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Spiaggia caraibica, pelle abbronzata, viso rilassato, c'è solo una cosa che può rovinare il selfie perfetto della prossima estate: un sorriso ingiallito. Un incubo per circa 120mila italiani che ogni anno spendono 30 milioni di euro in trattamenti odontoiatrici sbiancanti, cui va aggiunto un altro milione di euro speso in dentifrici, collutori e kit fai da te per ottenere denti bianchissimi. E' questo il trend che vede il suo picco proprio nel periodo maggio-giugno, alla vigilia delle partenze. 

Secondo i dati pubblicati dall'Italian Dental Journal, "oltre il 50% degli italiani è insoddisfatto del colore dei propri denti e così ogni anno in Italia, soprattutto a maggio-giugno 120.000 persone si sottopongono a trattamenti in studio o a casa". "Possiamo mettere in valigia qualsiasi capo ma non c'è nulla di meglio dell'indossare un bellissimo sorriso che aiuta a sentirsi a proprio agio e radiosi", commenta all'Agi Gianpaolo Cannizzo, il dentista 'dei vip' che ha visto sedere sulle sua poltrona Paris Hilton, Mara Venier, Federica Nargi, Belen Rodriguez, Claudia Galanti e molti altri 'sorrisi' noti. 

Tuttavia, non tutti i trattamenti sono uguali e i rischi di danneggiare i propri denti sono altissimi. Dal costo ai rischi di un trattamento sbrigativo, ecco cosa aspettarsi da uno sbiancamento dei denti, secondo Cannizzo.

Quali sono i rischi di un trattamento inadeguato?
"Sia una seduta in uno studio dentistico fatta male che i vari trattamenti sbiancanti che esistono in commercio possono dare problemi di sensibilità molto seri ai denti. Per ottenere la rimozione delle discromie, si utilizza il perossido che agisce sullo smalto e poi sul dente. Ma se il paziente affida la sua bocca a mani non sapienti andrà incontro a problemi di estrema sensibilità, che comporteranno fastidio e dolore quando ingerirà cibi acidi o freddi, o anche semplicemente con il passaggio dell'aria fredda. E talvolta l'unica soluzione è devitalizzare il dente". 

E per quanto riguarda la colorazione?
"I trattamenti sbrigativi equivalgono a buttare soldi. Si esce soddisfatti dallo studio  dentistico, ma dopo una settimana, dieci giorni, i denti tornano al colore di partenza".

Come ottenere risultati duraturi senza rischi?
"Io applico un protocollo  tramite cui si ottengono risultati efficaci senza danneggiare i denti. Il trattamento si divide in due sedute, durante le quali – dopo una profonda pulizia per eliminare tartaro e placca – viene applicato un gel sui denti che viene fotoattivato attraverso una luce ad ultravioletti. Prima di procedere però, vanno isolate le gengive per evitare possibili irritazioni. Quanto alla durata della seduta, dipende dalla situazione e dal croma del paziente".

Bastano due sedute per 'tornare a sorridere'?
"Non proprio: per conservare il risultato e riportare il dente in condizioni sane, alla fine della seconda seduta consegnamo al paziente un kit contenente un dentifricio contro la sensibilità e un gel per rimineralizzare lo smalto che dovrà utilizzare a casa. Allo stesso modo, una volta ogni 15 giorni, dovrà applicare delle mascherine che realizziamo in base alla morfologia dei suoi denti. Questa seconda fase è importante quanto la prima".  

Quanto dura il risultato?
"Circa un anno, se fatto molto bene. E se il paziente si impegna a evitare fumo, caffè, tè e liquirizia nei giorni successivi alle sedute". 
 
Il costo?
"Il trattamento che effettuiamo nei nostri studi si aggira attorno ai 600 euro e comprende pulizia iniziale, le due sedute e il kit. In generale, bisogna diffidare di chi promette sbiancamenti in un'unica seduta e a prezzi bassi. Va tutto a discapito dei denti". 
 
Cosa rende i denti gialli? 
"Sicuramente in un sorriso ingiallito molto dipende dalla predisposizione del paziente: alcuni hanno una colorazione più gialla e altri più bianca. La stessa assunzione di antibiotici durante l'infanzia può accentuare le discromie giallo-brune. Poi, ci sono altri fattori secondari che colorano i denti, come il fumo di sigarette, il caffè e la scarsa igiene orale". 
 
Quante volte ci si può sottoporre al trattamento
"Al massimo una volta all'anno. Il sorriso bianco evoca la gioventù, la freschezza, illumina il volto, ma il rischio è che si cada in una sorta di dolce dipendenza. Ed è proprio questo – oltre al fatto che il dente deve essere completamente formato – uno dei motivi per cui il trattamento sbiancante si sconsiglia agli under 18: una volta provato è difficile rinunciare a un sorriso splendente". 

Dal prossimo settembre, per poter essere ammessi ad asili nido e scuole, tutti i bambini dovranno essere vaccinati, secondo il decreto legge approvato qualche settimana fa che reintroduce l'obbligatorietà della vaccinazione. La misura, che interessa tutti i bambini dai 0 ai 6 anni, punta a scongiurare il ritorno di malattie che sembravano ormai scomparse, a causa di una tendenza che vede sempre più genitori rinunciare alla copertura per timore di controindicazioni. Chi non si adeguerà andrà incontro a pesanti sanzioni e all'esclusione dei bambini dalla scuola. Ma quante e quali sono le nuove vaccinazioni? Quali i rischi? Ecco la guida completa per i genitori.

