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AGI – Dal 21 al 24 marzo l’Auditorium della Mole Vanvitelliana di Ancona ospiterà la prima edizione nazionale del festival Popsophia, manifestazione interamente dedicata ad esplorare il quanto mai attuale tema della spettacolarità del male.
Per scoprire quale sia lo spirito di questo evento ed in che modo si prefigga di coniugare intrattenimento e divulgazione sviscerando cause e origini della nostra fascinazione per le immagini di violenza, crudeltà e catastrofi proposte da cinema, tv e nuovi media, l’AGI ha incontrato l’ideatrice e curatrice di Popsophia,  la filosofa, scrittrice, opinionista tv e docente di Storia dello Spettacolo Lucrezia Ercoli.

 

Qual è l’idea portante di Popsophia?

 

Il tentativo è quello di coniugare il pop – nel duplice senso di pop culture e cultura di massa, intesa come l’insieme dei fenomeni del vivere quotidiano – e la filosofia quale capacita del pensiero critico di riflettere sul presente. Nato nel 2011, e per tredici edizioni itinerante in varie città delle Marche, Popsophia approda ad Ancona sull’onda dell’intento, condiviso con il Comune cittadino e la Regione Marche, di stabilizzare la sfida culturale che portiamo avanti sul piano nazionale. Anche attraverso l’idea di aprire un laboratorio permanente sui temi della manifestazione.

 

In che modo il programma del festival declinerà questa sfida?

 

Di giorno attraverso gli incontri con giornalisti, scrittori, docenti e filosofi inseriti nelle tre rassegne Philofiction, Cinesophia e Mediascape che dedicheremo all’immaginario cinematografico, della serialità televisiva e dell’universo digitale. La sera con la specificità del nostro progetto: i format di spettacolo filosofico Philoshow. Proveremo a dar vita a rappresentazioni in cui musica dal vivo, montaggi audiovisivi e parole, mie e degli ospiti, esploreranno temi diversi. Con Marcello Veneziani si parlerà di nichilismo e canzonette, con il divulgatore scientifico Michele Bellone di immaginario distopico, con Carlo Massarini di  rock e male. Proporremo inoltre dei laboratori filosofici per adulti e bambini, in cui il filosofo si porrà come mediatore, più che conferenziere, lasciando alla platea il ruolo di protagonista. Infine, abbiamo in programma la Mostra d’arte Pentagon, che nella nostra galleria virtuale e modulare MeGa, fruibile con visori, racconterà l’idea insita nella location, il pentagono perfetto della Mole Vanvitelliana, esplorando i rapporti tra geometria e filosofia.

 

Qual è il fine di psicanalizzare il voyeurismo dello spettatore medio?

 

Quello di una presa di consapevolezza. La verità è che oggi non possiamo più esimerci dall’essere spettatori del male, perché ci raggiunge attraverso troppi canali. Gli immaginari della letteratura, del cinema, della serialità tv e della musica possono aiutarci ad acquisire  coscienza di questo nostro costante guardare in modo passivo il dolore degli altri. E’ un passaggio necessario, se non vogliamo chiudere gli occhi su ciò che siamo. E’ tempo di provare a rivolgere lo sguardo verso noi stessi, invece di cercare sempre il mostro altrove.

 

Oggi la filosofia è vissuta come qualcosa di scollegato dal quotidiano, quale potrebbe essere il suo ruolo attivo nel nostro tempo?

 

La filosofia dovrebbe rappresentare la cassetta degli attrezzi con cui affrontare il presente, un grimaldello per aprirci alla riflessione ed alla comprensione di meccanismi che senza il suo contributo ci resterebbero estranei. La disciplina filosofica non nasce in una dimensione accademica, è stato il linguaggio tecnico che ha assunto nel tempo ad aver allontanato la sua capacità di parlarci senza distinzioni. Se torna ad essere cosa viva e concerta, credo possa ancora ricoprire un ruolo cruciale nello spazio pubblico. Il tentativo del festival è mostrare come sia rimasta intatta la sua capacità di leggere la realtà, oltre i manuali.

 

‘Lo spettacolo del male’ è anche il titolo di un suo saggio appena uscito per Ponte alle Grazie, la cui tesi è che il male è insito in ognuno di noi.  

 

Il festival nasce in effetti da un lungo lavoro, partito dalla necessita di guardare in faccia il volto di Medusa: quella crudeltà che è specifica del genere umano non appartenendo ad altre specie animali. Lo scopo è  quello di venire a patti con questo lato oscuro che tentiamo di rimuovere, cercando sempre di trovare un capro espiatorio. Di prendere atto del nostro essere, come diceva Susan Sontag, davanti al dolore degli altri.

 

La nuova tecnologia, ormai estensione del corpo, ci offre attraverso gli Smartphone la terribile possibilità di essere immersi senza soluzione di continuità in uno spettacolo di dolore che ci commuove o indigna. Ma in realtà sono reazioni che alimentano lo spettacolo stesso, emotivamente tese a giustificare il voyeurismo e il perverso godimento che ci provoca. Il bombardamento di immagini del male ci sta facendo dimenticare il ruolo del nostro sguardo, le colpe e responsabilità che gli competono.

 

L’arte deve ferire?

 

Credo di sì. Infatti in esergo al mio libro ho citato Michel de Montaigne: “Io odio crudelmente la crudeltà”. Arte e filosofia non devono lasciarci intatti al loro passaggio. Hanno il fine di alimentare la nostra consapevolezza e scuoterci, anche con un po’ di necessaria violenza.

