AGI – Nell’ultima settimana di luglio del 1943 i tedeschi sono attivamente impegnati nella caccia a Mussolini secondo gli ordini impartiti direttamente da Hitler. Eugen Dollmann, colonnello onorario delle SS, interprete ufficiale del Führer per la lingua italiana, diplomatico ufficioso ottimamente introdotto in tutti gli ambienti romani, il 27 luglio è invitato a cena dal Feldmaresciallo Albert Kesselring nella sede del suo quartier generale a Frascati.
«Serio in volto, rabbuiato addirittura, il maresciallo mi presentò laconico agli altri due commensali, il generale dei paracadutisti Student […] e un giovane capitano della Luftwaffe, Skorzeny. Alla tavola di Kesselring la conversazione era di solito animatissima, ma quella sera spirava aria da cimitero.
La cena dal Feldmaresciallo Albert Kesselring
Student, che soffriva per una grave ferita alla testa, non diceva una parola, e Skorzeny non fece che squadrarmi, quasi divorandomi con gli occhi e nel noto stile inquisitorio della Gestapo, cosa contrastante in maniera vivissima e sospettosissima con la sua uniforme e col carattere generalmente allegro degli aviatori. Dopo cena, il maresciallo mi disse che i due ufficiali volevano parlarmi da soli, per una faccenda assai grave.
Ci trasferimmo in un’altra stanza e lì venne prestato giuramento di tacere sino alla morte, trattandosi di un segreto del Reich. I due avevano l’incarico di mettermi al corrente di un piano del Führer che in poco tempo avrebbe dovuto far cadere nelle loro mani ministri, corona e membri della famiglia reale.
Student, brevissimo, cedette subito la parola all’altro, che espose un progetto divertente e puerile […]. Fino a quel momento, a Roma sapevano della cosa soltanto Kesselring, il maresciallo [Wolfram von] Richthofen, allora a Frascati anche lui, e io. All’ambasciatore von Mackensen e ai suoi collaboratori non bisognava assolutamente dire nulla […]. Mi dichiarai incompetente a esprimere un giudizio sopra un’azione di spiccato carattere militare e di polizia, e proposi che s’interpellasse Kappler, tecnico e fiduciario di Himmler a Roma».
Kappler sulla scia di Mussolini
Kappler ritiene subito che siano state invase le sue competenze di polizia, ma non può discutere l’ordine di Hitler. E da quel momento si mette sulla scia di Mussolini. Finora tutte le notizie si interrompono alle 18 del 25 luglio. I servizi segreti italiani sotto la guida del generale Giacomo Carboni l’hanno fatto letteralmente sparire mentre lo trasferivano a Ponza.
Vengono fatte circolare ad arte versioni, indiscrezioni, rapporti attribuiti a diplomatici, ad autorità del governo italiano e del Vaticano, a generali: l‘ex Duce sarebbe ricoverato in un ospedale militare, nascosto a Roma, trasferito nel neutrale Portogallo e nel Nord Africa sotto controllo alleato. Le autorità svizzere il 29 luglio devono smentire che abbia passato la frontiera.
Voci fantasiose su dove si trova Mussolini
Una fonte madrilena asserisce che Mussolini non si trova in Spagna ma a Viareggio. La notizia più fantasiosa arriva da Stoccolma, quando si sostiene che è stato arrestato mentre cercava di raggiungere il Reich; un dispaccio da Berna ribadisce invece che è prigioniero del Regio Esercito, ma naturalmente non dice dove. Da Roma viene diffusa la notizia che Mussolini è con la sua famiglia alla Rocca delle Caminate, in pensione.
Coglie nel segno una nota datata Berna, che fa di Mussolini un prigioniero dell’esercito, senza però indicare dove. Sia Kesselring sia Mackensen cercano di carpire l’informazione agli italiani, senza alcun successo. Himmler, sempre sensibilissimo all’esoterismo, riunisce a Berlino astrologi, cartomanti e veggenti in una foresteria della centrale del Sicherheitsdienst sul lago di Wannsee e l’esito di quella riunione è che si trova «in un luogo circondato dall’acqua».
Intanto il capo della Polizia aveva infiltrato nell’entourage di Kappler il giovane funzionario della sua segreteria, Raffaele Alianello: il tedesco era convinto di ricevere confidenze e informative, e invece era l’italiano a raccoglierne per conto di Carmine Senise: «l’invogliai a mettersi più che mai alle costole di Kappler, specialmente nelle ore serali, e quando i tedeschi per abbondanti libazioni sono di solito facili ad aprire il loro animo. Alianello assolse assai bene il suo compito e seppe accattivarsi a tal punto la fiducia del Kappler che questi gli confidò, in gran segreto, che il colpo era stato deciso, ma si aspettava l’occasione per eseguirlo; gli promise inoltre che al momento decisivo gliene avrebbe dato notizia telefonica, in una forma convenuta, che Alianello portò anche a mia conoscenza».
Il 29 luglio l’ex duce compie 60 anni a Ponza
Kesselring il 29 luglio chiede formalmente a Badoglio di voler vedere il Duce per consegnargli personalmente il regalo di compleanno di Hitler, l’opera omnia di Friedrich Nietzsche in edizione esclusiva e con dedica del Führer («Adolf Hitler seinem lieben Freunde Benito Mussolini»), ma Badoglio replica che avrebbe provveduto lui stesso, e sarà di parola per quanto in ritardo.