I 12 vaccini obbligatori

Quattro vaccinazioni erano già obbligatorie:

  • antidifterica,
  • antitetanica,
  • antipoliomelitica,  
  • antiepatite virale B

Le altre otto aggiunte con il decreto:

  • anti-pertosse
  • anti- meningococco B
  • anti-meningococco C 
  • anti-morbillo
  • anti-rosolia
  • anti-parotite
  • anti-varicella
  • Haemophilus influenzae.

Il calendario delle vaccinazioni

  • 3 mese – Il primo appuntamento con il vaccino arriva a 61 giorni dalla nascita del bimbo con l'esavalente (poliomelite, tetano, difterite, epatite B, pertosse ed haemophilus influenzae di tipo B) + pneumococco coniugato. Nello stesso periodo viene somministrata anche la prima dose di meningococco B e quella contro il rotavirus.
  • 4 mese – E' necessario effettuare il cosiddetto 'richiamo' del vaccino contro meningococco B e Rotavirus.
  • 5 mese – E' il momento di somministrare la seconda dose dell'esavalente e dell'anti-pneumococco coniugato
  • 6 mese – Terzo richiamo del meningococco B
  • 11 mese – Terza dose dell'esavalente 
  • 13 – 15 mese- E'  la volta del quadrivalente contro morbillo-parotite-rosolia-varicella. Nello stesso periodo ricade anche la somministrazione anti-meningococco C
  • 6 anno – Seconda dose del tetravalente e quarta dell'esavalente.

Sintomi e complicanze, ecco le 12 malattie contro cui proteggersi

  • Poliomielite: è una grave malattia infettiva a carico del sistema nervoso centrale che colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale. Nella maggior parte dei casi viene contratta da bambini al di sotto dei cinque anni. In generale, la polio ha effetti devastanti sui muscoli delle gambe e, in minoor misura, su quelli della braccia. Le gambe perdono tono muscolare e diventano flaccide, una condizione nota come paralisi flaccida. In casi di infezione estesa a tutti gli arti, il malato può diventare tetraplegico. Si tratta, comunque, di una possibilità abbastanza rara: solo l’1% dei malati di polio sviluppano la paralisi, il 5-10% sviluppa una forma di meningite asettica, il restante 90% circa sperimenta solo sintomi simili a una influenza e ad altre infezioni virali. 
  • Tetano: è una malattia infettiva acuta non contagiosa causata dal batterio Clostridium tetani. Il batterio è normalmente presente nell’intestino degli animali (bovini, equini, ovini) e nell’intestino umano e viene eliminato con le feci. Le spore però possono penetrare nell’organismo umano attraverso ferite e se la tossina raggiunge attraverso il sangue e il sistema linfatico il sistema nervoso centrale, interferisce con il rilascio di neurotrasmettitori che regolano la muscolatura, causando contrazioni e spasmi diffusi.
  • Difterite: è una malattia infettiva acuta provocata da un batterio che, una volta entrato nel nostro organismo rilascia una tossina che può danneggiare o distruggere, organi e tessuti.  La malattia ha un decorso benigno, ma in alcuni casi possono insorgere complicanze gravi a livello cardiaco: aritmie, con rischio di arresto cardiaco, miocardite, insufficienza cardiaca progressiva
  • Haemophilus influenzae di tipo b: era fino alla fine degli anni Novanta la causa più comune di meningite nei bambini fino a 5 anni. Con l’introduzione della vaccinazione con l’uso del vaccino esavalente, i casi di meningite causati da questo batterio si sono ridotti moltissimo. Di solito il decorso è quello di una malattia influenzale, ma in alcuni casi può evolvere in forme gravi, tanto da portare alla morte nel 2%-5%. E nel 15-30% dei casi può lasciare problemi neurologici.
  • Epatite B: L’infezione da Hbv è, nella maggior parte dei casi, asintomatica. Al contrario l’evoluzione dell’infezione in malattia presenta esordio insidioso con disturbi addominali, nausea, vomito e a volte con ittero accompagnato da febbre di live entità. Tuttavia, solo il 30-50% delle infezioni acute negli adulti e il 10% nei bambini, porta ad ittero. Il tasso di letalità è pari a circa l’1%, ma la percentuale aumenta nelle persone di età superiore ai 40 anni.
  • Pertosse: È una malattia infettiva di origine batterica molto contagiosa, causata dal batterio Bordetella pertussis. Colpisce prevalentemente bambini sotto i 5 anni. Nei bambini piccoli, le complicazioni più gravi sono costituite da sovrainfezioni batteriche, che possono portare a otiti, polmonite, bronchiti o addirittura affezioni neurologiche (crisi convulsive, encefaliti). I colpi di tosse possono anche provocare delle emorragie sottocongiuntivali e nel naso. Nel neonato e nei bambini al di sotto di 1 anno, la pertosse può essere molto grave, addirittura mortale.
  • Morbillo: E' una malattia infettiva causata da un virus del genere morbillivirus (famiglia dei Paramixovidae). È altamente contagiosa e  colpisce spesso i bambini tra 1 e 3 anni. I malati vengono isolati nel periodo di contagio. E' responsabile di un numero compreso tra le 30 e le 100 morti ogni 100.000 persone colpite. Le complicazioni sono dovute principalmente a otite, laringite, diarrea, polmonite o encefaliti.
  • Parotite: E' una malattia infettiva causata da un virus appartenente al gruppo dei Paramyxovirus, il cui segno più evidente è la tumefazione delle ghiandole salivari. Proprio l’ingrossamento di queste ghiandole, conferisce al viso il caratteristico aspetto da cui il nome popolare di “orecchioni”. E' una delle più comuni malattie infantili. Un terzo dei bambini infettati non manifesta i sintomi. L’infezione può però colpire persone di qualunque età, e tra gli adulti si osservano con maggiore frequenza complicazioni, anche gravi, soprattutto per gli uomini che rischiano di sviluppare l'orchite: malattia infiammatoria dei testicoli. 
  • Rosolia: E' causata da un virus del genere rubivirus, della famiglia dei Togaviridae. E tra le più comuni malattie dell’età infantile e si trasmette solo nell’uomo. Esternamente, si manifesta con un’eruzione cutanea simile a quelle del morbillo o della scarlattina. Di solito benigna per i bambini, diventa pericolosa durante la gravidanza perché può portare gravi conseguenze al feto. Una volta contratta, la rosolia dà un’immunizzazione teoricamente definitiva.
  • Meningite C: E' causata dal meningococco c, un batterio che vive nelle vie respiratorie. I sintomi iniziali sono quelli tipici influenzali, più mal di testa. Successivamente compaiono anche la rigidità muscolare, le convulsioni e le macchie sul corpo. Nel 10-20% dei casi ha un decorso fulminante.
  • Meningite B: Rappresenta il 70% dei casi di meningite e colpisce tra i 700 e i 1.100 bambini ogni anno in Italia. E' causata dal batterio del meningococco B, e può portare alla morte entro 24 ore.
  • Varicella: Provocata dal virus Varicella zoster, in genere guarisce in 10 giorni ma se contratta da adulti può avere un decorso più aggressivo nell'adulto. La complicanza più comune è la polmonite. Una volta contratto, iI virus rimane latente e nel 10-20% dei casi si risveglia a distanza di decenni, sotto forma di herpes zoster o "fuoco di Sant'Antonio".

