AGI – Bassi livelli di stress derivanti da esercizi, attività fisica o impegni mentali potrebbero migliorare le capacità cognitive e fisiche in età avanzata. A sostenere fermamente questa tesi Firdaus Dhabhar, uno psichiatra americano e docente presso la Rockefeller University di New York e l’Università di Miami. Durante un Ted Talk, l’esperto ha sostenuto che lo stress a livelli bassi può svolgere un ruolo chiave nel rafforzare il sistema immunitario, promuovendo la formazione di connessioni nel cervello che migliorano le prestazioni mentali.
“Da una prospettiva darwiniana – osserva Dhabhar – non ha senso pensare allo stress come a un fattore sempre e necessariamente negativo e dannoso. La risposta allo stress è essenziale per la sopravvivenza”. Il gruppo di ricerca ha dimostrato che l’agitazione può essere utile nel mondo moderno. La tensione associata a una gara imminente, ad esempio, aiuta a preparare i sistemi cardiovascolare e muscoloscheletrico degli atleti, permettendo loro di raggiungere prestazioni ottimali. Sia lo stress fisico che quello mentale, spiegano gli studiosi, possono stimolare la produzione di interleuchine, sostanze chimiche che attivano il sistema immunitario rendendolo più efficace nel contrastare le infezioni.
I bambini nati da madri che hanno sperimentato un lieve stress quotidiano durante la gravidanza, secondo gli autori, avevano capacità di sviluppo più avanzate all’età di due anni, rispetto ai figli di madri che avevano sperimentato una gestazione completamente rilassata. Gli scienziati aggiungono che l’inattività che spesso accompagna la terza età può aggravare i cambiamenti corporei che si verificano naturalmente. Quando i muscoli non vengono sollecitati, le fibre si atrofizzano e il corpo diventa progressivamente più debole.
“I muscoli che non vengono attivati – afferma Casper Sndenbroe, uno scienziato dell’Università di Copenaghen che studia il sistema neuromuscolare umano – si deteriorano rapidamente. Per questo è importante svolgere esercizio fisico anche in età avanzata. In gioventù, poi, il muscolo si rigenera molto più velocemente, per cui è necessario un tempo molto più lungo per atrofizzare le fibre muscolari”. Molti studi dimostrano che le persone che rimangono attive attraverso lo sport sono significativamente meno vulnerabili al declino muscolare. “L’esercizio fisico è un allenamento per il sistema nervoso centrale ma anche per la mente – aggiunge Sndenbroe – esiste un’interazione bidirezionale tra i muscoli e i nervi che si estendono fuori dal midollo spinale. Il declino cognitivo legato all’età non è quindi sempre inevitabile”.
“Studi precedenti – sottolinea Joyce Shaffer, psichiatra e scienziata comportamentale presso l’Università di Washington – hanno dimostrato che le persone che hanno iniziato a prendere lezioni di pianoforte a 80 anni hanno sperimentato un miglioramento della funzione cerebrale. Restare impegnati in un’attività di qualunque genere ha un impatto molto positivo sul mantenimento delle capacità cognitive“. Team di scienziati di tutto il mondo hanno in programma di cercare di sfruttare le proprietà benefiche dello stress moderato nel campo della medicina, ad esempio per migliorare la guarigione e il recupero dopo l’intervento chirurgico. “Lo stress moderato – conclude Andy Philp, che dirige il programma di biologia dell’invecchiamento presso il Centenary Institute di Sydney – può essere considerato come un impulso in cui vengono stimolati percorsi molecolari e tessuti nel corpo, prima di tornare alla normalità. Ci siamo evoluti per essere attivi e rispondere a stimoli diversi, per cui se non riusciamo ad esercitare questa possibilità, l’organismo puo’ accelerare i processi negativi. La comprensione dei benefici di vari tipi di stress sta diventando sempre piu’ importante nel contesto di un invecchiamento sano”.
AGI – Ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, hanno individuato la presenza di due micotossine, l’ocratossina e la sterigmatocistina (prodotte da muffe microscopiche del genere Penicillium e Aspergillus), rispettivamente nel 48,6% e 94,4% delle confezioni di formaggi grattugiati di tipo “grana” acquistati nei supermercati.
E’ quanto emerso da uno studio condotto dal professor Terenzio Bertuzzi e dai suoi collaboratori del Dipartimento di Scienze Animali, degli Alimenti e della Nutrizione dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, e pubblicato sulla rivista scientifica Toxins. Finanziato dai consorzi Grana Padano e Parmigiano Reggiano, il lavoro evidenzia la presenza, in piccole ma significative quantità, delle due micotossine, ocratossina e sterigmatocistina, quest’ultima considerata emergente e per la quale l’Unione Europea non ha ancora stabilito dei limiti massimi da osservare.
In sè i quantitativi delle due tossine rintracciati nei 107 campioni analizzati non sono pericolosi, informa l’università in una nota, ma il loro consumo può sommarsi a quello presente in altri alimenti, come cereali e derivati, caffè, legumi, cacao, frutta secca, vino, birra, salumi stagionati, uvetta. Bisogna quindi considerare l’assunzione complessiva, sottolineano i ricercatori. Nel complesso, il rischio per il consumatore è veramente minimo; i limiti di legge fissati dalla UE sono limiti precauzionali, basati sull’analisi del rischio, con l’obiettivo di minimizzare gli effetti sulla nostra salute.