AGI – Ricevere un regalo inaspettato è sempre bellissimo. Quando poi si tratta di un romanzo inedito scritto da uno dei più grandi autori contemporanei, Gabriel Garcia Marquez, pubblicato a dieci anni dalla morte, è come trovare un tesoro nascosto in giardino di cui ignoravamo l’esistenza. E’ arrivato in libreria lo scorso 6 marzo, giorno in cui avrebbe compiuto 97 anni, ‘Ci vediamo in agosto’ (Mondadori, a cura di Cristòbal Pera, traduzione di Bruno Arpaia – pagg.120, euro 17,50), un racconto scritto nel 1999 e più volte cambiato e riscritto che è rimasto inedito fino ad oggi perchè lo stesso Marquez non era convinto del suo valore e del finale al punto di dire: “Questo libro non funziona. Bisogna distruggerlo”. Ora i figli Rodrigo e Gonzalo Garcia Barcha hanno deciso di pubblicarlo, dopo aver affidato a Cristobal Pera (editor dell’ultimo grande romanzo-momoir di Marquez, ‘Vivere per raccontarla’ del 2002, oltre che dell’ultimo romanzo propriamente detto, ‘Memoria delle mie puttane tristi’, del 2004) il compito di curarne l’edizione, raccogliendo le varie versioni del testo e le correzioni apportate da Marquez negli anni. Dal 18 marzo 1999, giorno in cui un giornalista di ‘El Pais’ pubblicò un’intervista a Marquez e un brano del libro ‘Ci vediamo in agosto’ (che lo scrittore colombiano aveva letto qualche giorno prima nella Casa de America a Madrid dove, invece di tenere un discorso alla presenza del collega Premio Nobel Josè Saramago, aveva letto un brano del suo nuovo romanzo) al 2004 quando finì di riscrivere la versione numero 5, Marquez si occupò di questo romanzo come si fa con un figlio difficile. 

 

In quell’anno, il 40ennale di ‘Cent’anni di solitudine’, mise da parte il libro – di cui la rivista colombiana ‘Cambio’ aveva pubblicato nel 2003 il terzo capitolo col titolo ‘La notte dell’eclissi’ – perchè, rivelò alla sua agente, “a volte bisogna lasciar riposare i libri”. Purtroppo in vita Marquez non fu mai soddisfatto del risultato e decise di non pubblicare il romanzo di cui non riteneva valido il finale e non riuscì a finirlo a causa della perdita di memoria che iniziò a colpirlo dal 2010. Eppure questo libro risente moltissimo dell’afflato e dell’arte dello scrittore colombiano e, come sospettano i figli che hanno deciso di “tradire” la volontà del padre, probabilmente i dubbi erano dovuti più alla sua salute ormai malandata (è stato colpito dal morbo di Alzheimer) che dall’effettivo valore artistico dell’opera. “Giudicando il libro migliore di quanto lo ricordassimo, ci è venuta in mente un’altra possibilità: che la mancanza della facoltà che non aveva permesso a Gabo di terminare il libro gli avesse anche impedito di rendersi conto di quanto fosse buono, malgrado le sue imperfezioni”, scrivono i figli di Garcia Marquez nella perfezione.

 

In ‘Ci vediamo in agosto’ Garcia Marquez affronta l’amore tra persone mature, il desiderio e la passione unite al brivido della trasgressione che irrompono prepotenti quasi per caso nella vita di una donna di quasi 50 anni, Ana Magdalena Bach, che ogni 16 agosto porta sulla tomba della madre sepolta su un’isola dei Caraibi un mazzo di gladioli. Un viaggio che Ana intraprende annualmente in maniera quasi automatica e ripetitiva e che diventa improvvisamente qualcos’altro: un’occasione di trasgressione sessuale, come una parentesi da ritagliarsi in una vita condotta in maniera normale e tutto sommato soddisfacente durante gli altri 364 giorni dell’anno. La donna, scrive infatti Marquez, “da ventisette anni era unita in un affiatato matrimonio con un uomo che amava e che l’amava, e con il quale si era sposata senza finire la facoltà di Arti e Lettere, ancora vergine e senza fidanzamenti precedenti”. 

 

Un vita apparentemente felice allietata anche da due figli: un musicista e una ragazza convinta di farsi suora (che comunque non disdegna di passare le notti con un amico/amante jazzista). Apparentemente non ne avrebbe bisogno, eppure nella vita di questa signora all’improvviso irrompe il desiderio di trasgressione. Un attimo di libertà assoluta da vivere un giorno l’anno. Un evento accaduto quasi per sbaglio in uno dei suoi 16 agosto sull’isola, quando ha 46 anni, a causa di un bicchiere di troppo, che diventa una necessità e alimenta la sua vita e le sue ansie di donna matura. Un appuntamento che si rinnova ogni anno per un periodo tutto sommato breve e che si conclude, come dice il curatore Cristobal Pera, “in maniera smagliate” malgrado i dubbi di Garcia Marquez.

