AGi – Taormina non è stata così gremita come in questi giorni, in occasione del Taormina Film Fest e la folla oceanica che si era ieri sera concentrata sulla piazza IX aprile del Blue Carpet fin dal primo pomeriggio, non ha consentito alla fine al cast di “Indiana Jones e il quadrante del destino” di presenziare al photocall.
Ma Harrison Ford e gli interpreti del film si sono fatti perdonare dai migliaia di fan giunti in Sicilia da molteplici destinazioni quando, davanti alla gremitissima platea del Teatro – tutto sold out – sono apparsi con una scoppiettante sorpresa: i fuochi d’artificio intorno allo schermo che proiettava immagini di Indiana Jones davanti al mare della Sicilia, peraltro location di alcuni set. Presenti sul palco, insieme a Ford, anche Mads Mikkelsen, Phoebe Waller-Bridge, introdotti dai co-conduttori della serata, Fabio Rovazzi ed Elvira Terranova.
Il presidente di Walt Disney Italia Daniel Frigo ha salutato sul palco i centinaia di bloggers, influencer e youtubers accorsi da ogni parte del mondo. A fare gli onori di casa il sovrintendente della Fondazione Taormina Arte Sicilia, Ester Bonafede, il direttore artistico Beatrice Venezi e il direttore esecutivo e co-direttore artistico della manifestazione, Barrett Wissman.
Nel pomeriggio grande attesa per la masterclass di John Landis, in programma alle ore 18:00 a Casa Cuseni. Il re della commedia parlerà del suo percorso e dei film che hanno segnato la sua carriera e il suo stile: a tale proposito è in corso alla Casa del Cinema di Taormina fino al 1 luglio, una retrospettiva dei suoi film più belli e di quelli scelti da lui (titoli ed orari sul sito ufficiale) In arrivo, sul Blue Carpet di oggi, la regista A.V. Rockwell e la star musicale Teyana Taylor, che al Teatro Antico proietteranno il film A thousand and one.
Un’opera già premiata al Sundance Film Festival, che vede la Taylor nei panni di una donna libera e impenitente che rapisce il figlio di sei anni dal sistema di affidamento per recuperare il senso di una casa, identità e stabilità con le difficoltà di una metropoli, New York, in rapido cambiamento. La regista terrà una masterclass domani, alle ore 16:00, a Casa Cuseni. Alle 10:30 di domani, invece, in arrivo per una speciale masterclass al Palazzo dei Congressi di Taormina, Bella Thorne e i protagonisti di “Influential Shorts”: insieme a lei ci saranno i talent e influencer Adriana Lima, Khaby Lame, Eva Vik e Leaf Lieber.
AGI – Ancora un’ondata di tentativi di tormentoni estivi, sperando siano gli ultimissimi colpi di tosse di questo male che ammorba la discografia italiana con vorace spietatezza. Anche perché poi i risultati non sono esaltanti. Lazza, Blanco e Sfera Ebbasta, il tridente che i nostri degenerati giovini aspettavano, floppano; meglio Tananai e Marracash, meglio Management con Lo Stato Sociale, meglio ancora Levante. Male Rhove, male Federico Rossi, male Gio Evan, anche se il pezzo lo ha scritto in sogno con la Carrà…eh vabbè. Una perla di rara bellezza il pezzo di Colombre e chiello, brave le ex X Factor Lucrezia e Linda, ottimo il rap proposto da Vegas Jones nel suo disco. Chicca della settimana: Giacomo Lariccia feat. Peppe Voltarelli con “L’attendente Cancione in bicicletta – (Dieci)”
A voi le nostre recensioni.
Drillionaire feat. Lazza, Blancoe Sfera Ebbasta – “Bon Ton”: Se sei un producer in gamba, e Drillionaire lo è senza alcun dubbio, devi trovare voci e penne che siano capaci di reggere il suono che hai architettato per il tuo brano, altrimenti è come vestire trendy tuo nonno; insomma, il giochino non funziona. Ecco, per questa “Bon Ton” le convocazioni sono di tutto rispetto, Lazza, Blanco, Sfera Ebbasta, sono artisti se non eccezionali, se non da includere tra i nostri grandi autori (proprio no, il trapper di Cinisello Balsamo in realtà quello status la vedrà, sospettiamo, solo col binocolo), perlomeno centrati, con stili e caratteri precisi. Certo però che non è che un brano diventa un buon brano solo perché accanto al titolo ci sono buoni artisti, poi questi artisti qualcosa devono metterla insieme. “Bon Ton” in questo senso è un brano piuttosto superficialetto, manifesto di una generazione di ragazzi ultrafighi ma che in quanto a cose da dire, quando va bene, ne azzeccano una su dieci; questa non è quella volta lì. Merk & Kremont feat. Tananai e Marracash – “Un altro mondo”: Non è che questo recupero della dance cantata anni ’90, con queste casse che macinano impietose, ci faccia impazzire, sarà che conserviamo un’idea di quel mondo lì abbastanza leggera e poco esaltante; però la storia cambia se il suddetto cantato viene affidato a due artisti veri come Tananai e Marracash, che forse sbagliano, paradossalmente, proprio nell’andare ben oltre Merk & Kremont, appoggiando un contenuto articolato e autoriale (d’altra parte sono autori) su una base forse eccessivamente martellante. Il tutto alla fine funziona, fossero sempre questi i tentativi di hit, però diciamo che le due linee, musica e testo, viaggiano su due binari diversi. Levante – “Canzone d’estate”: Un brano davvero affascinante, la fine di un amore mentre la stagione esplode di colori e gioia, un agrodolce che ti immortala lì, da solo, nel mezzo, con questo ritmo andante che bussa alla porta, che ti tira fuori per i capelli, e il cuore a pezzi, l’anima sotto le scarpe e nessuna certezza in tasca. “Canzone d’estate” suona come la hit che non è, perché è molto di più, ed è comunque la migliore hit dell’estate, forse tra i migliori brani proposti dalla Levante post rivoluzione indie. Management feat. Lo Stato Sociale – “Non la vedo bene”: A colpi di schitarrate i Management e Lo Stato Sociale suonano una sirena d’allarme per come impieghiamo il nostro tempo a disposizione; tentano di liberarci da routine, ossessioni, meccanismi mortali che ci incastrano rubandoci pezzi