I formaggi normalmente si prestano alla crescita di muffe microscopiche sulla loro superficie. Durante le lunghe stagionature dei formaggi a pasta dura (per il grana minimo 9 mesi), le spore delle muffe possono depositarsi sulla superficie delle forme, e in particolari condizioni ambientali dei magazzini (umidità, temperatura), alcune di queste muffe sono in grado, crescendo, di produrre dei metaboliti tossici chiamati micotossine (mykos = fungo).
L’ocratossina è tra le micotossine più note ed è ricercata nei formaggi; la presenza di sterigmatocistina rappresenta invece una novità. Il problema di queste due micotossine riguarda solo i grattugiati (circa un quarto – il 25% – di tutto il grana prodotto in Italia è trasformato e venduto come grattugiato), perchè in queste confezioni viene grattugiata anche la crosta (ad esempio, per il grana grattugiato la regolamentazione consente un utilizzo massimo del 18% di crosta). Esistono pratiche di prevenzione e vengono seguite; nei magazzini di stagionatura appartenenti ai principali consorzi di tutela, le forme subiscono periodicamente un processo di pulitura. Tutte le forme, prima della commercializzazione, vengono ripulite mediante lavaggio con acqua calda o con trattamenti a secco per abrasione e spazzolatura della crosta; con entrambi si ha una sanificazione e una riduzione dei livelli delle due tossine nel prodotto grattugiato.
“La riduzione della contaminazione sarebbe maggiore asportando più crosta, ma questo per molte forme potrebbe non essere necessario. Questa ricerca ha mostrato come, grazie alle attente e continue opere di pulitura e spazzolatura, i prodotti dei due Consorzi di tutela (Grana Padano e Parmigiano Reggiano) sono risultati sicuri per il consumatore”, conclude Bertuzzi, “ma è importante vigilare su tutto il comparto dei formaggi grattugiati”.
AGI – La buffa camminata dei Monty Pyton definita in stile ‘Teabag’ o ‘bustina di te”, se effettuata per qualche minuto al giorno, è utile per rimanere in forma. A dirlo, uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista The British Medical Journal. Un team di ricercatori statunitensi ha deciso di confrontare il dispendio energetico di questa camminata a bassa efficienza con una camminata ad alta efficienza.
I loro risultati si basano sui dati di 13 adulti sani (sei donne, sette uomini) di età compresa tra 22 e 71 anni (età media 34 anni) senza storia di malattie cardiache o polmonari e nessun disturbo dell’andatura noto. Sono stati misurati l’altezza e il peso corporeo. Nella prima prova, i partecipanti hanno camminato nel loro stile abituale a un ritmo scelto liberamente. Per le due prove successive, ai partecipanti è stato chiesto di ricreare, al meglio delle loro capacità, le passeggiate di Mr Teabag e Mr Putey che avevano visto nel video.
È stato dimostrato che gli stili di camminata di Mr Teabag e Mr Putey, interpretati da John Cleese e Michael Palin nello sketch Monty Python Ministry of Silly Walks del 1971, sono più variabili del solito camminare, ma il loro dispendio energetico non era mai stato misurato.
La distanza percorsa durante le camminate di cinque minuti è stata utilizzata per calcolare la velocità media. Sono stati misurati anche l’assorbimento di ossigeno (mL/kg/min), il dispendio energetico (kcal/kg/min) e l’intensità dell’esercizio (MET) – la quantità di calorie consumate per minuto di attività fisica. I ricercatori hanno scoperto che solo la camminata della ‘bustina di tè’ comportava un dispendio energetico significativamente maggiore, circa 2,5 volte quello della normale camminata.
Per uomini e donne, l’assorbimento di ossigeno durante la camminata normale era di 11,3 ml/kg/min (o 3,2 MET), che era simile a quello della camminata di Putey (12,3 ml/kg/min, o 3,5 MET). Tuttavia, la camminata della bustina di tè ha provocato un consumo di ossigeno di 27,9 ml/kg/min, o 8 MET, che si qualifica come esercizio di intensità vigorosa. In termini di dispendio energetico, lo scambio di un solo minuto di camminata abituale con un minuto di camminata con bustine di tè è stato associato a un aumento del dispendio energetico di 8 kcal/min per gli uomini e di 5 kcal/min per le donne.
I ricercatori stimano che gli adulti potrebbero raggiungere 75 minuti di attività fisica di intensità vigorosa a settimana camminando nello stile della ‘bustina di te”, piuttosto che nel loro stile abituale, per circa 11 minuti al giorno. E sostituire i normali passi di stile con passi di stile bustina di tè per circa 12-19 minuti al giorno aumenterebbe il dispendio energetico giornaliero di circa 100 kcal. Questa capacità di camminare in stile bustina di tè probabilmente aumenterebbe la forma cardiorespiratoria, ridurrebbe il rischio di mortalità e non richiederebbe alcun impegno di tempo extra perché sostituisce il movimento che gli adulti già fanno con un’attività fisica più energetica, aggiungono.