Il 29 luglio Mussolini compie sessant’anni e a Ponza lo raggiunge il telegramma augurale di Göring, consegnatogli da un carabiniere arrivato di proposito da Roma.
AGI – Combatteva sopra e sotto l’acqua con lo stesso spirito dei “cavalieri del cielo” della prima guerra mondiale. Per lui il bersaglio da colpire non era l’uomo, ma la nave: immediatamente dopo l’assalto scattava infatti la legge del mare, quella della solidarietà, indipendente dalle bandiere, dagli schieramenti, dalle esigenze militari e dalle convenienze personali.
Il capitano di corvetta Salvatore Bruno Tòdaro è stato un “cavaliere del mare” nel senso più nobile del termine, perché nel pieno della seconda guerra mondiale non abdicò mai ai valori dell’umanità.
Bruno Todaro “cavaliere del mare”
Glielo riconobbero amici e nemici. Soprattutto i nemici, quelli che furono da lui affondati con i siluri e le cannonate del sommergibile atlantico della Regia Marina “Comandante Cappellini” posto ai suoi ordini dal 26 settembre 1940.
Todaro aveva appena compiuto 32 anni. Nato a Messina nel 1908, appassionato del mare, una volta dall’Accademia navale di Livorno aveva avuto esperienze anche in cielo come osservatore distaccato nel 1933 presso la Regia Aeronautica, riportando un grave infortunio che lo avrebbe segnato nel fisico.
L’anno successivo era stato imbarcato come comandante in seconda sul sommergibile “Marcantonio Colonna”, quindi sul “Des Geneys”, per poi, nel 1937, essere promosso comandante. I gradi da capitano di corvetta arrivano venti giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il I luglio 1940.
Dal comando del “Luciano Manara” passa a quello del Cappellini”, inviato a Bordeaux nella base oceanica Betasom, da dove si conduce la guerra sottomarina sulla rotta atlantica per spezzare le linee di rifornimento che da gli Stati Uniti aiutano lo sforzo bellico della Gran Bretagna.
L’Italia possiede nominalmente la più grande flotta sottomarina tra i Paesi in guerra, ma è risaputo che quella tedesca è qualitativamente di molto superiore, e del tutto più evolute sono le strategie dei “branchi di lupi” dell’ammiraglio Karl Dönitz. Tutti i sommergibilisti sono comunque altamente considerati per il loro valore, élite tra tutte le truppe combattenti. Le loro imprese hanno infatti una vasta eco sui mezzi di informazione e sui bollettini militari
L’affondamento del piroscafo “Kabalo” e il salvataggio dei naufraghi
Gli italiani hanno forse qualcosa in più, come testimonia l’episodio del piroscafo armato “Kabalo”, battente bandiera belga ma aggregato al convoglio britannico OB 223 che ha smarrito nei pressi delle Canarie e con carico bellico a bordo, affondato dal “Cappellini” di Todaro a colpi di cannone.
Fin qui sarebbe una normale operazione, vittoriosa, se non fosse che il comandante, una volta mandata a picco la nave, accosta e raccoglie i 26 naufraghi su una zattera rimorchiata dal suo scafo. Poi, per le condizioni del mare, li fa salire a bordo e li fa sbarcare in salvo alle Azzorre, nel neutrale Portogallo.
Quel gesto prima stupisce i belgi, poi li commuove. Non si commuove Dönitz, per il quale sono prioritarie le esigenze belliche, e si sa che i tedeschi rimproverano costantemente gli italiani per il loro sentimentalismo. Lo faranno anche perché nella Francia occupata, e poi in Jugoslavia e in Grecia a seguito dell’aggressione dell’Asse, i militari italiani si rifiutano di consegnare gli ebrei ai tedeschi.
L’eredità di 2000 anni di storia
È diventata leggenda la risposta di Todaro alle osservazioni del potente ammiraglio, quando si dirà orgoglioso dei duemila anni di civiltà che sono la sua eredità di italiano. Civiltà contro barbarie, legge del mare contro le leggi di guerra.
E infatti si comporterà allo stesso modo a dicembre con i naufraghi del piroscafo armato “Shakespeare”, anch’esso affondato a cannonate, che porterà in salvo a Capo Verde. L’abilità nel combattimento non solo con i siluri ma pure con l’artiglieria, gli varrà un commento tra l’ammirato e lo sprezzante di Dönitz, secondo il quale avrebbero potuto affidargli il comando di una cannoniera.
Dopo aver colato a picco l’”Emmaus” in un violento combattimento, riuscirà a sfuggire alla caccia britannica, a sbarcare i feriti in un porto spagnolo, a effettuare le riparazioni e a riguadagnare la base di Bordeaux.
Medaglia d’argento al valor militare
Sul suo petto viene appuntata la prima medaglia d’argento al valor militare, che si aggiunge alle due di bronzo di cui è già insignito e che sarà seguita da un’altra d’argento per le imprese nell’Atlantico e un’altra ancora per l’impresa di Sebastopoli, nel giugno del 1942, sul Mar Nero.
