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"Un inedito di Eduardo De Filippo all'interno della nostra Libreria del Cinema e del Teatro??? Aiutateci a svelare questo mistero: dalle ricerche da noi effettuate questo atto unico di Eduardo De Filippo 'Dduie…Paciune' non compare in nessuna bibliografia ufficiale eppure catalogando le varie opere abbiamo ritrovato questo antico copione…". Lo scrive sul suo profilo Facebook Alessandro Cannavale, figlio dell'attore Enzo, il quale recitò a lungo con Eduardo ed è morto nel 2011 dopo essere diventato un volto assai popolare del cinema italiano.

L'archivio personale di Cannavale è conservato nella Libreria del Cinema e del Teatro, dedicata dalla vedova Barbara e dai figli Alessandro, Andrea e Gabriella all'attore scomparso. Il manoscritto di Eduardo è stato rinvenuto dall'attore Giulio Adinolfi mentre catalogava i materiali di Cannavale. L'opera autografa è definita, nel frontespizio pubblicato su Fb, come "commedia brillante in un atto". Il titolo, "Dduie… Paciune!", può essere tradotto in italiano come "due ottimisti, due bonaccioni".

In attesa che la parola passi agli esperti eduardiani, per stabilire se l'opera si possa con tutta sicurezza attribuire al maestro, sulla bacheca di Alessandro Cannavale fioccano i commenti entusiasti per l'inaspettata scoperta.

Nei giorni scorsi, a seguito dell’attentato di Barcellona, vi abbiamo raccontato la storia dei Mossos d’Esquadra, uno dei più antichi corpi di polizia d’Europa, che dal 1721 difendono la città di Barcellona. Dopo la pubblicazione, però, abbiamo ricevuto una mail dove si specificava che in Sardegna esiste una compagnia ancora più antica, quella dei Barracelli. Ecco la loro storia.

Le origini

Partiamo dal nome. Esistono diverse ipotesi sull’etimologia ma, quella più accreditata, si riferisce allo spagnolo barrachel, che indicava una guardia armata di nomina politica, generalmente campestre. Non è certa neanche la data di nascita anche se il consiglio della città regia di Sassari istituisce la sua Compagnia il 25 giugno del 1597. Se ne ritrova poi menzione all’interno di alcuni documenti del 1650 redatti dal giurista sardo Pietro Quesada Pilo. Per molti altri studiosi i barracelli sarebbero molto più "vecchi" ma, come diceva Giovanni Battista Tuveri, voce autorevole e storica della Sardegna: "Al barracellato si suole attribuire un’antichità che forse non ha. Quel che è antichissimo in Sardegna è il principio, che niuno sia in facoltà di lasciare incustodite le sue proprietà, e che i danneggiati debbano essere indennizzati.”

Il compito dei Barracelli era proprio quello di aiutare i singoli privati a tutelare i propri beni, una sorta di compagnia di assicurazione, armata, del tempo. Si trattava soprattutto della difesa di proprietà situate in territori lontani dal centro città, luoghi isolati, di campagna, più difficili da mettere in sicurezza. Le compagnie dovevano prevenire furti e danneggiamenti e i proprietari, in cambio, corrispondevano un salario proporzionato al valore del bene protetto. In caso di insuccesso erano i Barracelli a dover risarcire i propri datori di lavoro con risorse che provenivano soprattutto dalle multe, “tenture”, con cui veniva sanzionato chi praticava illeciti come il pascolo abusivo. Le compagnie barracellari erano composte dai cittadini locali in “buona salute” e, in origine, si crede fossero obbligatorie.

