AGI – Il commendator Raimondi del Ministero Scambi e valute era partito da Roma il 12 agosto 1943 per un estenuante viaggio in treno verso la Spagna. Era stata scelta la linea ferroviaria e non quella aerea sicuramente molto più rapida per attirare di meno l’attenzione della polizia tedesca.
Quel civile, infatti, è in realtà il generale Giuseppe Castellano, il più giovane dello Stato maggiore generale, in missione segreta e su ordine del capo di stato maggiore Vittorio Ambrosio, a sua volta per incarico di Vittorio Emanuele III.
Castellano ha in tasca una lettera di presentazione rilasciatagli dall’ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Godolphin d’Arcy Osborne, da consegnare all’ambasciatore a Madrid, Samuel Hoare.
D’Arcy Osborne non può condurre alcuna trattativa con il governo italiano perché questo esula dal suo mandato diplomatico, e neppure può fare da tramite diretto perché si è accorto che lo spionaggio tedesco di Kappler ha violato i suoi codici.
La missione di Castellano, che si basa solo su quella lettera, è delicata e fragilissima: se fosse accaduto qualcosa sarebbe stato immediatamente sconfessato, perché ufficialmente il governo non sapeva nulla della sua trasferta in un Paese neutrale, per di più con documenti falsi.
Le cose erano state fatte come le circostanze permettevano e con mille cautele, tanto da passar sopra al fatto che il pseudo commendator Raimondi doveva interfacciarsi con gli inglesi e non ne parlava la lingua, e il suo documento diplomatico di accredito valeva solo per la Spagna, quando invece la meta finale era Lisbona, in Portogallo.
La parte più rischiosa gravava dunque sulle sue spalle, poiché buona parte del tragitto ferroviario, in Francia, era su territorio controllato dalla Gestapo in stato di allerta su tutto quello che si muoveva dall’Italia, e perché le sue credenziali erano di scarso rilievo.
A nome di chi parlava? E che potere di negoziazione gli era stato conferito? Castellano era comunque riuscito a raggiungere Madrid senza problemi e qui a contattare subito il console Franco Montanari, parente del Maresciallo Badoglio, che parla perfettamente inglese (la madre è americana), al quale si era pure rivolto il ministro degli Esteri Raffaele Guariglia, guarda caso all’insaputa del generale emissario. I due vengono ricevuti nell’Ambasciata britannica da Hoare: questi è un diplomatico esperto, mostra affabilità, assicura che informerà subito Churchill il quale parlerà direttamente a Roosevelt, visto che i due sono impegnati in un vertice politico a Québec.
Poi Hoare scrive a sua volta una lettera di referenze da mostrare all’ambasciatore a Lisbona, Ronald Hugh Campbell. Gi angloamericani, da questo momento, sanno che l’Italia vuole uscire dalla guerra e che ha mosso il primo passo in tale direzione, per quanto in maniera avventurosa e informale. Questo, però, non cambiava minimamente i loro piani militari che, anzi, venivano intensificati per stringere i tempi della resa.
Il giorno stesso dell’arrivo a Lisbona di Castellano e Montanari, il 16 agosto, la città di Foggia viene violentemente bombardata, e così Viterbo.
Gli Alleati sanno che i bombardamenti sono particolarmente avversati dalla popolazione civile che ne scarica le responsabilità sul governo, e questa è un’ulteriore arma psicologica di pressione.
Il primo contatto degli emissari con Campbell avviene la sera del 19, quando Lisbona è stata raggiunta anche dai plenipotenziari inviati da Roosevelt, ovvero il capo di Stato maggiore delle forze alleate del Mediterraneo, Walter Bedell-Smith, l’incaricato d’Affari degli Stati Uniti, George Kennan, e il capo dell’Intelligence Service delle forze alleate, il generale britannico Kenneth Strong. Si comincia a fare sul serio, in quel rapporto del tutto squilibrato: Castellano non ha nulla su cui contrattare, gli Alleati non flettono dall’accettazione della resa incondizionata.
Così come stanno le cose, il generale deve fare del suo meglio per non essere subito messo alla porta perché non ha alcuna delega di rappresentanza, e formalmente parla per sé.
Per accattivarsi la controparte lancia sul tavolo alcune confidenze e indiscrezioni di carattere politico-militare, pur di mantenere vivo quell’esile filo che deve portare l’Italia all’uscita dalla guerra. A Roma riusciranno però a complicargli la vita inviando persino altre due missioni segrete paradiplomatiche, ovviamente l’una all’insaputa dell’altra, come avremo modo di vedere in seguito
AGI – “Voglio esprimere sincere condoglianze alla famiglia e agli amici della scrittrice Michela Murgia. Era una donna che combatteva per difendere le sue idee, seppur notoriamente diverse dalle mie, e di questo ho grande rispetto”.
Lo scrive su Twitter Giorgia Meloni, commentando la morte della scrittrice che a maggio aveva annunciato di avere un carcinoma al rene al quarto stadio. “Mi restano pochi mesi di vita” aveva detto, e così è stato. I funerali si svolgeranno domani alle 15,30 alla Chiesa degli Artisti di Roma.
La sua casa editrice, Mondadori, per cui aveva pubblicato ‘Tre Ciotole’, pubblica un tweet con un messaggio semplice “Ciao Michela” e un cuore rosso su una foto di lei sorridente che sfoglia un libro.
