente, fino all’autolesionismo; condire il tutto con un forte ironia.
Per questo ancora oggi, a oltre vent’anni dalla sua scomparsa, nei suoi scritti, nei pensieri e soprattutto nei giudizi taglianti si ritrovano verità assolutamente attuali”. Prezzolini dell’ironia fece l’arma più efficace per testimoniare un mondo di banalità e conformismi, sconfinando spesso nell’amarezza e nella rassegnazione.
“In Italia nulla è stabile, fuorché il provvisorio”, amava ripetere. Quando nel 1974 l’editore Rusconi gli rese omaggio pubblicando un’Antologia de La Voce, non esitò a definirla il “mio monumento funebre”.
A Pertini, che a nome di tutti gli italiani lo invitava a tornare a vivere in Italia, replicò divertito: “Stia tranquillo Presidente! In Italia ci vengo tutti i giovedì a comprare la verdura”, alludendo alle brevi puntate che da Lugano faceva per far spese oltreconfine.
Anticonformista, indipendente, pignolo, pronto alla battuta, sarcastico, Giuseppe Prezzolini, che grandi giornalisti del calibro di Missiroli, Longanesi, Ansaldo, Montanelli hanno riconosciuto come loro maestro, non amava elogi eccessivi e la retorica, al punto di respingere una candidatura al Nobel.
AGI – C’è una notizia che non troverete quasi da nessuna parte sulla stampa italiana e che pure è un duro colpo per gli amanti di quella ‘letteratura di intrattenimento’ che è insieme, per l’appunto, letteraria e coinvolgente.
Luca Di Fulvio, uno degli autori dal percorso più misterioso nella storia dell’editoria italiana, se n’è andato, divorato dalla Sla a 66 anni, quasi ignorato in morte come lo era stato in vita, ma solo in Italia.
Eppure in Paesi come Germania e Francia – dove si legge molto più che in Italia – era così amato da essere un ospite fisso delle parti alte delle classifiche di vendita.
Ma come è possibile che un autore abbia più successo fuori dai confini che nelle patrie librerie? Misteri del mercato, senza dubbio, ma forse anche di un certo conformismo del gusto che porta a preferire al mestiere le sperimentate formule alchimistiche delle scuole di scrittura. Pietre filosofali – o presunte tali – che generano in serie ondate tematiche che spaziano dal racconto di formazione all’intimismo esistenziale cercando di sostanziarsi più nei rimandi e negli ammiccamenti alle mode ideologiche del momento che alla reale sostanza di quello che – da che mondo è mondo – dovrebbe essere alla base di qualunque narrazione: la storia.
Addio, quindi, a un principe delle storie, quale è stato proprio Luca Di Fulvio, scrittore e drammaturgo, ricordato con commozione più dai suoi lettori che da critici e studiosi che sembrano aver dimenticato capolavori come ‘La scala di Dioniso’ (pubblicati nel 2006 da Mondadori) e soprattutto ‘La gang dei sogni’ (edito nel 2008 da Mondadori) da cui qualunque produttore con un minimo di lungimiranza avrebbe tratto già da un pezzo una straordinaria serie tv.
Merito di Rizzoli se abbiamo in Italia i suoi ultimi lavori, ‘La ragazza che toccava il cielo’ e ‘Il bambino che trovò il sole di notte’, pubblicati con enorme successo prima in Germania che in Italia.
“Luca non c’è più, ma resterà sempre con me, con noi Grazie a tutti voi per l’affetto di questi anni e per aver accolto le sue storie”, ha scritto la moglie Elisa su Instagram. “Il destino ha sempre attraversato i miei libri” diceva Di Fulvio in un’intervista, “il concetto di destino immagino sia nato con l’uomo. È la storia che gli dei hanno scritto per noi. Nel destino credo che inconsciamente cerchiamo una ragione all’esistenza. Una specie di geometria che giustifica le domande alle quali non c’è risposta. L’altro aspetto del destino – e questo ha a che fare con la mia sfera personale – è quello della scelta. Scegliersi il proprio destino. Tracciare la propria via. E questo aspetto giustifica noi stessi, singolarmente”.
A lui è toccato un destino davvero bizzarro e per molti versi crudele.
AGI – “Per favore, niente cappuccino dopo mezzogiorno”. È l’appello ai tanti turisti che spesso pasteggiano con un bel cappuccino alternandolo, magari, anche ad una carbonara.