Dai Savoia ai giorni nostri. Una lunghissima storia 

Ai Barracelli fecero affidamento anche i Savoia. Un editto del 23 maggio 1799 confermava la loro presenza accanto ai corpi istituzionali “senza alcuna variazione nella forma”. Nel 1819 vennero aboliti e sostituiti con i “cacciatori reali di Sardegna” ma furono reintegrati appena otto anni dopo. Nel 1853, con un altro editto, l’arruolamento divenne nuovamente volontario e ogni centro abitato poté decidere se tenere in vita il proprio organismo o smantellarlo. Il governo italiano ne regolamentò ufficialmente i compiti con il Regio Decreto del 14 luglio 1898. In tempi più recenti, nel 1969, la regione Sardegna decise di stanziare dei fondi per garantire la sopravvivenza delle compagnie utilissime, ad esempio, d’estate per combattere gli incendi.

Struttura e compiti delle compagnie

Le compagnie erano solitamente formate da un capitano, da uno o più ufficiali, da graduati eletti dai barracelli, e da un numero di barracelli proporzionale al valore dei beni da assicurare e all'estensione del comune. Il Capitano, oggi, viene nominato dal Consiglio Comunale ed è responsabile verso il Sindaco “del corretto svolgimento del servizio, della disciplina e dell’impiego tecnico e operativo dei barracelli”.  Negli ultimi anni, del resto, non sono certo mancate proposte per un rinnovamento. Soprattutto per quanto riguarda la loro formazione. Attualmente sono presenti in Sardegna circa 150 compagnie per un totale di oltre 5mila volontari che svolgono funzioni di polizia locale urbana e locale ma, in caso di esplicita richiesta, si affiancano alle altre forme di polizia per eventi straordinari. Sono in prima linea, inoltre, nel preservare e difendere il patrimonio naturale, artistico e storico del territorio dove operano e c’è una legge specifica della Regione Sardegna (1988) che ne stabilisce alcuni compiti:

  • salvaguardare le proprietà affidate loro in custodia dai proprietari assicurati, verso un corrispettivo determinato secondo le modalità previste dalla medesima legge regionale
  • collaborare, su eventuale richiesta di queste, con le autorità istituzionalmente preposte al servizio di protezione civile
  • prevenzione e repressione dell’abigeato
  • prevenzione e repressione delle infrazioni previste in materia di controllo degli scarichi di rifiuti civili ed industriali

Addio a uno dei maestri del fumetto italiano: è morto a 80 anni Sergio Zaniboni, per oltre 35 anni matita di "Diabolik". Come si legge sul sito del Corriere della Sera, il disegnatore torinese è morto il 18 agosto ma la notizia è trapelata solo lunedì. Ex radiotecnico dell'Enel, dopo aver lavorato come grafico pubblicitario, Zaniboni ha debuttato nei fumetti a 30 anni sulla rivista 'Horror'. Nel 1969 ha fatto il suo esordio su 'Diabolik', diventando in breve tempo la "mano" per eccellenza del personaggio delle sorelle Giussani e, dal 1999 al 2013, l'autore delle copertine della serie. 

L'ombra della luna che attraversa gli Stati Uniti da costa a costa, milioni di persone che assistono al raro fenomeno astronomico, per 92 minuti, con stupore ma anche inquietudine. Quello dell'eclissi solare è un fenomeno che nel tempo è sempre stato avvolto da leggende, paure e misteri. Le culture di tutti i paesi hanno creato storie, ne hanno letto i significati più diversi e, ancora oggi, l'evento è legato ad antichi terrori: le donne incinte temono per i propri bimbi in grembo, qualcuno evita di guardare il sole, per non perdere la vista, di bere, di mangiare e di dormire per tutto il giorno. Ma perché l'eclissi genera tante paure?