Questo è uno studio sperimentale basato su un piccolo campione e i ricercatori riconoscono che alcune persone, comprese quelle con disabilità, disturbi dell’andatura, malattie articolari o altre condizioni di salute potrebbero non essere in grado di eseguire le passeggiate Putey o Teabag. “Ma potrebbero essere in grado di aumentare altrimenti il dispendio energetico nei loro movimenti quotidiani, con l’inefficienza come obiettivo”, dicono. Notano anche che esplosioni di attività fisica di uno o due minuti, accumulate nel tempo, possono produrre benefici cardiovascolari, quindi le persone potrebbero impegnarsi in esplosioni regolari di camminata inefficiente, negli orari e nei luoghi più convenienti per loro, compresi gli ambienti chiusi.
AGI – Una nuova terapia di sei mesi per il trattamento orale della tubercolosi multiresistente ai farmaci (MDR-TB) promette di essere più sicura ed efficace rispetto agli altri regimi esistenti. Lo prova uno studio di Medici Senza Frontiere, uno dei maggiori fornitori non governativi di cure per la tubercolosi nel mondo, pubblicato oggi sul New England Journal of Medicine.
I risultati sono frutto del TB-Practecal, il primo studio clinico internazionale controllato e randomizzato che ha valutato la sicurezza e l’efficacia di una terapia di sei mesi per via orale, raccomandata nelle linee guida aggiornate sul trattamento per la tubercolosi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
“È una grande soddisfazione che i risultati dello studio siano stati pubblicati sul New England Journal of Medicine – ha dichiarato Bern-Thomas Nyang’wa, direttore medico di MSF e principal investigator dello studio – da anni non erano stati trovati nuovi trattamenti per la tubercolosi. Questo perche’ la malattia non colpisce direttamente i contesti in cui ci sono le risorse per combatterla. Con questo studio MSF ha cercato di colmare questo vuoto, ora e’ essenziale che il nuovo trattamento sia messo a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno”.
La sperimentazione, terminata nel marzo 2021, ha coinvolto 552 pazienti in sette siti diversi in Bielorussia, Sudafrica e Uzbekistan. Attualmente, cinque paesi supportati da MSF hanno iniziato ad implementare il regime breve di trattamento con quasi 400 pazienti che hanno iniziato il trattamento e altri otto paesi che lo implementeranno nel 2023. Lanciato nel 2017, il TB-Practecal ha testato tre combinazioni di nuovi trattamenti confrontandoli alla terapia standard accettata a livello locale, con risultati positivi. Un regime di sei mesi di bedaquilina, pretomanid, linezolid e moxifloxacina (BPaLM) si è dimostrato il più efficace e sicuro.
Lo studio ha anche esaminato un regime di bedaquilina, pretomanid e linezolid (BPaL) e un regime di bedaquilina, pretomanid, linezolid e clofazimina (BPaLC). “Abbiamo iniziato lo studio clinico TB-Practecal nove anni fa perche’ qualcosa andava fatto.
I pazienti ci dicevano che i regimi precedenti erano lunghi, inefficaci, estenuanti e che gli effetti collaterali erano peggiori della malattia stessa – spiega Nyang’wa – inoltre, l’efficacia era molto bassa: solo una persona su due è stata curata. Il nuovo regime BPaLM ha l’89 per cento di efficacia, è più sicuro, più breve, meglio tollerato e si devono assumere meno farmaci”.
Lo studio clinico di MSF di fase II/III ha rilevato che il nuovo regime breve di trattamento BPaLM è molto efficace contro la tubercolosi resistente alla rifampicina e più sicuro rispetto alla terapia standard. L’89 per cento dei pazienti del gruppo BPaLM sono guariti rispetto al 52 per cento del gruppo trattato con terapia standard, e nel gruppo BPaLM sono stati registrati meno effetti collaterali rispetto all’altro gruppo.
Il nuovo regime dà speranza alle 500mila persone che ogni anno si ammalano di tubercolosi multiresistente ai farmaci ma attualmente il prezzo globale più basso fornito al Global Drug Facility è di circa 600 dollari per un ciclo di trattamento di sei mesi di BPaLM, cifra ancora al di sopra del prezzo massimo di 500 dollari richiesto da Msf.
La bedaquilina, uno degli altri nuovi farmaci per la tubercolosi sviluppato da Johnson & Johnson con un significativo sostegno governativo e filantropico, ha il prezzo più basso pari a 270 dollari per un trattamento di sei mesi, nonostante i ricercatori abbiano stimato che il farmaco potrebbe essere prodotto e venduto a meno di 102 dollari per la cura di sei mesi. Di fatto, spiega Msf, è probabile che tutti e tre i regimi del TB-Practecal riducano i costi del trattamento rispetto all’attuale standard terapeutico.
“Il regime di trattamento BPaLM più breve, più sicuro e più efficace sperimentato in TB-Practecal potrebbe trasformare la vita delle persone affette da tubercolosi, ma solo se il costo dei farmaci sara’ accessibile”, dichiara Christophe Perrin, farmacista della campagna per l’accesso ai farmaci di Medici Senza Frontiere.
AGI – Nel 2022, in Italia, sono stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro (nel 2020 erano 376.600), 205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne. In due anni, l’incremento è stato di 14.100 casi. Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2022, è il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%) e vescica (29.200, +1,7% negli uomini e +1,0% nelle donne). Sono questi alcuni dei dati più significativi emersi dal censimento ufficiale 2022 raccolti nel volume ‘I numeri del cancro in Italia 2022’ presentato oggi a Roma.