Lo ha lanciato, immortalata con tanto di fotografia con Fontana di Trevi sullo sfondo e scritta ben in vista tra le mani, la creatrice della pagina Rome Italy Travel, ispirandosi a Dude With Sign, la seguitissima pagina Instagram di un ragazzo texano che con un cartello tenuto alto sopra la testa si fa promotore di proteste perlopiù inutili, dall’avocado che dovrebbe durare più a lungo ai bocconcini di pollo che dovrebbero essere in ogni menu.
Ma nel segnalare appello e notizia, il Gambero Rosso scrive che “ognuno ha la libertà di fare quel che gli pare, sempre se non lede la libertà altrui, e che pure noi italiani ogni tanto profaniamo le cucine degli altri (vedi ad esempio l’inondare di salsa di soia il sushi)”, per poi aggiungere: “L’abbinamento cappuccino e salato è uno dei capisaldi della colazione ligure. Cappuccino e focaccia vi dice niente? Dunque, perché non dovremmo servire un cappuccino al turista che sta mangiando la regina indiscussa di Roma, la pizza bianca?”
Insomma, la rivista gourmet per antonomasia, quella che ha sdoganato i cuochi trasformandoli in chef, spezza una lancia in favore di una tra le trasgressioni turistiche più sotto accusa. Tanto che il Gambero sottolinea: “Sempre rimanendo nei toni scherzosi, quando abbiamo letto quel cartello il pensiero è andato subito alle versioni del cappuccino degli chef (deformazione professionale), in primis l’intramontabile Cappuccino di seppie al nero di Massimiliano Alajmo, entrato in carta a Le Calandre nel 1997 e praticamente mai uscito dal menu, oggi proposto nella degustazione dedicata ai classici, da scegliere in alternativa al vegetariano Cappuccino Murrina. Cappuccino che si è trasformato in quello della Laguna nel ristorante Quadri, cambiando di volta in volta in base all’arrivo del pesce al mercato di Rialto. Sempre da mangiare pescando in fondo con il cucchiaio”. Ma altro cappuccino famosissimo è quello di Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana Modena tra i più gettonati e in vista in Italia e all’estero, basato su “una zuppa cremosa di cipolle e patate servita in tazza, con sopra uno schizzo di aceto balsamico tradizionale”.
AGI – “Scaldati era Kurosawa, Fellini, Bunuel, e i fumetti di Alan Ford: era l’anima sognante e tragica di Palermo”. Melino Imparato è l’erede di Franco Scaldati, il drammaturgo, poeta e attore siciliano che Palermo sembra aver dimenticato a dieci anni dalla scomparsa. “Scaldati era mio amico, un mio fratello, il mio maestro”, dice all’AGI Imparato, che porta avanti con la propria compagna il progetto teatrale del grande drammaturgo siciliano, raccogliendone il testamento spirituale e artistico.
“In realtà – sottolinea Imparato – questo testamento lo dovrebbe raccogliere Palermo, ma purtroppo della grandezza di Scaldati Palermo non si è accorta neanche quando lui era vivo. Noi cerchiamo di portare avanti un compito difficile, che già per lui era difficile. Al funerale di Scaldati, il 2 giugno del 2013, l’allora assessore Giambrone disse che Palermo aveva un debito con Scaldati, e questo debito non è mai stato saldato. Oggi bisognerebbe farlo, e con gli interessi. Bisognerebbe mettere a punto un progetto complessivo sulla figura di Scaldati”.
Nato a Montelepre, un paesino alle porte di Palermo, Scaldati si trasferisce ben presto in città con la famiglia; qui intraprende gli studi, che lascia prima di conseguire la licenza elementare. A soli dodici anni – si legge in una biografia sul sito della Fondazione Cini, che ha acquisito l’archivio del drammaturgo – inizia a lavorare in una sartoria frequentata da attori teatrali; questa sua professione sarà all’origine del soprannome “il Sarto”, e si rivelerà fondamentale per lo sviluppo del suo interesse per il teatro e per la professione dell’attore.
Nel 1964 entra nella compagnia di Nino Drago e debutta come co-protagonista in Ricorda con rabbia di John Osborne; in questo periodo e per quattro anni sul palcoscenico del Teatro Bunker rappresenta testi di Samuel Beckett, Eduardo De Filippo, Dario Fo e Luigi Pirandello, ed entra in contatto con alcuni degli interpreti che gli resteranno accanto a lungo: Gaspare Cucinella, Melino Imparato, Ninni Truden, cui poi si aggiungono successivamente, tra gli altri, Gigi Burruano, Fabio Cangialosi, Toti Giambertone, i fratelli La Bruna, Rory Quattrocchi, i fratelli Spicuzza, Tobia Vaccaro. Nel 1974, insieme allo stesso Nino Drago, fonda il Piccolo Teatro di Palermo. Nel 1975, all’indomani della prima rappresentazione di Il pozzo dei pazzi, fonda la storica Compagnia del Sarto, che resta attiva tra gli anni Settanta e Ottanta.
