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AGI – “Abbiamo  consolato persone in lacrime, più attonite di noi nel sapere che non c’eri più. A noi figli lasci un’eredità importante e il tuo più grande insegnamento: l’umiltà”. Così in un messaggio letto in chiesa, la figlia di Maurizio Costanzo, Camilla, ha descritto questo lungo abbraccio al conduttore scomparso a Roma venerdì scorso.

Oggi nella Chiesa degli Artisti, si sono svolti i funerali solenni del poliedrico personaggio della tv, avvolto da tantissimi personaggi del mondo dello spettacolo e non solo. La piazza è stata transennata fin dalle prime ore della mattina per l’altissimo flusso di cittadini che ha voluto seguire le esequie da Piazza del Popolo nonostante i momenti di pioggia e, dove per l’occasione è stato montato anche un maxischermo.

In chiesa accanto a Maria De Filippi e al figlio adottivo della coppia Gabriele, era seduto l’amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi che uscendo dalla chiesa ha detto che con la scomparsa di Costanzo “abbiamo perso tutto”.

In chiesa oltre ai politici: il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il sottosegretario Vittorio Sgarbi, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e l’ex sindaco Gianni Alemanno, anche tantissimi personaggi dello spettacolo come Luxuria, Lele Mora, la Contessa Marisela Federici, Emanuele Filiberto, Gianni Sperti, Tina Cipollari, Simona Izzo, Massimo Lopez, Aurelio De Laurentiis, Gianni Floris, Enzo Paolo Turchi e la moglie, Mara Venier, Milly Carlucci, Paolo Bonolis con la moglie Sonia Bruganelli, Pino Insegno, Cristian De Sica, Carlo Conti, Gerry Scotti, Enrico Mentana, Vittorio Sgarbi, Fiorella Mannoia, Carlo Fuortes, Valeria Marini, Afef, Luciana LitizzettoAnna Pettinelli, Valerio Scanu, Enrico Brignano, Antonio Giuliani, Daniele Silvestri, e tantissimi altri.

I tanti presenti in piazza armati di smartphone ne hanno approfittato per portarsi a casa una foto dei volti celebri della tv. Al termine della funzione e dopo la lettura della preghiera degli artisti, il feretro è uscito accompagnato dalle note della sigla del Maurizio Costanzo Show e un lungo e commosso applauso della piazza.

Il carro si è poi diretto verso il cimitero Verano di Roma, non prima di passare per l’ultima volta di fronte al Teatro Parioli, la “casa” di Costanzo.

AGI –  Maurizio Costanzo si vantava di aver scoperto più stelle di Galileo Galilei. E non aveva torto.

Se il grande scienziato vissuto a cavallo tra il XVI e XVII secolo aveva un feeling particolare con gli astri del cosmo, Costanzo ce l’aveva con le ben più effimere ‘star’ dello showbiz. Il solo ‘Maurizio Costanzo Show’, programma televisivo in onda per quarantadue edizioni dal 14 settembre 1982 al 25 novembre 2022 sulle reti Mediaset ha lanciato decine di personaggi dello spettacolo, della cultura e della politica.

I più noti sono il critico d’arte e oggi sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, contrapposto ai suoi tempi al più illustre e anziano Achille Bonito Oliva, diventato anch’egli popolarissimo a livello mediatico.

Sul palco del Teatro Parioli di Roma, dove si svolgeva lo show, Costanzo ha ospitato e contribuito alla popolarità, tra i tanti, di Valerio Mastandrea, Giobbe Covatta, Enrico Brignano, Giampiero Mughini, la showgirl, modella e conduttrice televisiva tunisina naturalizzata italiana Afef Jnifen.

Tra le ‘stelle’ di Costanzo, ci sono anche Alessandro Bergonzoni, Dario Vergassola, Walter Nudo, Daniele Luttazzi, Ricky Memphis, David Riondino, Stefano Nosei, Nick Novecento, Claudio Bisio, Platinette e Enzo Iacchetti (con le sue ‘poesie bonsai’).

