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AGI – A Parigi i ‘bouquinistes’ fanno parte del paesaggio. Questi venditori di libri usati che si trovano sul lungosenna, più precisamente sui ‘quais’, stanno lì da secoli e sono spesso associati al Quartiere Latino, al Louvre e a Notre-Dame, anche per le numerosissime cartoline prodotte e fotografie pubblicate nelle riviste di tutto il mondo. Con il Covid anche loro non se la passano bene, soprattutto per la mancanza di turisti, che rappresentano la fetta più importante della clientela.

“Alcuni nostri colleghi non aprono più tanto, si sono arresi alla congiuntura attuale”, spiega a France Soir uno di loro, Jean-Pierre Mathias. Le sue ‘boite’, cioè le ‘scatole’ appoggiate al parapetto del lungosenna che contengono i volumi, “hanno 100 anni e si aprono ancora”, dice il 74enne.

“Mi consentono di restare in buona salute e un bouquiniste si ferma soltanto quando non può veramente più aprirle”.

Da un paio di mesi sono pochi i bouquinistes aperti: “Facciamo molta presenza, bisogna tenere duro”, afferma Jerome Calais, presidente dell’associazione culturale della categoria, precisando che “soltanto un quarto della nostra clientela proviene dall’Ile-de-France”, la regione di Parigi. In questo mese di gennaio sono 18 le postazioni libere sui quais. Il comune di Parigi ha lanciato un appello a presentare candidature fino al 18 febbraio.

Cerchiamo specialisti del libro per mantenere in vita la più grande libreria a cielo aperto del mondo”, spiega Olivia Polski, vice sindaca della capitale con delega al commercio. Per il momento solo 25 candidature sono arrivate, mentre erano una sessantina negli anni passati per lo stesso numero di postazioni libere. “Ma resta ancora un mese”, osserva Polski cercando di essere ottimista.

Per dare un nuovo slancio alla propria attività, i bouquinistes, insieme con il Comune, hanno depositato una candidatura all’Unesco per essere inseriti nella lista del patrimonio immateriale dell’umanità.

“Siamo un simbolo importante di Parigi, un simbolo unico al mondo. Sono 450 anni che siamo qui”, prosegue con orgoglio Calais. Nonostante il freddo, la rare boites aperte attirano curiosi e amatori. “Qui è diverso, si trovano libri particolari, che hanno una storia e che a volte sono anche annotati”, spiega un pensionato appasionato di libri. “Ma adesso è sempre più difficile trovarli aperti”, aggiunge l’uomo. Molti bouquinistes hanno affrontato la pandemia cercando di migliorare l’offerta con antiche e rare edizioni e con stampe d’epoca originali, per attrarre una clientela più sofisticata. Al momento non sembra però essere sufficiente.

AGI – Due civiltà accumunate dal fuoco dei vulcani e dall’energia dei terremoti. E un allestimento evocativo, che consente un viaggio nel tempo attraverso una contestualizzazione capillare di molti dei 160 reperti che, dal Museo archeologico nazionale di Napoli, hanno popolato, divisi in cinque sezioni, il Tokyo national museum per una mostra, ‘Pompeii’, che festeggia i 150 anni del museo più importante del Giappone per poi andare in tour, sino a dicembre 2022, a Kyoto, Miyagi e Fukuoka.

Un evento che ha ha già visto nei primi due giorni di apertura del botteghino 3.500 biglietti staccati in un paese alle prese con le restrizioni per il Covid e la chiusura al turismo straniero. “Con il Giappone abbiamo intrapreso un importante viaggio culturale, iniziato ormai due anni fa”, spiega all’AGI il direttore del Mann, Paolo Giulierini, che della mostra è anche curatore. Infatti l’esposizione nasce da una convenzione quadro del 2019 che prevede una serie di sinergie istituzionali e ha già visto l’avvio del restauro del mosaico della battaglia di Isso con il volto di Alessandro Magno, grazie anche al quotidiano The Asahi Shimbun, che ne è tra i finanziatori; il quotidiano, poi, insieme a Nippon Hoso Kyokai – Japan Broadcasting Corporation, è tra gli organizzatori di ‘Pompeii’. 