 

 

Al termine del libro ci sono quattro pagine riprodotte in facsimile con le correzioni dell’autore della cartellina contrassegnata come ‘Versione 5’ aulla quale alla fine Marquez scrisse le parole “Grande OK finale” (Gran OK final) che la famiglia dello scrittore ha venduto all’Harry Ransom Center dell’Università del Texas. Proprio il fatto che questi documenti fossero disponibili al pubblico ha spinto i figli a “tradire” Gabo, un modo per proteggere il suo lavoro ed evitare che il suo ultimo romanzo inedito vedesse la luce in copie piratate che non tenessero conto delle variazioni e delle correzioni che lo scrittore ha continuato ad apportare anche dopo che la malattia si era manifestata, fin quando gli è stato possibile sedersi di fronte al computer o dettare appunti alla sua assistente. ‘Ci vediamo in agosto’, scrivono ancora i figli di Marquez nella prefazione, è “il frutto del suo ultimo sforzo di continuare a creare contro ogni circostanza avversa. Il processo di scrittura è stato una gara tra il perfezionismo dell’artista e il venir meno delle sue facoltà mentali”. Un libro che i figli dello scrittore reputano di buon livello e che, concludono, “con un atto di tradimento abbiamo deciso di anteporre il piacere dei suoi lettori a tutte le altre considerazioni. Se loro lo apprezzeranno – concludono – e’ possibile che Gabo ci perdoni. Noi ci contiamo”. E i lettori apprezzano di sicuro. 

 

AGI – È stato tradotto in lingua persiana ‘Una vita nascosta’, il romanzo di Enrica Mormile ambientato nella Napoli degli anni Sessanta ma che si sviluppa avanti e indietro nel tempo tracciando l’intricata storia della famiglia di un quartiere popolare. Edito da Castelvecchi nel 2022, il romanzo di Mormile è stato traslato in persiano da Abolhassan Hatami per la casa editrice Hoonaar e sarà nelle librerie iraniane alla fine di questo mese. Nella traduzione il titolo è stato cambiato in ‘Nascondiglio a Napoli’, per rimarcare l’ambientazione nella città partenopea. Romanzo ricco di personaggi e di passaggi temporali, narra la vicenda di un ragazzo incolpato nel 1962 di un omicidio non commesso, il quale per sfuggire al carcere si nasconde nella soffitta abbandonata di Castel Capuano, lo storico palazzo della Vicaria dove per secoli è stata amministrata la giustizia, un enorme edificio che conserva memorie, dolori e conflitti dell’ex città viceregnale, dell’ex capitale di un regno e della metropoli che conosciamo adesso.

 

Sandro detto Sandor, celato al mondo come un fantasma dell’Opera, riuscirà a tornare nel mondo riscattandosi anche attraverso il suo talento eccezionale per il canto: arte come metafora e sentimento in cui alla fine bisogna credere anche quando tutte le circostanze sembrano con crudeltà smentirci. E Sandor ci ha creduto sin dalla notte in cui “la tristezza gli stringeva dolorosamente il petto” e a lui è venuta “una voglia struggente di cantare” sul terrazzino nascosto da dove guarda la luna quasi piena.
Nata a Tripoli in Libia da madre siciliana e padre napoletano, Enrica Mormile ha vissuto lungamente all’ombra del Vesuvio prima di trasferirsi a Roma. ‘Una vita nascosta’ non è la sua prima prova narrativa. Nel 2019 ha pubblicato il romanzo ‘Il viale dei cancelli’, dopo un passato dedicato alla scultura e alle esperienze teatrali. 

AGI – Dopo l’essersi ritrovati e la conseguente mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” presso i Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia, dopo il “Gran Gala Punkettone di parole e immagini” al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia, le tre date sold out all’Astra Kulturhaus di Berlino con il concerto “CCCP in DDDR” e l’uscita dell’album live inedito “Altro Che Nuovo Nuovo”, i CCCP-Fedeli alla linea tornano sulle scene live in Italia con il tour “In Fedeltà la Linea c’è”.

 

A 40 anni dal primo EP, “Ortodossia”, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur, saliranno sul palco dei principali festival italiani, presentandosi come uno degli eventi più attesi nell’estate 2024.

 

Ben lontani da un’operazione nostalgica, sempre liberi da etichette e confini, i CCCP – Fedeli alla linea tornano a grande richiesta per parlare al mondo di oggi, in una serie di live tra il sacro e il profano dove lo slogan “Produci, consuma, crepa” risuona attuale come non mai.

 

Un successo, il loro, plasmato dalla capacità di rendere iconica ogni azione, lasciando un’impronta indelebile nell’immaginario di più generazioni. Il tour, ideato e curato da Luca Zannotti per Musiche Metropolitane, prenderà il via il 21 maggio 2024 da Bologna in Piazza Maggiore. 

AGI –  Grazie alla proposta di legge votata favorevolmente in commissione Cultura della Camera, il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Massimo Bellini di Catania, vengono riconosciuti come ‘Monumenti nazionali’.

“Sono molto soddisfatto di questa legge che finalmente – dice il vice presidente vicario di Fratelli d’Italia, Manlio Messina – farà ottenere il giusto riconoscimento a una terra che ha talento, storia e un patrimonio artistico di cui siamo fieramente orgogliosi. Ora, dopo l’approvazione, aspettiamo la discussione che arriverà a breve in Aula alla Camera e poi andrà al Senato per il via libera definitivo. Ma nel frattempo siamo pieni di gioia nel vedere i nostri teatri tra le grandi Istituzioni culturali italiane”.