L’attività di scout di Maurizio Costanzo, ‘certificata’ dal suo show, il più longevo della tv italiana, vanta anche altri nomi usciti da altri programmi condotti dal giornalista romano: a partire da Fiorello, lanciato a ‘Buona Domenica’ e poi, dopo un momento di grave crisi, fatto letteralmente risorgere con uno show pensato proprio per lui, ‘La febbre del venerdi’ sera’. Ma anche Luciano De Crescenzo, ‘scoperto’ da Maurizio Costanzo col programma ‘Bontà loro’. La scomparsa di Maurizio Costanzo avviene a vent’anni di quella di Alberto Sordi. Una coincidenza importante e significativa visto che i due si conoscevano e si stimavano. Proprio sul palco del Parioli che molti anni fa Sordi, ospite del giornalista, a una domanda di Costanzo sul perché non si fosse mai sposato, diede una delle sue risposte memorabili diventate popolarissime al pari di quelle dei suoi film: “Ma che te vuoi mettere un’estranea in casa?“. (

AGI – Una zona pranzo all’aperto con panchine, un forno, contenitori per la conservazione, antichi resti di cibo e persino un frigorifero di 5000 anni fa, denominato “zeer”, termine arabo che identifica la tecnica del “vaso nel vaso” per conservare bevande e alimenti. È quanto hanno scoperto gli archeologi dell’Università di Pisa impegnati, assieme ai colleghi dell’Università della Pennsylvania, negli scavi del Lagash Archaeological Project che, a fine 2022, hanno riportato alla luce quella che potrebbe essere una taverna del 2.700 a.C.

Un tesoro, quello ritrovato dall’equipe guidata da Holly Pittman della University of Pennsylvania e da Sara Pizzimenti del Dipartimento di Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Ateneo pisano, che si nascondeva a soli 50 cm dalla superficie e che oggi ci consegna uno spaccato di quella che doveva essere la vita quotidiana di una delle più importanti città-stato della Mesopotamia: Tell al-Hiba (l’antica Lagash).

“Il ritrovamento fatto a Lagash è in grado di gettare nuova luce sullo studio dell’alimentazione e della cucina dell’antica Mesopotamia, finora principalmente conosciuta e approfondita attraverso i testi, che tuttavia non coprono i periodi più antichi del Sumer – spiega Sara Pizzimenti, professoressa associata di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico di UniPi – All’interno di quello che era un luogo pubblico per la produzione, distribuzione e consumo dei pasti, che doveva probabilmente avvenire all’interno del grande cortile con banchette, sono state ritrovate, infatti, un centinaio di ciotole contenenti resti di cibo, assieme ai dispositivi per la conservazione di bevande e alimenti. La ‘taverna’ di Lagash è di conseguenza un tassello importante per ricostruire le conoscenze nel campo della produzione e distribuzione alimentare, economia alla base delle prime società complesse della storia dell’uomo”.

Tell al-Hiba si trova a 24 km a est della città di Shatra, nel governatorato del Dhi Qar, nel sud dell’Iraq. Con i suoi più di 400 ettari di estensione, Lagash è una delle città-stato più antiche e più grandi della Mesopotamia meridionale e capitale dell’omonimo stato. Occupata a partire dal quinto millennio a.C. e in gran parte abbandonata attorno al 2.300 a.C., è stata uno dei più importanti snodi commerciali della regione, sede di un’intensa e variegata produzione artigianale, e con immediato accesso a terreni agricoli.

Fino al Lagash Archaeological Project, iniziato nel 2019, gli scavi si erano sempre concentrati sull’architettura religiosa e sulla comprensione delle élite. Con il nuovo progetto, invece, l’attenzione degli archeologi si è concentrata sulle aree non elitarie della città, così da poter conoscere meglio quale fosse la vita nell’antica città mesopotamica.

La scoperta della taverna getta quindi nuova luce sulla vita quotidiana di un quartiere popolare sumerico probabilmente legato ad attività artigianali di produzione ceramica. 135 anni di scavi archeologici – Le prime esplorazioni archeologiche a Tell al-Hiba risalgono alla fine del XIX secolo (1887), ma è solo nel 1953, grazie al ritrovamento di un’iscrizione da parte dell’assiriologo danese Thorkild Jacobnsen e di Fuad Safar, che si è stati in grado di identificare il sito con l’antica Lagash. 

AGI – Richard Gere, 73 anni, sta meglio, ha fatto sapere sua moglie Alejandra. L’attore era stato ricoverato d’urgenza lo scorso fine settimana per una polmonite nella località messicana di Nuevo Vallarta, nello stato di Nayarit.