Cosa sono i vaccini e come funzionano?

I vaccini – si legge sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità – "sono preparati biologici costituiti da microrganismi uccisi o attenuati, oppure da alcuni loro antigeni, o da sostanze prodotte dai microorganismi e rese sicure. Oppure, ancora, da proteine ottenute con tecniche di ingegneria genetica". Generalmente i vaccini "contengono anche acqua sterile (o una soluzione fisiologica a base salina) e alcuni possono contenere, in piccole quantità, anche un adiuvante per migliorare la risposta del sistema immunitario, un conservante (o un antibiotico) per prevenire la contaminazione del vaccino da parte di batteri, qualche stabilizzante per mantenere inalterate le proprietà del vaccino durante lo stoccaggio". Una volta somministrati, i vaccini "simulano il primo contatto con l’agente infettivo evocando una risposta immunologica (immunità umorale e cellulare) simile a quella causata dall’infezione naturale, senza però causare la malattia e le sue complicanze. Il principio alla base di questo meccanismo è la memoria immunologica: la capacità del sistema immunitario di ricordare quali microrganismi estranei hanno attaccato il nostro organismo in passato e di rispondere velocemente".

Le controindicazioni

Ma quanti sono i casi di reazioni gravi ai vaccini? "Rarissimi, uno su 1 milione", si legge sul "Corriere della Sera".  "E' molto più facile essere eletti in Parlamento che avere un danno da vaccino. Gli ultimi episodi risalgono a decenni fa quando veniva somministrato l’antipolio Sabin, contenente virus vivo attenuato. Proprio per questo le prime dosi sono state sostituite dal Salk, costituito da virus ucciso. Lo Stato ha rimborsato i cittadini danneggiati quando è stato possibile dimostrare il legame causa-effetto".

Una ricerca italiana svela la "complessità" dei linfomi e raccomanda l'uso di "terapie combinate": un team di ricercatori dell'Ifom di Milano ha individuato alcuni meccanismi attraverso i quali la proteina Bcr controlla la crescita di forme aggressive di linfoma non-Hodgkin. I risultati indicano l'opportunità di monitorare con un semplice test di laboratorio l'espressione di Bcr nelle cellule tumorali a partire dalla diagnosi. I nuovi dati indicano anche come migliorare le attuali terapie per la cura di diverse forme di linfomi e leucemie, proponendo approcci terapeutici basati su combinazioni di farmaci.

a, The conditional λ-MYC;B1-8f mouse B-lymphoma model. b, Immunophenotypic characterization of B220+-gated tumour B cells from a representative λ-MYC;B1-8f tumour-bearing animal (thick black line). Comparison with splenic B220+-gated B…

I linfomi: tumori del sangue

La ricerca, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Nature, è stata possibile grazie al sostegno della Fondazione Armenise-Harvard e di Airc. I linfomi sono tumori del sangue che colpiscono comunemente uno dei principali attori del sistema immunitario: i linfociti B. Reclutati per difendere l'organismo dall'attacco di agenti quali virus e batteri, i linfociti B riconoscono gli intrusi catturandoli grazie a recettori esposti sulla loro superficie, detti immunoglobuline (o Bcr, da B cell receptor). L'intercettazione di patogeni da parte del Bcr stimola i linfociti a proliferare e quindi a rilasciare forme solubili delle stesse immunoglobuline che facilitano la rapida neutralizzazione dell'agente infettivo.

BCR-independent lymphomas potentiate GSK3β phosphorylation and MYC-controlled gene expression.