È la prima volta che un nucleo così importante delle collezioni permanenti del Mann varca i confini del Giappone, conferma Giulierini, “e che, soprattutto, arrivano nel paese del Sol levante pezzi iconici dell’immaginario pompeiano”. Nelle vetrine infatti sono presenti, tra gli altri, il famoso bronzetto del Fauno da cui ha preso il nome la domus omonima, e anche il Dioniso con pantera e una peplophoros in marmo bianco che vengo dalla villa di Augusto a Somma vesuviana, terreno di scavo di archeologi italiani e giapponesi.

“L’operazione che abbiamo messo in piedi nell’allestimento è complessa – racconta Giulierini – per chi è giapponese l’interpretazione del nostro antico passa da codici culturali radicalmente diversi dai nostri e non genera immediata riconoscibilità come per un europeo, che se ne sente erede. Per questo abbiamo focalizzato due temi, il vulcano e i terremoti, che uniscono il nostro Occidente con questo Oriente. E il racconto della tragedia pompeiana provocata dal sisma e dal Vesuvio attraverso una contestualizzazione degli oggetti diventa il vaso comunicante che favorisce il dialogo. Per entrambi i popoli, il vulcano è insieme fonte di paura e rispetto, vita e distruzione“. 

Realizzata ad hoc per la mostra, in questa ottica, c’è l’esclusiva ricostruzione delle pareti della villa di Cicerone a Pompei, grazie alla combinazione di frammenti di decorazioni parietali, come i famosi satiri funamboli, un progetto firmato dall’archeologa Rosaria Ciardiello e dai fotografi Luciano e Marco Pedicini.

L’impatto empatico dell’esposizione dei reperti consente, sottolinea il direttore del Mann, di “rendere la mostra una sorta di servizio pubblico, senza intaccarne la correttezza scientifica. E’ forse su questo versante che dovremmo lavorare anche qui in Italia, per mostre che comunichino in maniera più laica, cosa che non significa necessariamente farle scadere di livello. In questo modo, probabilmente, come è accaduto qui a Tokyo, potremmo avere maggiori risposte anche in termini di sponsor”.

Il progetto scientifico della mostra ha visto, tra l’altro, la cooperazione del Ministero della Cultura Giapponese, dei Musei di Tokyo, Fukuoka e Kyoto, dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo e della Fondazione Italia Giappone, e la collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei. 

“Le storie della città antica di Pompei e del Mann sono indissolubilmente legate. Non è possibile, infatti, comprendere gli accadimenti che interessarono Pompei senza conoscere le collezioni pompeiane conservate in quel museo e, viceversa, una visita alle sale del Mann non preceduta dagli itinerari percorribili nella città antica risulterebbe priva di senso – sottolinea Gabriel Zuchtriegel, direttore generale del Parco – è nell’ottica di promuovere la conoscenza di questo straordinario patrimonio culturale che il Parco archeologico di Pompei e il Mann hanno la fortuna e l’onere di gestire, che si muove da sempre la collaborazione tra le Istituzioni del territorio e quelle straniere. I recenti rinvenimenti pompeiani, dagli scavi della villa di Civita Giuliana a quelli che stanno riportando alla luce intere insule della città antica, gettano una luce nuova sulla storia della città e dei suoi abitanti, e generano, in chi la guarda, uno stupore pari solo a quello che devono aver provato i primi scopritori di Pompei. E’ questo stesso stupore che ci auguriamo possa accendersi negli occhi degli amici giapponesi che verranno a visitare la mostra”.