La rottura dell'equilibrio con l'universo

L'eclissi è stata nella storia vista da molti popoli come una rottura dell'equilibrio dell'Universo dove il Sole illumina e ha un movimento regolare. Il passaggio della Luna quindi manderebbe l'Universo fuori sesto, il buio improvviso gelerebbe la terra portando gravi conseguenze energetiche. Un momento in cui bisogna stare raccolti e uniti: i Navajo durante l'eclissi stanno a casa con la famiglia dove intonano canti speciali e si astengono dal cibo, dal bere e dal sonno. Chi mangia o beve durante l'eclissi per loro non è piu' in equilibrio con l'Universo e ciò potrebbe condurre a pesanti conseguenze nel futuro. "Si tratta sempre si una rottura dell'ordine precostituito – spiega E.C, Krupp direttore del Griffith Observatory di Los Angeles in California – l'uomo dipende dal movimento del sole. È regolare, affidabile, non lo si può manomettere".

Il drago che divora il sole

Nella storia molti popoli hanno immaginato un pasto celeste, draghi e demoni che divorano il sole. Nell'antichità i cinesi cercavano di spaventare il drago facendo rumore, suonando tamburi, scoccando frecce nell'aria e percuotendo delle pentole, tradizione durata fino al solo scorso quando la Marina imperiale cinese usava ancora sparare con le armi da cerimonia durante l'oscuramento del sole per scacciare simbolicamente il drago invisibile. Per i cinesi la parole per l'eclissi e Shih che significa mangiare. In India la gente si immergeva fino al ginocchio nell'acqua di un fiume credendo che questo aiutasse la Luna e il Sole a difendersi dal drago. In Giappone si usava ricoprire i pozzi durante l'eclissi per evitare che vi cadesse del veleno proveniente dal cielo oscuro. In Vietnam era una rana o un rospo a divorare il Sole mentre secondo i nativi Kwatiuti della costa occidentale del Canada sarebbe la bocca del Paradiso a consumarlo.

Il furto del sole del demone Rahu

Nella mitologia coreana un re ordina ai cani di fuoco di rubare l'ardente sole o la gelida luna. Gli animali li inseguono senza riuscirci ma a volte li mordono. Nella filosofia induista il demone Rahu di travestì da Dio per poter rubare un sorso di elisir che gli avrebbe dato l'immortalità. Ma il sole e la luna lo videro e avvisarono il dio Vishnu che taglio la testa al demone un attimo prima che l'elisir gli passasse nella gola. Da allora solo la testa di Rahu è diventata immortale e continua a inseguire il sole e la luna nel cielo per vendicarsi.

Il Sole Nero

Nell'esoterismo dell'antico sciamanesimo druidico l'eclissi di Sole rivestiva una grande rilevanza, tanto da aver costituito il simbolo esoterico conosciuto con il nome di 'Sole nero' raffigurato da un disco completamente nero che si sovrappone a un alone di luce che emerge oltre il suo bordo. Il simbolo è quello della Natura che inderogabilmente si impone sulle vicende umane ricordando la relatività delle aspettative umane. Secondo la Kemo-Vad, forma di meditazione dinamica usata dal druidismo il Sole nero simboleggia la luce dello spirito che a volte può essere occultata dalla mente e che e rappresentata dal bordo luminoso che fuoriesce dal Sole. 

Simbolo dell'esoterismo e 'centro del mondo'

Il Sole nero 'Schwarze Sonne' ha una grande importanza nelle tradizioni esoteriche, in particolare quelle neopagane di stampo germanico. Il simbolo è presente nel mosaico nella Torre Nord del Castello di Wewelsburg costruita nel 1603 dal vescovo principe di Paderborn Dietrich con Fustenberg. Il luogo è considerato un nodo energetico estremamente potente e durante il Nazismo ci si riferiva al complesso come il 'centro del mondo' in linea con l'idea del gerarca e ideologo nazista Heinrich Himmler che avrebbe voluto questo posto come base ideologica del Reich.

Leggi anche: Come vedere anche in Italia l'eclissi più attesa della storia

Giuseppe Garibaldi rischia la sorte del generale "sudista" Robert Lee. Le sue statue nel Meridione d’Italia non sono state ancora rimosse, ma se ne può parlar male. L’imponente bronzo che lo rappresenta in piedi, davanti alla Stazione centrale di Napoli, è stato spesso avvolto da striscioni, imbrattato da scritte di movimenti meridionalisti ed è insidiato dall’iniziativa di alcuni consiglieri comunali, che hanno avanzato a primavera scorsa la proposta di rinominare piazza Garibaldi intitolandola al principe Antonio de Curtis, in arte Totò, di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo della morte.

