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Il voto del 4 marzo ha eletto il Parlamento più giovane della storia repubblicana, quello più nuovo – un ricambio così massiccio in una sola tornata elettorale non si era mai visto – e che vedrà sedute sui banchi di Camera e Senato un numero di donne senza precedenti. Sono alcune delle informazioni sulla neonata legislatura contenute in un rapporto curato da AGI e Openpolis. Vediamo nel dettaglio.

Mai tanti giovani 

L'età media dei parlamentari è la più bassa di sempre: alla Camera 44,33 anni, al Senato 52,12. A Montecitorio già nella XVII legislatura l'età media si era abbassata di circa 5 anni, ma adesso il dato scende ancora di più, fino ad arrivare a 44,33. La contrazione è particolarmente significativa se la si confronta con il trend delle ultime legislature.

Rispetto alla XV (dal 2006 al 2008) in cui era stata eletta la Camera con l'età media più alta, la media si è abbassata del 13,58%. Record anche al Senato. L'età media a Palazzo Madama sarà poco oltre i 52 anni, abbassando di oltre 2 anni il dato della scorsa legislatura.

Come per Montecitorio la contrazione rispetto alla XV legislatura, che anche in questo ramo registrava uno dei valori più alti della nostra storia repubblicana, sarà notevole. Tra il 2006 e il 2008 gli eletti al senato avevano in media 57 anni, un dato che è quindi sceso di quasi il 9%.

Il ricambio generazionale della classe politica, avvenuto con la XVII legislatura, trova quindi un'ulteriore conferma con la XVIII. Un trend reso possibile grazie al forte contributo di alcuni partiti. In particolare del Movimento 5 stelle, che alla Camera ha un'età media sotto i 40 anni (38,5), unica lista che può vantare questo primato.

Discorso analogo a Palazzo Madama, dove M5S e Lega rappresentano gli unici partiti in cui l'età media non supera i 50 anni.

La suddivisione dei parlamentari per fasce d'età vede la percentuale più alta dei deputati compresi tra i 35 e i 45 anni, mentre per i senatori tra i 45 e 55. In entrambi i casi è trainante M5S.

Dei 144 deputati che hanno meno di 35 anni, 97 sono cinquestelle. E ancora, dei 224 che hanno tra 35 e 45 anni, 93 sono del partito guidato da Luigi Di Maio. L'altro lato della medaglia vede Forza Italia con l'età media più alta tra le principali liste, battuta solo da Liberi e uguali al Senato. Il 40% degli over 65 in Parlamento sono stati eletti con Forza Italia. 

Mai tanti nuovi parlamentari

Record di matricole nel nuovo Parlamento: il tasso di ricambio parlamentare (ossia la percentuale di neo eletti che non avevano un seggio nella scorsa legislatura) è del 65,91% alla Camera e del 64,26% al Senato. La stragrande maggioranza dei deputati e senatori sono cambiati rispetto alle politiche del 2013.

Dalla seconda legislatura a oggi, è il valore più alto mai registrato. Il rinnovamento è spinto soprattutto dal successo elettorale del Movimento 5 stelle e della Lega, che hanno fortemente aumentato il loro numero di rappresentanti in Parlamento facendo eleggere una percentuale elevata di deputati e senatori che non facevano parte della scorsa legislatura.

Mentre Partito democratico e Liberi e uguali hanno una percentuale di ricambio parlamentare tra il 20-30%, tutte le forze politiche di centrodestra e il Movimento 5 stelle, superano il 60%. Il dato più alto in entrambe le Camere è quello della Lega, 87% di volti nuovi alla Camera e 83% al senato. Il Movimento 5 stelle fa segnare la terza percentuale più elevata di ricambio parlamentare alla Camera (72,33%, dietro FdI che ha l'85,19%) , e la seconda al Senato (76,15%). Forza Italia ha il 64,71% di matricole alla Camera e il 60% al Senato.

Nel rinnovamento della rappresentanza il partito di Berlusconi ha doppiato il Pd, che ha il 34,51% di volti nuovi alla Camera e il 28,85% al Senato. Il piccolo drappello di Liberi e uguali è invece costituito in maggioranza di parlamentari confermati nel loro seggio: il tasso di matricole è di appena il 21,4% alla Camera e del 25% al Senato. 