AGI – Un banale incidente durante le riprese del suo film e l’artista della Transavanguardia Mimmo Paladino finisce in ospedale per un trauma al bacino. È successo a Paduli, paese d’origine dell’artista sannita famoso in tutto il mondo per le sue installazioni. Una caduta accidentale e Paladino è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale “Fatebenefratelli” di Benevento. I medico hanno escluso un intervento chirurgico, ma Paladino resta ricoverato nel reparto di Ortopedia. Le sue condizioni non destano preoccupazioni. Paladino è impegnato a girare il suo secondo film, che vede tra i protagonisti anche Toni Servillo. “Inferno” il titolo della pellicola, per la quale alcune ambientazioni sono proprio nel Sannio. Pochi giorni fa le prime riprese a Paduli, mentre a primavera il lavoro proseguirà anche a Benevento, oltre che in altre città italiane. 
 

AGI- In un mercato fortemente condizionato dall’emergenza sanitaria, che ha imposto la chiusura delle sale per 4 mesi (da inizio gennaio a fine aprile) e il cui nuovo aggravarsi ha avuto un impatto sui risultati di Box Office durante le festività di fine anno, in Italia nel 2021 i cinema hanno registrato un incasso complessivo di circa 170 milioni di euro per un numero di presenze pari a 25 milioni di biglietti venduti.

Si tratta di un risultato leggermente inferiore a quello del 2020 (-7% incassi e -11% presenze) che aveva tuttavia beneficiato di uno dei migliori avvii di sempre in condizioni di mercato pre-pandemiche, e di un decremento del 71% degli incassi e del 73% delle presenze rispetto alla media del triennio 2017-2018-2019. è quanto si legge in un comunicato di Cinetel, società partecipata pariteticamente dall’Associazione nazionale esercenti cinema (Anec) e da Anica che cura quotidianamente la raccolta degli incassi e delle presenze dei cinema in Italia. 

Se si considerano però correttamente solo i dati sul periodo maggio-dicembre, prosegue la nota, i mesi in cui le sale cinematografiche sono state riaperte, il mercato ha registrato invece rispettivamente circa il 51% e il 53% in meno rispetto alla media del periodo 2017-2018-2019 (è opportuno ricordare che nel 2020 le sale sono state chiuse da fine ottobre in poi e quindi non è stato possibile considerare questo anno nella media). E’ necessario ricordare infatti che le sale quest’anno hanno potuto riaprire solamente a partire dal 26 aprile, in un contesto di sostanziali restrizioni all’accesso come il ‘coprifuoco’ e il distanziamento in sala, sino all’introduzione del “green pass” ad agosto, del “super green pass” e delle ulteriori norme introdotte a ridosso delle festività natalizie.

Ciò nonostante, la graduale e costante riapertura delle sale cinematografiche, stabilmente oltre il 90% a partire dal mese di agosto, e il crescendo di prodotto nazionale e internazionale offerto sul mercato, hanno dato vita a un trend di crescita mese su mese, rispetto al triennio 2017-2018-2019, che dall’iniziale -87% ha portato il mercato a recuperare e a ridurre la differenza con percentuali inferiori al 40% tra ottobre e novembre, fino al fine settimana antecedente al Natale che, pur in negativo, ha segnato la migliore differenza (-10,7%) rispetto allo stesso periodo del 2019, a dimostrazione della capacità dell’intero settore di recuperare e ripartire, prima del ri-aggravarsi dell’emergenza sanitaria e dell’introduzione delle nuove misure restrittive.

Il presidente di Cinetel, Davide Novelli, ha sottolineato che “la misurazione dei risultati di un settore durante una fase così complicata, specialmente in un comparto come quello cinematografico tra i piu’ colpiti dallo scenario pandemico, richiede molta attenzione nell’interpretazione dei dati. Sono numeri – ha spiegato – che segnalano la gravità e lo stress economico e sociale subito dalle sale e dalle distribuzioni cinematografiche, ma che al tempo stesso sottolineano la vitalità e la capacità di reagire dell’intera filiera”.