La storia del Risorgimento, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, è stata riscritta negli ultimi anni a favore degli sconfitti in molte pagine importanti, mentre altre prima bianche o taciute sono state aggiunte, come quelle sui massacri perpetrati dalle truppe piemontesi dopo l’unificazione (o l’annessione) del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna.

Napoli scaccia il generale piemontese

L’iniziativa più significativa è del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, con la revoca della cittadinanza onoraria al generale Enrico Cialdini, “eroe” del Risorgimento ma che una successiva revisione – sine ira et studio – ha identificato come responsabile di crimini contro le popolazioni meridionali la cui efferatezza nemmeno i nazisti hanno eguagliato in Italia. Famigerata la rappresaglia contro i civili di Pontelandolfo e Casalduni nel Beneventano, nel 1861, lo stesso anno in cui l’ex capitale del Regno offriva la cittadinanza al generale. Alla revoca disposta dalla giunta De Magistris potrebbe seguire – perché chiesta a gran voce dall’opinione pubblica – la rimozione del busto di Cialdini dalla Camera di Commercio.

 

Laddove non intervengono le autorità si muove uno spontaneismo trasversale, non definibile con le tradizionali etichette politiche benché assai variegato. Piazza Garibaldi a Napoli è stata rinominata un paio di anni fa da un gruppo di attivisti, che hanno preparato targhe di marmo del tutto simili a quelle vigenti e le hanno infisse nottetempo. Piazza Garibaldi è diventata Piazza della Ferrovia. Corso Garibaldi è stato ribattezzato Corso Ferdinando II Re di Napoli. Una bravata ma non troppo.

Sono molte le amministrazioni comunali che nell’ex territorio delle Due Sicilie hanno modificato la toponomastica ufficiale. A Minturno (oggi provincia di Latina) c’è via Ferdinando II di Borbone Re delle Due Sicilie e sono state inaugurate una via Carlo III di Borbone e una via Francesco e Maria Sofia di Borbone (gli ultimi sovrani delle Due Sicilie). Qualcosa di impensabile fino a pochi anni fa. A Caserta, Corso Trieste è stato rinominato Corso Ferdinando II. A Calvizzano la strada che costeggia l’alveo Camaldoli – realizzato dai Borbone – è stata anch’essa intitolata a Carlo III (che da sempre conta una importante piazza a Napoli dove sorge il gigantesco Albergo dei Poveri).

Una statua per re Ferdinando e un Sacrario a Gaeta

Il comune di Battipaglia ha fatto di più: a Ferdinando II è stata eretta una statua in una omonima piazza. Venafro, in Molise, ha intitolato una strada a Francesco II. Non sono solo le amministrazioni comunali né i movimenti spontanei a intervenire nella riscrittura, anche su bronzi e marmi, della storia. Nel 2014 nella cattedrale di Gaeta il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, di cui è Gran Maestro il principe Carlo di Borbone, ha eretto un Sacrario che raccoglie i resti dei soldati che morirono per re Francesco nell’assedio con cui l’ultimo monarca si congedò dal Regno (mentre i cannoneggiamenti del generale Cialdini violavano anche le regole più umanitarie), resistendo fino al 13 febbraio 1861.

Nei nomi delle strade emergono i ricordi – o la nozione, perché sono in molti a non sapere – di atrocità omesse dalla narrazione scolastica: il comune di San Giorgio a Cremano, ora quello di Napoli hanno intitolato una piazza ai Martiri di Pietrarsa. Sono i quattro operai delle omonime officine, già fiore all’occhiello delle ferrovie borboniche, i quali il 6 agosto 1863 manifestarono per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Furono uccisi dalle pallottole dei bersaglieri “italiani” e i feriti furono decine. Ma mentre tutti ricordano l’eccidio di Portella della Ginestra nel 1947, su quello di Pietrarsa era calato l’oblìo. Se targhe e monumenti servono a qualcosa, questo è un caso esemplare.