Mai tanti nuovi politici

Il 35% dei deputati e il 30,16% dei senatori eletti il 4 marzo non avevano mai avuto prima d'ora un incarico politico, nè a livello locale, nè a quello nazionale ed europeo. Primeggia in questa speciale classifica il Movimento 5 Stelle, con il 65% dei nuovi parlamentari alla prima esperienza politica in assoluto.

Per l'altro vincitore delle elezioni, la Lega, la percentuale è al 16% a Montecitorio e al 12% a Palazzo Madama. Tra gli eletti del Carroccio compaiono numerosi esponenti con incarichi a livello comunale, o come consigliere o come assessore: sono il 40% dei deputati e il 30% dei senatori.

Un dato molto alto considerando che la percentuale media di eletti che vengono da amministrazioni comunali è del 12,92% alla Camera e del 10,82% al Senato. Di tutt'altra natura invece la squadra di parlamentari eletti nel Partito democratico, che per il 65% alla Camera e il 71% al Senato sono deputati o senatori della XVII legislatura. In aggiunta il Pd schiera anche due presidenti di Regione, un parlamentare europeo, 9 consiglieri regionali e un assessore regionale. 

Mai tante donne

Il 34% dei nuovi parlamentari sono donne: è la percentuale più alta nella storia repubblicana. La XVIII legislatura vede il maggior numero di sempre di donne elette, sia alla Camera sia al Senato, con il picco di una tendenza che dura dagli ultimi dieci, in cui la fetta rosa delle Camere è sempre cresciuta. La scorsa legislatura aveva già fatto segnare un'impennata di quote rosa, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. Alla Camera l'aumento era stato del 50%, passando dal 20,41% della XVI legislatura al 30,7%. Con la XVIII legislatura la percentuale adesso cresce ulteriormente, passando al 34,62%. Solamente 10 anni fa, nella XV legislatura, le donne erano la metà, il 17,2%.

Pure a Palazzo Madama, secondo il rapporto Agi/Openpolis, i numeri sono record. Rispetto al 28,44% di senatrici della XVII legislatura, nella XVIII si passa al 34,75%, con un aumento del 22%. Il trend negli ultimi anni ha portato a quasi raddoppiare la percentuale di donne, considerando che nel periodo 2006-2008 il dato era fermo al 13,43%. Considerando le liste principali, il Movimento 5 stelle è quello che ha eletto la percentuale più alta di donne, poco sotto il 40%. Seguono, ma assai più dietro, Forza Italia (34,93%) e Partito democratico (33,93%). Staccato l'altro grande vincitore di queste elezioni, la Lega, con quasi 10 punti percentuali meno del Movimento 5 stelle (30,89%). Fratelli d'Italia è a quota 30,22% e chiude Liberi e uguali con il 27,77%. 

È Casini il veterano, in Parlamento da 35 anni

Alcuni deputati e senatori siedono in Parlamento da anni. Secondo l'analisi di AGI/Openpolis, il primato assoluto è di Pier Ferdinando Casini, rieletto col Pd al Senato, per la sua decima legislatura. Il record a Montecitorio è di Elio Vito (Forza Italia), che inizierà a breve la sua ottava legislatura.

Poco distante la sua compagna di partito Stefania Prestigiacomo, che con già 6 legislature alle spalle, entra nella sua settima. Un gruppo molto numeroso di deputati invece è pronto a iniziare la sesta legislatura: Valentina Aprea (Forza Italia), Alessio Butti (Fratelli d'Italia), Piero Fassino (Partito democratico), Giancarlo Giorgetti (Lega nord), Barbara Pollastrini (Partito democratico), Gianfranco Rotondi (Forza Italia), Paolo Russo (Forza Italia) e Bruno Tabacci (+Europa).

In cima al podio di Palazzo Madama, Pier Ferdinando Casini: il senatore è ininterrottamente in Parlamento dal 1983 (esordio con la Dc, poi Ccd, Udc e Pd) e quindi vanta il primato assoluto di longevità parlamentare tra gli eletti in questa legislatura. Al secondo posto – tutti all'ottava legislatura – Emma Bonino, eletta nel Lazio con +Europa, Umberto Bossi e Roberto Calderoli della Lega, Maurizio Gasparri (Forza Italia) e Ignazio La Russa (Fratelli d'Italia). 