La pandemia ha determinato nel 2020, come si legge nel rapporto, un calo delle nuove diagnosi, legato in parte all’interruzione degli screening oncologici e al rallentamento delle attività diagnostiche, ma oggi si assiste alla ripresa dei casi di cancro come in altri Paesi europei. Che rischia di peggiorare, se non si pone un argine agli stili di vita scorretti: il 33% degli adulti è in sovrappeso e il 10% obeso, il 24% fuma e i sedentari sono aumentati dal 23% nel 2008 al 31% nel 2021.
Dall’altro lato, va letta positivamente la ripresa dei programmi di screening, tornati nel 2021 ai livelli prepandemici, in particolare quello mammografico raggiunge la copertura del 46%, per il colon-retto del 30% e per la cervice uterina del 35%. Alla riattivazione dei programmi di prevenzione secondaria corrisponde un incremento del numero di interventi chirurgici per cancro del colon-retto e della mammella, anche in stadio iniziale. E nell’assistenza oncologica assume un ruolo di primo piano la vaccinazione anti Covid. Il rischio di morte, tra le persone con storia di cancro e positività all’infezione da SARS-CoV-2, è 2-3 volte superiore tra quelle non vaccinate rispetto alle vaccinate.
Il censimento ufficiale ‘I numeri del cancro in Italia 2022’ presentato oggi in una conferenza stampa a Roma, al ministero della Salute, con l’intervento del ministro Orazio Schillaci, giunto alla dodicesima edizione, descrive gli aspetti relativi alla diagnosi e terapia delle neoplasie grazie al lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), Fondazione AIOM, Osservatorio Nazionale Screening (ONS), PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), PASSI d’Argento e della Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPeC-IAP).
“L’aumento a 390.700 del numero assoluto dei casi nel 2022 pone interrogativi per i quali attualmente non ci sono risposte esaurienti – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM -. Queste stime per l’Italia per il 2022 sembrano indicare un aumento del numero assoluto dei tumori, in gran parte legato all’invecchiamento della popolazione, in apparente contrasto con l’andamento decrescente dei tassi di incidenza osservato se, ipoteticamente, si considera invariata l’età dei cittadini. Questi dati aggiornati invitano sempre di più a rafforzare le azioni per contrastare il ritardo diagnostico e per favorire la prevenzione secondaria e soprattutto primaria, agendo sul controllo dei fattori di rischio a partire dal fumo di tabacco, dall’obesità, dalla sedentarietà, dall’abuso di alcol e dalla necessità di favorire le vaccinazioni contro le infezioni note per causare il cancro, come quella contro l’HPV”
. “Il volume costituisce un supporto di grande valore per il Servizio Sanitario Nazionale, per il Ministero della Salute e, indubbiamente, per i pazienti oncologici, ai quali, mai come adesso, è necessario offrire le pratiche migliori di prevenzione, cura e assistenza – spiega il ministro della Salute Orazio Schillaci, nella prefazione del libro -. Come emerge dall’analisi, a seguito di decenni caratterizzati da notevoli progressi, la pandemia di Covid-19 ha determinato una battuta d’arresto nella lotta al cancro, causando in Italia, nel complesso, un forte rallentamento delle attività diagnostiche in campo oncologico, con conseguente incremento delle forme avanzate della malattia”.
“Questi ritardi sicuramente influiranno sull’incidenza futura delle patologie neoplastiche – aggiunge – inoltre, per quanto riguarda i fattori di rischio comportamentali, i dati raccolti durante il biennio 2020-2021 segnano un momento di accelerazione per lo più in senso peggiorativo. Si tratta di un dato che non può non destare preoccupazione se si considera che il 40% dei casi e il 50% delle morti oncologiche possono essere evitati intervenendo su fattori di rischio prevenibili, soprattutto sugli stili di vita”.
È infatti necessario sensibilizzare i cittadini sulle regole di prevenzione primaria. “I dati PASSI sugli stili di vita confermano la non ottimale aderenza dei cittadini ad uno stile di vita sano – afferma Maria Masocco, responsabile scientifico dei sistemi di sorveglianza PASSI e PASSI d’Argento, coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità -. Dall’analisi delle serie storiche dei fattori di rischio comportamentali, emerge che non ci sono stati grandi miglioramenti negli ultimi 15 anni e, ad eccezione dell’abitudine al fumo di sigaretta che continua la sua lenta riduzione da oltre un trentennio, il consumo di alcol a rischio, la sedentarietà e l’eccesso ponderale, complessivamente, peggiorano o restano stabili. Non solo. In piena pandemia, durante il biennio 2020-2021, questi trend hanno subito modifiche per lo più in senso peggiorativo.
L’impatto della pandemia sugli stili di vita è più visibile nel 2020 e sembra, in parte, rientrare nel 2021. Ma gli sforzi per sensibilizzare i cittadini sull’importanza della prevenzione primaria non devono fermarsi”. Come emerge dall’indagine che ha coinvolto10 anatomie patologiche per i tumori della mammella e 12 per il colon-retto, il numero di carcinomi della mammella operati nel 2020 è risultato inferiore del 4,7% (-151 casi) rispetto al 2019, per poi risalire nel 2021 (+ 441 casi, +14,5%). Nel 2020, il numero di carcinomi del colon-retto operati è risultato inferiore del 10,8% (-238 casi) rispetto al 2019, mentre è cresciuto di 233 casi (+11,9%) nel 2021 rispetto al 2020.