La revisione è incentivata anche nelle università: “L’Ordine Costantiniano assieme all’Ancci (Associazione Nazionale Cavalieri Costantiniani Italiani) ha istituito delle borse di studio per tesi di laurea sul Regno delle Due Sicilie. Ne abbiamo di recente premiate dodici”, racconta all’AGI l’avvocato Franco Ciufo, segretario nazionale dell’Ancci e delegato per l'Ordine degli Abruzzi e Molise. “Con l’Associazione Neoborbonica, organizziamo anche visite nelle scuole per riproporre a docenti e studenti una rivisitazione più accurata del nostro comune passato”.

A un meticoloso lavoro storico si è dedicato con molti volumi il giornalista Gigi Di Fiore, il quale si dice tuttavia contrario alla rimozione dei monumenti e ai cambiamenti toponomastici: “Bisogna distinguere la memoria dalla storia. Non sempre sono sovrapponibili, anche se mi sembra paradossale che ogni città italiana debba avere una via Roma e una via Garibaldi. Ma questo è il frutto di un tentativo strenuo di dare all’Italia una identità condivisa dopo il 1860, quando proprio non ce l’aveva. E per accettare l’unificazione sotto le insegne del Piemonte era necessario denigrare gli Stati preunitari”.

Di Fiore traccia una differenza con quanto accade in America: “Gli Stati Uniti sembravano esenti dai conflitti cui assistiamo adesso, grazie alla grande riconciliazione voluta dal presidente Lincoln, che riuscì a rendere compatibili una memoria del Nord e una memoria del Sud: c’è per esempio a New Orleans un bellissimo Museo della Confederazione. Ma attenti – avverte Di Fiore – a non indulgere a una visione superficiale della storia. Non si può ridurre tutto a schemi tipo antischiavisti contro schiavisti, bisogna piuttosto ricordare i fortissimi interessi divergenti che andavano al di là di schemi ideologici. La complessità dei processi storici, se semplificata troppo, genera solo insanabili contrapposizioni come quelle attuali”.

Cauto anche lo storico pugliese Valentino Romano: “La storia va rivista e non semplicemente rimossa, altrimenti ripeteremmo ciò che hanno fatto i Savoia. L’esempio ideale mi sembra quello del piccolo comune di Biccari in provincia di Foggia: ha ribattezzato una strada dedicandola ai Martiri di Pontelandolfo, ma ha conservato l’indicazione ‘già via Nino Bixio’”. La statua di Garibaldi dalla piazza di Napoli, però, Romano la sposterebbe. Così pensa anche Lucilla Parlato, direttore della testata “Identità Insorgenti”, che coagula le voci di gruppi, movimenti e collettivi sul territorio: “La presenza di quella statua proprio davanti alla stazione di Napoli è poco tollerabile. La revisione storica è importante anche nella toponomastica, purché la memoria sia sempre riportata al presente, altrimenti è solo sterile sguardo all’indietro. Perché è il passato che vive ancora nell’oggi e lo condiziona. La Terra dei Fuochi dimostra che moriamo sempre di Italia per i patti tra aziende del Nord e camorra”.

Il ritorno dei "briganti"

C’è intanto chi caldeggia il ‘Giorno della memoria’ per le vittime del Risorgimento, come il Movimento 5 Stelle con mozioni nei Consigli regionali di Campania, Puglia, Molise, Basilicata e Abruzzo. L'iniziativa è stata condivisa da altre forze politiche, ma suscitando critiche: lo storico Francesco Barbagallo parla di “politica ridotta ad avanspettacolo”, di “neo-sudismo dei cinque stelle”, di un “leghismo sudista” coi rischi del ribellismo brigantesco.