È già transitato, su richiesta, nella Xª Flottiglia Mas, e opera come comandante sui mezzi d’assalto col grado di capitano di corvetta. Il 13 dicembre 1942 il motopeschereccio armato “Cefalo”, che lui comanda, di rientro da una missione notturna al largo della Tunisia è intercettato e mitragliato da un caccia Spitfire. Una scheggia raggiunge Todaro alla tempia, uccidendolo sul colpo.
Gli viene assegnata la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, e nella motivazione è riportato che «dimostrava al nemico come sanno combattere e i vincere i marinai d’Italia». Non c’è scritto che i marinai d’Italia, sanno anche insegnare come si vive.
Il nome di Salvatore Bruno Todaro, capitano coraggioso, è stato perpetuato dalla Marina Militare prima con una corvetta antisommergibile in servizio dal 1966 al 1994, e dal 2007 con un sommergibile.
AGI – È confermato il concerto di Bruce Springsteen questa sera nel Prato della Gerascia, all’interno dell’Autodromo Nazionale di Monza, dove sono attesi oltre 70 mila spettatori. L’ufficialità della decisione, già anticipata dagli organizzatori di Barley Arts, è arrivata dal Comune.
“Sentita la Prefettura e le autorità preposte alla sicurezza, infatti, il Parco risulta agibile e le condizioni di sicurezza idonee per accogliere le 70.000 persone attese in città”, recita un comunicato. Gli ultimi temporali che si sono verificati nella notte non hanno pregiudicato l’area dell’evento.
Le squadre comunali stanno completando la rimozione degli ultimi alberi e rami per liberare i viali di accesso verso il prato della Gerascia. “A breve – rende noto l’amministrazione comunale – saranno aperti i varchi per consentire l’accesso ai tanti fan che hanno già raggiunto Monza per il concerto di stasera”.
AGI – É scomparso oggi, a 87 anni, Marc Augé, grande antropologo, etnologo, scrittore e filosofo.
“Con Augé se ne va un amico e un maestro che ha dato al festivalfilosofia e al suo pubblico – sottolineano i curatori del festival culturale di cui Augé è stato membro per anni – come a tanti pubblici sparsi in tutto il mondo, alcuni insegnamenti dai quali non si torna indietro, come l’idea che le nostre pratiche culturali siano immerse in sistemi simbolici che è indispensabile studiare con gli strumenti dell’antropologia: una disciplina che Augé, grande specialista del terreno africano, ha praticato anche rivolgendo quel particolare tipo di sguardo alle nostre società, nella convinzione che, per essere intelligibili, i processi culturali implichino che nella loro analisi ci rendiamo “stranieri a noi stessi”.
Marc Augé, già directeur d’études presso l’école des Hautes études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi, di cui è stato a lungo Presidente, dopo aver contribuito allo sviluppo delle discipline africanistiche ha elaborato un’antropologia dei mondi contemporanei attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità.
Ha elaborato la teoria dei ‘non luoghi’, ovvero luoghi come centri commerciali, autostrade, supermercati in cui ogni riferimento a identità e temi relazionari, identitari o storici vengono canellati
Tra le sue opere tradotte di recente: Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernita’ (Milano 1993); Tra i confini. Citta’, luoghi, interazioni (Milano 2007); Il mestiere dell’antropologo (Torino 2007); Il bello della bicicletta (Torino 2009); Il metro’ rivisitato (Milano 2009); Per un’antropologia della mobilita’ (Milano 2010); Straniero a me stesso (Torino 2011); Futuro (Torino 2012); Per strada e fuori rotta (Torino 2012); Le nuove paure (Torino 2013); Etica civile: orizzonti (con L. Boella, Padova 2013); I paradossi dell’amore e della solitudine (Modena 2014); L’antropologo e il mondo globale (Milano 2014); Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste (Milano 2014); Fiducia in sé, fiducia nell’altro, fiducia nel futuro (Roccafranca 2014); La forza delle immagini (Milano 2015); Le tre parole che cambiarono il mondo (Milano 2016); Un altro mondo é possibile (Torino 2017); Sulla gratuita’. Per il gusto di farlo! (Milano 2018); Chi é dunque l’altro? (Milano 2019); Condividere la condizione umana. Un vademecum per il nostro presente (Milano 2019).
AGI – Dopo cinque anni torna a Caracalla ‘La traviata’ per la regia di Lorenzo Mariani. Tutto esaurito alla prima di quest’opera che vede nel ruolo della protagonista Violetta Valéry, diventata per l’occasione una star del cinema sul modello di Marilyn Monroe (la cui immagine apre e chiude lo spettacolo), la soprano Francesca Dotto, già protagonista dello stesso allestimento nel 2019.
Per il capolavoro di Verdi – che sul podio vede impegnato un direttore di grande esperienza operistica come Paolo Arrivabeni – il regista si ispira agli anni de ‘La dolce vita’ di Fellini, da una prospettiva però estranea al lusso e agli scintillii: la storia di Violetta Valéry si intreccia con quella delle icone del cinema di un tempo, gettate nel vortice della società divoratrice dello star system.