Nel 1984 recita a fianco di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nel film Kaos, diretto dai fratelli Taviani. In questo periodo mette in scena alcuni tra i suoi più noti testi teatrali, tra cui Il cavaliere Sole (1979), La guardiana dell’acqua (1981), Indovina ventura (1983), Assassina (1984): sono alcuni dei suoi capolavori insieme a Il pozzo dei pazzi, La guardiana dell’acqua, Occhi. “Vorrei essere – spiegò al regista e amico Franco Maresco, secondo quanto e’ riportato dalla studiosa Viviana Raciti in ‘L’immaginario devoto tra mafie e antimafia’, (Viella editrice) – la spina nel fianco del teatro italiano, solo che gli altri se ne fregano; il mio è un teatro che parla di cose vere, di emozioni vere e si pone continuamente il problema del perché fare teatro, perché esserci, porsi il problema per chi fare teatro. Il nostro è un teatro che è portatore di poesia, una poesia violenta nel senso che si chiede continuamente che cosa fare, e chiede implicitamente un cammino verso un rapporto più solidale fra gli uomini, e che non si guarda allo specchio, che non si appaga di sé stesso”.
Proprio quando il successo arriva sulla scena nazionale Scaldati lascia, per fondare, nella Palermo più profonda, un laboratorio teatrale nel quartiere popolare dell’Albergheria. “Raccontando, dunque assumendosi il ruolo di portavoce di un’intera comunità vessata – spiega ancora Raciti, che ha curato la sistemazione dell’archivio del drammaturgo per la Fondazione Cini – il teatro di Franco Scaldati dona dignità di parola ai vinti, agli ultimi. Il suo teatro serve perché’ ci si possa affrancare da quella condizione di miseria, da quello sgomento culturale, sociale e identitario nel quale Palermo vive da tempo”.
“Ancora oggi – dice Imparato – le sue opere sono seguite dal pubblico, sebbene quella Palermo non esista più: era una Palermo santa e tragica, mentre oggi, che ha perso la sua anima più vera, assomiglia ad altre città del mondo, a Helsinki o a Londra. Palermo era una metafora, attraverso cui Scaldati raccontava l’umanità, la violenza, la bellezza e la bruttezza, il mondo fantastico e surreale“.
I personaggi di Scaldati, che inevitabilmente si serviva del dialetto, sono spesso le ‘ombre’ delle città: strozzini, prostitute, confidenti di polizia, piccoli criminali, manovalanza della mafia che il drammaturgo in qualche modo ‘protegge’ perché’ sa che sono anche loro vittime, sommersi e non salvati. Le stragi del 1992 e l’omicidio di don Pino Puglisi a Brancaccio segnano anche per lui uno spartiacque, con cui fare i conti: “A quest’ora – recita il testo ne ‘Il ventre di Palermo. Sulle tracce di Falcone e Borsellino’ – i signorini escono belli imbellettati. Alla vista di quali occhi succede il fatto? Lì intorno nessuno c’era, interessato alla cosa, ma l’anima dello spione si confonde nella penombra. Privo di luce un occhio vede non visto. La mano s’alza con un gesto rituale. Una goccia di fuoco lacera la cupa ombra. Il colpo della pistola fu un lampo di sangue. Il leone ghiaccia, le mosche in aria si fermavano pure l’orchestra degli angeli ammutolì. Fu il suo cuore la tana di un suo astro arcano. All’imbrunire di nascosto si incontrano i fidanzati. Inizia una cosa e un’altra muore”.
AGI – Un concerto per pianoforte e voce, circondati da centinaia di candele accese a terra, nella meravigliosa scenografia offerta dalle Terme di Caracalla: Fiorella Mannoia e Danilo Rea, hanno dato il via a “Luce”, uno spettacolo che andrà in tournée toccando diverse località italiane, dal 1 giugno al 2 settembre. Un concerto raffinatissimo, di cui Roma ha avuto il primo assaggio, con la cantante salita sul palcoscenico in abito da sera rosso, tacchi alti dopo poco sfilati per proseguire scalza e stare più comoda, accompagnata da Rea, pianista di indiscutibile talento che ha deliziato il pubblico venti minuti prima dell’ingresso di Mannoia con un medley di successi cantautorali rivisti in chiave jazz.