“Questa edizione contiene l’aggiornamento al 2021 dell’indagine contenuta nella scorsa edizione sull’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 sugli interventi chirurgici dei tumori della mammella e del colon-retto – evidenzia Guido Mazzoleni, Azienda Sanitaria di Bolzano, Registro Tumori di Bolzano, Referente SIAPeC-IAP -. I risultati aggiornati fanno emergere, in generale e per entrambi i tumori, un aumento dei casi operati nel 2021 rispetto al 2020 e un incremento della percentuale dei tumori pTis, cioè in stadio iniziale, nel 2021 rispetto agli anni precedenti, sia nella mammella che nel colon-retto, a conferma di una ripresa degli screening oncologici. Va, inoltre, segnalato un aumento in entrambe le neoplasie delle categorie N0 e N1a, verosimile indicatore di una presa in carico più precoce dei tumori diagnosticati”.
Nel 2021 si osserva, infatti, un ritorno ai dati pre-pandemici anche per quanto riguarda la copertura dei programmi di prevenzione secondaria. Per la mammografia il valore medio italiano, che nel 2020 si era attestato al 30%, nel 2021 ritorna in linea (46,3%) con i valori di copertura (cioè la proporzione di donne che hanno effettuato la mammografia sul totale della popolazione avente diritto) del periodo 2018-2019. Per lo screening colorettale (ricerca del sangue occulto nelle feci) il valore complessivo si attestava intorno al 30%, per ridursi al 17% nel 2020 e risalire al 30% nel 2021. Lo screening cervicale presentava valori pre-pandemici intorno al 38-39%, un calo al 23% nel 2020 e un livello di copertura del 35% nel 2021.
“Questi dati ci consegnano un Paese a due, se non a tre velocità, ma anche con notevoli capacità di rispondere alle emergenze – sottolinea Paola Mantellini, Direttrice Osservatorio Nazionale Screening -. La maggior parte delle attività di screening non è stata ferma durante la pandemia, ma il Covid-19 ha messo in risalto ancora di più le fragilità di questi programmi, già evidenti in epoca pre-pandemica. L’obiettivo non è recuperare i ritardi indotti dall’emergenza sanitaria, ma ottenere livelli di copertura ottimali che, in determinate aree del Paese e per alcuni programmi, non si sono raggiunti nemmeno prima della pandemia. Perché più i livelli di copertura saranno elevati, maggiore sarà la nostra capacità di diagnosticare la malattia in fase precoce. È infatti importante segnalare che, all’interno di ogni singola macro-area, ci sono Regioni con maggiore capacità di ripresa ed altre in evidente difficoltà anche nel 2021”.
AGI – Un intervento alimentare basato sul digiuno intermittente potrebbe favorire la remissione completa del diabete di tipo 2. Questo incoraggiante risultato emerge da uno studio, pubblicato sull’Endocrine Society’s Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, condotto dagli scienziati dell’University di Changsha, in Cina. Il team, guidato da Dongbo Liu, ha coinvolto 36 pazienti con diabete di tipo 2, che sono stati sottoposti a interventi dietetici di digiuno intermittente per tre mesi.
Stando a quanto emerge dall’indagine, il 90% dei partecipanti ha ridotto l’assunzione di farmaci specifici e, di questi, il 55% ha raggiunto la remissione dalla malattia. Diventate popolari come metodo per perdere peso, le diete caratterizzate da digiuno intermittente prevedono l’assunzione di cibo in determinate finestre di tempo. Non mangiare per un certo numero di ore al giorno o ridurre il numero di pasti a settimana sembra infatti favorire il consumo di grassi, riducendo il rischio di diabete e malattie cardiache.
“Il diabete di tipo 2 – afferma Liu – non e’ necessariamente una malattia permanente. La remissione e’ possibile se i pazienti riescono a diminuire il peso corporeo e a svolgere sufficiente esercizio fisico. Il nostro lavoro dimostra che un digiuno intermittente puo’ portare alla remissione del diabete di tipo 2”. Il 65% dei partecipanti che hanno raggiunto la remissione, precisano gli esperti, conviveva con la malattia da oltre sei anni. “I farmaci per il diabete – conclude Liu – sono piuttosto costosi e rappresentano una barriera per molti pazienti che stanno cercando di gestire efficacemente la malattia. Il digiuno intermittente ridurrebbe del 77% l’onere economico della malattia”.
AGI – Sono state soprannominate “proteine della longevità” perché è Madre Natura stessa ad aver dato alle sirtuine la capacità di mitigare l’inevitabile processo di invecchiamento del corpo umano. Un lavoro difficile, quello delle sirtuine, che può essere rafforzato con un aiuto altrettanto naturale dall’esterno.
Attività fisica e dieta sana sono le principali vie per stimolare la produzione di queste proteine, ma continuano a emergere nuove evidenze scientifiche secondo le quali alcuni composti naturali possono favorire l’azione delle sirtuine nel contrastare e a prevenire una serie di malattie legate all’età, tra cui anche quelle neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.
A fare il punto su questo promettente filone di ricerca sono stati David Della Morte Canosci, professore di Medicina interna all’Università di Tor Vergata e di neurologia a Miami, e Francesca Pacifici, docente di Scienze della nutrizione presso l’Università San Raffaele di Roma, in un’analisi pubblicata sulla rivista Neural Regeneration Research.