AGI – È una sorta di una ‘terapia’ contro l’isolamento alimentato dalla pandemia e dal dilagare del digitale e risponde all’esigenza, sempre più sentita di ritrovarsi e condividere riflessioni, conoscenze ed emozioni che lasciano nei lettori le pagine di un libro. Il fenomeno dei gruppi di lettura cresce, alimentato dal mai sopito bisogno di socialità ma anche dall’entusiasmo delle piccole librerie indipendenti sopravvissute. Sotto Natale ne è nato uno a Sassari, il Book club Koiné, animato soprattutto da donne over 40, in prima linea nella categoria dei cosiddetti ‘lettori forti’: una trentina di persone, per ora, anche residenti fuori dalla Sardegna, che si trovano in presenza e anche online, per coloro che non possono presenziare agli incontri con cadenza mensile su un libro scelto dai partecipanti.

Assente la generazione Z

Pochi gli uomini. E all’appello mancano i giovani, i nativi digitali abituati a ‘sfogliare’ il mondo dallo smartphone e sempre meno abituati al gesto della lettura. Generazione Zeta che alla parola condivisione associa un tasto sui social. “Ci è’ stato richiesto da alcuni lettori, ma la nostra iniziativa eè stata anche una sfida a questi tempi di isolamento“, spiega all’AGI Aldo Addis, titolare della libreria indipendente di Sassari che da il nome al gruppo di lettura. “Alcuni ci hanno espresso il desiderio di tornare a condividere e questo sentore lo abbiamo avuto anche dalle presentazioni di libri degli ultimi mesi, sempre molto frequentate, cosi come dalla ripresa delle fiere letterarie e dei festival che hanno avuto un ottimo riscontro di pubblico”.

Un antidoto agli effetti del lockdown e anche un modo di reagire e respingere l’abitudine a chiudersi e vivere tutto privandosi della condivisione. “È una delle scommesse per il futuro”, aggiunge Addis. “Più ci dicono che non dobbiamo stare vicini e più abbiamo il dovere di esserlo, ovviamente nelle modalità più sicure dal punto di vista sanitario. Da noi si entra solo con green pass”.

A dare le maggiori soddisfazioni sono le lettrici, lo zoccolo duro dei fruitori di libri e anche quelle più predisposte a condividere: “A frequentare il nostro gruppo di lettura sono soprattutto le over 40, salvo qualche rara eccezione, e pochi uomini, tutti accomunati dall’essere ‘lettori forti'”. “I più giovani hanno maggiori remore ad avere un impegno programmato, seppur a cadenza mensile, come quello del gruppo di lettura”, riflette Monica Monti che gestisce il gruppo sassarese, “e sono anche quelli che leggono sempre di meno. Il gruppo è formato da persone più avanti con l’età, più entusiaste e più coinvolte da questa iniziativa, hanno più voglia di chiacchierare e amano l’idea di condividere la lettura e poter scegliere un libro insieme”.

Il gruppo offre la possibilità a chi non può o non vuole partecipare in presenza di collegarsi online sulla piattaforma Zoom: chissà che questa opzione non possa essere anche un modo per avvicinare i giovani più abituati ad avere il filtro di uno schermo. Ma oltre alla questione generazionale, i gruppi di lettura sono la dimostrazione tangibile che il digitale, nonostante le più entusiastiche previsioni di due decenni fa, non ha sostituito il cartaceo.

Il libro ‘cartaceo’ resiste

“Gli e-book in Italia rappresentano il 5% del mercato“, evidenzia Addis. “Quello che sembrava ineluttabile, ovvero la sostituzione del libro cartaceo con il digitale, non è avvenuto, c’è ancora voglia di ‘fisico’. Il libro digitale ha dei vantaggi perché ti consente di consultare testi che altrimenti non avresti potuto avere, ma il cartaceo è una risorsa che non passa. Il digitale è anche una moda, ma che non è mai andata oltre quella soglia”.

I gruppi di lettura sono anche un modo per sostenere concretamente le librerie indipendenti che promuovono e offrono un servizio che le grandi catene non possono dare: “Il messaggio più importante che i gruppi di lettura suggeriscono al mercato è l’amore per la lettura, ma anche il sostegno alle librerie fuori dai circuiti della grande distribuzione”, sottolinea Monti, “un modo anche per controbilanciare l’acquisto online”.