di vita senza darci in cambio alcunché. “Non la vedo bene” si inserisce perfettamente nella narrazione del bellissimo “Ansia capitale”, risultando, a guardar bene, anello fondamentale di quella catena di brani volti non solo a confermarci quanto i Management siano una delle più interessanti proposte musicali della nostra scena, ma anche quanto il nostro pensiero abbia bisogno di stimoli per evolversi e migliorarsi, magari anche attraverso un’analisi impietosa e onesta. Oppure con una buona canzone. Rhove – “Ancora”: Come si possa utilizzare il sample di un brano così delicato come “I’m Yours” di Jason Mraz per tirare fuori dal cilindro una cafonata ti tale livello è una roba che servirebbe un pool di scienziati per spiegarla come si deve. Azzeccare un brano non fa di te un artista, fa di te un ragazzo fortunato, ma quella fortuna poi presenta il conto, te la devi meritare, andando oltre, dando qualcosa, in questo senso Rhove al momento ci risulta arido come il Sahara. Gio Evan – “Carrà”: Leggiamo che questo pezzo sarebbe stato direttamente consegnato in sogno a Gio Evan da nientepopodimeno che Raffaella Carrà; non si spiega il motivo per cui la divina abbia scelto, tra tutta l’immensità di artisti a disposizione nel panorama musicale italiano, proprio Gio Evan, ci sfugge proprio la connessione. Sarà che invece, semplicemente, “Carrà” ricorda fortemente (o si ispira, questo non è specificato) “Tanti auguri” della Raffaellona nazionale, pace all’anima sua, che cerca di replicarne anche l’allegria genuina e definitiva, ma ottenendo solo un’altra sequela di sfacciato ed irritante ottimismo. “Difficile da credere ma ho scritto questo brano con lei” ci tiene a comunicare Gio Evan; no, non è difficile, mica sei l’unico ad essersi preso una sbronza, noi una volta, uscendo dal bar, eravamo convintissimi di aver scontrato per sbaglio camminando Fabrizio Bracconeri, ma gli amici, con la geniale perfidia che li contraddistingue, dopo avermi lasciato libero di sguinzagliare un paio di chiacchiere amichevoli su “I ragazzi della Terza C” ed il significativo ruolo che ha avuto nella nostra vita Sharon Zampetti, ci hanno fatto notare che si trattava di una cabina del telefono. Insomma, capita, ma mica ce ne vantiamo dopo. Colombre feat. chiello – “Adriatico”: Un tuffo in un mare di musica rigenerante, offerto da due artisti, Colombre e chiello, che da quando hanno incrociato le spade ci regalano solo illuminanti scintille di cantautorato puro, sensato, espressione artistica autentica e significativa. “Adriatico” è un brano splendido, che ha il sapore dell’acqua salata, quello buono però, quello quando si è stanchi al tramonto, birretta in mano, amici accanto, costume umido, stanchezza rasserenante, una calma atavica nel cuore come di chi si trova nel posto giusto al momento giusto, nudo e ricco. Un brano inciso in punta di penna e che si incastra alla perfezione dentro “Realismo magico in Adriatico” di Colombre, uno dei migliori album della stagione. svegliaginevra – “La tua ragazza”: Pop non memorabile ma contemporaneo, svegliaginevra si conferma ragazza dotata di orecchio e gusto, ora forse serve giusto tradurre con maggiore autorialità l’indole alla narrazione, smussando angoli, ricercando le parole oltre alle situazioni. Ma è giovane, canta per un pubblico giovane e racconta storie di giovani e spesso ai giovani le storie, semplicemente, le storie, bastano, desiderosi di riconoscersi in qualcosa ancor prima di alzare la mano per farsela spiegare. Ecco “La tua ragazza” racconta molto bene, senza dare spiegazioni, ma scattando una semplice foto, venuta particolarmente nitida. Federico Rossi – “Maledetto mare”: Un brano che ci conferma solo quanto questa separazione di Benji & Fede sia stato un passaggio inutile e anche discretamente dannoso per noi; nel senso che le canzoni hanno lo stesso inesistente spessore, ma essendosi separati ora sono il doppio, un problema, lo assicuriamo, se di lavoro ti tocca ascoltarle. “Maledetto mare” non gira, le intuizioni proposte sono stantie, la costruzione del testo da scuola media, l’intento artistico superficiale, non è che non ci da alcuna ragione per scriverne bene, non ci da proprio alcuna ragione per ascoltarlo. Neima Ezza – “Bella”: Un ritratto semplice ed efficace, la bellezza di una ragazza raccontata non come vuoto canone estetico ma come resistenza ad un mondo che ti può togliere tanto ma non tutto. Un percorso interessante che fa scopa con l’interessante modalità con la quale il producer Dystopic lo fa suonare. Bravi tutti insomma. Vegas Jones – “Jones”: Il rap di Vegas Jones suona proprio bene; flirta con il pop ma non casca nella trappola del trend a tutti i costi, porta a casa dei featuring con colleghi in grado di arricchire l’offerta e non solo il parco stream, per dire, i duetti con Gemitaiz, con Quentin40 ed MV Killa, con Nitro e Nayt, e con Mostro (specialmente) sono perfetti. Vegas Jones sembra avere una chiarissima idea del concetto di canzone, canzone cui fine è la canzone stessa, canzone mezzo di espressione da tenere separato dalle logiche del mercato, canzone che deve arrivare a chi ascolta ma, per l’amor di Dio, deve anche partire, ingranare, arricchirci. “Jones” è un ottimo disco che speriamo non rimanga intrappolato tra le liane di questa giungla discografica. Cricca – “Cricca”: Ci prova, Cricca ci prova, Cricca perlomeno ci prova. Le canzoni sono gracili, inutile negarlo, alle volte talmente sottili da risultare quasi trasparenti, la sua voce poi è poco incisiva, troppo pulita e priva di carattere, ma almeno Cricca ci prova. Intendiamo proprio a dire qualcosa che non strizzi necessariamente l’occhio al pubblico, specie il suo, ereditato da un programma televisivo, quindi che ama essere imboccato e se non lo accontenti si volta dall’altra parte, posto che dall’altra parte si