A Roma non si è ancora spenta del tutto l'eco delle polemiche che seguirono la decisione della sindaca pentastellata Virginia Raggi di ritirare la candidatura della Capitale per i Giochi del 2024. Anche per questo è stata accolta con una certa sorpresa la benedizione di Beppe Grillo a una nuova edizione delle Olimpiadi Invernali da tenersi, nel 2026, nell'altro capoluogo di Regione a guida Cinque stelle: Torino. C'è chi, come il Giornale, parla di "giravolta". In realtà la mossa del comico genovese ha una logica politica piuttosto evidente, soprattutto all'indomani del successo del Movimento alle elezioni politiche. Ovvero, dimostrare che il no di Roma aveva motivazioni specifiche e non era da inquadrare in un generale atteggiamento "pauperista" e contrario allo sviluppo, come accusa il centrodestra. Le dichiarazioni di Grillo – che in passato aveva criticato con durezza gli sprechi dell'edizione 2006 – sono molto esplicite a tale riguardo. 

Dobbiamo provare a ideare un'Olimpiade diversa, un'Olimpiade sostenibile. Non possiamo perdere l'opportunità di dimostrare che il Movimento sa raccogliere le sfide e provare a gestire cose complicate

Parole che il "garante" del Movimento ha pronunciato in collegamento telefonico con un centinaio di attivisti che stavano dibattendo sull'opportunità di firmare la manifestazione d'interesse al Comitato Olimpico Internazionale, spiega la Gazzetta. "La Camera di Commercio ha presentato ieri un dossier di pre-fattibilità sul quale fanno quadrato le forze economiche. E le forze politiche, dal Pd a Forza Italia, si sono da tempo schierate a favore", scrive il quotidiano sportivo, sottolineando come fino a questo momento la sindaca Chiara Appendino si era mantenuta assai cauta, affermando solo ieri che "non esiste alcun dossier della Città di Torino per la candidatura". Una cautela che, col senno di poi, sembra legata alla mancanza di una linea ufficiale. Che ora Grillo ha dettato.

Un assist per Di Maio

Un partito che abbia ambizioni di governare, è l'evidente ragionamento, deve mostrare non solo di non essere contrario ai grandi eventi ma di essere in grado di gestirli, seppure con la propria personale filosofia. L'apertura di Grillo sembra quindi un ulteriore messaggio agli investitori perché non abbiano paura di un eventuale governo Di Maio. Un modo, insomma, per rafforzare il profilo "governista" del Movimento (ma, da questo punto di vista, l'industria italiana ha già dimostrato di non guardare con timore al nuovo scenario politico). Non solo: una delle critiche più sonore che sono state riservate finora al partito è il non aver dimostrato, per via dell'inesperienza della propria classe dirigente, una sufficiente perizia amministrativa. Per questo il Movimento, nelle parole di Grillo, "non può perdere questa opportunità". 

Perché Raggi disse no

Non finisce qui. L'endorsement di Grillo per Torino 2026 non è solo un assist per Di Maio ma anche per Virginia Raggi. Se a Roma 2024 fu detto no – è il messaggio che vuole essere lanciato – non fu per il timore di non riuscire a gestire una manifestazione così complessa, né per contrarietà preconcetta, bensì per ragioni legate allo specifico contesto capitolino. "È da irresponsabili dire di sì a questa candidatura delle Olimpiadi, non vogliamo colate di cemento sulla città", si giustificò la sindaca nel settembre 2016. "Le Olimpiadi sarebbero un affare per i costruttori. La mia valutazione è che queste Olimpiadi non siano sostenibili dal punto di vista economico. Non ci servono altre cattedrali nel deserto", disse Raggi, citando i casi di Amburgo, Madrid e Boston. A Torino, invece, le infrastrutture ci sono già.

@CiccioRusso_Agi

Pochi mesi fa il mondo si era interrogato sulla 'coalizione Giamaica', la maggioranza di governo che a Berlino avrebbe dovuto unire sotto la guida di Angela Merkel, il nero del simbolo Cdu, il giallo dei liberali e il verde degli ambientalisti. Una unione nuova, originale, improbabile e non a caso mai nata.