Ciao Michela ❤️ pic.twitter.com/disO8AUNx8
— Mondadori (@Mondadori)
August 10, 2023
Sui social si moltiplicano i messaggi di cordoglio da chi l’aveva apprezzata, ma anche di chi si è trovato sul fronte opposto delle sue battaglie civili. A luglio scorso aveva sposato civilmente il compagno Lorenzo, Terenzi, di sedici anni più giovane. Matrimonio avvenuto qualche settimana fa non senza polemiche in quanto la scrittrice ha sottolineato la necessità di contrarre le nozze per vedere garantiti i diritti al compagno e a quella che lei definiva la ‘famiglia queer’.
Infatti a seguire la scrittrice – una volta trasferitasi nella nuova casa con giardino – ha organizzato una grande festa per festeggiare e celebrare l’unione del gruppo e la condivisione. Alla festa ha partecipato anche Roberto Saviano, considerato facente parte del gruppo. I partecipanti erano tutti vestiti di bianco, come se fossero tutti sposi.
Ma non solo. “Il rito che avremmo voluto non esiste”, aveva detto Michela Murgia, scatenando polemiche intorno all’idea di matrimonio.
Michela Murgia, nata a Cabras il 3 giugno 1972, di formazione cattolica, prima di iniziare la carriera di scrittrice ha svolto diverse attività, compresa quella di insegnante di religione: significativa tra le altre l’esperienza come venditrice telefonica riversata nel suo primo libro, “Il mondo deve sapere” (2006), sorta di blog sul mondo dei call center e delle multinazionali che ispirerà l’opera teatrale omonima e il fortunato film “Tutta la vita davanti“.
Legatissima alle sue radici, nel 2008 pubblica per Einaudi “Viaggio in Sardegna”, una guida letteraria ai luoghi meno noti dell’isola. Due anni più tardi esce, sempre per Einaudi, “Accabadora”, romanzo che intreccia nell’isola degli anni Cinquanta i temi dell’eutanasia e dell’adozione: con questo vince prima il Premio Dessìe poi il SuperMondello e il Campiello.
Nel 2011 pubblica “Ave Mary”, riflessione sul ruolo della donna e la Chiesa. Tra le opere successive il romanzo “L’incontro” (2012), che analizza i temi della condivisione e delle affinita’; il saggio breve sul femminicidio “L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!” (con Loredana Lipperini, 2013); il romanzo “Chiru'” (2015) e “Futuro interiore” (2016).
Alle regionali sarde del 2014 si presenta con la coalizione Sardegna possibile, che non supera lo sbarramento previsto dalla legge.
Michela Murgia è stata sposata dal 2010 al 2014 con Manuel Persico, informatico bergamasco di dodici anni più giovane.
AGI – E’ morto all’eta’ di 83 anni il cantante, autore e musicista napoletano Peppino Gagliardi. Ne ha dato notizia sui social il musicista partenopeo Gianni Aterrano, suo collega e amico.
Nato nel popolare quartiere Vasto di Napoli il 25 maggio del 1940, Peppino Gagliardi si è avvicinato alla musica da bambino iniziando a suonare la fisarmonica, passando poi alla chitarra e al pianoforte. Ha partecipato a numerosi Festival di Napoli e cinque Festival di Sanremo, dove guadagnò due secondi posti.
Tra i suoi brani più famosi ‘Settembre’ del 1970, e “Gocce di Mare”, “Ti amo così”, “Sempre sempre” , “Come le viole” e “Come un ragazzino”.
AGI – In un Circo Massimo gremito da oltre 60mila persone tra ragazzi, ragazze e qualche famiglia, Travis Scott, uno dei rapper più famosi del mondo, ha lanciato per la prima volta dal vivo il suo nuovo album “Utopia”, uscito il 28 luglio scorso facendo ballare e rappare tutti i presenti.
L’evento si è tenuto a pochi giorni dall’uscita del suo film “Circus Maximus” e la location per l’esibizione non è certo stata scelta a caso. L’artista ha aperto la serata con “Hyaena” e il pubblico ha iniziato già a scaldarsi seguendo il ritmo di bassi potentissimi che risuonavano in tutta l’area del centro di Roma.
Per quasi due ore di concerto, una ‘chicca’ in questa estate romana, i fan non hanno mai smesso di cantare e seguire il ritmo dettato dal rapper texano. Sul palco, a sorpresa, la guest star della serata: a trenta minuti circa dall’inizio del concerto, è entrato in scena Kanye West ed è stato subito duetto con Scott grazie ai brani “Praise God” e “Can’t tell me nothing”.
Ovazione per entrambi. Il concerto è andato veloce in un crescendo di emozioni passando per hit come “Goosebumps” e “Sicko mode”, due dei brani più famosi di Scott che durante la serata, ha più volte ringraziato il pubblico, accorso numeroso al concerto nella Capitale d’Italia e le istituzioni locali per averlo ospitato con poco preavviso.
“Utopia”, il nuovo album dell’artista certificato Diamante e nominato 8 volte ai Grammy Awards è entrato direttamente al primo posto della classifica Album & Compilation Top Of The Music FIMI/Gfk Italia, diffusa lo scorso 4 agosto. Il nuovo lavoro è l’emblema della poliedricità dell’artista capace di essere performer, autore, produttore e collaboratore, designer, icona di stile, attore, fondatore dell’etichetta discografica Cactus Jack.