volterà già quando partirà la nuova edizione dello show. Cricca non imbocca, Cricca ci prova, in certi punti ci riesce perfino, come “Supereroi rework” e “Non mi chiamare amore”; deve migliorare, ma chi è che non deve migliorare, signora mia? Lucrezia – “Fulmini”: Brano schizofrenico, moderno, affascinante, intrigante, Lucrezia fa proprio centro, se questo è il codice con il quale intende parlarci, allora noi spalanchiamo porte e finestre per farla entrare. Finalmente quel talento intravisto a X Factor si stiracchia nella giusta direzione, torna a fare capolino, quindi no, “Molecole” non fu un colpo di fortuna, ma solo l’embrione di una visione che oggi si fa nitida anche per noi. E ci piace. Ci piace assai. Sierra – “Ti volevo dire”: Tutto molto semplice, quadrato, poco sgargiante, tutto privo di appeal, abbastanza noioso perché troppo riferito al sound che va per ora. Sulla carta è un no, visto che i Sierra sanno mettere qualità in ciò che fanno, diciamo proprio no. Junior Cally – “Miracolo”: Un pezzo assembrato male, la produzione dance spinge da un lato, l’intento concettuale dall’altro, entrambi sono sviluppati con troppa superficialità. Non leggerezza, superficialità, che sono due cose diverse. Il brano, semplicemente, non funziona. Linda – “17 anni (panico)”: Una sonora sculacciata generazionale, una canzone talmente diretta da farti sentire quasi in imbarazzo, l’intento è ascoltare e recensire, ma in realtà ti verrebbe quasi da chiedere scusa, anche se non gli hai fatto niente alla Gen Z, almeno credi, ma Linda con questo brano ti mette all’angolo e tira sberle. Non hai modo di difenderti perché è tutto dannatamente corretto ed è anche tutto dannatamente moderno, va veloce, come loro, i cciovani, e tu fai fatica a stargli dietro, riconoscendo, comunque, anche se da lontano, che sono nettamente migliori di noi, affrontano un mondo estremamente complicato con una sensibilità spiccata che li rende vulnerabili, infatti noi ne approfittiamo regolarmente. Brava. No, grazie. No, scusa. Tancredi feat. EDONiCO- “Disperato”: Inutile rivisitazione a quattro mani del classico di Nada “Amore disperato”, inutile perché “Amore disperato” è una canzone perfetta, più attuale di quanto queste nuove quattro mani potranno mai rendere. Infatti il risultato è imbarazzante, presuntuoso, spoglio di quell’ammiccamento, di quella disperazione, quel lacerante graffio. Bocciati. chiamamifaro feat. Asteria – “Santa subito”: Brano colorato che sdrammatizza le menate che ammorbano più o meno ogni coppia mai esistita. La santità in relazione alla pazienza dimostrata in una coppia è un grande classico del dire popolare, una del tutto appropriata celebrazione di ciò che tiene insieme due persone, l’accettazione dell’altro. Tenete lontana “Santa subito” dalle vostre compagne, potrebbero cogliere la palla al balzo per rinfacciarvi pure gli auguri di Natale alla vostra ex del 2011, o magari distraetele con i balletti divertenti ed improbabili che la canzone ispira. O magari amatevi, divertitevi e non se ne parla più. Brave. Giacomo Lariccia feat. Peppe Voltarelli – “L’attendente Cancione in bicicletta – (Dieci)”: Un brano dal sapore di Collodi, la solidità dei grandi narratori insomma, in questo caso alle prese con una furiosa e divertente ricerca della libertà, all’inseguimento delle promesse dell’orizzonte, a bordo di una bicicletta. Pura poesia. Imperdibile. Caffellatte feat. Haiducii – “Troppo Chic (Dragostea Din Tei)”: Pur decretando che più che un brano è il risultato di un brief di marketing, non male l’idea di tentare la hit sulle spalle di un’altra hit, sfruttando forse quel trend, manifestazione plastica della pochezza della musica di oggi, basato sul recupero di brani andati forte vent’anni fa (quando uscì la famigerata “Dragostea Din Tei”) per proporli ad un pubblico che ancora non era nemmeno nato. Quindi “Troppo Chic” è colpa nostra? Si, è anche colpa nostra, che ai tempi quando la wave ci propinò “Dragostea Din Tei” non siamo scesi in strada con mazze chiodate e forconi. Vergo – “Videocall”: Un ritmo leggero che tende al reggeaton per il racconto di una relazione a distanza, che vive, appunto, di videocall. Sarà che il reggaeton “It’s not my cup of tea”, sarà che la modernità smorza un po’ la poesia, sarà anche che, volendo sorvolare su questi due punti, il pezzo comunque è di una noia mortale; ma per noi è un secco no. Lowy feat. Maestro Pellegrini – “Ci vorrebbe il mare”: Pensavamo ad una versione di quel capolavoro di “Ci vorrebbe il mare” di Marco Masini, in realtà quello che Lowy e l’eccellente Maestro Pellegrini fanno è cantare il rovescio della medaglia. “Ci vorrebbe il mare tra noi” recita il testo, quindi un mare per dividere, per mantenere le distanze, giustificare l’assenza e la malinconia. Che è una scelta, come poi viene spiegato, da stupidi…che poi è quello che gli innamorati sono: stupidi.
AGI – Il pittore neo espressionista tedesco Anselm Kiefer e l’esponente dell’arte povera Giuseppe Penone, l’archeologo tedesco Wolf-Dieter Heilmeyer e i ricercatori oriundi turchi che hanno studiato i vaccini a nanoparticelle di mRNA Ozlem Tureci and Uur ahin ma anche il romanissimo graphic novelist Zerocalcare.
L’Accademia dei Lincei ha consegnato oggi i premi Feltrinelli a studiosi italiani e stranieri che si sono distinti nelle diverse discipline, annunciando già per l’anno prossimo un Premio straordinario Antonio Feltrinelli di 250.000 euro per un’impresa eccezionale di alto valore morale e umanitario in favore delle popolazioni colpite dell’Emilia Romagna.
Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente dell’Accademia Roberto Antonelli ha consegnato i premi di una delle più antiche istituzioni scientifiche europee, accompagnati da un assegno di 100.000 euro, in occasione della Cerimonia di chiusura dell’Anno Accademico 2022-2023.