I linfociti B, mentre proliferano in risposta a un virus o batterio, acquisiscono mutazioni "benigne" a carico dei geni del Bcr, necessarie a migliorare l'efficienza nel legare e neutralizzare il patogeno. Questo processo, non scevro da errori, può, a bassa frequenza, causare mutazioni in geni diversi dal Bcr, che occasionalmente provocano l'insorgenza di linfomi o leucemie. In queste forme tumorali, il Bcr rimane espresso sulla superficie dei linfociti B neoplastici, favorendone la crescita. Ciò ha reso il Bcr un bersaglio elettivo della terapia di diverse forme di linfoma non-Hodgkin, nonché della leucemia linfatica cronica, la forma più comune di leucemia dell'adulto.

I risultati della ricerca italiana

I risultati dello studio – di cui è autore, assieme al suo gruppo di studio, Stefano Casola, direttore del programma "Immunologia molecolare e biologia dei linfomi" dell'Ifom di Milano, e rientrato in Italia grazie al supporto della Fondazione Armenise-Harvard – mettono in guardia dai potenziali rischi di terapie anti-Bcr, svelando, allo stesso tempo, strategie per rendere tali terapie più efficaci. Studiando in topi di laboratorio il linfoma di Burkitt, una forma aggressiva di linfoma non-Hodgkin, i ricercatori hanno notato che cellule tumorali private del Bcr continuavano sorprendentemente a crescere. Viceversa, le stesse soccombevano rapidamente quando conservavano il Bcr. I risultati hanno portato a ipotizzare che il Bcr avvantaggi le cellule di linfoma che lo esprimono e allo stesso tempo freni la crescita di quelle che lo perdono. Grazie alla consolidata e proficua collaborazione con il professor Fabio Facchetti dell'Università di Brescia, e il professor Maurilio Ponzoni dell'Università Vita Salute San Raffaele di Milano, si è rapidamente passati dallo studio in topi di laboratorio all'analisi di campioni umani di linfoma di Burkitt.

Il 'tallone di Achille' delle cellule di linfoma

Stefano Casola offre spunti di riflessione per nuove prospettive terapeutiche agli oncologi: "mentre i farmaci anti-Bcr inibiscono la maggioranza della popolazione tumorale di linfomi e leucemie che esprimono il Bcr, essi rischiano paradossalmente di favorire la crescita di rare cellule tumorali prive del Bcr, che a loro volta possono rendersi responsabili di una possibile ripresa della malattia". Lo studio pubblicato su Nature fornisce indicazioni su come sia possibile evitare questo scenario. "Grazie a studi in topi di laboratorio – chiarisce Casola – abbiamo identificato un tallone di Achille, per così dire, delle cellule di linfoma prive del Bcr. Abbiamo scoperto che queste cellule sono particolarmente sensibili a stress nutrizionali, e questo le rende bersagli preferenziali di farmaci quali la rapamicina".

Scenari futuri per terapie personalizzate

I risultati dello studio, se confermati in studi clinici prospettici, potrebbero portare alla revisione delle attuali procedure diagnostiche e terapeutiche di pazienti affetti da linfomi e leucemie a cellule B. Infatti, combinando un semplice test di laboratorio ad analisi istologiche su materiale ottenuto da biopsia o da un esame del sangue, si potrebbe monitorare lo stato del Bcr nella popolazione delle cellule tumorali. "Queste informazioni – conclude Casola – potrebbero aiutare l'oncologo a progettare terapie personalizzate in cui a inibitori farmacologici del Bcr possano eventualmente essere abbinati farmaci quali la rapamicina per combattere la complessità e l'eterogeneità del tumore". 

In Italia i decessi riconducibili al fumo sono tra i 70.000 e gli 83.000 all'anno, un'emergenza permanente che minaccia sempre più le donne e i giovanissimi. Questi i dati diffusi dall'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc) in occasione della Giornata Mondiale senza Tabacco. La sigaretta, ricorda l'Airc, è l'unico fattore di rischio per l'85%-90% dei casi di tumore al polmone e, secondo il rapporto dell'Oms  'The economics of tobacco and tobacco control', causa ogni anno 6 milioni di morti in tutto il mondo. 

  • Nel nostro Paese ci sono 10,3 milioni di fumatori (6,2 mln uomini e 4,1 mln donne).
  • Nel solo 2016 ci sono state circa 41.000 nuove diagnosi di tumore al polmone, il 30% delle quali tra le donne che registrano una preoccupante crescita rispetto agli anni precedenti con un +2,6%.
  • Il tumore al polmone è la prima causa di morte per cancro in Italia con oltre 33.000 decessi nell’arco di dodici mesi.

Cresce il vizio tra gli studenti delle superiori

Particolarmente allarmante è l’aumento dei fumatori tra i giovani e i giovanissimi. Secondo gli ultimi dati Istat, nel nostro Paese tra gli uomini fumano di più i giovani adulti tra i 25 e i 34 anni, con una percentuale del 26,4%; tra le donne, invece, consumano più tabacco le giovani tra i 20 e i 24 anni, con una percentuale del 20,5%. Ma la sigaretta è un fenomeno molto diffuso anche tra gli studenti delle scuole superiori: il 23,4% degli studenti intervistati fuma (erano il 20,7% nel 2010) e il 7,6% lo fa ogni giorno.

A contraso del fenomeno, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro ha deliberato per il 2017 quasi 4 milioni di euro per sostenere 35 progetti e un programma di ricerca multicentrico sul cancro al polmone. I ricercatori AIRC si stanno muovendo in tre ambiti principali: studio di nuovi strumenti di diagnosi precoce, individuazione delle caratteristiche molecolari dei vari tipi di tumori e sperimentazione di terapie mirate.