Un artista che ha cambiato il corso dell’hip-hop con una serie di album e mosse che hanno suscitato discussioni. A testimonianza di quanto sia un innovatore in grado di portare la sua musica via via a un livello sempre più alto. “Utopia”, al debutto, in sole 24 ore su Spotify ha totalizzato oltre 128 milioni di stream diventando così il miglior esordio dell’artista a oggi e il quinto miglior debutto di sempre nella storia della piattaforma.
“Hyaena”, brano con cui l’artista ha aperto il concerto di Roma, ha debuttato alla primo posto della classifica globale, e insieme a questa hit, altri 8 brani del disco come “Meltdown”, “Fe!n”, “Thank god”, “Modern jam”, “My eyes”, “Delresto (echoes)”, “Sirens” e “God’s country” sono direttamente entrati nella Top10 della classifica globale.
Travis Scott ha inoltre presentato pochi giorni fa negli Stati Uniti il suo film “Circus Maximus”, viaggio surreale e psichedelico, scritto e diretto dallo stesso artista, che riunisce registi visionari (Gaspar Noe, Valdimar Jo’hannsson, Nicolas Winding Refn, Harmony Korine, Kahlil Joseph) provenienti da ogni parte del mondo alla scoperta caleidoscopica dell’esperienza umana e del potere delle sonorità.
Il viaggio visivo è accompagnato dalle avvolgenti sonorità del nuovo album. “Utopia” segue il grandissimo successo dell’album Astroworld”, del precedente “Birds in the Trap Sing McKnight”, e dei singoli “Sicko mode”, “Tkn” feat. Rosalia, e della super Hit da oltre 2 miliardi di stream “Goosebumps”.
Jacques Bermon Webster II, nome d’arte Travis Scott, 32enne di Houston, artista da 67 milioni di ascoltatori mensili su Spotifty, è tornato in Italia a poco più di un mese dalla tappa di Milano atterrando a Roma per il primo concerto in assoluto dopo la pubblicazione del nuovo album e l’uscita del suo film.
Un live che è stato di portata e rilevanza mondiale, data anche la scelta della location, omonima alla pellicola. Il concerto di Roma, è stato un vero e proprio inaspettato “regalo” ai suoi fan che attraverso un gioco spettacolare di laser e luci, suono di bassi che si udiva anche a notevole distanza, hanno confermato il successo mondiale dell’artista.
AGI – Manga Productions e Dynamic Planning hanno annunciato il lancio del teaser ufficiale di “Goldrake U”. La nuova serie anime torna con un nuovo logo e nuove caratteristiche per i protagonisti. L’uscita è prevista per il prossimo anno su canali Tv e piattaforme streaming.
Il teaser ufficiale è stato lanciato in occasione del festival AkibaDaisuki di Tokyo e ha rivelato l’intera troupe cinematografica, che include Go Nagai, il mangaka e creatore di “Goldrake”, il regista Mitsuo Fukuda noto per il suo lavoro su “Mobile Suit Gundam SEED”, e il character designer Yoshiyuki Sadamoto, che ha lavorato a “Neon Genesis Evangelion” e “Summer Wars”.
Lo sceneggiatore è Ichiro Okouchi, meglio conosciuto per il suo lavoro in “Code Geass: Lelouch of the Rebellion”, e la musica è stata composta da Kohei Tanaka, famoso per il suo lavoro in “ONE PIECE” e “Sakura Wars”.
L’anno scorso è stata definita una partnership strategica con Dynamic Planning, che ha concesso a Manga i diritti di licenza per la distribuzione nelle città del Medio Oriente dei prodotti e personaggi della serie “Ufo Robot Goldrake“. Il primo risultato della partnership è stata l’inaugurazione della statua “Goldrake” nella capitale Riyadh, riconosciuta dal Guinness dei primati come la più grande figura metallica di un personaggio immaginario al mondo, con un’altezza di oltre 33 metri.
Conosciuto in Francia come “Goldorak” e in Italia come “Goldrake” e “Ufo Robot”, Grendizer è un grande robot lanciato nel 1975 per salvare il pianeta Fleed e aiutare “Daisuke Amon“, meglio conosciuto come Duke Fleed, a raggiungere la terra sano e salvo e difendere il pianeta e i suoi abitanti. La serie ha avuto un grande successo soprattutto nel mondo arabo, in Francia e in Italia ed è diventata iconica nel mondo dell’animazione e dei manga.
AGI – Nella notte tra il 6 e il 7 agosto Mussolini viene svegliato dal maresciallo dei carabinieri Osvaldo Antichi. Badoglio aveva impartito l’ordine di trasferimento che era stato portato da Roma a Ponza da due ufficiali dei carabinieri, il maggiore Camillo Meoli e il tenente Elio De Lorenzo.
Vicino al molo una lancia della Regia Marina era in attesa di far salire il prigioniero e i suoi custodi per condurli sul cacciatorpediniere “Pantera” da cui l‘ammiraglio Francesco Maugeri sta coordinando la missione che ha come meta l’isola della Maddalena. La destinazione viene rivelata solo all’alba.