In quasi due ore, gli artisti hanno creato un sodalizio straordinario, dando vita ad un live piano-voce che ha permesso a entrambi di esprimere tutto il proprio talento senza il supporto di altri strumenti musicali. Uno spettacolo che sarà una vera “chicca” per questa estate 2023. Un concerto intimo, che suggella l’incontro fra pop e jazz. “Conosco Danilo da oltre 30 anni – ha raccontato la cantante romana – siamo amici, ci siamo incontrati sui palchi. Abbiamo deciso di unire la nostra alchimia visto che siamo da sempre in sintonia e da qui, è nata l’idea di questo spettacolo”.
Perché si chiama “Luce”? “Sul palco ci sono le candele, il pianoforte e noi – ha spiegato ancora Mannoia – volevamo creare atmosfera con il minimo indispensabile e abbiamo pensato che togliendo tutto, le candele avrebbero sottolineato questa unicità“. “È un modo per dare un senso onirico a tutto – ha aggiunto Rea- attraverso l’essenzialità di voce e pianoforte. Ci sono generi musicali che hanno bisogno di tanti supporti. Ma una dimensione come la nostra, intima, non aveva bisogno di ulteriori abbellimenti”. Mannoia e Rea hanno interpretato brani del loro repertorio e pezzi di natura cantautorale a cui sono affezionati.
”Per me – ha detto Mannoia – una canzone del cuore è ‘Margherita’. Un testo che Cocciante non canta con nessuno. E che invece io ho avuto la fortuna di interpretare una volta con lui. E poi, io l’ho cantata agli inizi della mia carriera, partecipando ad una trasmissione con una gara, ed è partito tutto da li”. E l’amore che Mannoia ha per questa canzone, è uscito tutto al momento dell’interpretazione: la prima parte l’ha cantata solo in voce, nel silenzio assoluto, per poi proseguire con il supporto del pianoforte.
Voce e piano anche per “La donna cannone”, per un omaggio a Franco Battiato con “La Cura”, a Lucio Dalla con “Felicità”, a Lucio Battisti e la sua “E penso a te”, Paolo Conte con “Via con me”. E poi classici come “Sulo pè parlà”, “Besame mucho” e “Quizas Quizas”, “Messico e Nuvole”, fino a brani di grande successo per Mannoia come “Quello che le donne non dicono”, “Come si cambia”, “I dubbi dell’amore” e la bella interpretazione che la cantante dà di “Sally”, di Vasco Rossi.
“Noi – ha detto ancora Mannoia – siamo la dimostrazione che il pop e il jazz si possono incontrare. Danilo non ha avuto nessuna spocchia contro il pop e viceversa”. La scaletta è aperta, “ qualche volta cambieremo – hanno spiegato gli artisti – Non so, magari daremo vita a collaborazioni man mano che andiamo in varie piazze. Se capita”. “Suoniamo le canzoni della nostra vita – ha detto Rea – Ogni volta che lo abbiamo fatto siamo entrati in una atmosfera magica, ricca di emozione, forse perché sappiamo che ogni concerto sarà diverso dall’altro”.
In chiusura della data di Roma c’è spazio anche per “Che sia benedetta”, brano sanremese cantato da Mannoia, scritto dalla cantautrice Amara che è salita sul palco delle terme di Caracalla per interpretarlo insieme. E a proposito di Sanremo, alla domanda di una nuova partecipazione al Festival, Mannoia non si tira indietro ma chiarisce che al momento non ci pensa: “Non è ora nei miei progetti, se viene fuori una bella canzone, quella giusta, allora vediamo”.
Un nuovo programma Tv? “ Idee ne abbiamo tante, sono disponibile a farne altri certo, se mi lasciano la libertà che abbiamo avuto nel chiamare chi volevo e sui temi che volevo trattare. Allora, in quel caso perché no?”. Spazio anche alle iniziative a tema sociale come “Una, Nessuna, Centomila”: “Stiamo pensando di tornare a fare qualcosa. Mi sembra evidente che ce ne è bisogno”, ha detto Fiorella Mannoia, “Non vogliamo che quella manifestazione resti un evento sporadico – ha aggiunto la cantante – abbiamo idee e progetti in proposito. Ci saranno novità”.