I vincitori dei premi destinati a cittadini italiani sono andati: per la scultura a Giuseppe Penone, per il graphic novel a Michele Rech (Zerocalcare), per la composizione musicale a Fabio Vacchi, per la regia a Pier Luigi Pizzi. I Premi “Antonio Feltrinelli Giovani”, riservati a cittadini italiani, che non abbiano superato il 40 anno di età alla data del 31 ottobre 2022, sono stati destinati: per la bioingegneria a Calogero Maria Oddo, per la chimica ambientale a Raffaele Cucciniello, per l’epidemiologia a Michele Carugno.
È stato inoltre assegnato il premio per un’impresa eccezionale di alto valore morale e umanitario all’Associazione Francesco Realmonte onlus, dedicata alla memoria del professore Francesco Realmonte, docente di diritto civile presso l’Università Cattolica, che si adopera da anni a livello nazionale e internazionale per promuovere il rispetto dei diritti e della dignità delle persone.
AGI – Roma e l’Egitto sullo sfondo delle rovine della Domus Aurea, la ‘casa d’orò in cui Nerone di identificava nel dio Sole degli egizi: si apre domani, su iniziativa del Parco Archeologico del Colosseo, la mostra “L’Amato di Iside. Nerone, la Domus Aurea e l’Egitto” che sarà visitabile fino al 14 gennaio 2024.
L’esposizione raccoglie “decine di preziosi reperti legati alla cultura egizia provenienti dai maggiori musei italiani”, ha osservato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, intervenuto all’inaugurazione, “e ha il merito di valorizzare ancor di più un sito straordinario che non smette di regalare scoperte anche grazie alla costante attività di indagine e restauro svolto dai tecnici del Parco archeologico del Colosseo”. “Un ulteriore tassello di un lavoro che come Ministero continuiamo a condividere”, ha aggiunto.
“Questa mostra”, ha spiegato Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, “vuole soprattutto sottolineare l’impegno del Parco nei confronti del proprio pubblico, posto al centro di tutti i programmi e attività: quello di far ritornare all’antico splendore alcuni ambienti del palazzo neroniano attraverso l’attento e accurato restauro delle preziose pareti dipinte e con rinnovati e coinvolgenti progetti culturali”.
La mostra, curata anche da Francesca Guarneri, Stefano Borghini e Massimiliana Pozzi, rappresenta un’importante occasione per presentare al grande pubblico aspetti nuovi e suggestivi della storia della Roma antica, in particolare il legame tra Roma e l’Egitto nel I sec. d.C. attraverso la figura di un imperatore, Nerone, che con l’Oriente e l’Egitto instaurò, fin dalla giovane età, un rapporto particolare. Protagonista di questo racconto è la Domus Aurea, la “Casa d’Oro”, l’oro del dio Sole con cui Nerone si identificava secondo una visione proprio di matrice orientale.
L’idea della mostra nasce dai recenti lavori di restauro che hanno svelato la presenza di una decorazione egittizzante, con soggetti legati al culto isiaco, nel Grande Criptoportico del palazzo neroniano, ambiente che diventa quindi parte integrante dell’esposizione e strumento per approfondire, attraverso le opere, gli aspetti, gli eventi e i protagonisti della diffusione dell’idea di Egitto nell’immaginario collettivo dei Romani del I sec. d.C.
Una relazione quella di Nerone con l’Egitto che inizia negli anni della formazione con precettori come Cheremone di Naucrati, direttore della biblioteca conservata presso il Serapeo di Alessandria e, Seneca, autore di un’intera opera sull’Egitto e che continua nella vita adulta con il matrimonio con Poppea Sabina, appartenente a una famiglia vicina ai culti isiaci.
Il titolo stesso della mostra, nell’espressione “Amato di Iside“, richiama la definizione usata da Nerone nel nome di intronizzazione testimoniato nel tempio di Dendera, in Egitto; qui l’imperatore, oltre che “Autokrator Neron”, è infatti detto “Re dell’Alto e Basso Egitto, Signore delle Due Terre, Sovrano dei Sovrani, scelto di Ptah, amato di Iside”.
L’espressione sottolinea il particolare legame dell’imperatore con la dea che ritorna anche nella raffigurazione di Nerone nell’atto di offrire un piccolo mammisi ad Iside, immagine particolare questa che si discosta da quella canonica in cui l’offerta è alla dea Hathor, la Grande Signora del Centro. Un viaggio affascinante nel profondo legame che univa la Roma antica alla storia egiziana.
AGI – Al mattino presto, al calar del sole, a metà giornata. Ogni momento è buono per praticare yoga. Una disciplina per tutti, che fa bene al corpo e alla mente. Il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate, in tutto il mondo si celebra la giornata internazionale dello yoga con milioni di praticanti che partecipano alla festa. Tante le iniziative organizzate in Italia.
A Roma, l’appuntamento è alle 18,30 al Circo Massimo per una celebrazione collettiva e una lezione in collaborazione con l’Ambasciata dell’India in Italia che in questi giorni ospita molte iniziative. A Milano, i tappetini si distenderanno dalle ore 19 all’Arena Civica Gianni Brera, a Firenze, si pratica al Conventino in una giornata dedicata al benessere, alla salute, all’equilibrio del corpo e della mente. Ma non solo, in tutte le città ci sono feste e iniziative, seminari e workshop per far conoscere le pratiche dello yoga così come i suoi benefici e quelli dell’Ayurveda.
Una scelta, quella della pratica yoga, sempre più diffusa erroneamente scambiata per una moda. Non può essere moda una disciplina antichissima con radici ben strutturate in ambiti come induismo e buddhismo, e che non implica la necessità di abbracciarli. Se il numero dei praticanti cresce di anno in anno nel mondo, è solo perché lo yoga fa bene e chi lo pratica lo sa. Al punto da essere consigliato anche a chi fa sport a livello agonistico, come complemento. Lavorando su muscoli e cervello, il corpo si armonizza e tonifica e concede un benessere che non conosce limiti d’età. In poche parole, lo yoga è per sempre.
“Il numero dei praticanti di yoga è molto fluttuante e difficile da definire con assoluta precisione – dice all’AGI Svamini Shuddhananda Ghiri, responsabile Dialogo e comunicazione Unione Induista Italiana Sanatana Dharma Samgha – Ciò detto, si stima che in Italia i praticanti siano circa due milioni cinquecentomila; nel mondo le statistiche riportano un numero di circa 300 milioni. Negli ultimi anni l’interesse per lo yoga e la sua pratica sono cresciuti e continuano a crescere in maniera esponenziale. È difficile poi stimare il numero delle scuole yoga in Italia. Se contano quasi 2000 o forse più”.