Gli italiani temono, e a ragione, che i tedeschi vogliano mettere le mani su Mussolini, il quale nei suoi appunti scrive: «Questa è la più grande umiliazione che mi possa infliggere. E si può pensare che io possa andarmene in Germania e tentare di riprendere il Governo con l‘appoggio tedesco? Ah, no davvero!».
La scorta verso La Maddalena
E invece accadrà proprio questo dopo la sua liberazione dall’albergo di Campo Imperatore il 12 settembre. Il “Pantera” giunge in vista del porto fortificato di Padule e subito si fa incontro un’imbarcazione con a bordo l‘ammiraglio Bruto Brivonesi, comandante militare marittimo della Sardegna, un capitano dei carabinieri e altri militari, per il trasbordo.
Sul molo ad attendere Mussolini c’è il contrammiraglio Aristide Bona, che lo scorta su un’automobile fino a Villa Webber, luogo per la sua custodia scelto dal colonnello dei carabinieri Antonio Pelaghi, e probabilmente suggerito dall‘ispettore generale Saverio Polito che aveva soggiornato alla Maddalena nella seconda metà del 1940 per il coordinamento dell‘assistenza ai civili sfollati.
La villa era sufficientemente lontana dal centro abitato, nascosta alla vista da un’ampia pineta, di fronte al mare tra Padule e Nido d’Aquila e con la roccia alle spalle, quindi facilmente difendibile in caso di attacco tedesco. L’area è presidiata da un centinaio di carabinieri e soldati agli ordini di Meoli e il servizio di guardia è serrato. All’interno il responsabile è il tenente dei carabinieri Alberto Faiola, comandante della Tenenza di Bracciano, scelto personalmente da Badoglio che l’aveva avuto ai suoi ordini durante la guerra d’Etiopia. La consegna ricevuta è di «impedire con i mezzi a sua disposizione ogni tentativo di fuga e ogni tentativo di ratto del Duce».
L’operazione segreta svelata dagli operai telefonici
Suona inquietante, comunque, che in tanta segretezza sia stata scelta proprio La Maddalena, dove non mancano marinai tedeschi di stanza e di passaggio. Un altro particolare è ancora più preoccupante. Lo rivelerà nel dopoguerra il medico condotto Aldo Chirico, ex podestà, cugino del colonnello dei carabinieri Ettore Chirico vice comandante della caserma Allievi Carabinieri di Roma dove l’ex duce era stato tenuto prigioniero per tre giorni.
Il dottore, peraltro, abitava di fianco a Villa Webber: «Mussolini non giunse inaspettato a La Maddalena: buona parte della cittadinanza era venuta a conoscenza del suo arrivo almeno 24 ore prima, e in modo molto semplice. Gli operai della rete telefonica avevano ricevuto l’ordine dal Comando marina di installare d’urgenza una linea telefonica diretta tra Villa Webber e l’ufficio dell’ammiraglio, senza deviazione alla cabina centrale come avveniva per tutte le linee di piazzaforte».
Intanto a Roma Badoglio tenta di districare la matassa contorta che deve portare all’armistizio con gli angloamericani, ma le vie scelte sono a dir poco confuse. Mentre il marchese Blasco Lanza d’Ajeta creava un contatto a Lisbona, la sera del 5 agosto il capo del governo aveva inviato in missione a Tangeri il funzionario del ministero degli Esteri Alberto Berio per incontrare il console britannico Alvary Gascoigne, ma in sua assenza aveva dovuto parlare col vice Watkinson.
L’offerta di un’alleanza antitedesca
Ancora una volta, invece di porre sul tavolo delle trattative la resa italiana, unica formula accettabile dagli Alleati, era stata offerta un’alleanza antitedesca e si era sollecitata una diminuzione dei bombardamenti sull’Italia: la stessa formula di d’Ajeta che aveva sconcertato gli inglesi.
C’era però un’aggiunta, quella di intensificare la propaganda contro Badoglio col solo fine di non insospettire Hitler. Gascoigne rientrerà solo il 13 agosto in sede e l’unica replica che potrà offrire sarà quella della capitolazione, come stabilito a gennaio nella conferenza di Casablanca da Churchill e Roosevelt.
Non sa che il 10 agosto gli italiani hanno compiuto un’altra mossa che insospettirà gli Alleati frastornati dal tourbillon di emissari senza credenziali. Il capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio, su sollecitazione di Vittorio Emanuele III attraverso il ministro della Real Casa duca Pietro Acquarone, aveva infatti dato incarico al più giovane generale dello stato maggiore, Giuseppe Castellano, di partire per Lisbona e lì intavolare trattative segretissime per l’armistizio. Un precedente tentativo di coinvolgere l’anziano e stimato politico Vittorio Emanuele Orlando era sfumato di fronte al suo rifiuto.
AGI – Nell’estate del 1943 il primo abboccamento diretto con gli Alleati per farla finita con una guerra ormai perduta è affidato al marchese Blasco Lanza d’Ajeta, che presta servizio come diplomatico nell’Ambasciata del Regno d’Italia presso il Vaticano. Era stato Vittorio Emanuele III a dare il suo placet affinché fosse inviato il 4 agosto a Lisbona per un contatto con gli inglesi. Nella capitale portoghese aveva mostrato all’ambasciatore britannico Ronald Hugh Campbell una lettera di presentazione firmata da Francis d’Arcy Osborne, ministro plenipotenziario presso la Santa Sede.