Nel 1756 Federico il Grande invase la Sassonia dando inizio al primo conflitto mondiale della storia, la Guerra dei Sette Anni, dal quale sarebbe uscito trionfatore. Gli storici hanno assegnato al sovrano di Prussia il ruolo di “aggressore” ma in realtà Federico agì dopo aver scoperto che l’Europa intera si era coalizzata contro di lui e si apprestava a ridurlo a marchese del Brandeburgo. È la tesi, basata su documenti d’archivio finora ignorati o a suo dire volutamente trascurati, che espone Claudio Guidi nel secondo volume della sua tetralogia (editore Il Melangolo) dedicata a Federico II di Hohenzoller.
Del resto, annota l’autore, il ministro degli Esteri austriaco Wenzel Anton Von Kaunitz-Rietberg non nascondeva l’intento di mirare a una “riduzione della Prussia alla sua condizione primitiva di piccola potenza insignificante”. 
“La Guerra dei Sette anni”, questo il titolo del volume di 544 pagine appena pubblicato del saggista e giornalista abruzzese residente in Germania, si sofferma anche sul grandioso ma conflittuale rapporto del sovrano ammirato da Napoleone e Karl Marx con Voltaire, quello tra “due geni non fatti per stare vicini”. E poi sulla misoginia del ‘solitario di Sanssouci’ nemico giurato di Mme de Pompadour, della zarina Elisabetta e di Maria Teresa d’Austria che sosteneva che “per rovinare un Paese, basta farlo governare da una donna”.
L’uomo che per il suo genio militare entusiasmerà Napoleone, sarà sempre in prima fila davanti ai suoi in tutte le battaglie della guerra dei Sette anni, si vedrà abbattere cinque cavalli sui quali è seduto, con la sua tabacchiera che ferma una pallottola e un’altra che gli arriva in petto ormai a fine corsa. 

Nel volume fa sempre capolino anche la vita privata di Federico, con tanti dettagli curiosi e godibili, dalla sua ghiottoneria, che gli fa assumere il miglior cuoco francese in circolazione, alla sua avidità di bottarga, che si fa spedire da Algarotti dall’Italia.
L’uomo che si definisce primo servitore dello Stato e che per questo lavora fin dalle quattro del mattino, non piace umanamente a Denis Diderot, che pure lo ammira, ma che lo definisce “balzano come un pappagallo e maligno come una scimmia”. Per Johann Wilfgang Goethe rappresenta la stella polare intorno alla quale gira il mondo intero, mentre nel descrivere l’ascesa di questo astro Voltaire dirà che il nord sussultò, tutto l’Olimpo accorse e Federico apparve.
La consacrazione definitiva a campione dell’umanità, per avere abolito la servitù della gleba, arriva a Federico il Grande da Karl Marx, per il quale fu “il primo a dare la terra ai contadini”.
Da questo secondo grande affresco del sovrano prussiano emerge la figura di un personaggio creato dalla natura per diventare un artista, poeta o musicista, come dimostrerà poi a sufficienza, ma che si trasforma di colpo nel più grande condottiero del secolo subito dopo essere salito al trono a 28 anni. Si tratta di un uomo che tre giorni dopo abolisce la pena di morte, la tortura, la censura, che riforma la giustizia, facendo concludere i processi nel giro di un anno, che favorisce l’istruzione generalizzata in tutta la Prussia, accogliendo da ateo come insegnanti i gesuiti cacciati dall’Europa intera, ma introduce una totale libertà di culto, poiché “ognuno ha il diritto di salire in Cielo secondo i suoi gusti”.
Il tutto in un secolo dominato ovunque dal più bieco oscurantismo, caratterizzato dalle persecuzioni religiose più atroci e con i roghi sempre pronti a essere accesi. Un re flautista con un talento e una sensibilità stupefacenti, che oggi secondo le testimonianze di tutti i contemporanei ne avrebbero fatto un grande solista, che fornisce peraltro a Bach il tema sul quale verranno composte le variazioni dell’Offerta Musicale. Ma è anche l’uomo di una brutalità inarrivabile, specie nei confronti della moglie, costretta a condurre una vita da vedova lontano da lui, che non avrà mai il diritto di mettere piede nella reggia di Sanssouci. Non se la caverà meglio il fratello minore ed erede al trono, August Wilhelm, che morirà di crepacuore dopo essere stato destituito da generale, per i presunti errori compiuti in una battaglia perduta e ricoperto per questo da terribili contumelie. Il suo fiuto letterario rimane invece infallibile, poiché sarà il primo a leggere e rileggere altre tre volte Candide di Voltaire, “l’unico romanzo che valga la pena di leggere e rileggere più volte”.

AGI – Un vecchio professore riceve un’allieva in casa per una lezione, una ‘stranà governante appare e scompare per lanciare messaggi. C’è un’aria che sa di pericolo eppure, la situazione sembra abbastanza tranquilla, a tratti divertente. La breve trama fin qui illustrata è quella de ‘La Lezione’ di Eugene Ionesco, in scena al Teatro Basilica di Roma, luogo divenuto un vero e proprio ‘gioiello’ per spettacoli interessanti dove prendono spazio anche sperimentazioni.
La prima rappresentazione del 6 marzo è andata sold out fra gli applausi degli spettatori entusiasti. In realtà, protagonista dello spettacolo è il linguaggio, il potere del linguaggio, divertente, seduttivo e cattivo. E naturalmente, l’arte di Ionesco con il suo Teatro dell’Assurdo.
A interpretare la giovane allieva, in questa edizione, c’è una bravissima Daniela Giovannetti in un allestimento che la vede in scena con Nando Paone e Valeria Almerighi rispettivamente professore e governante ed eccellenti nei loro ruoli, per la regia di Antonio Calenda.