“Richard si sente molto meglio, ci sentiamo tutti molto meglio, ‘quasi’ tornati alla normalità”, ha scritto la donna su Instagram a commento di una foto che la ritrae con il marito sulla spiaggia. La coppia trascorreva le vacanze in Messico per festeggiare il 40esimo compleanno di Alejandra, ma dopo una grave tosse è stata diagnosticata una polmonite, per la quale Gere è stato ricoverato nel locale ospedale “La Joya”, dove è rimasto sotto osservazione per 24 ore. 

 

 

AGI – È morto Richard Belzer, uno dei volti più noti della serie tv “Law & Order: Unità vittime speciali” e nel film “Scarface” di Brian De Palma. Per anni Belzer aveva interpretato il riservato detective John Munch per undici stagioni.

Nell’85 rimase coinvolto in un episodio controverso con il wrestler Hulk Hogan. Durante uno spettacolo televisivo di cui Belzer era il conduttore, venne chiesto a Hogan di fare una mossa di wrestling. Il lottatore acconsentì ma le cose andarono male: il conduttore cadde malamente e perse i sensi. In seguito Belzer chiese un risarcimento di cinque milioni di dollari.

Cugino di Henry Winkler, il “Fonzie” della serie televisiva “Happy Days”, Belzer era apparso in altre serie televisive come “Sesame Street”, “Miami Vice”, “30 Rock” e “The Wire”. L’attore è morto “serenamente”, ha comunicato il suo agente, Eric Gardner. Belzer aveva 78 anni. 

AGI – Sarà Atene la protagonista della scena artistica mediterranea nella nuova edizione di Arco, la Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea della Spagna che inizia questo mercoledì a Madrid. Superato il disastro della crisi finanziaria e l’occasione un po’ persa di Documenta nel 2017, la città greca dà ora fondo a tutte le proprie energie e si pone come principale epicentro del mondo dell’arte.

Del resto, i quartieri della capitale greca pullulano di gesti creativi ovunque, dai murales ai graffiti, talvolta commissionati o sponsorizzati direttamente dalla Fondazione Onassis, una delle grandi strutture private che sostengono lo sviluppo dell’arte contemporanea greca.

Nella manifestazione spagnola della prossima settimana, il cui titolo è “Il Mediterraneo, un mare rotondo”, Atene è la città forse meglio rappresentata, “riflesso indiscutibile della fragile ma determinata effervescenza che l’ha caratterizzata negli ultimi anni”, annota il Paìs. “Siamo più vicini a Marocco, Siria e Turchia che alla Norvegia. Non possiamo continuare a voltare le spalle a questa realtà, quella dei nostri vicini, e ignorare ciò che sappiamo di essere nel profondo: ovvero, che culturalmente siamo fratelli. Il Sud è uno stato d’animo”, afferma la curatrice di questa sezione, Marina Fokidis, una delle principali voci dell’arte contemporanea in città, che fino al 2015 ha diretto la Kunsthalle Athena, apprezzato centro d’arte no-profit.

Atene è riemersa dal suo torpore nel 2017 dopo che Documenta ha scelto la capitale greca come prima sede estera e qui artisti e professionisti della creatività si sono stabiliti rapidamente con base ad Atene. “Sono state inaugurate strutture culturali come l’Emst, sigla che in greco identifica il Museo Nazionale d’Arte Contemporanea e che è dentro un’antica birreria, un edificio razionalista nel centralissimo quartiere Koukaki. Intanto, l’onnipotente Larry Gagosian aveva messo gli occhi sulla città per un’altra sede della sua galleria, che ha finito per aprire nel 2020”, racconta il quotidiano.

Insomma, Atene doveva essere la nuova Berlino, città “povera ma sexy” degli anni Novanta, come recitava il popolare slogan ideato dall’allora sindaco, Klaus Wowereit. Poi, però, improvvisamente tutto s’è fermato: la crisi finanziaria, prima, e la pandemia poi hanno ridotto il settore in uno stato precario dal quale si sta ancora riprendendo. Però anche se Documenta 2017 è finita in un mezzo fallimento e i suoi effetti non sono stati altisonanti, ma è riuscita a provocare un mezzo terremoto nella scena locale, perché alcuni artisti che vi hanno partecipato “sono rimasti in città, hanno sviluppato progetti e aperto laboratori, fuggendo proprio dall’aumento dei costi di Berlino e di altre città europee precedentemente abbordabili”.