L’opera in tre atti il cui libretto è scritto da Francesco Maria Piave tratto dal romanzo ‘La dame aux camélias’ di Alexandre Dumas, ‘La traviata’ di Giuseppe Verdi è probabilmente l’opera più eseguita al mondo che, come scrive il musicologo Giovanni Bietti, presenta elementi rivoluzionari come “il personaggio di Violetta che nel corso dell’opera attraversa una trasformazione fisica e psicologica senza precedenti nella storia del genere”.
La versione di Caracalla, con costumi moderni, uno scooter in scena che ricorda la Vespa di Gregory Peck di ‘Vacanze romane’ e tanti paparazzi che simulano le ambientazioni del capolavoro di Fellini, porta l’ambientazione dal 1853 dell’originale agli anni ’60 de ‘La dolce vita’.
“Nel film c’è moltissima bellezza, ma si tratta di una bellezza feroce, che divora le persone – ha detto il regista – in effetti, quel film è un ritratto spietato della Roma e dell’Italia di fine anni Cinquanta. Possiede il fasto e il glamour di un sistema che stritola. Penso a certe attrici consumate dal successo in pochi anni come Laura Antonelli, che ci ha rimesso la vita. Anche Violetta è così, cioè intrappolata in un mondo che non dà scampo. D’altronde la borghesia francese di metà Ottocento era spietatissima”.
A dirigere il capolavoro di Verdi è Paolo Arrivabeni, specializzato nel repertorio operistico italiano, che torna a Caracalla dopo il grande successo, nel 2015, de ‘La bohème’ di Puccini messa in scena da Davide Livermore. A lui si deve la scelta di operare alcuni tagli che ha definito “opportuni”, “necessari in un contesto come quello di caracalla per mantenere la concentrazione per un’opera intera in un contesto che inevitabilmente propone qualche elemento di distrazione in più”.
Del capolavoro di Verdi sono celebri alcune arie – su tutte ‘Amami Alfredo, quant’io t’amo’ – e il ‘mi bemolle’ dell’aria ‘Sempre libera’ alla fine del primo atto (“Sempre libera degg’io folleggiar di gioia in gioia, vo’ che scorra il viver mio pei sentieri del piacer”). Chi però ha seguito la prima di ieri sera è rimasto forse deluso perché Francesca Dotto non ha eseguito il mi bemolle sopracuto a conclusione della cabaletta del primo atto.
Su quella nota (non scritta da Verdi) si concentrano da sempre le attenzioni dei melomani e tutte le tensioni di un soprano (celebre la ‘stecca’ di Mirella Freni nel contestato e raffinato allestimento scaligero diretto da Karajan, regista Zeffirelli, scenografo e costumista Danilo Donati.
Proprio per questo, ha spiegato il direttore Arrivabeni, il mi bemolle non è stato eseguito. “Trovo inutile mettere sotto pressione un soprano che per tutto l’atto non penserà altro che a quella puntatura, invece che al resto della musica in cui si deve impegnate”. Inoltre, ha precisato, quel virtuosismo “è una tradizione ma non è scritto e non è affatto necessario, si può scegliere se inserirlo o meno”.
Apprezzatissima nel ruolo di Violetta Valéry, il soprano Francesca Dotto – che della cortigiana è una delle più note interpreti – ha vestito i panni di Violetta all’Opera di Roma nella celebre produzione del 2016 con la regia di Sofia Coppola e i costumi di Valentino, e a Caracalla nel 2019 in questa versione firmata da Mariani.
Ad affiancarla nel ruolo di Alfredo Germont, si alterneranno il giovane tenore Giovanni Sala – vincitore nel 2014 del Concorso per Giovani Cantanti Lirici dell’Associazione Lirica Concertistica italiana – e Alessandro Scotto di Luzio, anche lui già Alfredo nel 2019 a Caracalla.
Giorgio Germont è invece interpretato da Christopher Maltman – richiestissimo baritono per ruoli verdiani – e da Marco Caria – premio speciale del pubblico e secondo classificato al Concorso Operalia nel 2007.
Completano il cast Ekaterine Buachidze (Flora Bervoix), Mariam Suleiman (Annina), Mattia Rossi (il marchese d’Obigny), Nicola Straniero (Gastone), tutti appartenenti a “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera, Arturo Espinosa (Barone Douphol) diplomato nello stesso progetto “Fabbrica” e Viktor Schevchenko (Dottor Grenvil). L’orchestra e il coro, diretto da Ciro Visco, sono del Teatro dell’Opera di Roma.
Collaboratore alla regia e coreografo Luciano Cannito, le scene e i costumi sono rispettivamente di Alessandro Camera e Silvia Aymonino. Alle luci Roberto Venturi e ai video Fabio Iaquone e Luca Attilii. Le repliche de ‘La traviata’ a Caraccalla sono previste per martedì 25 e venerdì 28 luglio, mercoledì 2, venerdì 4 e mercoledì 9 agosto. L’orario di inizio di tutti gli spettacoli è alle 21.00. Ogni rappresentazione è in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese.
AGI – Per la prima volta la copia personale di Virginia Woolf del suo romanzo d’esordio, ‘La crociera’ (The Voyage Out), è stata completamente digitalizzata. Il libro, come racconta la Bbc, è stato riscoperto nel 2021, dopo essere stato erroneamente conservato per 25 anni in una delle sezioni della biblioteca dell’Università di Sydney.