Chi ama davvero la lettura non può rinunciare al libraio che consiglia il libro e condivide del tempo per commentare, condividere e sottolineare le caratteristiche di quell’autore o di quel titolo. Le librerie indipendenti e i loro gruppi di lettura sembrano offrire molto più che un volume da leggere, rappresentano quasi un welfare, un servizio pubblico, culturale e sociale.

AGI – Arriverà in sala il 27 gennaio distribuito da Lucky Red in collaborazione con Timvision, ‘Ennio’ di Giuseppe Tornatore, ritratto a tutto tondo di Ennio Morricone, uno dei musicisti più popolari e prolifici del XX secolo, il più amato dal pubblico internazionale, due volte Premio Oscar, autore di oltre 500 colonne sonore indimenticabili.       

Presentato con successo fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e al Bif&st, il documentario racconta Morricone attraverso una lunga intervista di Tornatore al Maestro, testimonianze di artisti e registi – come Bertolucci, Montaldo, Bellocchio, Argento, i Taviani, Verdone, Barry Levinson, Roland Joffè, Oliver Stone, Quentin Tarantino, Clint Eastwood, Bruce Springsteen – scene di fiction, musiche e immagini d’archivio. 

“Ho lavorato venticinque anni con Ennio Morricone – dice Tornatore – ho fatto con lui quasi tutti i miei film, per non contare i documentari, gli spot pubblicitari e i progetti che abbiamo cercato di mettere in piedi senza riuscirci. Durante tutto questo tempo il nostro rapporto di amicizia si è consolidato sempre di più. Così, film dopo film, man mano che la mia conoscenza del suo carattere di uomo e di artista si faceva più profonda, mi sono sempre chiesto che tipo di documentario avrei potuto fare su di lui. E oggi si è avverato il mio sogno”.       

Soggetto, sceneggiatura, regia di Giuseppe Tornatore, musiche di Ennio Morricone, fotografia Fabio Zamarion, Giancarlo Leggeri, montaggio Massimo Quaglia e Annalisa Schillaci, suono Gilberto Martinelli, Fabio Venturi. Una coproduzione Italia-Belgio-Cina-Giappone, prodotto da Gianni Russo e Gabriele Costa per piano B Produzioni Srl. Distribuzione internazionale Block 2 Distribution. Distribuzione italiana Lucky Red in collaborazione con timvision. 

AGI – Il Centre Pompidou non è che uno dei tanti gioielli progettati da Richard Rogers, l’architetto britannico morto a Londra all’età di 88 anni.  La morte, stando a quanto riferisce il figlio, sarebbe avvenuta nella serata del 18 dicembre.

Rogers ha legato al suo nome anche lo skyline di Londra, grazie al “Cheesegrater”, la Grattuggia, un grattacielo che ricorda l’arnese da cucina su cui grattuggiare il parmigiano. Un omaggio al suo paese d’origine, verrebbe da pensare. Perchè l’architetto, in barba al suo nome, era italianissimo: nato a Firenze nel 1933, discendeva da una nobile famiglia inglese che si era stabilita in Toscana ben due secoli prima.

Vincitore del prestigioso premio Pritzker nel 2007,era un membro di spicco della scuola di architettura “High Tech” che comprendeva anche Norman Foster e Renzo Piano. Pionieri di uno stile iper-moderno che metteva in mostra le macchine e la tecnologia, ribaltando i principi estetici per esporre gli elementi funzionali degli edifici. Di qui i tubi di areazione che innervano il Centre Pompidou e le Torri dei Lloyd’s, a Londra, o il Millennium Dome, con i suoi tiranti. 