Sette farmacie galeniche italiane si sono viste recapitare una multa da 8.600 euro perché accusate di fare pubblicità ingannevole alla cannabis terapeutica. In che modo? Con la loro presenza su siti internet che forniscono un elenco dei punti vendita in cui acquistare, dietro prescrizione medica, prodotti a base di marijuana a scopo medico. Primi fra tutti Cercogalenico.it e Let's Weed, piattaforma online, nata nel 2015, che attraverso il sistema di geolocalizzazione indica ai malati il medico o la farmacia più vicina a casa per acquistare questo tipo di farmaci.

Ma per il ministero della Salute, ciò equivale a violare i dettami dell’art. 84 del DPR 309/90 (la legge che regola gli stupefacenti in ogni aspetto legale e illegale) che recita: “La propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle previste dall’articolo 14, anche se effettuata in modo indiretto, è vietata”. Da qui la segnalazione ai Nas il 16 gennaio scorso. Poi, a febbraio sono arrivati i controlli (e le multe). Le farmacie non ci stanno e hanno già annunciato che faranno ricorso.

Le farmacie multate

Farmacia Ternelli, di Bibbiano, Reggio Emilia; Farmacia San Carlo a Sant'Agostino, Ferrara; Farmacia San Giuseppe di Grosseto; Farmacia Nenna, a Orsona, in provincia di Chieti; Farmacia dell'Amarissimo, Riccione; Farmacia Santini, Cesena; Farmacia Druso, Merano.

Com'è iniziata la vicenda

A far scattare l'allarme al Ministero è stato il grande quantitativo di marijuana richiesto da alcune farmacie allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, che ha avviato alla fine del 2016 la produzione della "Cannabis di Stato". Da allora oltre 40 chili di marijuana sono stati spediti nelle farmacie italiane.

I farmacisti: "Non pagheremo. E' una presa di posizione"

"Tutto è nato da una presa di posizione da parte dell'Ufficio Stupefacenti del Ministero che ritiene che nel momento in cui un sito indica a un paziente la farmacia più vicina che prepara prodotti a base di cannabis a scopo terapeutico, sta facendo pubblicità", spiega all'Agi il dottor Maurizio Ternelli, della farmacia di Bibbiano. In realtà, continua, "si tratta di siti nati qualche anno fa perché quello della preparazione galenica è un settore di nicchia. E ancora di più quello della cannabis terapeutica, trattata solo in 500 farmacie su 3000 galeniche. Il loro scopo è, dunque, quello di di facilitare i contatti, offrendo un servizio non pubblicità". Per Ternelli, "è come dare informazioni al banco ma con mezzi moderni". L'ingiustizia, poi, secondo il farmacista, è ancora maggiore se si considera che "da anni esistono servizi analoghi per farmaci industriali – compresi quelli a base di morfina – senza che il Ministero abbia mai detto nulla".

La reazione dei farmacisti multati è stata la stessa per tutti : "Non pagheremo. Faremo tutti causa per l'assurdità della vicenda", ha aggiunto Ternelli, secondo cui è necessario rivedere le normative. "La legge che regola tutti gli stupefacenti è del '90, ma la sua impalcatura risale addirittura al '68. Quando fu scritta non solo non esisteva internet, ma il suo scopo era quello di sanzionare l'utilizzo voluttuario degli stupefacenti. Tanto che prevede che i soldi delle multe devono andare alle organizzazioni che lottano contro la tossicodipendenza. Non solo. In tutta questa vicenda non si è affatto tenuto conto del DM 9 nov 2015 che ha consacrato l'uso medico della cannabis.

Federfarma: "D'accordo con la multa ma occorre fare chiarezza"

"La multa è giusta nel senso che è vietato alle farmacie pubblicizzare qualsiasi tipo di farmaco, e ancor più se questi sono a base di stupefacenti", spiega all'Agi Annarosa Racca, presidente di Federfarma. "Tuttavia bisogna far chiarezza sul ruolo di questi siti internet. Perché non è detto che la colpa sia dei farmacisti, è possibile che alcuni di loro non sapessero nemmeno di essere sui motori di ricerca". Certo è che "sull'online c'è troppa confusione. C'è bisogno di una nuova norma", aggiunge Racca spiegando che "Federfarma si sta organizzando per fare chiarezza sulla vicenda, in modo da tutelare anche le farmacie". E se lo scopo dei siti 'incriminati' è quello di offrire un servizio, allora "devono riportare i nominativi di tutte le farmacie, non solo di alcune"

"Non facciamo pubblicità, ma informazione"

Con l'obiezione di Racca è d'accordo anche Antonio Pierri, fondatore di Let's Weed, che spiega all'Agi: "Puntiamo a offrire un servizio di pubblica utilità più completo possibile, per questo coinvolgere il 100% delle farmacie è anche il nostro scopo". Tuttavia, continua "non siamo noi che inseriamo i nominativi, ma i farmacisti e i medici che lo fanno di loro spontanea iniziativa. Dopodiché effettuiamo tutti i controlli sull'iscrizione all'albo, l'identità e la professionalità di coloro che ci hanno contattato". Per accrescere la rete di professionisti, sostiene Pierri, "abbiamo bisogno del ministero della Salute. Lo sappiamo bene, e da tempo cerchiamo di metterci in contatto con un loro funzionario per collaborare".