Si tratta dell‘unica copia del suo genere disponibile al pubblico e contiene rare iscrizioni e modifiche fatte personalmente dalla scrittrice. Gli esperti delle opere di Woolf ritengono che questo i completamento di questo processo potrebbe fornire informazioni sulla salute mentale e sui metodi di lavoro e stesura dell’autrice inglese, considerata uno dei più importanti letterati del XX secolo grazie alle oltre 45 opere pubblicate, tra cui ‘Gita al faro’ e “La signora Dalloway’.
L’Università di Sydney spera ora che condividere pubblicamente la copia in loro possesso, possa portare a un’analisi più profonda delle molteplici note presenti. Pensieri e revisioni, adottate o abbandonate da Woolf, che andranno a regalare a una nuova generazione di lettori, studenti di letteratura e studiosi un’idea dei pensieri della scrittrice. È noto che Virginia Woolf soffriva di ansia, insonnia e ripetuti crolli mentali durante la stesura de ‘La crociera’ durata circa 7 anni.
Cadde di nuovo in depressione e fu ricoverata in una casa di cura il giorno prima che fosse pubblicato nel 1915, rimanendovi per sei mesi. Suo marito Leonard Woolf ha detto che stava “scrivendo ogni giorno con grande intensità” e finire il romanzo è stata quasi “una tortura”.
Morì nel marzo 1941, all’età di 59 anni, dopo essersi riempita le tasche del cappotto di pietre e aver camminato nel fiume Ouse. L’Università di Sydney ha spiegato come si pensasse che la copia ritrovata de ‘La crociera’ fosse andata perduta “a causa del trambusto della vita quotidiana del campus e della biblioteca”. Simon Cooper, esperto di Metadata della Fisher Library di Sydney, ha trovato materialmente il libro riordinando gli scaffali e le pubblicazioni.
“Avevo capito che il libro non apparteneva a quel settore, così l’ho tirato fuori e ho visto il nome dell’autore scritto a mano sulla prima pagina. Così, ho cercato la sua calligrafia per confrontarla, e corrispondeva”.
Si è poi scoperto che l’Università ha acquisito il libro alla fine degli anni ’70 tramite la libreria Bow Windows a Lewes, nell’East Sussex. Virginia e suo marito Leonard Woolf avevano infatti vissuto nella zona. Uno dei più antichi librai antiquari del mondo, Maggs Bros a Londra, ha detto alla BBC che il libro potrebbe valere circa 250.000 sterline. Nell’edizione in questione si possono vedere modifiche scritte a mano da Woolf a matita blu e marrone, con estratti dattiloscritti incollati sulle pagine.
“Ha un valore iconico”, ha detto a Mark Byron, professore di letteratura moderna all’Università di Sydney, che ha studiato il libro di persona. “Le revisioni sono affascinanti in termini di ciò che Woolf stava pensando in quel momento”, ha aggiunto.
AGI – Vincere il Premio Bancarella con il libro d’esordio è da togliere il fiato, farlo raccontando la storia della propria bisnonna è un’emozione impagabile. Francesca Giannone, autrice di ‘La portalettere’, romanzo edito da Nord e presenza stabile in classifica dall’uscita nel gennaio 2023, si gode il successo e il risultato e si prepara alla trasposizione cinematografica di questa storia che, ambientata tra gli anni ’30 e gli anni ’60 resta di grande attualità. L’abbiamo intervistata.
Questo romanzo si inserisce in un filone che ci è familiare: una storia con figure femminili molto forti e, su tutte, quella di Anna, prima donna del sud d’Italia a vincere un concorso per diventare postina
È una storia che mi appartiene, perché Anna era la mia bisnonna, e che ho scoperto tramite un biglietto da visita trovato in un cassetto e che riportava per l’appunto nome, cognome e la dicitura ‘portalettere’.
Una storia di ordinario eroismo, considerata l’epoca…
La storia di una donna che arriva dalla Liguria in Salento e compie un atto rivoluzionario, un gesto eroico, pur non essendo ovviamente un’eroina e restando comunque un essere umano, con le sue fragilità, le sue debolezze.
Una storia rimasta chiusa in un cassetto per anni. Possibile che a tavola la domenica non si parlasse mai di questa nonna rivoluzionaria?
È proprio perché questa impresa è rimasta dimenticata per decenni che ho scritto questo romanzo: per restituirne la memoria. È iniziato tutto con un biglietto da visita di cui sono rimasti soltanto due esemplari. Era lì in un cassetto insieme ad altre foto in bianco e nero. Sapevo che la mia bisnonna faceva la postina ma nessuno mi aveva parlato del fatto che fosse stata la prima nel sud Italia. La sua impresa era data non solo per scontata, ma forse non è stata capita e valorizzata fino in fondo, non solo dalla mia famiglia, ma dalla comunità, dal Paese, che fortunatamente adesso sta riscoprendo questa concittadina. Anche se non è una saga familiare, racconta attraverso Anna la storia di una famiglia che seguiamo per due generazioni. Una famiglia a centro della quale c’è un conflitto molto importante, che poi è il filo rosso del romanzo: due fratelli innamorati della stessa donna, un conflitto molto doloroso che seguiamo fino all’ultima pagina
Se fosse stata pugliese invece che ligure avrebbe fatto una scelta così rivoluzionaria?