La giornata internazionale dello yoga, è stata promossa dal Governo indiano con la volontà di sensibilizzare il mondo intero sui numerosi benefici di questa antica disciplina. E questo, spiega ancora l’esperta, “considerando anche l’ampia diffusione dello yoga in ambiti disparati da quello della salute, della prevenzione, e della cura integrale dell’essere umano, dall’etica alla ricerca ascetica. Riconoscendo l’appello universale dello Yoga, l’11 dicembre 2014, le Nazioni Unite hanno proclamato il 21 giugno Giornata Internazionale dello Yoga. La risoluzione rileva ‘l’importanza che gli individui e le popolazioni facciano scelte più sane e seguano stili di vita che promuovano una buona salute’”.
Lo yoga è vissuto, oggi, con finalità e gradazioni distinte. “C’è chi cerca nello yoga uno strumento di benessere psicofisico – spiega ancora Shuddhananda Ghiri – c’è chi, invece, lo vive come strumento di ricerca spirituale e ascetica. Al giorno d’oggi, lo yoga ha benefici potenziali enormi, soprattutto perché implica l’osservanza del dharma, ossia dell’insieme di valori etici e comportamentali di cui la non violenza, la verità, il non possesso, la non avidità, e sono i pilastri.
Da questa prospettiva, lo yoga non solo è rivoluzionario rispetto alle tendenze al profitto e all’apparire, tipiche del mondo globalizzato, ma può essere davvero fautore di armonia sociale. Lo yoga propone una visione positiva della vita, rispecchia la concezione di sacralità di tutto ciò che vive, instaurando con la natura e gli animali un rapporto di profondo scambio e rispetto.
Lo yoga è al di là delle ideologie, insegna a pensare e non tanto a essere pensati. Lo yoga insegna ad avere maggiore consapevolezza di sé, ad avere una vita spirituale più conscia e ad avere delle risposte alle grandi domande esistenziali”. Yoga significa “unione”, essere uniti in un rapporto di interrelazione migliore con sé stessi e con gli altri. E l’idea di unione, tuttavia, esprime anche un rapporto di ascolto e conoscenza della propria vera natura, un’armonia tra corpo e mente.
“Nel senso più alto del termine – aggiunge l’esperta – l’unione indica l’identità con l’Assoluto, con Dio nelle sue varie declinazioni. Lo yoga è sia il metodo, la strada sia la meta. E si incontra sul terreno comune di tutte le religioni, non solo il cristianesimo, con il dharma, i valori etici, il valore dell’amore e della cura”.
Ma quanti stili di yoga esistono? E quale è il più diffuso? “Faccio una piccola premessa – spiega all’AGI Manuela Ceccarelli, presidente del centro Yogahouse Acsd di Roma – Yoga è Yoga e credo che almeno in questa settimana dedicata alla Pace e all’Armonia sia doveroso ricordarcelo. Lo yoga naturalmente conduce a uno stato di armonia ed equilibrio, non inteso soltanto come assenza di malattia, ma come intima connessione fra mente corpo e respiro e tra il Sé individuale e l’Assoluto. E’ questo lo stato in cui ci si sente chiari, puri e ottimisti nel proprio io, negli organi di senso e nella mente.
Lo Yoga è un sistema scientifico complesso di sequenze di osservanze e restrizioni, asana, pranayama mudra e bandha che ci preparano, più o meno fluidamente, per la meditazione che è e dovrebbe essere il fine ultimo di qualsiasi pratica di yoga. La parte ‘fisica’ dello yoga si è differenziata nel corso degli anni dando vita a stili e sequenze più o meno dinamiche anche a secondo della scuola di provenienza degli insegnanti.
Hatha yoga, Ananda Yoga, Anukalana Yoga, Sivananda Yoga, Iyengar yoga, Kundalini yoga, Vyniasa yoga, Yin yoga… Detto questo tutti i vantaggi e i benefici ormai associati alla parola yoga non si ottengono se si lavora solo sul corpo. È giusto che ognuno trovi la sua via e il suo stile a patto che la pratica non si riduca soltanto a un allenamento fisico più o meno intenso”.
La meditazione quindi è fondamentale: “Come dicevo, è il fine ultimo di qualsiasi pratica e di qualsiasi stile. E’ un momento di profondo ascolto della nostra anima – prosegue Ceccarelli – che ‘normalmente’ è messa a tacere da tutti i ruoli che interpretiamo nelle nostre vite e da tutte le aspettative che il mondo esterno ha su di noi. La meditazione è il momento in cui trascendiamo la nostra natura mortale per consacrarci all’Assoluto. E’ fare l’esperienza della nostra natura divina”.
Lo yoga il 21 giugno viene celebrato in tutto il mondo, chi può beneficiarne? “La risposta è facile: tutti. Indipendentemente dall’età e dalle condizioni, fisiche – spiega Sara Amoriello, presidente del centro Samsarayoga di Tarquinia, città dell’alto Lazio – lo yoga con le giuste variazioni, è o comunque dovrebbe essere assolutamente adatto a tutti. Quasi tutti coloro che arrivano sul tappetino sono alla ricerca, più o meno consapevolmente, di qualche risposta che attraverso l’ascolto e lo studio del sé trovano nella pratica yoga”.
“Spesso – aggiunge ancora Manuela Ceccarelli – si parte da un approccio fisico, da un dolore, da un pezzetto del nostro corpo o della nostra mente che non funziona come dovrebbe e poi, respiro dopo respiro si arriva a diventare maestri del proprio corpo e della propria energia con tutte le conseguenze meravigliose che ciò comporta nelle vite di tutti noi”.
Quasi 2000 scuole in Italia, se ne contano forse di più, insegnare yoga a livello professionale richiede continui aggiornamenti, tanta pratica, sacrificio, una scelta: “Sono una di quelle persone fortunate che hanno inseguito la felicità come priorità nella propria vita – dice Ceccarelli – nonostante tutte le difficoltà, i mille se e tutti i ma. Così quando faccio yoga io sono felice, quando lo insegno lo sono anche di più perché siamo felici insieme”.