Ora, dopo elezioni che non hanno dato una maggioranza stabile e omogenea, anche in Italia ci si interroga su quale 'colore' potrà avere la coalizione che sosterrà il prossimo governo della Repubblica e si oscilla tra il vessillo romanista e quello del Brasile. Calcisticamente parlando non c'è partita, ma la politica segue altri schemi e il campionato è ancora tutto aperto.

Se il centrodestra trovasse in Parlamento i voti necessari per governare da solo, l'alleanza sarebbe verde-azzurra, con un tocco di bianco di Fdi. E se si volesse trovare una bandiera in tinta, si dovrebbe scegliere tra due paesi africani, Gibuti e Sierra leone, o ricorrere all'Uzbekistan.

Sarebbe giallorosso, senza alcun riferimento calcistico ovviamente ma assai simile ai colori della Roma (o el Lecce), un eventuale governo M5s-Pd. E resterebbe tale anche se si aggiungesse una parte di Leu, che sempre al rosso si richiama.

Sarebbe invece verde-giallo un eventuale governo M5S-Lega, e dunque i colori richiamerebbero immediatamente la bandiera del Brasile, nella quale però campeggia anche un mappamondo blu.

Sarebbe stata rosso-azzurra, invece, una eventuale coalizione tra Fi e Pd, che però non ha i numeri sufficienti, e per cercare una bandiera adeguata si sarebbe dovuto pensare al Lussemburgo o alla Repubblica democratica del Congo.

Queste bandiere saranno tutte sventolate nelle prossime settimane, alcune saranno anche usate come drappi rossi davanti al toro per spronare partiti riottosi a trovare una convergenza prima impensabile. Forse nasceranno anche nuove alleanze, più o meno durature, e solo tra qualche settimana sapremo quale avrà qualche possibilità di successo. 

Mentre si scaldano i motori per la partita più importante prima di quella del governo, l'elezione dei presidenti delle Camere, c'è un altro tavolo sul quale i partiti, vincitori e vinti, stanno mettendo le prime pedine: il Documento di Economia e Finanza (Def), che sarà molto probabilmente il primo provvedimento della XVIII legislatura. Il Documento di economia e finanza, ogni anno entro il 10 aprile deve venire scritto e poi spedito a Bruxelles, ma, oltre alla cornice di dati economici e panorama internazionale, solitamente contiene anche gli obiettivi di finanza pubblica e alcuni impegni che fanno già capire quali saranno le misure da mettere in campo con la manovra economica vera e propria, a ottobre. Difficilmente però il 10 aprile ci sarà già un nuovo governo e dunque il Def vivrà una vita complessa. Certo, la stessa Commissione europea ha dato tempo al nostro Paese fino a maggio per consegnare l'intero Def, ma potrebbe non bastare.

Le insidie di uno stallo troppo lungo

Il ministero dell'Economi ha specificato che il 10 aprile varerà solo la cornice macroeconomica del Documento, lasciando al prossimo governo di riempire di contenuti le cifre, ma se lo stallo durasse molte settimane il problema di chi scrive gli impegni resterebbe aperto. "Al momento non viene formulato alcun nuovo obiettivo né tanto meno viene ipotizzato alcun nuovo impegno" ha scritto il Mef. Già nei giorni scorsi era trapelata la disponibilità dell'esecutivo a informare di questi passaggi i principali partiti, dato che sarà ancora il governo Gentiloni​ a dover scrivere il primo schema di Def. Per questo, o forse nonostante questo, è dunque già cominciata la guerra di posizione sui contenuti del Documento economico finanziario, che sarà forse più terreno di scontro che terreno di confronto tra i tre principali poli usciti dalle urne.

"Il Def sarà la prima occasione per incidere, con le proposte del Movimento 5 Stelle, sulla qualità della vita dei cittadini" ha spiegato Luigi Di Maio parlando con i nuovi eletti M5s, riuniti al Parco dei Principi di Roma. "Si tratta del primo atto che dovremo fare a livello parlamentare perché lo dobbiamo approvare entro il 10 aprile. Sicuramente è una questione importante e noi cercheremo di inserire quelli che sono i nostri obiettivi per il programma" ha chiarito il deputato M5s Carlo Sibilia.