E sul concerto per l’Emilia Romagna la risposta non lascia spazio a repliche: “Era doveroso farlo. Non potevamo abbandonare i nostri connazionali che hanno subito. Ricordo che con l’iniziativa ‘Una, Nessuna e Centomila a Campo Volo, abbiamo raccolto più di due milioni di euro. Quindi si fa. Sarà una goccia nel mare ma non si può non fare”, ha concluso la cantante.
AGI – Al Pacino e la sua fidanzata, la produttrice Noor Alfallah con cui l’attore 83enne è legato dall’aprile 2022, aspettano un bambino. Lo ha confermato il suo agente a The Hollywood Reporter dopo che per primo il sito TMZ ha dato la notizia.
L’attore premio Oscar 1993 per ‘Scent of a Woman’ ha già una figlia di 33 anni, Julie Marie, avuta con l’ex fidanzata Jan Tarrant, e due gemelli di 22 anni con l’ex Beverly D’Angelo. Nel 2014, l’attore ha parlato al New Yorker di cosa significhi essere padre e ha dichiarato che avere dei figli lo ha aiutato a colmare il “legame mancante” che sentiva da quando suo padre lasciò lui e sua madre quando era un bambino.
“Sapevo consapevolmente che non volevo essere come mio padre – ha dichiarato all’epoca la star irlandese alla rivista – volevo essere presente. Ho tre figli. Sono responsabile nei loro confronti. Sono parte della loro vita. Quando non ci sono, è sconvolgente per me e per loro. Quindi questo fa parte della gestalt”.
Ha continuato: “E ne traggo molto beneficio da questo: ti porta fuori da te stesso. Quando faccio un film e torno, sono stordito per i primi venti minuti – ha aggiunto – queste persone mi chiedono di fare delle cose per loro? Eh? Non mi aspettano? Aspettate un attimo. Oh-oh, si tratta di loro! Questa azione mi soddisfa. Mi piace”.
All’inizio del mese, il co-protagonista de ‘Il Padrino Parte II’ e buon amico di Pacino, Robert De Niro, ha rivelato di aver recentemente dato il benvenuto al suo settimo figlio a 79 anni. Nonnetti molto arzilli.
AGI – Van Gogh in un succedersi di pennellate, disegni e dipinti, i cui soggetti vengono resi dinamici e restituiti a una dimensione ‘reale’ grazie al video-mapping. Dopo il successo in giro per il mondo con oltre 5.000.000 di visitatori, Exhibition Hub e Fever, annunciano l’arrivo a Milano, a Lampo Scalo Farini dal 1 giugno 2023, di Van Gogh: The Immersive Experience: un viaggio tra le opere di uno dei più grandi geni artistici del XIX secolo, tra campi di girasoli e mandorli in fiore.
L’esposizione, per la prima volta in Italia completamente rinnovata nella proposta tecnologica, combina arte digitale, contenuti educativi e nuove esperienze di realtà virtuale per offrire un’avventura immersiva: 60 proiettori animeranno 350 capolavori di Van Gogh visibili a 360 su una superficie di 2000 metri quadrati tra pavimento, pareti e soffitto.
Ci sarà un’area dove sarà proiettato un documentario per scoprire tutti i segreti della tecnica pittorica di Van Gogh, una sala dedicata al suo Studio e un’altra area denominata “Colora ed esponi” – interamente riservata alla fantasia dei visitatori che potranno realizzare e visualizzare su un grande schermo le proprie creazioni ispirate ai quadri più famosi dell’artista, oppure portarle con sé come ricordo della mostra.
L’allestimento milanese presenta in esclusiva la sala del Giapponismo con le opere in cui Van Gogh si è lasciato ispirare dall’arte delle stampe giapponesi. Grazie alla realtà virtuale è inoltre possibile esplorare “Un giorno nella vita dell’artista”: un’esperienza multisensoriale di 10 minuti per indagare ancora più a fondo il processo creativo del maestro olandese e scoprirne l’ispirazione per alcuni dei dipinti da lui più amati come La camera di Vincent ad Arles e la Notte stellata sul Rodano.
“L’attenzione che dedichiamo all’esperienza immersiva inizia per il visitatore dai primi metri del percorso per accompagnarlo fino all’uscita e anche oltre – spiega Mario Iacampo, CEO e Direttore Creativo di Exhibition Hub -. Questo modo, nuovo e assolutamente contemporaneo di vivere l’arte, offre infatti agli ospiti della mostra la possibilità di apprezzare ancora più a fondo il genio di Van Gogh in un ambiente davvero trascendente”.