Questo non lo so. Bisogna comunque dire che prima di lei nessuna donna in paese aveva pensato di partecipare al concorso delle poste per diventare portalettere. Secondo me dipendeva dal fatto che avesse un’istruzione solida alle spalle, a differenza magari di tante altre donne che a stento avevano frequentato la scuola elementare. Lei si presenta al concorso e lo vince proprio grazie al fatto che ha un grado di istruzione più alto rispetto agli uomini.
Abbiamo una storia d’amore molto forte e una storia di emancipazione. Sono gli ingredienti per la storia perfetta per questo momento storico?
Ho iniziato a scrivere questo romanzo senza pensare minimamente nella pubblicazione né al pubblico che poi lo avrebbe letto. Sapevo solo di doverla scrivere. Nel momento in cui ho trovato quel biglietto da visita, ho deciso che dovevo raccontarla, senza alcuna pressione editoriale. Ho dato vita a questo romanzo in quella che poi ho ribattezzato ‘scrittura liberata’. Non ho seguito tendenze, non ho pensato a un pubblico. Ma poi in qualche modo il suo pubblico lo ha trovato. Probabilmente anche il fatto di scrivere senza condizionamenti è stato anche una carta vincente: i lettori hanno sentito che c’era cuore e non una macchina narrativa.
Lei, come la protagonista del suo libro, ha fatto una scelta particolare: ha studiato cinematografia a Roma, scrittura a Bologna e poi è tornata a Lizzanello, il paese dove è ambientato il romanzo. Come mai questa questa scelta?
Ho seguito le orme di Anna senza saperlo. Io ho passato un po’ di anni fuori, poi a un certo punto ho deciso di tornare a casa, alla mia terra, per restituirle qualcosa di tutto quello che avevo assimilato e raccolto. Ed è stato soltanto una volta tornata in Salento che mi sono imbattuta in questa storia. In qualche modo forse era scritto che dovesse andare così.
Lei è anche pittrice e la sua pittura è molto concentrata sulle figure femminili. È una narratrice, ha studiato cinematografia, quindi conosce benissimo i canoni narrativi cinematografici e questo si vede anche nel romanzo. Quanto è importante avere gli strumenti tecnici ma essere capaci di cercare nelle proprie radici per costruire una storia?
È importantissimo perché non ci si può improvvisare narratori. Ho studiato al centro sperimentale di cinematografia, ho frequentato la scuola di scrittura fondata da Carlo Lucarelli a Bologna, la Bottega Finzioni, che mi ha dato gli strumenti con cui poter maneggiare il materiale narrativo. E ci vuole consapevolezza, non bastano soltanto la voglia di scrivere una storia e la passione. Non basta neanche il talento, perché il talento non serve a nulla se non si hanno gli strumenti per poterlo maneggiare. Quindi credo che sia importante avere gli strumenti del mestiere, una cassetta di attrezzi, che è indispensabile nel momento in cui ci si accinge a scrivere un romanzo, che significa centinaia e centinaia di pagine e anni di lavoro. Bisogna saper costruire un impianto narrativo che regga e se non si hanno questi strumenti si rischia di non farcela. Non basta essere un lettore forte per poter scrivere.
I finalisti del premio Bancarella erano sei, tre uomini e tre donne. I finalisti dello Strega erano cinque, quattro donne e un uomo. In totale possiamo dire che fino ad ora c’è una prevalenza di mondo femminile e c’è anche una forte presenza di storie di emancipazione femminile. È un tema che ha una sua urgenza di essere raccontato?
Io penso che si sentisse un po’ la mancanza dello sguardo femminile sulle cose, che è diverso da quello maschile. Quante donne ci sono state raccontate attraverso gli occhi degli uomini? Anna Karenina, Madame Bovary, ci sono personaggi memorabili, raccontati da uomini. Avere il punto di vista femminile sulle cose probabilmente è qualcosa che a lettrici e lettori mancava.
AGI – Non è da tutti vincere due volte consecutive il Premio Bancarella. C’è riuscita la casa editrice Nord, nel 2022 con ‘L’inverno dei Leoni’ di Stefania Auci e quest’anno con ‘La portalettere’ di Francesca Giannone.
Ma non sono i primi successi inanellati dall’editore, piccolo solo in apparenza, che ha una storia lunga e ben diversa da quella che abbiamo imparato a conoscere. Per scoprirla abbiamo intervistato l’amministratore delegato del gruppo Gems – di cui fa parte, appunto, Nord – Marco Tarò. Che svela anche la sua ricetta per il bestseller perfetto.