 

“Il testo – racconta all’AGI Daniela Giovannetti – è un classico del teatro dell’assurdo, come scrive Ionesco: ‘è un burlesque portato all’estremo fino ad arrivare alla tragedia”.
La lezione si tiene a casa del professore, un uomo all’apparenza mite e accogliente, che vive con Maria la governante. “Arriva l’allieva – spiega Giovannetti – all’inizio è spavalda e anche piuttosto ignorante. Comincia la lezione, il professore inizia con domande semplicissime, l’allieva è sempre più felice di essere con lui e di rispondere alle sue domande, l’atmosfera è brillante, (anche divertente per lo spettatore) il professore è suadente, si percepisce attrazione, attrazione innocente da parte dell’allieva ma purtroppo subdola da parte del professore”. E man mano l’atmosfera cambia, “alle sottrazioni lei comincia ad andare in crisi – aggiunge l’attrice – il professore è sempre più sicuro di sè, sempre più aggressivo nei confronti dell’allieva, i ruoli si ribaltano. Lei sempre più inebetita si spegne, si sgretola fino a non saper più parlare e pensare, e a sentire solo dolore, il professore è sempre più violento e sicuro di sè, pazzo fino al gesto finale. Non ci sono psicologismi, il cambiamento è leggero quasi impercettibile, pian piano, dalla commedia si passa alla tragedia. Snodo per snodo, mattone su mattone, come per la costruzione di un palazzo”. 

 

È un testo che finisce per rivelarsi drammaticamente attuale: “Come scrive Ionesco – aggiunge ancora Giovannetti – ‘Il teatro dovrebbe svelare la mostruosità che s’infiltra nella vita quotidiana’. La lezione è un testo bellissimo perché complesso e pieno di spunti su cui riflettere. L’allieva all’inizio è sicura, quasi supponente, superficiale forse, sa di poter contare sull’aiuto dei suoi genitori e va alla lezione pronta per saperne di più e per poter affrontare il futuro. Il professore si scoprirà essere un violento seriale, è lucidissimo al fine di ottenere il suo scopo e sciorina oceani di parole su concetti banali. Il rapporto che si crea, o per meglio dire, che non si crea tra i due, è brutalmente e tristemente sadomasochistico”.

E protagonista indiscusso diventa il linguaggio: “Si’ – afferma l’attrice – il linguaggio nelle mani del professore diventa strumento di potere portato alle estreme conseguenze”. Ionesco è uno dei padri del ‘teatro dell’Assurdo’, senso non senso del linguaggio che poi catapulta lo spettatore verso l’ineluttabilità delle cose tanto che alla fine si ricomincia con un’altra allieva.
“Esatto – spiega Giovannetti – la storia si ripete e continua a ripetersi. Il male c’è e sta, purtroppo, molto bene”. Maria, la governante è una figura decisamente inquietante, cosa rappresenta? “È l’unica che ha un nome proprio in questa storia, è un ruolo ambiguo, lei è a conoscenza di tutto quel che succede e succederà in quella casa, prova a fermare il professore poi pero’ lo asseconda anzi gli suggerisce come venirne fuori (grazie alla politica). Succube del professore forse ma sicuramente complice”.
Il ‘Teatro Basilicà è diretto da Daniela Giovanetti con il regista Alessandro Di Murro. Organizzazione del collettivo Gruppo della Creta e un team di artisti e tecnici, con la supervisione artistica di Antonio Calenda. ‘La Lezionè è in scena fino al 10 marzo. 

AGI – Giornalista, critico letterario, scrittore, ex Presidente del Centro per il Libro e la Lettura, ideatore e a lungo conduttore del programma di culto di Radio Rai Fahrenheit, curatore del podcast Timbuctu, Marino Sinibaldi è da anni membro del Direttivo del Premio Strega. In questi giorni, che vedono entrare nel vivo la 78ma edizione del prestigioso riconoscimento letterario, sta quindi lavorando, insieme agli altri componenti del Comitato Pietro Abate, Giuseppe D’Avino, Valeria Della Valle, Alberto Foschini, Paolo Giordano, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Gabriele Pedullà, Stefano Petrocchi e Giovanni Solimine, a realizzare la prima, fondamentale scrematura dei titoli presentati selezionando i 12 ammessi alla votazione successiva. L’AGI l’ha incontrato per commentare insieme questo non semplice impegno

Spieghiamo innanzitutto come funziona il meccanismo del Premio

Gli Amici della domenica, un gruppo selezionato di circa 400 personalità del mondo della cultura, possono proporre alla Fondazione Bellonci ogni anno, tra il primo e l’ultimo giorno di febbraio, un libro uscito nei dodici mesi precedenti in cui credono, corredato da giudizio critico. Scaduto il termine, il Comitato Direttivo procede ad una selezione di 12 titoli, che quest’anno verranno annunciati alla Camera di Commercio di Roma nella sala del Tempio di Adriano il 5 aprile. A quel punto torneranno in gioco tutti gli Amici della domenica per scarnificare ulteriormente la rosa dei libri in gara fino ad individuare la cinquina finalista, che sarà resa pubblica al Teatro Romano di Benevento il prossimo 5 giugno. La proclamazione del vincitore avverrà al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma il 4 luglio.

Allo Strega 2024 sono stati presentati ben 82 libri

Premesso che l’aumento delle candidature degli ultimi anni deriva dal cambio di regolamento, che ora permette ad ogni singolo Amico della domenica di proporre un titolo, il Comitato si assume la responsabilità di far sì che non sia trascurata in alcun modo la qualità. Si tratta di un lavoro delicato e faticoso, ma non va dimenticato che a svolgerlo sono professionisti dell’editoria che per mestiere hanno già letto gran parte dei libri in concorso nei mesi e nelle settimane precedenti a quando vengono presentati gli ultimi partecipanti.