“Sfortunatamente, l’invecchiamento non è un fenomeno reversibile e i processi di senescenza sono inevitabili”, spiega Della Morte. “Tuttavia, gli effetti biologici che conducono all’invecchiamento possono essere riportati indietro, e con questi, può essere ridotto il rischio di malattie legate all’età, quali malattie cardiovascolari, cancro, diabete, e malattie neurodegenerative, tra cui l’Alzheimer e il Parkinson”, aggiunge.
Negli ultimi decenni gli scienziati di tutto il mondo hanno quindi sviluppato diverse strategie, naturali o farmacologiche, per contrastare i fenomeni di invecchiamento, con l’obiettivo finale di migliorare l’aspettativa di vita umana. La logica scientifica che sta dietro queste strategie si concentra sull’opportunità di ridurre l’infiammazione cronica di basso grado, di diminuire i danni da stress ossidativo e la compromissione del sistema immunitario, tutti i meccanismi tipici di senescenza.
“Quindi, i trattamenti antietà più innovativi sono principalmente basati su terapie senolitiche farmacologiche, attivatori del sistema redox della membrana plasmatica, modulatori epigenetici e terapie con cellule staminali”, spiega Della Morte.
“Più specificamente, le nuove terapie contro l’Alzheimer – prosegue – includono anticorpi monoclonali come bapineuzumab e solanezumab, mirato alle placche della proteina beta-amiloide, mentre quelli contro il Parkinson includono nuovi composti farmaceutici, come Neu 120, e V1512, EPI-589, mirati al sistema motorio neurologico centrale”.
Tuttavia, gli effetti di questi trattamenti, che per definizione vengono somministrati quando la patologia è conclamata, si sono rivelati molto limitati e, alcuni di essi, con effetti collaterali non trascurabili. Una nuova strada suggerita dalla scienza, completamente naturale, è quella che sfrutta le “proteine della longevità”.
“Per questo negli ultimi anni sono aumentati gli studi intensivi sulle sirtuine”, sottolinea Della Morte. “E’ così, ad esempio, che è stato possibile capire che i danni e la degenerazione dei neuroni dopaminergici nei pazienti con il Parkinson sono legati alla compromissione delle sirtuine mitocondriali, che sono fondamentali per consentire lo svolgimento di delicate funzioni che prevengono la neurodegenerazione”, aggiunge. Sono stati quindi condotti numerosi studi con lo scopo di testare composti naturali mirati ad aumentare l’attività delle sirtuire.
“Uno dei primi a esser stato individuato – spiega lo scienziato – è il resveratrolo, un polifenolo naturale presente in alcuni frutti, ma soprattutto nella buccia dell’uva e quindi nel vino rosso. I derivati del resveratrolo sono composti naturali stabili e disponibili con effetti simili al resveratrolo. Tra questi, la polidatina, pterostilbene, honokiolo e acido ellagico. Di recente, abbiamo testato il potenziale effetto neuroprotettivo di un composto naturale brevettato, noto come A5+ (SIRT500), su topi con Parkinson. A5+ è composto da acido ellagico (20%), polidatina (98%), pterostilbene (20%) e honokiol (20%), miscelato con le dosi consigliate di zinco, selenio e cromo. Dopo aver messo in contatto A5+ con la cavia abbiamo scoperto che A5+ protegge contro la neuroinfiammazione riducendo significativamente i livelli di citochine pro-infiammatorie. A5+ riduce la produzione di specie reattive dell’ossigeno tramite l’attivazione di ERK1/2, un percorso fondamentale per regolare lo stress ossidativo”.
Questi risultati dimostrano l’efficacia di questo mix di polifenoli naturali contro il Parkinson”. In studi precedenti, lo stesso composto naturale ha mostrato di avere anche effetti positivi contro il virus dell’influenza A e da altre sindromi respiratorie acute, come il Covid-19.
Le sirtuine sembrano poter avere anche un ruolo determinante contro l’Alzheimer. “In particolare SIRT6, una specifica proteina appartenente alla famiglia delle sirtuine, ha dimostrato di avere un effetto protettivo in particolare contro l’Alzheimer e di avere in generale un’attività anti-invecchiamento”, sottolinea Della Morte.
“La letteratura scientifica, quindi, suggerisce che la via delle sirtuine potrebbe essere quella giusta da percorrere per contrastare e prevenire la longevità sana. Non a caso è la via battuta da Madre Natura e ogni attività in grado di potenziarla ci renderà più forti”, conclude lo scienziato.
AGI – La formazione di placche amiloidi nel cervello è un segno distintivo della malattia di Alzheimer. Ma i farmaci progettati per ridurre gli accumuli di queste placche hanno finora prodotto, nella migliore delle ipotesi, risultati contrastanti negli studi clinici. I ricercatori di Yale hanno scoperto, tuttavia, che il gonfiore causato da un sottoprodotto di queste placche può essere la vera causa dei sintomi debilitanti della malattia.
E hanno identificato un biomarcatore che potrebbe aiutare i medici a diagnosticare meglio l’Alzheimer e fornire un bersaglio per terapie future. La notizia è riportata oggi sulla rivista Nature.
Secondo i loro risultati, ogni formazione di placca può causa un accumulo di rigonfiamenti a forma di sferoide lungo centinaia di assoni – i sottili fili cellulari che collegano i neuroni del cervello – vicino ai depositi di placca amiloide.
I rigonfiamenti sono causati dal graduale accumulo di organelli all’interno delle cellule note come lisosomi, che sono noti per digerire i rifiuti cellulari, hanno scoperto i ricercatori.