Quanto alla pubblicità, "non ci riguarda. Let's Weed è una rete di persone qualificate (medici e farmacie) e malati, soprattutto di patologie neurodegenerative, che si scambiano informazioni su dove trovare legalmente preparazioni a base di cannabis, ma anche sui sintomi accusati dai pazienti, che potrebbero essere utili anche per la ricerca". E, al contrario di altri siti "il nostro è gratuito", conclude Pierri, sottolineando che Let's Weed non è direttamente coinvolta nella vicenda.

Non avrebbe avuto patologie circolatorie pregresse Davis Allen Cripe, il sedicenne statunitense morto lo scorso aprile a scuola per un’aritmia cardiaca, successiva all’assunzione di due bevande ad alto contenuto di caffeina. Una notizia che ha riportato al centro del dibattito i possibili pericoli per la salute derivanti dagli energy drink, il cui consumo ha registrato un costante aumento negli ultimi anni, in particolare tra i più giovani. La caffeina presente in queste bevande aiuta infatti ad affrontare una notte di bagordi senza perdere colpi, contrastando lo stordimento indotto dall’alcol. 

Nessun pericolo se il consumo è moderato

Il boom di vendite conosciuto dagli energy drink negli ultimi anni, con tassi di crescita a doppia cifra, aveva messo in allerta le autorità sanitarie di mezzo mondo, tanto che, inizialmente, alcuni Paesi europei (tra i quali la Norvegia e Danimarca) avevano inizialmente vietato la vendita della Red Bull, il best seller di questa categoria di prodotti.

La Francia, in particolare, era preoccupata dalla presenza di taurina, o acido 2-amminoetanosolfonico (una sostanza sintetizzata in natura dal fegato dei mammiferi che non ha però effetti energizzanti ma antiossidanti). I contenuti di caffeina di una lattina standard di energy drink è infatti di poco inferiore ai 100 grammi, ossia equivalente a quello di una tazza di caffè.

Sia l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) che l’americana Food and Drug Administration (Fsa) finirono quindi per concludere che il consumo moderato di energy drink non può mettere a repentaglio la salute di una persona sana. Si tratta però di un tema ancora controverso.

La World Healt Organization delle Nazioni Unite nel 2014 aveva chiesto limiti alla vendita ai minorenni, come avviene per il tabacco e gli alcolici. Un’altra agenzia del governo degli Stati Uniti, la Substance Abuse and Mental Health Services Administration (Samhsa) in un rapporto dello scorso marzo aveva affermato che dal 2007 al 2014 il numero delle persone ricoverate in ospedale per abuso di energy drink è raddoppiato.

E negli anni precedenti numerosi studi scientifici avevano messo in guardia contro l’eccessivo consumo di bevande energizzanti. Un esempio è l’articolo del 2013 del Journal of Amino Acids che, sulla base di ecografie doppler, legava l’abuso di energy drink a disfunzioni cardiache.

L'incognita è l'interazione tra gli ingredienti

Altri studi puntano invece l’indice sull’interazione tra la caffeina e altri ingredienti di questi prodotti, dalla taurina al guaranà, ammettendo che si tratta di una materia sulla quale non esistono ancora dati sufficienti a trarre conclusioni rigorose.

Nel frattempo i media continuano ad attribuire alcuni decessi, in particolare di giovani, al consumo di energy drink, a volte con eccesso di sensazionalismo. Molti dei ragazzi che, a leggere certi titoli, sono “morti dopo una Red Bull”, soffrivano di patologie cardiache congenite o erano in uno stato di disidratazione dopo aver consumato grandi quantità di alcol. In altri casi, però, attribuire con sicurezza i decessi ad altre cause diventa più difficile.

Si pensi al ventottenne australiano il cui cuore si arrestò nel 2007 dopo aver ingurgitato otto lattine di energy drink. “Le arterie del suo cuore erano completamente serrate”, spiega alla Cnn John Higgins, cardiologo della University of Texas Health Science Center in Houston, “quando sono riusciti ad aprirle, tutti i test hanno rivelato che non c’era nulla di sbagliato in quella persona tranne gli elevati livelli di caffeina e taurina”.

 

Ancora una volta internet finisce sotto accusa. Anzi finisce sotto accusa il rapporto tra internet e gli adolescenti. A scatenare l’attacco stavolta è il caso 'Blue Whale' il gioco che avrebbe spinto al suicidio diverse decine di ragazzi in Russia. Si tratta di un gioco nel quale i ragazzi, attraverso un social network vengono prima ingaggiati e poi coinvolti a partecipare attraverso un percorso che prevede mutilazioni, costrizioni, in un crescendo di sottomissione che, alla fine, arriva al suicidio. “Ci sono le persone e gli scarti biologici. Io selezionavo gli scarti biologici, quelli più facilmente manipolabili, che avrebbero fatto solo danni a loro stessi e alla società. Li ho spinti al suicidio per purificare la nostra società – ha spiegato , 22enne russo Philipp Budeikin, il reo confesso studente di psicologia e ideatore del gioco – Ho fatto morire quelle adolescenti, ma erano felici di farlo. Per la prima volta avevo dato loro tutto quello che non avevano avuto nelle loro vite: calore, comprensione, importanza’’.

Sono parole forti. Un vero e proprio pugno nello stomaco. Eppure, ogni giorno sui social, decine di adolescenti vanno alla ricerca proprio di questi giochi, di queste sfide. In rete sono presenti numerosi spazi in cui vengono indotti gli adolescenti al suicidio, in cui la vita ha un senso e significato che non dovrebbe avere, troppo labile, che diventa quasi un gioco perverso o una condizione “normale”. Ci sono anche tantissimi spazi dedicati all’autolesionismo, dove si creano delle vere e proprie comunità di rinforzo, dove si sollecitano i ragazzi a farsi del male come soluzione ai problemi, ci sono spazi in cui si spiega come tagliarsi le vene senza uccidersi e altri invece sul come fare per ammazzarsi. Ho lanciato l’allarme nel libro L’autolesionismo nell’era digitale edito da Alpes perché vedo ciò che fanno realmente i ragazzi in rete e quanto solo vulnerabili in questa fascia di età.