E attraverso lo yoga, conclude Amoriello – meravigliosa disciplina, noi insegnanti possiamo contribuire a diffondere un messaggio di pace, amore e compassione affinché ognuno di noi possa veramente sentirsi parte di un disegno più grande dove tutti sono uniti senza distinzione di genere e dove ognuno abbia la possibilità di ritrovarsi in un Sé coerente, armonioso e consapevole riallineato nel corpo, nella mente e nello spirito.
AGI – “Immortale”. È la definizione usata da Sergio Iapino, regista, autore e compagno nella vita di Raffaella Carrà per spiegare cosa rappresenta per lui ‘Bailo Bailo’, il musical dedicato all’artista italiana scomparsa nel 2021.
Il 18 giugno 2023 Raffaella Carrà avrebbe compiuto 80 anni ma il destino non le ha permesso di spegnere queste candeline. Diverse le iniziative per ricordare la più iconica delle cosiddette showgirl italiane ma soprattutto cantane, attrice, ballerina professionista, conduttrice.
Su tutte spicca ‘Bailo Bailo’ musical interamente dedicato a lei e ai suoi successi attraverso la storia di una donna chiamata Maria (il cui amore e Pedro), presentato in anteprima assoluta al teatro Capitol di Madrid situato sulla Gran Via, in Spagna infatti, Raffaella Carrà è tutt’oggi amatissima.
È una storia diversa rispetto alla vita di Raffaella ma basata sui suoi grandi successi, simile a ‘Mamma mia’, musical con i grandi successi degli Abba con una trama diversa rispetto alla storia del gruppo svedese. Per la Raffa nazionale arriva quindi un regalo postumo con cui per l’artista nota nel mondo, in particolare quello latino-americano, Spagna e Italia si uniscono per renderle omaggio.
Un’attenzione riservata a una donna che ha incarnato un modello di libertà per le generazioni femminili di ieri e di oggi. Il musical che andrà in scena a Madrid il prossimo due novembre, è il frutto di una collaborazione paneuropea che schiera case di produzione quali la Dreamcatcher Bv.
Il debutto al Capitol di Madrid
Il debutto del 2 novembre avverrà sempre al Capitol per l’occasione rinnovato, che per la prima volta dal 1933 diviene palcoscenico per un musical. Un luogo speciale e unico per far debuttare un’opera che cercherà di riportare in scena lo spirito e l’energia dell’indimenticabile Raffaella.
Una produzione che da Madrid si rivolge al mondo, con l’ambizione di seguire la scia e diventare appunto un “Latin Mamma Mia”. Alla conferenza stampa, aperta da Euprepio Padula (artista molto amico della Carrà), sono intervenuti l’ambasciatore italiano in SpagnaGiuseppe Maria Buccino Grimaldi, il Ceo del Capitol Theater Alberto Menkes, la produttrice del musical Valeria Arzenton e il compagno di vita e di lavoro della Carrà, Sergio Iapino.
Liberamente adattato dal film Explota Explota di Nacho Alvarez, “Bailo Bailo” ha coinvolto alcune fra le maggiori stelle del musical internazionale, con la regia di Francesco Bellone, le coreografie di Gillian Bruce, la supervisione musicale di Giovanni Maria Lorie la produzione di Valeria Arzenton, oltre alla consulenza artistica di Sergio Iapino.
Madrid non ha dimenticato Raffaella
“Perché Madrid? Perché questa capitale – ha spiegato Arzenton – è la città del musical come Brodway e New York. Giusto quindi partire da qui dove lei è amatissima. Gli spagnoli, quando ho iniziato a lavorare a questo musical mi hanno detto che ci invidiano due cose: Cristoforo Colombo e Raffaella Carra’”. E lo dimostrano la curiosità e i commenti dei passanti che lungo la Gran Via si sono fermati a guardare le insegne luminose e i cartelloni, che annunciano lo spettacolo davanti al teatro: in tanti chiedono e si informano per sapere quando sarà il debutto e nessuno, fra giovani e anziani, fermandosi si chiede chi sia. “Ah, è lei!” È la frase più ripetuta. “Era veramente amata qui”, commenta ancora Arzenton. Nel cast, star del calibro di Lydia Fairen, Natalia Millan, Thomas Naim, Dani Tatai, Pepa Lucas e Chez Gutzman.
“Cercherò di essere all’altezza – ha detto Lydia Fairen che sarà Raffaella-, interpreterò questo ruolo con tutto l’entusiasmo del modo. Per me è un grande onore”. Tra le novità messe in campo dalla produzione per rendere omaggio alla Carrà in occasione dei suoi 80 anni, il brano Bailo Bailo Song, hit tratta e ispirata alla celebre sigla Ballo Ballo di Raffaella, eseguita live da Marco Martinelli (giovane talento italiano scoperto da Raffaella Carrà) featuring Lydia Fairen e Bella Exum.
“È un omaggio a Raffaella con cui ho lavorato nel 2015, mi ha insegnato tanto, lavoro, disciplina ma soprattutto a essere libero. Lei mi ha dato anche questa occasione e per me è una stella che mi manda energia”, ha detto Martinelli. Inoltre, l’esclusiva collezione di gioielli Carrà HRD disegnata da Percossi Papi e certificata da Concetta Spitaleri HRD Anversa. Infine, dal 18 e fino al 21 di giugno, la produzione del musical metterà in vendita i biglietti da collezione “Tanti Auguri Raffaella”.
Il musical racconta la storia di Marìa, una giovane ballerina sensuale che anela alla libertà all’inizio degli anni Settanta, un’epoca che in Spagna era segnata da rigidità e censura, soprattutto in televisione. Con lei scopriremo come anche il più difficile dei sogni può diventare realtà, il tutto raccontato attraverso i più grandi successi di Raffaella Carrà. Il musical, dopo Madrid andrà in tour in Argentina e altri Paesi del Sud America per poi approdare in Italia nel 2025/26.
AGI – Quando si ha una visione così chiara di come comporre la propria musica, non si ha bisogno di inseguire le hit; anche perché poi, se parliamo nello specifico di Carl Brave, quando lui vuole fare le hit le fa e sfascia radio e piattaforme. “Migrazione”, l’album uscito venerdì, è colorato e intimo, dentro si percepisce la volontà del cantautore e producer romano di raccontarsi e, proprio attraverso questa narrazione, entrare nel suo mondo, che comprende anche una Roma vivace, seppur strascicata nelle parole, nei concetti, nelle intenzioni, una sorta di metafora musicale onomatopeica perfetta e chi ha dimestichezza con le strade della capitale se ne accorgerà.