Man mano che i rigonfiamenti si ingrandiscono, dicono i ricercatori, possono attenuare la trasmissione dei normali segnali elettrici da una regione del cervello a un’altra. Questo accumulo di sferoidi, dicono i ricercatori, provoca gonfiore lungo gli assoni, che a sua volta innesca gli effetti devastanti della demenza.
“Abbiamo identificato una potenziale firma dell’Alzheimer che ha ripercussioni funzionali sui circuiti cerebrali, ha normalizzato la conduzione elettrica degli assoni e migliorato la funzione dei neuroni nelle regioni cerebrali collegate da questi assoni. I ricercatori affermano che il PLD3 può essere utilizzato come marcatore nella diagnosi del rischio di malattia di Alzheimer e fornire un bersaglio per terapie future.
AGI – Si dice da sempre che la colazione sia “il pasto più importante della giornata”. Ma molti adolescenti saltano a piè pari la prima colazione prima di andare a scuola, col risultato che trascorrono più di 12 ore tra l’ultimo pasto del giorno prima e il primo del giorno successivo. Il risultato? Così facendo gli adolescenti hanno un rendimento scolastico inferiore e possono soffrire di irritabilità e affaticamento.
Per esempio, in Spagna, all’istituto pubblico Gil de Junterón, a Beniel (Murcia), l’insegnante María Jesús Guardiola – riferisce il Paìs – ha sondato i propri studenti del primo anno delle superiori (16 anni) circa le loro abitudini alimentari, specie per la prima colazione, ed è risultato che dei 31 studenti che compongono la classe, otto – quasi un quarto – “non mangiano nulla prima di uscire di casa e dei restanti 23, la maggior parte beve un bicchiere di latte o caffè e prodotti ad alto contenuto di zucchero”. Insomma, non c’è nessuno che mangi frutta, per esempio.
E poi, tra coloro che saltano il primo pasto della giornata, “sei sono ragazze” e le scuse più frequenti per il comportamento sono: “Preferisco dormire di più e per questo motivo non ho tempo per fare colazione”, “non ho fame” oppure “mi sento male”. In genere la prima colazione viene consumata “in modo non appropriato”.
Tuttavia, scrive il Paìs, “l’abitudine a saltare il primo pasto della giornata è più diffusa nelle ragazze che nei ragazzi” perché durante l’adolescenza, sentono di più pressione per la loro immagine, specie in riferimento ai social network, e sono più sensibili ai contenuti, “il che le porta al rischio di soffrire maggiormente di diete deficitarie, “con la falsa idea che in qualche modo risparmino calorie”, analizza Rosaura Leis, coordinatrice del Comitato per la nutrizione e l’allattamento al seno dell’Associazione spagnola di pediatria (Aep). Insomma, spesso – e in Spagna in particolare – alla prima colazione non viene data l’importanza che si richiede.
Ma cosa richiede una corretta alimentazione del mattino? Si dovrebbe assumere cibo con vitamina C, una bevanda un po’ energetica come il latte al cacao o il caffè oppure carboidrati – l’ideale è il pane integrale con qualche alimento proteico come il prosciutto serrano o il tacchino e un po’ di olio d’oliva – sostengono gli esperti.
E se si consuma un dolce proprio in quel momento, può esser perfettamente metabolizzato: tra le 8 e le 10 del mattino è infatti il momento in cui il corpo è meglio disposto per ingerire cibi calorici e che vengono metabolizzati correttamente mentre se si fa colazione alle 11 del mattino e si mangia alle 16 del pomeriggio, “l’effetto è molto peggiore”, perché l’intero apparato digerente non è preparato a ricevere cibo.
AGI – La Giornata della carenza di ferro, appuntamento nato per aumentare la consapevolezza sull’importanza del ferro per l’organismo e sensibilizzare sugli effetti della sua mancanza. In questa giornata Carni Sostenibili – no profit che sostiene il consumo consapevole e la produzione sostenibile di carne e salumi – e European Livestock Voice – l’organizzazione che riunisce associa gli organismi europei delle filiere zootecniche – sottolineano l’importanza di un’assunzione bilanciata e sufficiente di proteine animali all’interno di una corretta alimentazione.
I sintomi della carenza di ferro
Stanchezza, frequenti mal di testa, fiato corto, colorito pallido, capelli e unghie fragili, ma anche irritabilità, scarsa concentrazione, maggiore esposizione alle infezioni, sono tutte condizioni riconducibili a un basso livello di ferro nell’organismo. Oggi si stima che un terzo della popolazione mondiale, in particolar modo le donne in età fertile e i bambini sotto i 5 anni, sia colpito dalla carenza di ferro. Eppure è una condizione ancora ampiamente trascurata e sotto diagnosticata, in gran parte proprio per la difficoltà di riconoscerne i sintomi, che spesso appaiono slegati, non correlati fra loro.
Dieta e assunzione di ferro
Le linee guida raccomandano un’assunzione del minerale fra i 10 e i 18 milligrammi al giorno, valore che può quasi raddoppiare in determinate condizioni: sono consigliati 27 mg per le donne in gravidanza e 11 durante l’allattamento (LARN, 2014). In questo contesto una corretta alimentazione può fare molto.