Quell’incontro era subito naufragato di fronte all’iniziativa di d’Ajeta di proporre agli inglesi un’alleanza contro la Germania di Hitler, sollecitando uno sbarco nella Francia meridionale oppure nei Balcani in modo tale che la Wehrmacht fosse costretta ad abbandonare l’Italia. Se l’aspetto militare era imbarazzante, quello politico lo era ancor di più. Il marchese si era detto sicuro che il fascismo ormai apparteneva al passato, non c’era alcuna possibilità che si rimanifestasse, e aveva però aggiunto che l’Italia non era immune dalle sirene comuniste.
Gli angloamericani avrebbero quindi dovuto smetterla con i bombardamenti perché a Roma c’era il rischio di una rivoluzione, con la conseguenza che i tedeschi l’avrebbero occupata. Campbell era rimasto a dir poco basito. Non solo d’Ajeta non parlava a nome del governo italiano, cosa che lo avrebbe accreditato per una trattativa, ma il tema del suo intervento era su una specie di alleanza con rovesciamento di fronte, mentre gli angloamericani offrivano solo la resa incondizionata. L’unico risultato di quella missione, oltre l’imbarazzo britannico, era il discredito sul capo del governo Maresciallo Pietro Badoglio e sul capo dello Stato Vittorio Emanuele III.
Sul fronte interno, all’insaputa dei tedeschi Benito Mussolini è tenuto prigioniero sull’isola di Ponza, la sua famiglia è sotto sorveglianza alla Rocca delle Caminate a eccezione del figlio Vittorio che è invece riparato subito in Germania. All’ex Duce vengono fatti recapitare due bauli con biancheria di ricambio, viveri che integrano le scarse razioni della tessera annonaria di cui è stato prontamente dotato, una fotografia del figlio scomparso Bruno e diecimila lire: i contanti sono stati consegnati personalmente dalla moglie Rachele all’ispettore Saverio Pòlito, già dirigente dell‘Ovra e capo della polizia militare del comando supremo, responsabile della custodia del prigioniero; questi in automobile, il 2 agosto, ha compiuto su di lei approcci osceni che gli varranno una condanna nella Rsi che a fine guerra saprà volgere a suo favore come riprova di antifascismo.
A Ponza, comunque, nonostante le stringenti misure di sicurezza, la presenza di Mussolini è di dominio pubblico. Lo spionaggio di Kappler viene allertato dall’intercettazione di una lettera spedita da un carabiniere alla fidanzata dove parla esplicitamente del prigioniero, ma all’indizio non si dà subito seguito perché il Feldmaresciallo Erwin Rommel ha informato Hitler che da fonti attendibili ha saputo che Mussolini si trova in custodia a bordo di una corazzata. Quando la falsa pista viene abbandonata è ormai troppo tardi.
Il 6 agosto Badoglio convoca una riunione segreta alla quale prendono parte il questore Polito, il capo della polizia Carmine Senise e il ministro di Supermarina Raffaele de Courten, per decidere dove trasferire Mussolini, perché Ponza non è più sicura. Hitler nel frattempo, il 5 agosto, ha congelato il Fall Schwarz, ovvero il piano di arresto della famiglia Savoia, di Badoglio e del governo italiano che lui chiama sprezzantemente «la cricca dei traditori»: il Feldmaresciallo Albert Kesselring ne aveva prefissato il 2 agosto l’operatività per il 6 anche se era ormai sfumato l’effetto-sorpresa. Il Führer è totalmente concentrato sul Fall Eiche, che deve invece portare alla liberazione di Mussolini e alla rinascita del fascismo. Nella notte del 6 agosto l’ex Duce viene svegliato all’improvviso e portato via da Ponza. La destinazione, lo si saprà solo all’alba, è l’isola della Maddalena.
La caccia continua.
AGI – “Combattere senza paura e senza speranza” è il titolo delle memorie del generale tedesco Frido von Senger und Etterlin, cattolico praticante, soldato dalla profonda etica cristiana, antinazista dalla prima ora.
Combattere senza speranza e senza paura è anche il manifesto degli insorti dell’eroica e disperata rivolta di Varsavia del I agosto1944. Non c’era infatti alcuna possibilità di sconfiggere le SS nello scenario della guerriglia urbana, ma c’era il coraggio di battersi per la dignità e per il proprio Paese oppresso dal 1939. È questa una delle pagine più controverse della seconda guerra mondiale. L’inopportunità di quella sollevazione venne soppesata anche dal Governo polacco in esilio a Londra, e il generale Władysław Anders era contrario perché intravedeva dal prevedibile fallimento lo smantellamento dell’esercito clandestino che avrebbe dovuto impedire la sovietizzazione della Polonia, con l’Armata Rossa di Stalin giunta davanti alla capitale.
Quel I agosto del 1944, alle ore 17, scattava l’Operazione Burza, ovvero “Tempesta”. Tutto spingeva ormai in quella direzione e il corso della storia non poteva più essere fermato. Il presidente del consiglio dei ministri del governo polacco in esilio a Londra, Stanisław Mikołajczyk, dal 30 luglio si trovava a Mosca per un colloquio con Stalin che il dittatore aveva spostato al 3 agosto, avendo già riconosciuto l’Unione dei patrioti polacchi (Zpp) di Bolesław Bierut (futuro presidente della Polonia socialista) e Wanda Wasilewska come rappresentante del popolo polacco.