Qualche giorno fa Ferdinando Camon, Premio Strega 1978, ha scritto su La Stampa che sarebbe opportuno che la selezione fosse affidata ad altre giurie fino alla cinquina: come commenta le sue opinioni?

Non mi soffermerei su possibili polemiche. Come detto la scrematura dei dodici richiede un lavoro faticoso e delicato, ma principalmente teso a scongiurare il rischio, sempre alto, che la qualità non sia riconosciuta. La vera discussione può nascere sul personale gusto, ma resta incontestabile il fatto che la giura sia composta da lettori professionali, dotati di occhio allenato e dalla soglia di lettura altissima. Io stesso, da anni, mi trovo per ragioni di lavoro ad affrontare l’esame di almeno un libro al giorno.
D’altro canto tanti titoli in gara sono un segnale del valore dello Strega, a cui moltissimi vogliono partecipare salvo poi, quando esce la lista finale, chiedersi come faremo a scegliere. Tutto il sistema si basa d’altronde sulla fiducia reciproca: quando trovo sui supplementi letterari dei giornali elenchi anche molto lunghi di libri consigliati, non dubito mai che siano stati letti.

 

Oggi si producono tanti titoli, sono aumentate le case editrici e pubblicare è diventato molto più semplice di un tempo anche per ragioni tecnologiche e legate alla piattaforme. Amazon è il più grande editore del mondo. Tutto è cambiato, e le domande del passato non valgono più. Senza dubbio il Comitato si trova a valutare un alto numero di opere, ma la vera sfida di ogni lettore, attualmente, è proprio quella di cercare di non perdersi nella massa. Esattamente il compito che nel nostro piccolo svolgiamo per il premio: individuare la qualità nella quantità; come poi, in veste di semplice consumatore, ognuno è chiamato fare ogni giorno nella moltitudine di cibi, automobili o beni di qualsiasi tipo che ci vengono proposti, senza farsi dominare dal numero di prodotti.

Un 83mo libro presentato quest’anno è l’auto pubblicato su Amazon Kindle Direct Publishing ‘L’ultima spiaggia’ di Carmen Laterza: cosa deciderà il Comitato della sua ammissibilità e che segnale incarna questa proposta?

E’ ancora presto per dire cosa sarà deciso, ma la questione rappresenta bene quello che sta accadendo. Bisogna saper interpretare una realtà che muta, perché esistono ormai libri di carta e digitali. Per fortuna abbiamo l’aiuto del Presidente della Fondazione Bellonci, Giovanni Solimine, che è esperto di questi temi ed addirittura autore di un saggio dedicato ai cambiamenti dal titolo: ‘Cervelli anfibi, orecchie e digitale.

Esercizi di lettura futura’. In un’editoria in evoluzione, come fa lo Strega a mantenere il suo prestigio?

Evidentemente, nonostante le polemiche di ogni anno, il Premio è ancora in grado di individuare il valore nel panorama letterario italiano. Dal 22 al 24 marzo all’Auditorium Parco della Musica di Roma torna ‘Libri Come, la festa del Libro e della Lettura’, che lei cura insieme a Michele De Mieri e Rosa Polacco: cosa succede quest’anno?

Come ogni festival ospitiamo tanti incontri di tipo diverso, ma nello spirito non siamo distanti dallo Strega: l’obiettivo è sempre dare conto della qualità e varietà, proponendo autori celebri accanto ed altri meno noti. Tra gli ospiti internazionali abbiamo già annunciato Julian Barnes, Etgar Keret, Azar Nafisi, Ottessa Moshfegh, Andrej Kurkov, Boris Belenkin, Selby Wynn Schwartz e Gohar Homayounpour. Ma al di là dei nomi, il nostro resta un invito al lettore a scoprire con fiducia anche voci che ancora non conosce.

 

Donna Tartt è venuta da noi prima che uscisse ‘Il Cardellino’, Olga Tokarczuk lo ha fatto prima di vincere il Nobel per la Letteratura. Ci piace stimolare la curiosità, forti di un lavoro di selezione molto accurato. Il tema di ‘Libri Come’ 2024 sarà l’Umanità, intesa come resistenza, sia di fronte ai conflitti bellici che dilaniano il nostro tempo che a fenomeni come lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Restare umani, oggi, è una sfida fondamentale e la letteratura continua a rappresentare un mezzo molto importante per aiutarci a farlo.

AGI – Per la scienza si tratta di pigmenti artificiali, che riproducono fedelmente la struttura chimica dei lapislazzuli. L’alchimia, sconfinando nella magia, rimanda alle scie di un azzurro acceso che la Fenice lascia nel suo passaggio e che il tempo conserva. Per la massoneria è il principio della palingenesi, la morte e la resurrezione al mondo di un corpo naturale per raggiungere una dimensione più spirituale. Letture e approcci differenti, tutte accomunate da una sensazione di bellezza e di stupore, che accompagnano passo dopo passo chi entra nella Cappella Sansevero. La Pietatella, come è anche chiamata la chiesa sconsacrata di Santa Maria della Pietà, regala un’altra testimonianza della genialità e degli sconfinati studi condotti da Raimondo di Sangro, il principe inventore, esoterista, alchimista letterato e accademico il cui nome è indissolubilmente legato a Napoli e alla Cappella Sansevero, custode di capolavori del marmo come il Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, ma anche di straordinarie e leggendarie macchine anatomiche.