L’infanzia e gli studi 

Gli inzii non furono facili per Rogers, costretto a fuggire con tutta la sua famiglia dall’Italia fascista a soli cinque ani. Con il padre medico e la madre, una ex alieva di James Joyce, si stabilì a Londra, passando da una comoda casa borghese a un angusto monolocale, con un contatore a monete per attivare il riscaldamento. E a scuola le cose andavano anche peggio: Rogers era dislessico in un periodo in cui non esisteva una diagnosi per quel disturbo e chi ne soffriva veniva bollato come ‘stupido’ o, al meglio, ‘pigro’.

Nel 1951 lascia gli studi e, dopo il servizio miliare nell’esercito, riesce a entrare alla Architectural Association School di Londra, nota per il suo modernismo. Completa quindi gli studi di architettura a Yale nel 1962 ed è qui che avviene l’incontro della sua vita, quello con Norman Foster. I due tornano in Inghilterra nel 1964 e co-fondano, con le rispettive mogli, lo studio di architettura “Team 4”. Nel 1968, Rogers incontra Renzo Piano con il quale condivide l’interesse a sviluppare un’architettura flessibile e anti-monumentale.

Nello stesso anno vincono un concorso per progettare una nuova galleria d’arte a Parigi: il Centre Pompidou altrimenti detto “L’officina del gas”, “Il Pompidolio”, “Notre-Dame dei tubi”.

Rogers ha portato a termine circa 400 commissioni in una carriera costellata da edifici di grande impatto, capaci di definire gli skyline, caratterizzati da strutture leggere, materiali prefabbricati e uso di tecnologie all’avanguardia. Ha progettato la Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, gli uffici di Potsdamer Platz a Berlino, il terminal di un aeroporto a Madrid e il Three World Trade Center a New York. 

AGI – Un viaggio attraverso i luoghi dell’esilio dantesco e, insieme, un viaggio interiore, quello della troupe che, per 21 giorni, ha attraversato i luoghi meno conosciuti dei vent’anni di esilio dantesco. È “Dante, l’esilio di un poeta”, il docu-film di Fabrizio Bancale.

Con un fotografia mozzafiato e una sceneggiatura a tratti onirica, il film è un omaggio al Sommo Poeta, ma anche a un’Italia straordinaria. Grazie all’aiuto di appassionati studiosi e dantisti, che si sono prestati a raccontare dal vivo episodi, leggende e aneddoti, e grazie un sottile lavoro di ricucitura, il film tratteggia la figura del Sommo Poeta, intrecciandola ai luoghi in cui girovagò in Toscana, Lunigiana e Liguria: castelli, borghi medioevali, torri e paesini arroccati; e ancora foreste di faggi, mura maestose, tutto racconta del doloroso pellegrinaggio dell”exul immeritus’.

Con una narrazione non semplice, viene ricreata l’atmosfera del doloroso peregrinare, raccontati gli anni in povertà di Dante, ospite di aristocratici liberali. Sono anni di cui si sa ben poco perchè non c’è quasi nessun documento d’archivio e gli accenni autobiografici contenuti nelle sue opere sono spesso criptici. Il documentario dunque prende le mosse da terzine e sonetti per immergere l’ascoltatore in un’atmosfera quasi da sogno. 

A conclusione dell’anno in cui si celebra il settimo centenario della morte di Dante Alighieri e prodotto dalla dalla Società Dante Alighieri, ‘Dante, l’esilio di un poeta’, è stato scritto dallo stesso Bancale con la collaborazione di Germano Rubbi, la direzione artistica di Lamberto Lambertini e la consulenza storica di Alberto Casadei, Gino Ruozzi e Marco Veglia. La fotografia è di Francesco Masi.

A popolare l’onirico racconto, personaggi di fantasia: un anziano clochard (Gigi Savoia), una bizzarra viaggiatrice con la passione del disegno (Paola Tortora), accompagnati da una coppia di musicanti di strada (Canio Loguercio e Giovanna Famulari) e da un inquietante monaco spagnolo (Alfonso Desentre). Oltre ai protagonisti, due ragazzi (Penelope Zaccarini e Mario Di Fonzo) e il regista.