Il futuro stesso della Polonia è in gioco, poiché Stalin intende appropriarsi di metà del Paese stabilendo la nuova frontiera secondo al Linea Curzon tracciata nel 1919 e superata con la vittoria militare dei polacchi sui bolscevichi nel 1920 come sancito poi dal Trattato di Riga. Quel I agosto il bollettino dell’agenzia di stampa tedesca Deutsche Nachrichten-Büro (Dnb) aveva diffuso la tranquillizzante nota «Varsavia è calma». I tedeschi avevano mobilitato la popolazione per i lavori forzati a difesa della città ormai minacciata dall’Armata Rossa acquartierata sulla sponda orientale della Vistola. Per la resistenza sarebbe stato un colpo letale, perché i combattenti dell’Armia Krajowa non sarebbero più stati disponibili per quello che aspettavano da anni.
Alle 17 i reparti del colonnello Antoni Chrusćiel (‘Monter’) aprono il fuoco e danno inizio alla rivolta. I vertici dell’AK hanno deciso di tenere impegnati i tedeschi per tutto il tempo in cui Mikołajczyk deve condurre i negoziati, quindi per cinque, sette giorni al massimo: è quanto consentono le scorte di viveri e di munizioni. Oltre 45.000 insorti costituiti in circa 600 compagnie di cinquanta-cento combattenti, uomini e donne, spuntano come funghi dal tessuto urbano di Varsavia. La Kotwica, l’àncora simbolo dell’AK con la lettera ‘P’ che sormonta la ‘W’, viene dipinta e disegnata dappertutto.
I polacchi portano bracciali biancorossi, sfoggiano stemmi e distintivi con l’aquila bianca sugli elmetti tedeschi, le bandiere polacche sostituiscono quelle del Terzo Reich. Il quartier generale guidato da Tadeusz Bór Komorowski , dalla fabbrica Kammler, il 2 agosto via radio informa gli Alleati che «la battaglia per Varsavia è cominciata». Stalin reagisce dando l’ordine all’Armata Rossa di fermarsi al Quartiere Praga e di non attraversare la Vistola: sarebbero stati i tedeschi a fare il lavoro sporco sul campo di battaglia e a “ripulirlo” dall’Armia Krajowa che i sovietici avevano smantellato ovunque fossero entrati nel territorio polacco con fucilazioni, imprigionamenti e deportazioni. Un copione ormai classico. A Mikołajczyk il dittatore non lascia alcun margine di trattativa, arrivando pure a negare l’insurrezione di Varsavia. Ai polacchi non resta allora che combattere senza speranza e senza paura.
Le SS del generale Erich von dem Bach-Zelewski mostrano il loro volto più feroce, con i ranghi irrobustiti da detenuti e criminali che si macchiano di indicibili stragi di civili, con decine di migliaia di morti. L’AK, stando al Diario della 9ª Armata tedesca, si batteva in modo fanatico e con molta decisione, ma dopo l’iniziale slancio non poteva che perdere continuamente e sanguinosamente terreno. I combattenti resistono a condizioni inenarrabili, senza acqua e cibo, senza medicine.
Stalin ha negato all’aeronautica alleata il permesso di sorvolo e di scalo sui territori presidiati dall’Armata Rossa, e tanto per far capire come la pensa li fa accogliere dal tiro della contraerea. Le missioni partite dagli aeroporti pugliesi hanno perdite altissime e risultati irrisori nel lancio di rifornimenti: un quadrimotore abbattuto per ogni tonnellata di materiale lanciato e il 16% della flotta. A un certo punto, per beffa, Stalin farà effettuare lanci dall’aeronautica sovietica, ma da altezze troppo basse in modo che il carico vada in frantumi, e casse con munizioni di calibro non compatibile con le armi di rivoltosi.
Dopo 63 giorni di lotta disperata, il 2 ottobre, il generale Bór Komorowski firma la resa, avendo ottenuto tutte le garanzie delle convenzioni internazionali. I reparti superstiti, 11.000 soldati (di cui 2.000 donne) sfilano cantando in ordine e armati davanti ai tedeschi, che li riconoscono legittimi combattenti, mentre loro gridano «Lunga vita alla Polonia! Viva la libertà». Il 3 ottobre da Londra il Comitato nazionale polacco diffonde un commovente bollettino: «Non abbiamo ricevuto alcun sostegno effettivo […]. Siamo stati trattati peggio degli alleati di Hitler in Romania, in Italia e in Finlandia». Hitler per vendetta farà evacuare tutta la popolazione da Varsavia e ordinerà di cancellare la città dalla faccia della terra. Quando finalmente arriverà dal Cremlino l’ordine di oltrepassare la Vistola, i soldati sovietici troveranno davanti a loro un mare di macerie al posto dell’elegante capitale d’anteguerra. Per quella rivolta erano morti oltre 200.000 soldati e civili. Finita l’occupazione nazista, per la Polonia iniziava l’era dell’occupazione sovietica
AGI – Qualcuno ha la moglie accanto, un altro un figlio in braccio, altri ancora semplicemente il viso senza una ruga: c’è una foto sbiadita e in bianco e nero per ciascuno dei 480 soldati canadesi che riposano nel cimitero militare di Agira, affacciato sullo specchio d’acqua Pozzillo che ricorda vagamente i laghi del Canada: sono giovani e giovanissimi, caduti tra Leonforte, Assoro e Agira, e sono la maggioranza dei 562 Loyal “Eddies” morti 80 anni fa nello sbarco alleato in Sicilia, quella Operazione Husky che nel 1943 diede il via alla sconfitta militare del nazismo.