E tutto questo potrebbe spiegare bene la sottile effervescenza che sta vivendo oggi la città, a sottile effervescenza che sta vivendo oggi la città, dove negli ultimi due anni hanno aperto 30 gallerie e centri d’arte, secondo i dati del Comune di Atene, oltre a un insieme di 70 musei e fondazioni private, come quelli di Stavros Niarchos o Dest, promossi da Dakis Joannou, uno dei grandi collezionisti del continente.

Secondo l’opinione corrente, ora Atene non è più solo una città dove lasciarsi rapire dal fascino decadente delle rovine o trascorrere qualche ora prima di imbarcarsi per le isole, “ma un luogo dove si respira il polso della cultura contemporanea”.

AGI – Una cospicua donazione, una sinergia istituzionale, decine di documenti e oggetti rari. Nasce a Napoli, e negli spazi di Palazzo Reale, spalla a spalla con il teatro lirico più antico del mondo in cui ha cantato, il primo museo nazionale dedicato a Enrico Caruso, il tenore per eccellenza, l’uomo che ha incarnato il mito del bel canto, il primo a sfidare la modernità affidando la sua voce a un disco che, in tempi moderni, avrebbe scalato ogni classifica di vendite.

In coincidenza con l’anniversario dei 150 anni della sua nascita, il 20 luglio prossimo, su impulso del Ministero della Cultura, grazie alla caparbietà della curatrice, Laura Valente; alla generosità di un donatore, Luciano Pituello, che con la sua Associazione Museo Enrico Caruso, Centro Studi Carusiani di Milano, ha dedicato tutta la sua vita a collezionare cimeli e incisioni originali dell’artista; e alla volontà del ministro Gennaro Sangiuliano di portare a termine un progetto in cui credeva, nel grande spazio della monumentale sala Dorica, messo a disposizione dal direttore della reggia partenopea, Mario Epifani, non ci sarà una semplice esposizione di cimeli ma una sorta di ‘stanza delle meraviglie’.

Nei 500 metri quadrati a disposizione ci saranno 60 rari oggetti originali (costumi, locandine, manifesti, fotografie, grammofoni, rulli e arredi originali), ma anche 2 mila documenti digitalizzati disponibili in 11 tra tavoli e mappe multimediali, animazioni in 3d, postazioni e installazioni musicali e cinematografiche. Materiale pensato e allestito per essere fruibile da un pubblico eterogeneo, dai bambini agli appassionati, agli addetti ai lavori e ai visitatori da tutto il mondo. Il giorno dell’apertura, a Napoli si daranno appuntamento rappresentanti istituzionali dei paesi con i quali Caruso ebbe forti legami, come gli Stati Uniti (attesi il sindaco di New York e il direttore del Metropolitan Opera House).

A collaborare a questa operazione prestigiosa, ‘carusiani’ da tutto il mondo, dagli Archivi Ricordi e Puccini fino a quelli dei granti teatri in cui Caruso si è esibito, dal San Carlo alla Scala, al Metropolitan, ma anche  la Cineteca di Bologna, che ha diretto uno straordinario lavoro di restauro e sincronizzazione vocale del film ‘My Cousin’ e che ha consentito l’uso delle immagini di Caruso attore. Centrale, nel progetto, il Fondo Pituello, già in parte destinato al Comune di Lastra a Signa, dove ha sede il Museo Caruso di Villa Bellosguardo, che fu residenza italiana di Caruso, il cui contributo in oggetti ha un valore complessivo stimato intorno al milione di euro. 