Ma la Lega sembra respingere per ora ogni possibilità di dialogo con i grillini e indica nel Def il primo banco di prova per dimostrare la sua nuova linea programmatica: "Ho ben chiaro cosa proporremo noi, sicuramente non il reddito per chi sta a casa. Reddito è per chi crea e offre lavoro noi non siamo per l'assistenza ma per la crescita" ha replicato Matteo Salvini. "Stiamo lavorando, entro aprile qualunque sia il governo c'è una manovra economica da preparare. Leggo che Bruxelles vuole nuove tasse, noi presenteremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno tasse. E a Bruxelles saranno contenti perché tutti sono contenti se l'Italia cresce" ha tagliato corto il leader leghista. Ovviamente anche per quel che riguarda i conti pubblici, prima si dovrà attendere l'elezione dei presidenti delle Camere e l'avvio delle consultazioni, solo dopo si capirà chi scriverà il Documento e poi se ci sarà una maggioranza e quale

Cosa c'è nel Def

Principale strumento di programmazione economico-finanziaria. il Def indica la strategia economica e di finanza pubblica nel medio termine. Viene proposto dal governo e approvato dal Parlamento.

Il Def si compone di tre sezioni:

  • 'Programma di Stabilita'', con gli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico
  • 'Analisi e tendenze della finanza pubblica', con l'analisi del conto economico e del conto di cassa dell'anno precedente, le previsioni tendenziali del saldo di cassa del settore statale e le indicazioni sulle coperture
  • 'Programma Nazionale di Riforma' (Pnr), con l'indicazione dello stato di avanzamento delle riforme avviate, degli squilibri macroeconomici nazionali e dei fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività, le priorità del Paese e le principali riforme da attuare.

Con il Def vengono aggiornate le previsioni relative al quadro macroeconomico e di finanza pubblica a politiche invariate e a legislazione vigente e sono definiti gli obiettivi programmatici macroeconomici e di finanza pubblica, nonché l'articolazione degli interventi necessari per aggiustare gli andamenti tendenziali allo scenario programmatico.

Il periodo di programmazione copre almeno un triennio e gli obiettivi di bilancio stabiliti acquisiscono una precisa valenza procedurale per quanto riguarda le future decisioni in materia. Il saldo programmatico della Pubblica amministrazione, indicato nel documento per ciascuno degli anni compresi nel periodo di riferimento, rappresenta un valore invalicabile nell'ambito della successiva decisione di bilancio, in quanto le procedure di bilancio in Italia sono caratterizzate, a partire dal 1988, dalla fissazione 'ex ante' di un saldo prestabilito. Il vincolo giuridico associato a tale limite quantitativo ai fini della costruzione della manovra di finanza pubblica deriva dall'approvazione parlamentare (con una specifica risoluzione) del documento in questione. Le successive riforme della legge di contabilità hanno progressivamente arricchito il contenuto informativo del documento. 

Nicola Zingaretti scende in campo per la guida del Pd. Il presidente della Regione Lazio annuncia che parteciperà alla "rigenerazione" del partito. "Io ci sarò", dice. Il governatore indica anche qual è il modello cui si ispira: il laboratorio Lazio, da trasportare a livello nazionale. La discesa in campo di Zingaretti viene accolta con favore dalla minoranza dem: per Andrea Orlando si tratta di "una buona notizia".

Più fredde le reazioni di alcuni esponenti renziani, che sospettano si possa trattare di una mossa per evitare l'elezione di un segretario di peso e nel pieno delle sue prerogative già all'Assemblea di aprile, per andare alle primarie non prima di un anno. Nel gruppo dirigente del Pd, tuttavia, c'è anche chi invita a mettere da parte il dibattito sui nomi, "per rimettere insieme i cocci e dare mandato a chi per funzione, cioé Maurizio Martina, ha il compito di riemettere insieme una comunità stordita, definendo un percorso di ricostruzione del nuovo centro sinistra, portandola all'opposizione", viene spiegato. "Poi Nicola è un'ottima persona, per carità, ma calma e gesso".

Un reggente o un traghettatore?