 

La scoperta

Grazie al lavoro di ricerca portato avanti da un’equipe di studiosi dell’università di Bari ‘Aldo Moro’, è stato accertato che la cornice che avvolge l’altorilievo posizionato sull’altare principale della chiesa, intorno alla Deposizione di Francesco Celebrano, è fatta di un pigmento artificiale, prodotto in laboratorio, che mostra la stessa struttura della pietra dura amata dagli antichi egiziani che si trova in natura e che, all’epoca, era rarissima e più costosa dell’oro. Nel suo laboratorio, che aveva chiamato ‘appartamento della Fenice’, il principe di Sansevero aveva scoperto la ricetta per ricreare l’inconfondibile blu oltremare e lo aveva fatto intorno al 1750, oltre 70 anni prima rispetto al 1826.

È in quella la data, infatti, che fino a ora vedeva il chimico francese Jean Baptiste Guimet riuscire per la prima volta a riprodurre un blu oltremare assimilabile al colore naturale dei lapislazzuli, la cui formula volle tenere segreta. Due anni dopo, il professore di Chimica Christian Gmelin scopri’ il procedimento e ne pubblico’ la formula.

 

La ricerca condotta dal Centro interuniversitario di ricerca ‘Seminario di storia della scienzà, insieme con il dipartimento di Scienze della Terra e geoambientali dall’ateneo barese è partita da alcuni documenti che attestavano la presenza di veri lapislazzuli nella chiesa, mentre una vecchia guida turistica di Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie, si diceva che quella cornice era stata realizzata seguendo l’antica ricetta della creazione del lapislazzulo da parte del principe di Sansevero.

 

“Per distinguere il naturale dall’artificiale – spiega Gioacchino Tempesta, del dipartimento dell’ateneo di Bari – abbiamo analizzato al microscopio un piccolissimo frammento che avevamo a disposizione. Attraverso analisi approfondite, fatte in situ con strumentazioni portatili e in laboratorio, con strumenti avanzati, come microscopi elettronici, abbiamo concluso che, al momento, non esiste alcun materiale in natura che abbia questa composizione chimica”.

 

Dopo questa prima scoperta, approfittando anche delle impalcature montate nella cappella per operazioni di restauro, gli studiosi hanno successivamente analizzato altri elementi, giungendo a conclusioni altrettanto sorprendenti. Il cappello cardinalizio che si trova ai piedi della statua di Sant’Oderisio, situata in posizione laterale rispetto all’altare, contiene un pigmento di colore rossiccio, proprio del cinabro, che era stato confuso con il porfido. Cosi’ come i due cuscini sotto le statue dello stesso Sant’Oderisio e Santa Teresa, poste una di fronte all’altra, appaiono grigiastri o verdastri (il colore della fluorite), ma osservati dalla prospettiva giusta e illuminati da lampade a raggi Uv, i cristalli brillano di un bagliore blu fluorescente.

La direttrice del Museo Cappella Sansevero, Maria Alessandra Masucci, rimarca “il profilo di infaticabile sperimentatore e innovatore di Raimondo di Sangro, certificato dalle nuove testimonianze delle sue esperienze, che continuano sempre ad aggiornarsi e ad aggiungersi a quelle fatte negli anni”. E cosi’, dopo il Cristo velato, le Macchine anatomiche, il pavimento labirintico, i colori della volta rimasti intatti senza alcun restauro, l’iscrizione sulla lapide della tomba del principe, emerge la riproduzione dei preziosi pigmenti artificiali. Tanti tasselli di un grande mosaico, tante meraviglie realizzate da colui che si pone come la vera meraviglia del suo secolo per il suo sapere e il suo slancio di innovatore. 

 

Una leggenda narra che sia stata costruita su un antico tempio dedicato alla dea Iside. Un altro mito racconta che un uomo, arrestato ingiustamente, mentre veniva portato in carcere, transitando lungo uno dei muri esterni, si votò alla Santa Vergine e, improvvisamente, il muro crollò mostrando un dipinto della Madonna. Poco tempo dopo, fu riconosciuta l’innocenza dell’uomo devoto. Storie e racconti che avvolgono, come un velo, la Cappella Sansevero.

 

La storia della chiesa 

Nota come chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella, fu commissionata e ideata da Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. La costruzione è cominciata negli ultimi anni del 1500 e conclusa nel 1766, pochi anni prima della morte del principe. Dal momento in cui è stato sconsacrato, l’edificio situato nel cuore del centro storico di Napoli non è più destinato al culto, ma resta un luogo carico di simbologie, molte legate alla Massoneria, di cui il principe era Gran Maestro.

 

Il mistero che ammanta gli spazi della chiesa trova la sua perfetta raffigurazione nel velo marmoreo del Cristo velato di Giuseppe Sanmartino. Una statua scolpita a grandezza naturale, che rappresenta il Cristo morto, ricoperto da un sudario realizzato dallo stesso blocco della statua. L’aderenza perfetta alle forme del Cristo ha portato in passato a ritenere che Raimondo di Sangro avesse insegnato a Sanmartino il processo di calcificazione dei tessuti in cristalli di marmo o, addirittura, che sotto lo strato di marmo ci sia un vero cadavere.

 

Oggi campeggia al centro della cappella, ma il Cristo velato doveva essere collocato nel mausoleo sottostante, dove invece sono ospitate le Macchine anatomiche. Due modelli dell’apparato circolatorio umano realizzati nel 18esimo secolo e commissionati dal principe all’anatomista palermitano Giuseppe Salerno. La riproduzione perfetta degli scheletri di un uomo e di una donna con tutto il sistema arterioso e venoso per secoli ha alimentato la leggenda che per costruirli fossero state utilizzate delle vere vene umane, grazie all’intervento diretto del principe che avrebbe fatto bere a due servi una pozione per solidificarne il sangue.