A un “brigante”, meglio dire a un insorgente, il Consiglio comunale di Cerreto Sannita ha dedicato una piazza: Cosimo Giordano. Era nativo di là. Come lui migliaia furono protagonisti, anche nolenti, di una disperata opposizione ai “piemontesi”. Scrisse Carlo Alianello, precursore di tanta revisione storica nel saggio “La conquista del Sud” del 1972: “I cafoni erano ai campi o sulla montagna, magari con la zappa al braccio e il fucile a tracolla e, quando erano presi, colpevoli o innocenti, la loro sorte era segnata: quattro palle nella schiena e addio”.       

 

      

“Oh uomo, chiunque tu sia e da qualunque parte del mondo tu venga – perché so che un giorno verrai – io sono Ciro, fondatore della dinastia degli Achemenidi. Ti prego, di non invidiarmi questo fazzoletto di terra su cui riposo”.

Sono queste le parole che Ciro il grande fece incidere sulla sua tomba che a forma di tempio greco, sorge solitaria nella piana di Pasargade, la città-giardino da lui costruita intorno al 545 a.C.. E proprio in questo luogo, sotto gli occhi dei turisti incuriositi, viene riportata alla luce in questi giorni una nuova meraviglia: un palazzo del periodo di Dario, re persiano che successe a Cambise, figlio di Ciro nel secondo periodo della dinastia degli achemenidi.

Cosa c'è all'origine di questa scoperta 

Il direttore degli scavi, l’archeologo Hamed Molai, ha spiegato all’AGI, che seguendo delle ipotesi fatte tra il 1961 ed il 1963 dallo studioso inglese David Stronach, il suo team, composto solo da iraniani, ha iniziato a lavorare su Tal Takht (il trono sulla collina), torre di avvistamento sulla quale, finora, si pensava che non ci fosse nulla.

Scavando sopra la collina sulla quale erano rimasti ruderi della torre, dell’età dei Medi, gli archeologi hanno portato alla luce un palazzo colonnato del periodo di Dario.

Il sito di Pasargade

La scoperta è di grande interesse perché l’arte persiana nel periodo di Dario raggiunse l’apogeo della sua bellezza, ben visibile oggi nel vicino sito di Persepoli; gli archeologi sperano di trovare anche a Pasargade bellezze e meraviglie dello stesso calibro.

Il sito archeologico è stato già inserito nel 2004 nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco. Pasargade nell’antica lingua significherebbe “Città dei persiani” o secondo un’altra teoria “Città di gente che impugna mazze pesanti”. Ora però, il sito, potrebbe dare alla luce nuovi tesori.

Si scava sotto il sole

Molai spiega che per ora gli scavi stanno delimitando il perimetro del palazzo antico che oltre alla sala centrale con le colonne comprendeva anche una stanza di 5 metri per 5 metri, di cui non si comprende ancora la funzione. Le mura del palazzo sono alte e sotto il sole, si continua a scavare.

Il tesoro sotto Pasargade

L’archeologo iraniano è un ragazzo sulla trentina ed è felice, perché spiega che l’organizzazione del Patrimonio culturale dell’Iran, ora ha stanziato i fondi per gli scavi e ritiene che a Pasargade c’è ancora molto da portare alla luce. Più avanti, infatti, vicino al palazzo delle udienze di Ciro, sono stati ritrovati i basamenti di pietra di un ponte costruito in antichità sul fiume che passava nella città e che ora è in secca.

Un'attrazione turistica

Nel 2016 l’Iran ha ospitato 6 milioni di turisti che hanno portato 8 miliardi di dollari alle casse dello Stato; un netto incremento rispetto ai 5,2 milioni del 2015; Rohani probabilmente ha capito che con tutte le attrazioni storiche del suo territorio, il turismo può essere una marcia in più per far decollare l’economia che cresce ma con un ritmo ancora troppo lento. Lento, come il lavoro certosino degli archeologi, che riportano alla luce, poco alla volta, le mura del palazzo di Dario a Pasargade. 