È semplice e colorato il mondo di Carl Brave, vive di rime azzeccate e produzioni da sogno, di efficacia divina ed una continua e sottile interazione, che sia con chi ascolta, che infatti si sente totalmente coinvolto, divertito, meno solo, e anche con i colleghi, con i quali riesce ad entrare in una sintonia assoluta, riesce ad incastrare nei propri brani usandone impietosamente e felicemente le caratteristiche principali. I featuring di questo album sono tutti perfetti, tutti entusiasmanti, tutti azzeccati e, più in generale, il disco, composto da 19 canzoni (diciannove: eroe), si ascolta con estrema piacevolezza, non annoia un attimo, come un’altalena emozionale dalla quale non vorresti mai scender giù.
Come mai l’esigenza di comporre un album così intimo?
È venuto naturalmente, le mie ultime uscite erano “Makumba”, “HULA-HOOP”…delle hit, che io ho sempre fatto, mi piacciono, e le metto sempre in un disco insieme a pezzi intimi, cerco di unirle a tutto il resto; mentre adesso non facevo un disco da tre anni e avevo bisogno di dire tanto, di mettere tanto.
Infatti difficile ormai trovare album composti da 19 pezzi…
È una roba in contrapposizione, io cerco di seguire sempre il mio istinto e non il mercato, infatti pubblico un disco molto intimo all’inizio dell’estate. Però penso che nel casino generale serva anche questo: una roba che ti ascolti più volte, ad occhi chiusi, che spero che faccia anche pensare, che faccia entrare in un mare un po’ profondo.
Avevi in mente come doveva suonare questo nuovo disco?
Non avevo un’idea precisa, la mia idea era quella di cambiare un po’ il suono rispetto al disco precedente, per la produzione di questo disco ho viaggiato molto, sono andato a Lisbona, Marrakech, Madrid, ho affittato degli studi e suonato con musicisti del posto, la mia idea era di cercare nuovi sound.
Cosa volevi raccontare di te?
Solitamente i miei dischi non partono mai con un’idea iniziale, è tutto molto di pancia, molto istintivo, seguo il flow della mia vita, di come mi sento in quel momento. Ho tagliato delle tracce dal disco perché troppo scure, ma i miei dischi sono così. Poi chiaramente essendo tutti molto vicini hanno una comunione tra di loro, seguono il mio ciclo di vita.
Secondo te cos’è che rende Roma una città così facile da cantare?
Forse la genuinità dei romani e della città. È una città che, nella sua difficoltà, è anche molto facile. Esci, ti becchi con la gente, stai fuori, ti vivi i quartieri, ogni quartiere è un po’ a sé, Trastevere è diversa da Balduina e Balduina è diversa San Lorenzo.
Come hai scelto i featuring?
In base ai pezzi, a quello che era uscito dai provini. Per esempio per Mara Sattei avevo questo provino con questo organo, avevo fatto delle melodie, solo delle vocali che richiamavano un po’ a Rosalìa, con la quale lei sta in fissa, ne abbiamo parlato mille volte. Clementino ci siamo beccati a “Battiti” d’estate, siamo andati a pranzo insieme, gli ho fatto sentire questo pezzo che secondo me era alla sua portata, così solare com’è lui, mi sono trovato molto bene infatti, è una persona molto attiva, positiva. Con Noemi volevo fare un po’ il contrario di “Makumba”, della hit estiva, con quella voce graffiante che ha può fare tutto. Con Bresh sono andato a Lisbona, che mi ha ricordato un po’ le vibes di Genova. Insomma, tutto molto naturale.
19 canzoni, qual è quella che secondo te resterà come uno dei punti cardine della tua discografia?
Vedremo quale, a me piacciono tutte, perché rappresentano tutte un motivo diverso della mia vita. Quello poi lo decide il pubblico.
Qual è il segreto del successo di Carl Brave?
Il segreto è il duro lavoro e la sincerità.
Cosa vedi nel tuo futuro?
Vedo altri dischi, continuare a fare questa vita. Viaggi, dischi, spero di aver trovato l’equilibrio giusto.
AGI – Sette antichi strumenti a fiato sono stati recentemente identificati da un team franco-israeliano e sono oggetto di un articolo pubblicato su Nature Scientific Reports. La scoperta è avvenuta nel sito preistorico di Eynan-Mallaha nel nord di Israele che nonostante sia stato accuratamente esaminato fin dal 1955, continua a riservare sorprese per gli scienziati.
La scoperta di questi flauti di 12.000 anni fa è estremamente rara: infatti, sono i primi ad essere scoperti nel Vicino Oriente. I flauti realizzati con le ossa di un piccolo uccello acquatico, producono un suono simile a quello di alcuni rapaci (sparviero e gheppio comune) quando viene soffiato dell’aria al loro interno. La scelta delle ossa utilizzate per realizzare questi strumenti non è stata casuale: nel sito sono stati trovati anche uccelli più grandi, con ossa più grandi che producono suoni più profondi.
I Natufiani, l’antica civiltà del Vicino Oriente che abitava questo villaggio tra il 13.000 e il 9.700 a.C., selezionavano appositamente ossa più piccole al fine di ottenere il suono acuto necessario per imitare questi particolari rapaci. Gli strumenti potrebbero essere stati utilizzati per la caccia, la musica o per comunicare con gli stessi uccelli. È evidente che i Natufiani attribuivano agli uccelli un valore simbolico speciale, come testimoniato dai numerosi ornamenti realizzati con artigli trovati a Eynan-Mallaha.
Il villaggio, situato sulle rive del lago Hula, è stato la patria di questa civiltà per i suoi 3.000 anni di esistenza. È quindi di vitale importanza per svelare le pratiche e le abitudini di una cultura al crocevia tra stili di vita nomadi e sedentari, nonché per comprendere la transizione da un’economia predatrice all’agricoltura. Questo lavoro è stato sostenuto dalla Fondazione Fyssen e dal Ministero degli Affari Esteri.