 

Due esempi di quel magico mix tra scienza e alchimia che hanno accompagnato l’intera vita di Raimondo di Ingrossa, che è stato inventore, anatomista, militare, letterato e massone. Proprio i principi della massoneria sono alla base delle sue geniali invenzioni, che a distanza di secoli regalano ancora stupore, meraviglia e continuano a svelarsi una dopo l’altra. Il crollo del 1889 ha danneggiato il pavimento labirintico che simboleggia il percorso tortuoso che conduce alla conoscenza, sempre una sua invenzione.

 

Non si può non parlare di alchimia e di mistero osservando i colori accesi della volta della cappella, conosciuta con il nome di Gloria del Paradiso. Grazie alla formula creata dal principe, gli azzurri, i verdi e gli ori restano raggianti dopo oltre 250 anni, senza bisogno di alcun restauro. Così come l’iscrizione apposta sulla lapide marmorea dell’attuale portale laterale, che non è incisa, ma realizzata tramite un procedimento a base di solventi chimici ideato dallo stesso Raimondo di Sangro. “Un uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere”, recita l’incisione.

 

La cappella di Sansevero racconta meglio di ogni altro luogo quest’uomo, per alcuni uno stregone senza Dio, per altri un genio assoluto, per la storia un uomo ‘illuminato’, capace di fondare la scienza e l’alchimia per generare meraviglia. 

AGI – Chiara Malta è a Roma con il suo premio Cesar: la regista italiana ha lasciato Parigi dopo aver ricevuto il massimo riconoscimento del cinema francese, l’equivalente dell’Oscar, ed è venuta nella Capitale per presentare la serie “Antonia”, in onda dal 4 marzo su Prime.

 

“Linda e il pollo”, lungometraggio d’animazione, ha fatto incetta di premi in Francia e tra un mese, ha annunciato Gkids, un distributore cinematografico americano,  uscirà a New York, e poi in Giappone con Asmik Ace. A breve sarà anche nelle sale italiane, facendo compagnia alla… gallina che affianca la protagonista della serie tv. Disegni, attori e volatili: con la regia di Chiara Malta trovano tutti la loro ragion d’essere. Fare un film in animazione e poi una serie tv non è poi cosi’ strano, se l’obiettivo è la ricerca e l’esplorazione.

 

“Nel mio primo cortometraggio, ‘L’Isle’ – racconta Malta all’AGI – facevo già dialogare l’animazione con le immagini dal vero. In ‘Linda e il pollo’, ritenendo che la recitazione nella maggioranza dei film d’animazione sia scadente, perché comanda il disegno, ho invertito l’ordine gerarchico: ho scelto gli attori come per un film dal vero, non solo per la voce, e ha fatto un set con il suono di presa diretta, realista, prima di iniziare a far lavorare gli animatori. Volevo un film della ‘nouvelle vague‘ in animazione: trasmettere la stessa leggerezza, immediatezza, liberta’”.

 

Fare ricerca e creare prototipi è ciò che interessa alla regista italiana, che vive e opera in Francia dal 2004. Ricordiamo “Armando e la politica”, prodotto da Arte per la sezione sperimentale ‘La Lucarne’, che è stato film d’apertura del Torino film festival e unico film italiano in concorso. Il documentario è stato girato con tecniche diverse: video, pellicola, animazione e super8: oggi si chiamerebbe documentario di creazione.

 

Con ‘Simple women’, con Jasmine Trinca ed Elina Lowensohn, che ha aperto la sezione Discovery del Festival di Toronto nel 2019, Chiara Malta seminava di nuovo disordine, “raccontando un mondo ordinato che poi deraglia, scivola nel sogno, nell’irrealta’”. “Mi piace raccontare personaggi scassati, con forte senso di autoderisione”.

 

“Antonia – spiega – è una storia tragicomica, con una protagonista (Chiara Martegiani ndr) in via di definizione, che si porta addosso il dolore in modo inedito. Chiara Martegiani, Elisa Casseri e Carlotta Corradi, le autrici della serie, hanno creato una donna viva, buffa, moderna. La presenza del pollo è non sense, apre una zona di libertà, una dimensione dell’assurdo che accoglie Antonia. La mia cinepresa accompagna l’instabilità della protagonista: tutto è in bilico, sempre sul punto di crollare o di risorgere. L’instabilità è la premessa del cambiamento. Io stessa ho cercato di rompere gli schemi. Abbiamo lavorato senza protocolli di ripresa, con punti di osservazione molto intimi, attenti ai particolari. Volevo guardare con gli occhi di Antonia. Ho scelto il raffinatissimo formato anamorfico, che è molto cinematografico e poco usato nella commedia. Bisognava dare spazio alla protagonista”. Le riprese sono state fatte a Roma, città natale della regista, ma la Capitale è raccontata come una metropoli qualunque, evitando l’effetto cartolina.

 

Intanto, in Francia, Malta continua a girare episodi della serie “Un si grand soleil”, dove fa “pratica di set, allenamento necessario” per un regista, insieme ad altri colleghi e alla troupe. E il futuro? “Sto preparando un adattamento cinematografico del primo romanzo di Alessandro Piperno ‘Con le peggiori intenzioni’, che girerò a Roma. E poi in primavera sarà coinvolta in una nuova serie tv francese”: un impegno su cui ancora bisogna mantenere il massimo riserbo.