La dinastia degli achemenidi

Ecco in poche righe la storia del più vasto impero dell'antichità come riportato dall'enciclopedia online Wikipedia.

  • CIRO II – Salito al trono dei "Gran Re" nel 559 a.C., Ciro II riuscì subito a unire le tribù persiane sotto la propria egemonia. Alleatosi con il re babilonese Nabonedo, sconfisse il sovrano medo  Astiage, tradito dal suo esercito che lo consegnò nelle mani di Ciro, il quale poté così marciare su Ecbatana e conquistarla. Ciro proseguì l'espansione conquistando prima l'Asia Minore e la Lidia e poi il regno di Babilonia, e si spinse fino in Asia Centrale dove morì in battaglia, prima di poter conquistare l'Egitto.
  • CAMBISE II – L'impresa fu compiuta da Cambise II, figlio di Ciro, che sconfisse Psammetico III e si fece incoronare sovrano d'Egitto nel Tempio di Neith a Sais. Per tentare di conquistare Cartagine, Cambise si impadronì delle vie di comunicazione terrestri africane attraverso l'oasi di Siwa, arrivando fino alla Libia. Non riuscì però a portare a termine l'impresa perché i fenici si rifiutarono di fornire le navi contro quella che era una loro antica colonia.
  • DARIO I – Dopo la morte di Cambise II (522 a.C.), iniziò un periodo di intrighi e ribellioni che si concluse con la salita al trono di Dario I nel 522 a.C. Fu proprio Dario, appartenente a un ramo collaterale della dinastia achemenide, a citare per primo la leggenda di Achemenes, nel tentativo di legittimare il proprio potere dicendosi discendente da Ariamne. Dario I conquistò la Tracia, il Caucaso e la valle dell'Indo e attaccò la Grecia, dove però fu sconfitto da un'alleanza di città greche indipendenti a Maratona (490 a.C.). Si dedicò quindi a consolidare le conquiste, per consegnare un impero forte e organizzato al figlio Serse I nel 485 a.C.
  • SERSE I – Anche Serse I cercò di annettere la Grecia peninsulare: riuscì a passare alle Termopili e a saccheggiare Atene, ma fu sconfitto a Salamina e a Platea e costretto a ritirarsi in Asia Minore. Con Serse I si conclude il periodo di grandezza della dinastia achemenide.

Unisce cultura e solidarietà il festival "Il paese di Gertrude" che si rinnova a Cittadella del Capo (Cosenza) con la quinta edizione, in programma dal 21 al 25 agosto. L'iniziativa è dell'associazione di volontariato dalla quale prende il nome il festival, che punta a promuovere il territorio calabrese con proposte musicali e artistiche, ma anche a sensibilizzare sulla donazione del midollo osseo.

In apertura della rassegna, il 21 agosto l'associazione illustrerà il progetto di psico-oncologia avviato nell'ospedale di Cosenza e la campagna "Hemo Sapiens" per il reclutamento di donatori di midollo osseo, da poco cominciata sulla costa tirrenica calabrese e presso l'Università della Calabria, in collaborazione con l'Avis di Cosenza e la Fidas di Paola. A queste due attività saranno devoluti interamente gli incassi del festival.

Il 22 agosto "Il paese di Gertrude" proporrà una giornata dedicata all'arte di strada con la "Street levels gallery" di Firenze, un centro di approfondimento sull'interazione tra arte, strada e pubblico. A sera, il set di Dj Kero'. Il 23 agosto omaggio al cantautore Rino Gaetano con la band "Sei ottavi". Ancora musica il 24 agosto, con il folk di "Persian Pelican" e il cantautore siciliano Nicolò Carnesi. Gran finale il 25 agosto con la band calabrese "Twist Contest" e la world music di Sandro Joyeux.