Innanzitutto sfatiamo un mito: Nord non è una piccola casa editrice perché fa parte di un grande gruppo che ha un peso editoriale importante. Ce ne racconti la storia
La storia di Nord inizia tanti anni fa quando fu fondata da Gianfranco Viviani. grande appassionato di fantascienza, infatti la Nord è stata forse la prima casa editrice in Italia a occuparsi prima di fantascienza e poi di fantasy. Ha pubblicato nel corso degli anni i più importanti autori mondiali di fantascienza, tra cui Frank Herbert, autore della saga di Dune e tantissimi altri. Dopodiché, intorno agli anni 2000 la fantascienza come genere letterario, è andato in crisi, perché non c’erano più autori che scrivevano libri di fantascienza classica: si era un po’ virati sul cyberpunk e altre forme estreme di fantascienza e il pubblico pian pianino si è distaccato. Viviani decise di vendere e Longanesi decise di investire in questa casa editrice. Ci rendemmo subito conto che il catalogo della casa editrice faceva fatica e non era sufficiente a garantire un equilibrio economico e quindi la affidammo a Cristina Prasso che all’epoca lavorava per Longanesi e da lì iniziò la storia della nuova Nord, pubblicando un’ottima narrativa che non poteva essere ascritta a un genere ben preciso, ma che aveva delle sfumature che pescavano anche in altri generi. E da lì iniziammo
Poi ci fu il caso Schatzing…
Ci imbattemmo in un autore tedesco che in Germania stava facendo veramente sfraccelli, aveva già venduto mezzo milione di copie con un thriller corposissimo, stiamo parlando di quasi 800 pagine, tutto ambientato in mare e in cui si mescolano avventura, un po’ di fantascienza e soprattutto scienza. Fu un grandissimo successo: più di 100 mila copie
Cosa è successo alla fantascienza?
Io penso che la crisi della fantascienza sia dovuta al fatto che dagli anni ’90 spesso e volentieri la realtà ha superato la fantasia. Chi ha una certa età e guardava Star Trek, ad esempio, si ricorda di questi oggetti strabilianti che venivano usati per comunicare, uno scatolotto che non è nient’altro che un smartphone come quelli che usiamo adesso. Cose che oggi abbiamo nelle mani e usiamo tutti i giorni. È difficile inventarsi qualcosa di nuovo rispetto a quello che è già stato scritto. Anche i robot ormai sono entrati nella nostra vita quotidiana, quindi sono meno affascinanti.
Poi venne un caso particolare: un autore americano di quasi nessun successo in patria che invece fu un enorme successo in Italia
Glenn Cooper, che aveva scritto questo libro straordinario dove anche lì si mescolava il thriller, la fantascienza, che era ‘La Biblioteca dei Morti’. Un libro snobbato dai lettori americani per colpa dell’editore che aveva sbagliato titolo e l’aveva posizionato in un’area in cui non ha funzionato. In Italia è stato un successo da mezzo milione di copie, cavalcando la moda di quel momento che era quella del thriller un po’ esoterico lanciata da Dan Brown con il ‘Codice da Vinci’. Poi abbiamo portato in Italia la saga di The Witcher che poi è diventato un fenomeno, ultimamente rilanciato dalla serie tv di Netflix.
Parliamo di mode: tutto nel consumo è moda, anche la lettura è consumo e quindi anche lettura è moda. Noi nella moda quella classicamente intesa siamo abituati al fatto che siano un paio di stilisti o anche uno che azzecca filone e poi tutti gli altri gli vanno dietro. Nell’editoria l’impressione è che invece sia un po’ invertito il processo cioè è il pubblico che detta la moda e l’editore a volte anche un po’ faticosamente, a volte sbagliando o arrivando un po’ tardi. Come funziona?
È in parte vero che le mode le generano i lettori ma secondo me quelli che danno il via alle nuove tendenze alla fine sono gli autori che scrivono i libri che hanno in mente. Noi editori decidiamo di pubblicarlo non perché quel genere funziona in quel momento, ma perché riteniamo che sia un buon libro e che possa avere un buon gradimento di pubblico e quindi poi può nascere una tendenza più che una moda E il passaparola è quello che poi amplifica le vendite di un libro. Però c’è un anello fondamentale tra l’editore e i lettori che sono i librai, soprattutto i librai indipendenti, persone che leggono molti libri, che conoscono i tuoi gusti e che ti possono indirizzare verso libri simili. E quello è secondo me l’anello fondamentale.
E qui facciamo un piccolo salto temporale e arriviamo praticamente ai nostri anni. Ho l’impressione che con ‘I leoni di Sicilia’ abbiate trovato un filone non soltanto narrativo che si rivolge soprattutto a un pubblico femminile e che racconta storie di amore, storie di riscatto femminile, storie di emancipazione. Come definiamo questa linea editoriale?
Grandi storie che da una parte che hanno una ottima qualità di scrittura, quindi non sono romanzetti passati il termine commerciali, ma sono libri ben scritti con una grande qualità di scrittura, ambientati che raccontano da una parte raccontano storie di famiglie, ma anche un po’ la storia del nostro Paese. Leggendoli si ha la sensazione di imparare qualcosa, di ripassare la storia dell’Italia.
AGI – “La portalettere” della scrittrice pugliese Francesca Giannone (Editrice Nord) ha vinto la 71esima edizione del premio Bancarella, assegnato nel corso della tradizionale cerimonia di premiazione pubblica che si è svolta in piazza a Pontremoli, in Lunigiana.
Della cinquina finale del premio facevano parte anche Sandro Neri con “Gaber” (Hoepli), Davide Cossu con “Il quinto sigillo” (Newton Compton), Massimo Cotto con “Il re della memoria” (Gallucci), Bea Bozzi con “L’anno delle parole ritrovate” (Morellini) e Francesca De Paolis con “Le distrazioni” (HaperCollins).
Francesca Giannone succede nell’albo d’oro del premio Bancarella a Stefania Auci che lo scorso anno si era imposta con “L’inverno dei leoni”.