Tanti vanno alla ricerca delle parti più nere del web perché vogliono capire le loro parti più profonde, più oscure, vogliono dare un senso alle cose, risposte e tante, anzi troppe, volte trovano dall’altra parte chi è in grado di cogliere questi segnali di vulnerabilità e chi riesce a dargli quello di cui hanno bisogno in quel momento per adescarli, per portarli a sé e poi fargli un lavaggio del cervello. In rete ci sono veramente una miriade di esche lasciate da questa gente malata e distorta che si approfitta delle fragilità adolescenziali. Ci sono sette sataniche, adescatori sessuali, manipolatori mentali, troppi spazi virtuali di perversione e di rischio per i ragazzi che non sono in grado di gestire queste situazioni più grandi di loro perché non hanno ancora gli strumenti adatti.

Occorre saper cogliere i campanelli di allarme e saper riconoscere la navigazione dei nostri ragazzi. Per esempio un segnale da seguire sono gli # hashtag che vengono usati. E’ infatti attraverso questi strumenti che vengono rivelate le community all’interno delle quali vogliono riferirsi. Sembra un meccanismo complesso ma veramente non lo è. E’ l’adolescente che in qualche modo si rende adescabile e loro sfruttano le vulnerabilità e coltivano purtroppo in un terreno mentale troppo fertile.

In Italia, ad agosto, è stata approvata la legge la 167/2016, che introduce lo screening neonatale metabolico allargato, obbligatorio e gratuito, per tutti i neonati. A 9 mesi di distanza però nulla è cambiato. Mentre i centri si accapigliano per decidere chi farà cosa (e chi avrà i fondi) i bambini nascono, si ammalano, subiscono danni irreversibili e muoiono. Proviamo a capire che cos’è questo screening e a dare qualche dato.     

Come si fa lo screening? Si preleva una goccia di sangue del neonato nelle prime 48 – 72 ore di vita, si invia ad un laboratorio attrezzato (ne abbiamo circa una 30ina in Italia, molti più del necessario) e questo ha circa 48 ore di tempo per esaminare il campione. Se riscontra valori anomali avvisa l’ospedale che richiamerà la famiglia e si porranno in essere tutte le misure necessarie per evitare che l’anomalia genetica possa produrre danni irreversibili o provocare la morte. A volte è sufficiente una modifica alla dieta del neonato, altre volte entrano in gioco dei farmaci: lo scopo è evitare che le sostanze di scarto non metabolizzate vadano ad avvelenare il sangue o altri organi, cervello incluso. Ad oggi questo procedimento viene fatto con copertura quasi totale solo per tre patologie, che sono state rese obbligatorie molti anni fa: la fenilchetonuria, l’ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica. Da queste patologie, che sono più frequenti di altre, risultano affetti ogni anno circa 800 neonati.     

La nuova legge prevede che la ricerca dovrà essere estesa ad altre malattie, circa 40: le malattie metaboliche rare per le quali abbiamo una terapia efficace. Alcune regioni, già da alcuni anni, offrono il test: hanno proceduto in autonomia a dare questa opportunità di salute. Nel 2015 il 50.3% dei neonati italiani ha avuto accesso al test di screening allargato: tra questi bimbi ne sono stati individuati circa 80 affetti da una di queste malattie. La statistica ci suggerisce che circa altrettanti, nati entro quel 49.7% che non ha avuto il test, non abbiano avuto una diagnosi e la conseguente terapia. Alcuni hanno subito lunghi ricoveri e gravi danni, altri sono morti. Uno di questi bimbi è morto nel Lazio, dove la Regione è spaccata in due, con metà dei punti nascita che aderiscono allo screening e metà no: il bimbo era nato nella metà sbagliata. Però la preoccupazione principale in questo periodo non è stata quella di organizzarsi per offrire il test, ma di portare avanti battibecchi animati da ragioni economiche e da equilibri politici. Nel frattempo i bambini nascono, si ammalano e muoiono.

L'obbligo delle vaccinazioni per i bambini che si iscrivono al nido o alla scuola materna, previsto nel decreto annunciato oggi dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, è già legge in Toscana e in Emilia Romagna. Un provvedimento analogo è stato approvato anche dal comune di Trieste e, in generale, dal Friuli Venezia Giulia. Presto si unirà anche la Lombardia: entro giugno saranno approvate le nuove regole per gli asili nido, che prevederanno anche l'obbligo per le strutture di richiedere i certificati vaccinali dei bimbi.

In Piemonte si inizia proprio oggi la discussione della legge per l'obbligo vaccinale all'asilo, con i consiglieri regionali che vengono sommersi da mail di genitori "no-vax" che chiedono di bloccare la norma. E poi ci sono Lazio (l'iter della legge è partito già a gennaio) e Puglia che stanno pensando di seguire l'esempio.