La collaborazione avviata proprio con Lastra a Signa consentirà di avere per l’inaugurazione del museo a Napoli anche dei pezzi straordinari, come il costume di Canio (dai ‘Pagliacci’ di Ruggero Leoncavallo) appartenuto al tenore o gli acquerelli colorati, un unicum nella produzione artistica figurativa di Caruso, a cui si aggiunge la preziosissima donazione delle celebri caricature dedicate ai grandi della musica, da Toscanini a Verdi. Su queste caricature, l’artista Gianluigi Colin disegnerà un’opera nuova, segno nel segno contemporaneo. Una anticipazione dei festeggiamenti per l’anniversario carusiano ci sarà poi il 25 febbraio nel Museo Memus del teatro di San Carlo, con un incontro con Luciano Pituello e Ugo Piovano alla presenza di Epifani, il sovrintendente del San Carlo Stéphane Lissner e il direttore generale Emmanuela Spedaliere, sancendo la collaborazione con il Comune di Napoli, che donerà al Museo Caruso degli atti di nascita e morte del tenore, conservati dell’archivio del municipio cittadino attraverso le mani del sindaco Gaetano Manfredi.

Le iniziative per i 150 anni dalla nascita

Molte le iniziative previste per i 150 anni della nascita di Caruso: l’integrale di tutta la produzione carusiana, a cura di Ugo Piovano e Luciano Pituello; due premi, uno al migliore grande artista e l’altro dedicato a i ragazzi talentuosi che, come il grande tenore, si sono dedicati al canto senza una preparazione musicale; un docufilm sulle celebrazioni; una pubbblicazione della casa editrice Il Saggiatore. Il museo propone un discorso complessivo su Caruso, primo grande personaggio mediatico moderno, e sul suo fondamentale contributo alla costituzione di una ampia rete di artisti italiani che hanno scritto pagine fondamentali nella storia dello sviluppo dell’industria dello spettacolo, oltre che delle discipline artistiche in cui si sono cimentati.  

“Enrico Caruso è un esempio eccelso del genio italico, capace di innovare nel solco della tradizione comprendendo in pieno come valorizzare il proprio talento nel segno della modernità – spiega il ministro Gennaro Sangiuliano – fu il primo cantante della storia della musica mondiale a capire e a utilizzare le immense potenzialità dell’industria discografica. La popolarità globale della canzone napoletana è intimamente legata al suo nome. Il suo vissuto personale e il legame con Napoli hanno informato tutta la sua produzione creativa. Ciò nonostante, Caruso ha avuto un rapporto tormentato con la propria città. Egli portò Napoli nel mondo e ora Napoli, a centocinquant’anni dalla nascita, risana questo vulnus onorandolo con un museo che sorge nello stesso complesso del suo amato Teatro di San Carlo”.

“L’apertura di un museo permanente dedicato a Enrico Caruso rientra tra gli interventi finanziati dal Piano Strategico Grandi Progetti Beni Culturali – spiega Epifani – e Palazzo Reale di Napoli rende così omaggio al grande tenore che ha avuto riconoscimenti in tutto il mondo, ma singolarmente non nella città in cui nacque e morì, fino ad oggi”.

“Caruso più di ogni altro è icona di una italianità nobile e leggendaria, legata anche alla sua doppia anima: tenore lirico osannato nei più importanti teatri del mondo, ineguagliabile interprete di melodie immortali della canzone napoletana, il primo cavallo di razza dell’industria discografica a vendere un milioni di dischi, entrando nell’Olimpo delle voci più popolari della storia della musica”, ricorda Valente. Tra i partner dell’iniziativa, anche la Fondazione Puccini, Archivissima Torino, il Festival di Torre del Lago, l’Archivio di Stato di Napoli, il John Hopkins Peabody Institute di Baltimora, le Teche Rai e la Discoteca di Stato. 

AGI – Le condizioni di salute di Bruce Willis, affetto da demenza, si sono aggravate. L’attore di “Die Hard“, “Appuntamento al buio”, l’uomo che si lanciava nel fuoco, schivava colpi, salvava i propri cari dalle grinfie di spietati agenti segreti, esce di scena: la malattia degenerativa lo ha isolato dal pubblico, dal suo mondo. A soli 67 anni.

È stata la famiglia dell’attore ad annunciarlo con un lungo e straziante messaggio pubblicato sui social. La moglie Emma Heming, 44 anni, ha condiviso una foto del marito su Instragram, rivelando che le condizioni di Willis sono peggiorate da quando la famiglia aveva rivelato, per la prima volta l’anno scorso, la diagnosi di afasia. “La nostra famiglia – ha scritto – voleva intanto partire dall’esprimere la nostra profonda gratitudine per l’incredibile dimostrazione d’amore, sostegno e di storie meravigliose che abbiamo ricevuto da quando vi abbiamo detto della diagnosi di Bruce”. “Con lo stesso spirito – ha aggiunto – volevamo darvi gli aggiornamenti riguardo al nostro amato marito, padre e amico, visto che adesso abbiamo una maggiore comprensione di quello che sta sperimentando”.