“Il primo grazie per questo premio voglio farlo alla mia casa editrice, Nord, che ha creduto in questo libro ed è diventata per me una famiglia”. Così Giannone ha commentato a caldo dal palco di Pontremoli la vittoria del premio.
Il romanzo è ambientato nel giugno 1934 a Lizzanello, un piccolo paese del Salento, dove inizia la storia di Carlo, tornato nel suo paese natale, e della bella moglie Anna, arrivata dal Nord, che sfidando il modo di pensare dell’epoca, partecipa e vince il concorso alle poste e diventa la prima portalettere di Lizzanello.
AGI – Il sito archeologico di Selinunte continua a regalare sorprese. Una struttura lunga 15 metri e quattro filari di blocchi per un’altezza di circa 1,80 metri, è stata scoperta casualmente a pochissima distanza da quella che doveva essere la darsena collegata al mare, a un centinaio di metri dalla riva attuale. Potrebbe essere parte di uno dei due porti dell’antica ex colonia di Megara Iblea, ampio e imponente come richiedeva una delle più importanti città del Mediterraneo, centro di traffici commerciali.
Di questa costruzione non c’è traccia nei documenti dei viaggiatori tra Settecento e Ottocento, né nelle descrizioni dei ricercatori dell’epoca: è di certo molto antica, probabilmente fu distrutta o comunque sommersa, in epoca lontana. A oggi gli archeologi non arrischiano teorie ma solo ipotesi sulla forma e funzione originale dell’imponente architettura: forse una struttura di contenimento sul fiume – il georadar registra molte altre strutture sotto la sabbia – forse le pareti di una darsena per le barche (si intravedono scanalature a intervalli regolari) magari collegata alle 80 antiche fornaci scoperte molto più’ a monte, forse addirittura la base di un ponte sul fiume.
Una scoperta topografica importante
Di una cosa gli studiosi sono certi: è un ritrovamento di grandissimo interesse che potrebbe far riscrivere la topografia della città antica. Ed è una scoperta del Parco archeologico, diretto da Felice Crescente, che si sta infatti già impegnando per sviluppare un progetto multidisciplinare e avviare le ricerche a partire dal ritrovamento.
La scoperta è avvenuta durante dei semplici lavori di disboscamento e ripristino del Vallone del Gorgo Cottone, alla foce del fiume omonimo, lungo la riva occidentale; all’inizio è affiorato solo l’angolo di un blocco, il resto era sepolto sotto lo strato massiccio di sabbia e di vegetazione recente, probabilmente ammassata nel dopoguerra durante la sistemazione della zona dell’acropoli.
“Appena pochi giorni dopo il ritrovamento a Segesta, arriva un’altra scoperta che conferma la Sicilia un inesauribile giacimento di reperti che contribuiscono a ricostruire una storia millenaria gloriosa e figlia di scambi culturali ed economici incessanti”, dice il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani.
“Questa volta – dice l’assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana, Francesco Paolo Scarpinato – si tratta della straordinaria Selinunte e del suo antico porto che la rendeva uno dei centri di commercio del Mediterraneo. Siamo sempre più certi che bisogna sostenere nuove missioni di scavo, e Selinunte sarà tra le priorità: il nostro impegno è quello di riportarla alla luce nella sua complessità e interezza. Siamo felici che la scoperta sia interamente del Parco con i suoi archeologi”.
L’archeologa Linda Adorno, responsabile della sorveglianza dei lavori, ha intuito subito l’importanza della struttura e ha fatto si’ che fosse portata alla luce. Sono stati immediatamente sospesi i lavori per consentire indagini piu’ approfondite ed è stata avviata una pulizia più accurata della zona.
Linda Adorno, di origine castelvetranese, profonda conoscitrice e studiosa dell’antica Selinunte, e’ collaboratrice scientifica dell’Istituto archeologico Germanico di Roma; è stata spontaneamente assistita dalla collega Melanie Jonasch che era in missione in zona per un altro progetto; al primo intervento ha partecipato anche un gruppo di studenti dell’Universita’ di Palermo, che negli stessi giorni erano impegnati in una campagna di ricognizione sul territorio urbano.
Grazie alla preziosa collaborazione di tutti, è stato possibile far affiorare l’intera larghezza della facciata della struttura: di cui non si comprende ancora l’utilizzo antico, ma e’ necessaria al più presto un’indagine più ampia e approfondita.
Secondo gli archeologi, la posizione della struttura sulla sponda occidentale del Gorgo Cottone indicherebbe un collegamento con il traffico navale del porto orientale, su cui sta studiando in questi giorni l’Università di Bochum. Senza dubbio è una parte integrante dell’impianto urbano della citta’ greca, visto che è perfettamente in linea con la rete stradale del sistema meridionale.
Intuizione, questa, che è stata accettata da uno dei più grandi conoscitori dell’impianto urbanistico della colonia di Selinunte, Dieter Mertens, non appena è stato informato della scoperta. Bisognerà comunque aspettare i risultati di nuove ricerche per definire con più esattezza, forma e funzione della struttura: saranno di certo di grande aiuto i carotaggi dei geoarcheologi che in questi giorni indagano l’andamento del fiume e l’estensione della foce del Cottone in epoca antica.