Perché discutere dell'efficacia dei vaccini non ha più alcun senso

Stanno diventando sempre più numerose le regioni che stanno decidendo di affrontare la questione del calo della copertura vaccinale, mentre è al vaglio l'ipotesi di una legge nazionale. L'obbligo di vaccinazione per l'iscrizione a scuola non è del tutto una novità per il nostro paese. Era stato già stabilito nel lontano 1967, per essere in vigore oltre 30 anni e infine decadere nel 1999. E così oggi, nella maggior parte delle regioni italiane, si può frequentare la scuola anche senza le vaccinazioni obbligatorie, cioè quelle antidifterica, antitetanica, antipoliomelitica e antiepatite virale B. Almeno sarà così se e fino quando tutte le regioni seguiranno l'esempio di quelle che hanno reso le vaccinazioni obbligatorie per essere ammessi a scuola o se e fino a quando non verrà approvata una legge nazionale.

Oggi in Italia il 63% delle donne e il 54% degli uomini colpiti dal cancro sconfiggono la malattia. Il dato si riferisce alle persone che si sono ammalate nel 2005-2009, che presentano un miglioramento rispetto a coloro che hanno ricevuto la diagnosi nel quinquennio precedente (2000-2004, donne 60%, uomini 51%). Per i cinque tumori più frequenti (seno, colon-retto, polmone, prostata, vescica) questo passo in avanti si traduce in più di 6.270 persone vive.

Complessivamente al Nord si registrano dati migliori rispetto al Sud: le sopravvivenze più elevate sono in Emilia-Romagna e Toscana sia negli uomini (56%) che nelle donne (65% donne). In Emilia-Romagna si registra la sopravvivenza più elevata per colon-retto (69%) e mammella (89%); per la prostata in Friuli Venezia-Giulia (95%); per il polmone, nonostante la sopravvivenza sia rimasta molto bassa, i dati migliori si registrano in Emilia-Romagna e Lombardia (18%).

Perché le donne guariscono più spesso degli uomini

E' quanto emerge nel "Rapporto 2016 sulla sopravvivenza dei pazienti oncologici in Italia" dell'Associazione italiana registro tumori, presentato oggi al Ministero della Salute nella giornata di studio Survivorship Planning Day. "La migliore sopravvivenza nelle donne è in gran parte legata anche al fatto che fra le italiane il tumore più frequente è quello della mammella, con un programma di screening attivo da anni ed un continuo miglioramento delle cure – spiega il prof. Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM (associazione italiana di oncologia medica)-. La sopravvivenza è il dato principale in campo oncologico perchè permette di valutare l'efficacia del sistema sanitario nei confronti della patologia tumorale ed è condizionata da due aspetti:

  • la fase nella quale viene diagnosticata la malattia e
  • l'efficacia delle terapie.

Su questo parametro epidemiologico influiscono quindi sia gli interventi di prevenzione secondaria che la disponibilità e l'accesso alle terapie più efficaci".

"Fare il punto della situazione italiana, alla luce dell'impostazione della 'European Guide on Quality Improvement in Comprehensive Cancer Control' e identificare contributi specifici per un aggiornamento della pianificazione sono gli obiettivi della giornata di studio e di lavoro organizzata oggi dal Ministero della Salute – sottolinea il dott. Antonio Federici, dirigente medico del Ministero della Salute. I dati del rapporto si riferiscono ai registri tumori di 13 Regioni.

Nei maschi miglioramenti significativi sono stati registrati in particolare nei:

  • tumori ossei (+10%),
  • colon-retto e fegato (+6%),
  • mieloma multiplo (+5%),
  • Linfoma non Hodgkin (+4%) e
  • prostata (+3%).

Nelle femmine miglioramenti significativi nel: 

  • Linfoma non Hodgkin (+6%),
  • colon-retto (+5%) e fegato, osso, pelvi e vie urinarie, tiroide e
  • mieloma multiplo (+4%).

"Complessivamente – afferma la prof.ssa Lucia Mangone, Presidente AIRTUM (associazione italiana registri tumori) – la sopravvivenza registrata in Italia è più elevata della media europea sia negli uomini (54% vs 49%) che nelle donne (63% vs 57%) con due sole eccezioni: la leucemia linfatica (sopravvivenza identica, pari al 39%) e i tumori della colecisti e vie biliari (17% in Europa e 16% in Italia)".

La sopravvivenza è un indicatore importante perchè rappresenta quella porzione di pazienti che ha beneficiato di un approccio diagnostico e terapeutico efficace e che quindi, in molti casi, può tornare ad essere attiva nella vita reale, facendo controlli periodici o che, in altri casi, possono dire di essere guariti". "Una novità in questa monografia – continua la prof.ssa Mangone – è la valutazione dell'aspettativa di vita, che a 40 anni è pari a 45 anni nei maschi e 50 anni nelle femmine, ma nelle persone con tumore è di circa 15 anni inferiore: tale gap si riduce con il passare degli anni. Negli uomini con tumore della prostata e nelle donne con cancro della mammella l'aspettativa di vita è molto simile a quella della popolazione generale".

Le 5 neoplasie a buona prognosi negli uomini sono quelle del

  • testicolo (91%),
  • prostata (91%),
  • tiroide (90%),
  • melanoma (85%) e s
  • arcoma Kaposi (85%).

Nelle donne quelle: 

  • alla tiroide (95%),
  • melanoma (89%),
  • seno (87%),
  • Linfoma di Hodgkin (87%) e
  • vescica (78%).

"La nuova sfida della sopravvivenza al cancro, per i pazienti e i clinici – conclude il prof. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO – è quella di andare oltre la qualità delle cure e garantire la qualità della vita. I pazienti guariti chiedono di tornare a una vita come prima, inclusi il ritorno al lavoro e agli affetti".