Su questo punto Elisabetta Bernardi, specialista in Scienza dell’Alimentazione, biologa e nutrizionista, commenta “Il ferro è presente nei prodotti alimentari in due forme, come ferro eme, che si trova nella carne e in alcuni pesci, e come ferro non eme, che si trova sia nei prodotti vegetali che in quelli animali. Differiscono nella loro forma chimica, ma soprattutto nei meccanismi di assorbimento. Il ferro eme è altamente biodisponibile (il 25-30% di questa forma viene assorbito), sebbene rappresenti una parte minore del ferro alimentare, mentre l’assorbimento del ferro non eme è inferiore e più variabile (1-10% di questa forma è assorbita). Quando nel pasto è presente ferro eme, quest’ultimo consentirà un maggiore assorbimento anche del ferro non eme. Anche gli alimenti ricchi di vitamina C, come pomodori, agrumi, possono favorire l’assorbimento del ferro non eme, ma mangiare carne rimane l’arma migliore per combattere quello che viene definito il “deficit marziale”.
Bambini e carenza di ferro
Si ritiene che si utilizzi il ferro in diversi sistemi enzimatici nel cervello, tra cui quelli coinvolti nella produzione di energia, nella sintesi del recettore della dopamina, nella mielinizzazione delle cellule nervose e nella regolazione della crescita del cervello. Inoltre, il ferro sembra modificare i processi di sviluppo nei neuroni dell’ippocampo alterando la crescita dendritica.
“Alcuni autori – spiega Elisabetta Bernardi – hanno trovato prestazioni significativamente inferiori nelle competenze linguistiche, capacità motorie e attenzione nei bambini i cui livelli di ferritina erano più bassi e vi è un ampio consenso scientifico sul fatto che la carenza di ferro abbia un impatto negativo sulle capacità cognitive, comportamentali e motorie e questi deficit cognitivi possono comparire a qualsiasi età, anche in presenza di normali livelli di emoglobina”
La “fame nascosta”, bambini e donne le fasce più colpite
Non solo ferro, però. Secondo un recente studio pubblicato su The Lancet Global Health, nel mondo la metà dei bambini in età prescolare e due donne su tre in età riproduttiva soffrono di “fame nascosta”, una forma di malnutrizione dovuta alla carenza di micronutrienti e vitamine, come ferro appunto, ma anche iodio, zinco, folato e vitamina A.
“Tutti elementi – ricorda l’esperta – che sono forniti principalmente dagli alimenti di origine animale. Noi siamo onnivori perché è grazie agli alimenti di origine animale che otteniamo facilmente i nutrienti essenziali di cui abbiamo bisogno”. Una sindrome di malnutrizione silenziosa, che rende il corpo più soggetto ad ammalarsi, e colpisce ampie fasce di popolazione. Secondo lo studio, infatti, il 56% dei bambini in età prescolare (6-59 mesi) e il 69% delle donne non gravide in età riproduttiva (15-49 anni) sono carenti di almeno un micronutriente. Parliamo di circa 372 milioni di bambini in età prescolare e 1,2 miliardi di donne non gravide in età fertile che presentano determinate carenze: ferro, zinco e vitamina A per i bambini in età prescolare, e ferro, zinco e folato per le donne in età riproduttiva.
La malnutrizione colpisce anche i Paesi ad alto reddito
E se a essere maggiormente colpita è la popolazione dei Paesi in via di sviluppo, dove vengono consumati principalmente riso, grano e mais, alimenti amidacei che, pur fornendo livelli di calorie sufficienti, sono nutrizionalmente incompleti – nove donne su dieci in Asia meridionale e nell’Africa subsahariana sono affette da carenza di vitamine o minerali essenziali – anche nei Paesi ad alto reddito il numero di donne che soffrono di “fame nascosta” è significativo. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ad esempio, da un terzo fino alla metà delle donne in età riproduttiva è carente di almeno un nutriente “Alimentarsi in modo equilibrato, senza escludere alcun alimento è fondamentale.
“Abbiamo bisogno di tutti gli alimenti sia di origine animale che vegetale per comporre il complicato puzzle di nutrienti di cui necessitiamo quotidianamente – afferma l’esperta – E in determinati alimenti, come quelli di origine animale, i nutrienti sono nella forma più assimilabile. È molto difficile formulare pillole di nutrienti che abbiano gli stessi livelli di assorbimento degli alimenti perché spesso ci sono fattori di sinergia che è difficile ricreare. Basta pensare al latte in polvere per i bambini che, con tanta ricerca e tanta tecnologia, continua a non tenere il passo con il latte materno, e siamo stati su questo progetto per quasi 200 anni!”
Menù di ferro anche per bambini
Come integrare quindi il ferro e gli altri micronutrienti nella nostra dieta? Ecco i 3 consigli dell’esperta: “Innanzitutto almeno una-due volte a settimana consumare carne bovina o suina – dice Elisabetta Bernardi – poi, quando scegliamo carne bianca, meglio preferire la coscia, che è più ricco di ferro, infine, non mangiare la frutta lontano dai pasti, perché la vitamina C che fornisce deve essere nel pasto per facilitare l’assorbimento del ferro non eme degli alimenti”.
E per i bambini è bene abituarli fin da piccoli a mangiare pietanze ricche in ferro e micronutrienti essenziali e il trucco migliore è coinvolgerli nella preparazione dei piatti “Un momento di vero divertimento – commenta Bernardi – che rappresenta anche un tassello importante per l’educazione alimentare dei bambini”.