Tjarco Schuurman, un uomo imponente di quasi due metri, presidente della D-Day Dodgers Foundation, da tre anni li cerca a uno ad uno, contattando le famiglie che, sorprese e felici, hanno tirato fuori dai cassetti gli scatti dimenticati.
E’ nato così “Faces of Agira” (I volti di Agira), progetto che viaggia sui social per dare una memoria a soldati di fatto sconosciuti, e che si lega profondamente al Wrap (Walking for Remembrance & Peace) il “cammino” che un gruppo di canadesi, guidati da Steve Gregory, ha condotto sulle tracce delle truppe alleate nel luglio 1943, da Marzamemi e Pachino, luoghi dello sbarco, ad Adrano. Una toccante commemorazione, al suono delle cornamuse dei Seaforth Highlanders, ha chiuso il Wrap, avviato il 10 luglio a Pachino.
Al cimitero di Agira si sono ritrovati in tanti al tramonto: dopo un primo ricordo, un particolare “saluto al sole” di un militare canadese, nativo pellerossa, è stato letto l’elenco dei caduti: ad ogni nome, una voce, un distino “presente”. C’era anche Tony Loffreda, unico senatore canadese di origine italiana, che ha voluto seguire l’intero “cammino”. “Tjarco Schuurman ha dato loro un viso, noi abbiamo aggiunto un segno della nostra memoria”, ha detto Gregory.
In tre anni, costruendo un’imponente rete di contatti e di volontari anche tra gli abitanti di Assoro e Agira, Schuurman è riuscito ad abbinare 480 foto ai nomi dei caduti, degli oltre 500 militari sepolti in questo cimitero bianco. Quando gli viene chiesto come è stata accolta la sua richiesta dalle famiglie dei caduti, Schuurman risponde che “alcune neanche sapevano che un loro parente era morto in Sicilia, ma hanno comunque cercato le immagini in cassetti e armadi. Mancano ancora una ventina di foto, ma non ci fermiamo”. A Marzamemi sono stati piantati sulla spiaggia di fronte al mare, 130 markers (marcatori), in ricordo di coloro che non sono morti in battaglia, ma sono caduti durante le operazioni dello Sbarco o facevano parte degli equipaggi dei velivoli abbattuti in Sicilia.
Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, più di 25 mila soldati della 1 Divisione di fanteria e della 1 Brigata corazzata del Corpo di spedizione canadese al comando del Maggior Generale Harry Crerar, sbarcarono tra Marzamemi e Pachino, nella Sicilia orientale. Sole cocente, pochissima acqua potabile, strade polverose: i volontari canadesi sono disorientati ma procedono abbastanza speditamente verso il cuore dell’isola e all’inizio non incontrano resistenza.
“Gli americani marciano verso Palermo e gli inglesi tagliano la costa verso Catania: i canadesi rimangono al centro dove si ritroveranno impegnati nella conquista di cittadine arrampicate sui monti, vere roccaforti tedesche e italiane” ricorda lo storico Alfio Caruso. Il 16 luglio i Loyal Edmonton entrano a Piazza Armerina, poi a Valguarnera, Enna, Assoro, Leonforte, Nissoria e infine Agira: è la battaglia più sanguinosa, migliaia saranno le vittime civili sotto i bombardamenti, e altrettanti i militari dei due schieramenti che restano sul terreno, tra cui un numero altissimo di canadesi, oggi sepolti nel cimitero militare di Agira.
“Mio nonno è stato interprete durante la Seconda guerra mondiale, noi olandesi dobbiamo parecchio al Canada – spiega Tjarco Schuurman -. Da qui sono partito per dare un viso a queste tombe. Vogliamo cambiare il modo in cui si guarda alla guerra: non più grandi eroi o storie conosciute, ma semplici militari, ragazzi che partirono volontari perché credevano nella pace”.
Furono i canadesi a costruire il primo ponte Bailey in Europa sotto il fuoco nemico: lo allestirono in una sola notte, tra il 21 e il 22 luglio 1943, i genieri dei Royal Canadian Engineers per superare la gola Strigilo’ visto che i tedeschi avevano fatto saltare l’unica via d’accesso alla cittadina di Leonforte, nelle campagna di Enna, il ponte sul torrente Petrangelo sulla SS121. Per ricordare questa battaglia e l’altissimo numero di caduti delle diverse bandiere, canadese, italiana e tedesca, proprio a Leonforte è stato inaugurato un monumento che riproduce quel ponte Bailey che permise agli alleati la conquista della cittadina che ospitava la più importante, linea difensiva tedesca.