“Da quando è stata diagnostica l’afasia nella primavera del 2000 – ha continuato Heming – le condizioni di Bruce sono cambiate e ora abbiamo una diagnosi più precisa: demenza frontetemporale. Sfortunatamente, i problemi nella comunicazione sono solo un sintomo della malattia che Bruce deve affrontare”.

Questo tipo di malattia colpisce generalmente le persone sopra i 65 anni, è causata da danni alle cellule nervose che ostacolano sempre più gravemente le normali funzioni del cervello. Con il passare del tempo si perdono una serie di funzioni, che vanno dal linguaggio al movimento, ma porta anche a disturbi della personalità e del comportamento.

L’attore, ha ricordato la moglie, ha sempre usato il suo ruolo per far capire quanto fossero importanti le cose sia pubbliche sia private, e “se potesse oggi vorrebbe stimolare l’attenzione globale verso coloro che si trovano ad affrontare una malattia debilitante come questa e come questa impatti in così tante persone e nelle loro famiglie”. “La vostra continua comprensione – ha concluso – e rispetto ci permetteranno di aiutare Bruce a vivere una vita la più piena possibile”. 

AGI – La morte è una livella. Caro Totò, siamo d’accordo ma qui si esagera! Mi faccia il piacere! Perché in certi casi la morte non livella bene o non livella proprio (grazie a Dio). E lei, Totò – ovvero principe Antonio de Curtis – ne è lampante esempio. Per l’anagrafe di questa terra se n’è andato nel 1967, un po’ di tempo fa, eppure vede?, è ancora qui, s’informi: in tutta Italia oggi hanno ricordato i 125 anni dalla sua nascita, alla faccia della livella e alla facciaccia della morte.

Principe sì, con una sfilza di nomi da suscitare lo sconcerto di tanti sangue blu, peggio per chi – non credendo alla noblesse in generale o in particolare alla sua – la vorrebbe solo principe della risata o solo Antonio Clemente, una miseria dell’anagrafe rettificata più tardi da lei. Stavolta senza ironia. Perché su tutto si poteva ridere con lei, caro principe, ma non sull’araldica e sul Gotha. Principe dunque sì, ma pure santo per qualcuno.

Per Paolo Isotta, che intitolò a lei, “San Totò”, l’ultimo libro in cui catalogava minuziosamente tutti quanti i suoi film. Santo per il popolo napoletano (prima che a “popolo”, come fosse una brutta parola, si sostituisse “gente” o “ggente”), santo perché a lei il popolo si è rivolto addirittura per l’intercessione delle grazie, perché in via Santa Maria Antesaecula al Rione Sanità le hanno pure innalzato un altarino, santo perché nottetempo, casa per casa, lei partiva da Roma con l’autista e infilava buste da diecimila lire sotto la porta dei poveri, santo perché manteneva centinaia di randagi in un canile e persino il titolato Rex, mitico pastore della polizia, vi trovò ospitalità.

Santo perché quando uno le chiede intercessione si aspetta anche il sorriso, non la cazziata di Padre Pio, santo laico perché non è stata la Chiesa a consacrarla ma una spontanea devozione popolare.

Fantasma benigno, o per citarla anche allegro fantasma lei è stato, quando ci fu qualche anno fa uno sciame dei suoi presunti avvistamenti: chi giurava di averla incontrata dalle parti di Palazzo San Giacomo, chi semplicemente intravedeva la sua effigie sui muri della metropolitana, come fosse una Madonna, e chi le attribuiva profezie sul futuro di Napoli.

Ma meglio celebrare le nascite che le morti, meglio i compleanni come quello che oggi l’avrebbe portata a spegnere 125 candeline (alla faccia del bicarbonato!). Sicuramente la sua immortalità non poggia sulle apparizioni spiritiche e nemmeno su quella sancita dalle statue – pure, quanta fatica per renderle gli onori toponomastici – né poggia sulla prolifica iconografia: dal murale che la ritrae con Peppino alla Sanità ai magneti e alle statuine di San Gregorio Armeno.