AGI – ‘Chi ha rapito Roger Federer?’ di Piero Valesio (Absolutely Free Libri, 226 pagine, 18 euro) è un romanzo con il doppio fondo. In superficie, un divertente giallo, scritto da una delle migliori penne del giornalismo sportivo italiano, ambientato nel 2040 alla vigilia degli Internazionali d’Italia di tennis.
Il protagonista è ovviamente il campione svizzero, forse il più forte tennista di tutti i tempi, certamente il più iconico. Federer arriva a Roma per essere eletto presidente della più importante organizzazione sportiva mondiale, ma succede qualcosa di imprevisto. Una spy story in piena regola, il romanzo di Valesio, mai scontata, dal finale interessante. Il mistery in ambito sportivo è un filone non battutissimo dalla letteratura contemporanea e leggendo queste pagine non capisci perché.
Lo scenario è quello di una città e di un mondo diversi da quelli che conosciamo oggi, dove il cambiamento climatico ha lasciato segni profondi nella vita delle persone, anche dei protagonisti del romanzo. Tutto lo sport del pianeta è in mano a organizzazioni transnazionali in guerra l’una con l’altra: e proprio a Federer potrebbe toccare il compito di aprire una nuova pagina di collaborazione fra i soggetti “belligeranti”. Di questo piano A del romanzo è bene non raccontare altro.
Il piano B, il secondo cassetto dello scrigno, non è detto che sia accessibile a tutti i lettori, anche se chiunque può provare ad aprirlo. Bisogna sapere allora che Piero Valesio, cronista, racconta (TuttoSport, ma anche Sky, Messaggero) da quasi 40 anni i principali avvenimenti sportivi mondiali, Olimpiadi, Formula 1, atletica, calcio. Ma soprattutto tennis. È stato per quattro anni direttore del canale Tv Supertennis e responsabile della comunicazione del torneo romano. Il Foro Italico è stata la sua prima casa per tanti anni.
E il Foro Italico è ‘attore co-protagonista’ di questa sceneggiatura (ci faranno un film, vedrete) scritta per un editore anche lui cronista di lungo corso, Daniele Azzolini, un altro campione del giornalismo sportivo degli ultimi decenni, direttore di ‘Ok Tennis’, firma di punta sul tennis per Paese Sera, l’Unità, il Messaggero. Anche lui con la residenza al Foro, dove ha coordinato la sala stampa negli anni di Adriano Panatta direttore del torneo. Questi due signori conoscono il tempio del tennis italiano come nessun altro. Ambienti, circostanze, personaggi, persino tic di un universo, lo stadio del tennis, teatro ideale di un intrigo internazionale molto più che verosimile.
I campi sportivi – come noto – sono luoghi dello spirito, prima ancora che dei corpi. Luoghi dove la vita degli uomini si realizza in tutte le fasi, in cui sentimenti, tensioni, passioni, persino amori (odi) si risolvono – con vincitori e vinti – dentro un rettangolo d’erba, uno di terra rossa, talvolta un ring delimitato da corde elastiche e – per facilità di fruizione – entro un tempo prestabilito. Due set su tre. Riproduzione col fine di intrattenimento di conflitti umani. Se la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi, diceva von Clausewitz, lo sport, della guerra è rappresentazione plastica e fedele, in streaming o in tribuna, cambia poco (ma anche i corridoi sono importanti, è lì che si consumano delitti e si pianificano rapimenti). Nadal e Djokovic come Ettore e Achille, Italia-Germania al Santiago Bernabeu come lo scontro tra i romani di Marco Aurelio e i barbari germanici nei boschi della Pannonia.
Ecco allora che il rapimento di Roger Federer in un albergo di Roma Nord a due passi dalla terra rossa del Foro acquista – nel racconto di Piero Valesio – un sapore particolare per chi conosce quegli spogliatoi e quelle tribune, per chi ha avuto la ventura di attraversare i sotterranei del campo Pietrangeli, l’ex Centrale, e ha creduto di essere inseguito dai fantasmi che li abitano.
Oppure per chi su quei campi ha giocato e conosce bene le facce dei guardiani, quelle dei custodi, dei maggiordomi di questo labirinto incantato, dove Roger Federer è comparso tante volte e – per ora – mai sparito. Nel giallo scritto da Valesio e pubblicato da Azzolini c’è tanta Roma Nord, lo slang di Ponte Milvio e dintorni, ma anche riti e rituali dei palazzi dello sport capitolino. Anche di questo cassetto nascosto del romanzo è bene non ‘spoilerare’ altro. Ma la sensazione, per chi quei luoghi li conosce un po’, è di aver letto non un romanzo giallo col finale a sorpresa, ma una pagina in cronaca nera del Messaggero, o del Tempo, se preferite. Una storia di piccoli eroismi e grandi meschinità.
AGI – “Sono molto contento di aprire il mio tour a Catanzaro e celebrare il 20 anni del Magna Graecia Film Festival. Ci vediamo il 20 giugno al Teatro Politeama!”. Così la superstar Russell Crowe in un video pubblicato sui social invita il pubblico della Calabria al concerto anteprima nazionale che ha proiettato il capoluogo di regione al centro dell’attenzione mediatica.
Sale sempre di più la curiosità per un evento straordinario che vedrà l’attore premio Oscar salire sul palco in veste di rocker, per quella che è stata la sua prima e autentica passione. Dagli anni ’80 a oggi, Crowe ha fatto parte di diverse formazioni come 30 Odd Foot of Grunts, The Ordinary Fear of God fino agli Indoor Garden Party dal 2017.
È lo stesso divo a raccontarsi in un’intervista esclusiva sul Venerdì di Repubblica in cui spiega che per lui, da giovanissimo in Australia, “la vera svolta è stata l’avvento del punk, classica mentalità ribelle, voglia di andare controcorrente. Già a 21 anni avevo già fatto un sacco di cose, la musica ora continua ad avere un posto importante nella mia vita, ma è un piacere, non una responsabilità”.
Russell Crowe, ricordando un episodio poco conosciuto della sua carriera, rivela che non sarà la sua prima volta in Calabria: “Sono stato a Tropea una vita fa, credo fosse il 1992. Non mi conosceva nessuno, ero stato messo sotto contratto per un film, la protagonista era Jennifer Beals, ma la produzione andò a gambe all’aria dopo pochi giorni di lavorazione”. Russell Crowe al Politeama presenterà un ampio repertorio tra rock, folk e country con brani originali, di cui è in gran parte co-autore, e cover.