“Questo monumento – spiega Gregory – per noi è molto importante perchè ci permette di ricordare e lasciare una traccia dei quasi 600 militari canadesi caduti durante l’Operazione Husky”. La battaglia per la presa di Leonforte duro’ tre giorni interi, e vide contrapposte la 2a Brigata canadese con l’artiglieria divisionale, contro elementi della 15a Panzergrenadier – Division tedesca supportati da reparti della 4a Divisione Livorno.
Gli Engineers canadesi cercarono a più riprese di superare il burrone Petrangelo per raggiungere la cittadina, ma finirono sotto il fuoco delle mitragliatrici e dei mortai tedeschi e persero molti uomini: i pochi che riuscirono a risalire la gola e passare, si trovarono coinvolti in combattimenti all’arma bianca, nell’assenza di comunicazioni radio, ed ebbero la peggio, mentre la popolazione di Leonforte (soprattutto donne e bambini) si era rifugiata nella galleria della ferrovia: i morti civili furono 33, la più piccola di 5 anni, il più anziano di 61.
“L’unica possibià fu quella di far intervenire i carri armati che pero’ non potevano superare il vallone: mentre i Loyal Edmonton combattono fuori dall’abitato, i genieri si mettono al lavoro sotto il comando dell’ingegnere capo, tenente colonnello Geoff Walsh e installano il primo ponte Bailey europeo”, spiega lo storico Angelo Plumari. è una struttura in ferro e acciaio a moduli che viene montata ed estesa man mano che viene costruita: non appena una sezione di 3,05 metri di lunghezza è pronta, viene spinta su rulli e fissata alla sezione successiva, soltanto cosi’ riuscirà a sostenere carichi pesanti. Soltanto transitando sul ponte, i carri armati alleati potranno raggiungere e conquistare Leonforte.
I canadesi pagheranno un prezzo alto: 57 morti e 105 feriti, tra i quali anche due Seaforth Highlanders pellerossa, i primi dei 50 volontari delle tribù native del Canada. Ma molti di più furono i caduti italiani e tedeschi: tra questi il sottotenente Luigi Scapuzzi, decorato al Valor militare ed altri sconosciuti che riposano in tombe senza croce. Il ponte Bailey di Leonforte resta il primo di una lunga serie: durante la Seconda Guerra Mondiale solo in Italia furono costruiti più di 3000 ponti Bailey, con una lunghezza totale di 90 km, per sostituire i ponti distrutti dai tedeschi.
AGI – Lo scrittore tedesco Martin Walser, figura centrale della letteratura contemporanea in Germania, è morto all’età di 96 anni a Uberlingen, nel sud-ovest del paese, dove risiedeva dalla fine degli anni ’60.
È considerato uno dei maggiori romanzieri tedeschi del dopoguerra alla stregua di Gunter Grass o Heinrich Boll, anche se non ha mai raggiunto la notorietà internazionale di questi ultimi. “Geniale e provocatorio”, secondo la ZDF, fece scandalo alla fine degli anni ’90 quando ammise in un discorso di averne abbastanza della “rappresentazione permanente” del passato nazista, innescando in Germania un enorme dibattito di merito sugli orrori della memoria del Terzo Reich.
In particolare aveva dichiarato di “distogliere lo sguardo” quando i crimini nazisti venivano trasmessi in televisione e denunciava una “strumentalizzazione di Auschwitz per scopi attuali”, una “mazza morale” che sarebbe stata costantemente brandita contro la Germania. Accusato di voler reprimere il passato nazista, si difese ma affermò che una ripetizione costante delle rappresentazioni di questi crimini ne banalizzava l’orrore.
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July 28, 2023
Nel 2002, in “Morte di un critico”, attaccò il critico letterario più famoso della Germania, Marcel Reich-Ranicki, ebreo sopravvissuto al ghetto di Varsavia, il che creò un nuovo scandalo nel suo Paese e lo fece sospettare di antisemitismo. Dai documenti dell’archivio centrale del partito nazista risulta che entrò a far parte di quest’ultimo nel gennaio 1944, fu un soldato dell’esercito tedesco.
Nato il 24 marzo 1927 a Wasserburg, Martin Walser eccelleva nella descrizione dei microcosmi piccolo-borghesi, da cui lui stesso proveniva. Dopo la guerra consegui’ il diploma di maturità e poi studiò lettere, storia e filosofia.
Si affermò nel 1955 con una raccolta di racconti, poi, due anni dopo, con il suo primo romanzo e grande successo letterario, “Des Married à Philippsburg”, che lancia la sua lunga e prolifica carriera.
La notizia della morte, anticipata da alcune emittenti televisive, è stata confermata da un mesaggio del presidente della Repubblica Federale, Frank-Walter Steinmeier che parlato “di un grande uomo e uno scrittore di livello mondiale”. “Piangiamo Martin Walser. Non lo dimenticheremo”, ha scritto il presidente tedesco nelle condoglianze rivolte alla vedova dello scrittore, Kathe Walser. “Il suo lavoro abbraccia più di sei decenni e ha segnato in modo decisivo la letteratura tedesca in questo periodo”, ha aggiunto. “In qualità di brillante analista dei mondi interiori umani, non ha mai smesso di interrogarsi per iscritto e di coinvolgere i lettori in questo processo”, ha stimato Steinmeier nelle sue condoglianze.