“L’idea era quella di creare un viaggio nel viaggio, da una parte quello di Dante, dall’altra il nostro: un viaggio di 21 giorni che si è dipanato, anche da un punto di vista umano, in maniera molto intensa”, ha raccontato il regista, presentando il film nella Libreria Eli, a Roma, uno spazio-salotto per promuovere la lettura e gli incontri tra le persone. Il film, che si candida a essere uno straordinario strumento didattico, è anche un istantanea di un’Italia di una bellezza struggente. 

Fabrizio Bancale è autore e regista di spettacoli teatrali, trasmissioni televisive, documentari e cortometraggi. Tra i suoi ultimi lavori, nel 2017 “Samosely – i residenti illegali di Chernobyl” (miglior documentario al Social World Film Festival e miglior film al Premio Fausto Rossano) e nel 2019 “Radici – l’oro nero della Calabria”. (AGI)

AGI – Il fumettista giapponese Hiroshi Hirata, una delle figure più riconosciute del manga storico, è morto all’età di 84 anni a causa di un arresto cardiaco. La notizia è stata resa nota dal suo sito web. L’artista è morto l’11 dicembre e solo la famiglia ha partecipato ai funerali, secondo il breve messaggio pubblicato oggi sul sito dell’autore, insieme a un suo ritratto disegnato da uno dei suoi figli, Atsuyoshi Hirata.

Come molti dei suoi contemporanei che furono anche pionieri del “gekiga” (il manga per lettori adulti), Hirata, nato a Tokyo e cresciuto nella prefettura di Nara (ovest del paese), iniziò a pubblicare alla fine degli anni ’50 a Osaka per editori che fornivano i “kashihon”, i negozi che affittavano i fumetti.

Successivamente si trasferì a Tokyo, dove pubblicò racconti su Garo, la rivista che negli anni ’60 rivoluzionò il medium. Conosciuto per aver coltivato il “jidaigeki” (il genere storico), le sue storie di samurai, compresi gli adattamenti del famoso personaggio Zatoichi, sono state ampiamente accolte dai lettori per diversi decenni. In Occidente ha avuto un impatto speciale il suo lavoro “Satsuma Gishiden”, un manga che iniziò a pubblicare alla fine degli anni settanta sulle disavventure del mitico clan Shimazu quando si trattava di adattarsi alla nuova realtà che si stava aprendo durante il periodo Edo (1603-1867).

“Satsuma gishiden” e’ pubblicato in spagnolo da Dolmen Editorial, mentre altre sue opere sono state compilate dall’ormai defunto Gle’nat / Editores de Tebeos. Oltre al suo disegno iperrealistico, Hirata era anche un ammirato calligrafo. Il suo lavoro calligrafico era molto presente nel suo manga e la sua ortografia nel sillabario katakana è stata scelta da Katsuhiro Otomo per apparire sulle copertine della sua famosa opera “Akira”. 

AGI – È un giovanissimo, timido e preoccupato Pier Paolo Pasolini quello che emerge da una breve lettera inedita che Tortuga Magazine – www.tortugamagazine.net – pubblica in esclusiva domani 16 dicembre. Quasi in contemporanea con la pubblicazione da parte di Garzanti della nuova edizione delle Lettere del poeta, a dimostrazione del fatto che gli epistolari restano un lavoro infinito di scoperta e di aggiornamento, ecco una nuova missiva.

È il febbraio 1943 e Pasolini, appena ventunenne, scrive a Mario Landi, il libraio antiquario bolognese che nel 1942 aveva dato alle stampe Poesie a Casarsa, il suo debutto con versi in dialetto friulano. Pasolini aveva pagato di tasca proprio la stampa e qui, tra l’altro, dice a Landi “vi prego di farmi pervenire la somma che ancora vi devo e che conto di saldare subito”. L’opera, poi recensita per primo da Gianfranco Contini sul Corriere di Lugano, avrebbe dato il via alla carriera di scrittore di uno dei più grandi intellettuali del nostro Novecento.