La sua immortalità è nel linguaggio e nella filosofia di vita, nella maschera e nell’affinità, perché qualcuno dei personaggi che incontrò lei lo abbiamo davvero incontrato anche noi: ogni condominio ha conosciuto il suo rapace ragionier Casoria, ogni esaminando s’è imbattuto in un esaminatore canagliesco che non sa il significato della parola “paliatone”, ogni candidato a un lavoro ha trovato qualcuno che gli proponeva di censire i piccioni di piazza San Marco, ogni viaggiatore avrà incrociato qualche onorevole Trombetta, o un consuocero alla Aldo Fabrizi, un commercialista intrallazziere alla de Funes o un integerrimo mastino delle tasse (sempre come Fabrizi).

Si potrebbe continuare per pagine non avendo più spazio, come nella famosa lettera che lei – abbondandis in abbondandum – dettò a Peppino nella pensione milanese per salvare vostro nipote dalla presunta malafemmena. E a proposito di canzoni, tralasciando su chi fosse l’ispiratrice del brano entrato nei classici napoletani, chissà quale spiritello dell’aria in un momento di dolenza amorosa le dettò quelle parole e quella melodia – una cosa semplicissima, come molte cose bellissime – nella tonalità senza accidenti del do maggiore, che trascrissero al pianoforte mentre lei la fischiettava. Pure questo, principe. Pure compositore ma meglio del “cigno della musica” di Caianello.

Ecco, solo disordinato e soggettivo può essere un ricordo, perché il resto è già storia del teatro, della rivista e del cinema a dispetto di quei film fatti di fretta e dei critici che in vita la massacravano, ragion per cui dimostrò con Pasolini di poter dare loro torto (ma non ce n’era bisogno).

Resta una curiosità, caro principe: avrà poi esaudito il voto di Luciano De Crescenzo, che dubitava dell’aldilà senza escluderlo e sperava, qualora ci fosse, di incontrarsi proprio con lei? Morto che parla, se poi vi siete visti batta un colpo.

AGI – Il poeta cileno Pablo Neruda “è morto per avvelenamento”. Lo scrive il Paìs sulla base di quanto annunciato dal nipote del poeta, Rodolfo Reyes, che assicura – scrive il quotidiano spagnolo – che il gruppo internazionale di esperti che ha analizzato il batterio Clostridium botulinum, trovato nel suo corpo nel 2017, “ha stabilito che la sua origine era endogena”. La conclusione della perizia, pertanto, confermerebbe la tesi della originaria denuncia secondo cui la sostanza “è stata iniettata come arma biologica”, ciò che ne ha provocato l’avvelenamento.

“Posso dirlo perché conosco i rapporti. Lo dico, da avvocato e nipote, con molta responsabilità, perché il giudice non può ancora segnalarlo perché deve avere tutte le informazioni”, ha dichiarato Reyes conversando con la testata di Madrid. I risultati ufficiali dovrebbero comunque esser resi pubblici questo mercoledì.

Il premio Nobel per la Letteratura, insignito del titolo nel 1971, è morto i 23 settembre 1973 nella clinica San María di Santiago, dodici giorni dopo il colpo di Stato che ha destituito il presidente Salvador Allende. “Per 40 anni – seguita il Paìs – si è creduto che la causa ufficiale della sua morte fosse il cancro alla prostata, fino a quando il suo ex autista, Manuel Araya, ha fatto notare che era stato avvelenato, testimonianza che è poi alla base della denuncia presentata dal Partito Comunista.

Secondo il giornale questa è il terzo procedimento realizzato per stabilire le cause della morte di Neruda, scrive il quotidiano, e il gruppo degli specialisti chde ha svolto le analisi sul corpo del poeta è composto da tecnici provenienti da Canada, Messico, El Salvador, Danimarca, Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Canada e Cile. 

Due laboratori, uno in Canada e l’altro in Danimarca, hanno poi effettuato i test. Sul caso Neruda si indaga da più di 10 anni e nell’anno in cui il poeta è deceduto il caso era emerso sotto la vecchie regole della giustizia cilena, in vigore fino al 2005, che aveva segretato i fascicoli assieme a quelli riguardanti centinaia di altri casi di violazione dei diritti umani avvenuti sotto la dittatura di Augusto Pinochet.