L’estate è forse il periodo dell’anno in cui si legge di più, ma tre mesi non bastano per aumentare le basse percentuali che riguardano i lettori italiani. Un aiuto per stimolare alla lettura arriva dai social, con ‘Books on the Beach’ la campagna ideata da Libreriamo in collaborazione con Instagram. Basta postare una foto con il mare, la spiaggia e il libro che si sta leggendo: un modo divertente per condividere con gli amici i propri gusti letterari e perché no aprire un dibattito social.

Leggi anche: Libri? I manager italiani ne leggono pochissimi

Ecco come funziona

I lettori sono chiamati a vestire i panni di “Book hunter”, ovvero cacciatori di immagini che immortalino i libri protagonisti delle proprie vacanze. Inoltre è possibile anche segnalare sempre attraverso le foto esempi di bookcrossing in spiaggia e di librerie all’aperto presenti nei diversi lidi e villaggi balneari italiani. Il tutto per un fine sociale importante: promuovere i libri, sensibilizzare alla lettura e far emergere come la lettura  può accompagnarci nella vita di tutti i giorni.

L’iniziativa vivrà su Instagram. Oltre a pubblicare le foto, occorrerà inserire sui diversi canali social l’hashtag #Booksonthebeach e la mention @Libreriamo. Alla fine verrà realizzato un unico book fotografico che raccoglierà tutte le immagini inviate.

“I libri i migliori compagni dell’estate”

“Nonostante i dati dicono che in Italia si legge sempre meno, basta guardarsi intorno per notare come la sensibilità di alcune aziende e della stessa gente comune nei confronti dei libri sia in sensibile aumento – afferma Saro Trovato, fondatore di Libreriamo –. Una buona abitudine che proprio in estate deve trovare la sua grande conferma: soprattutto in spiaggia, luogo simbolo delle ferie estive, vogliamo che i libri rappresentino i migliori compagni di queste vacanze estive. Per questo motivo, vogliamo sfruttare la viralità dei social più popolari, coinvolgendo la gente in modo semplice e divertente. Ognuno può dare un suo contributo, dimostrando l’importanza dei libri e la loro sempre maggiore presenza nella vita di tutti i giorni, anche in estate.”

 

Inestimabile è il valore della Gioconda. Più o meno indiscutibile è quello della sua rielaborazione baffuta di Marcel Duchamp. Stimato a un milione e 100mila euro è il valore del celeberrimo dipinto di Leonardo da Vinci "rifatto" da John Myatt, il più grande falsario vivente. Con l'aiuto del microscultore Willard Wigan, ha realizzato una replica riproducendo il quadro stesso della Gioconda nella pupilla destra di Monna Lisa.

Falsi ma belli come gli originali

Myatt, 72 anni, fu condannato a un anno di carcere nel 1999 per avere falsificato oltre duecento opere di grandi artisti tra cui  Picasso, Renoir e Matisse ma con mano così sapiente da ingannare gli esperti di blasonate case d'asta. Dopo la condanna Myatt, già docente storia dell'arte, si è dedicato alla realizzazione di "falsi d'autore", "genuine fakes" di grande livello. La Gioconda è la sua ultima fatica, perfettamente riprodotta con l'aggiunta della miniatura del dipinto – meno di un millimetro quadrato – dentro l'occhio, grazie all'eccezionale perizia del microscultore Wigan, 60 anni, britannico anch'egli e capace di eseguire sculture o pitture su capocchie di spillo. Per dare un'idea, la collezione delle opere complete di Wigan – se le esponesse a grandezza naturale – occuperebbe l'inverosimile spazio di una moneta.

La Gioconda con l'occhio che contiene se stessa è in mostra presso la galleria londinese Trinity House Paintings e sarà successivamente esibita a New York, sempre con l'aspettativa di trovare un acquirente