Insomma, le opzioni in campo – spiegano fonti dem di maggioranza – sono due. Segretario eletto in assemblea o congresso: tertium non datur. Parlare di reggente, oggi, non è appropriato, aggiungono in vista della direzione di lunedì convocata dopo che Matteo Renzi ha rassegnato le dimissioni. I precedenti di Walter Veltroni prima, e di Pier Luigi Bersani poi, parlano chiaro per i renziani: o si vota in Assemblea o si va a congresso. Nei giorni scorsi si era parlato di Maurizio Martina come 'reggente', ma il termine più appropriato sarebbe quello di 'traghettatore', con il compito di portare il partito ad eleggere il nuovo segretario.

Favorevole a una soluzione assembleare, quindi, sembra essere l'area vicina al segretario dimissionario, nella quale si registra grande fermento, con numerosi esponenti di spicco che fanno sempre più spesso il nome del ministro alle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio. Se l'ipotesi, ancorché remota per ora, dovesse concretizzarsi, non di traghettatore si tratterebbe – sottolineano fonti parlamentari – ma di un segretario forte, capace di restare in carica per l'intero mandato. Ipotesi di piu' basso profilo, al contrario, aprirebbero la strada a un congresso anticipato, da tenersi nel 2019.

Salvini apre, il Pd chiude

Ma al di là dei nomi e delle tattiche, il Pd resta in subbuglio dopo la sconfitta elettorale. A lanciare l'allarme sulla situazione del partito è Marco Minniti, che senza mezzi termini parla di rischio "scomparsa". Per il rilancio Carlo Calenda, neo iscritto ai dem, lancia il 'modello Dunkerque': "Disfatte se vissute con dignità e onore possono essere la premessa per una vittoria futura".

Rinascita, rigenerazione o rilancio che sia, il Pd deve anche dedidere il da farsi in vista delle consultazioni e si ritrova in mezzo al guado, con le aperture dei 5 stelle da una parte e quelle che arrivano direttamente dal segretario e candidato premier del centrodestra, Matteo Salvini. Ad entrambi i dem rispondono picche, almeno in questa fase che precede la difficile partita a risiko dei numeri necessari per eleggere i nuovi presidenti delle Camere. Anche Forza Italia 'tenta' i democratici: "Non essendoci una maggioranza, le presidenze non potranno appartenere entrambe allo schieramento dei vincitori. Verosimilmente, una andrà alla componente più orientata a sostenere, esplicitamente o implicitamente, programma e governo di centrodestra. Penso soprattutto al Pd", afferma Renato Brunetta. Ma Matteo Salvini resta fermo sulle sue posizioni: per le presidenze si parte dal rispetto del voto popolare e, comunque, anche sul fronte governo "sicuramente non si fanno pastrocchi".

Però poi il leader della Lega lancia il suo amo: nel Pd "spero siano a disposizione per dare una via di uscita al Paese a prescindere di chi vince le primarie". Certo è che "ormai il Pd è diviso in categorie dello spirito e non si sa con chi parlare". ma sia chiaro, "non penso a maggioranze politiche che abbiano il Pd alleato del centrodestra". Qualunque sia il progetto di Salvini, il Pd chiude ogni spiraglio: "Noi stiamo all'opposizione", replica Ettore Rosato.

La partita del Def

Per il leader pentastellato "se ci sarà un governo Pd-FI-Lega preparate i popcorn perché vedremo salire il nostro consenso", ironizza Luigi Di Maio parlando ai neo eletti. Intanto, oltre alla partita sui nuovi presidenti di Camera e Senato si apre contestualmente anche quella sul Def. Di Maio rilancia la sua intenzione di cercare intese in Parlamento e pone un obiettivo preciso: "Vogliamo agire da subito. Il Def sarà l'occasione per trovare le convergenze sui temi con le altre forze politiche". Danilo Toninelli però mette in chiaro: nel Def ci sarà "un abbassamento delle tasse e certamente un intervento per abbassare la poverta'". Al Def pensa anche Salvini e le posizioni non sono così' lontane dai 5 stelle: "Stiamo lavorando, entro aprile qualunque sia il governo c'è una manovra economica da preparare. Leggo che Bruxelles vuole nuove tasse, noi presenteremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno tasse". 

Rappresentano il 60 per cento dei parlamentari del Partito Democratico: sono i renziani che siederanno in Parlamento e che, ad oggi, si dicono fedeli al segretario uscente. Gli smottamenti nel Pd, conseguenza della sconfitta alle elezioni rendono la situazione delle correnti estremamente fluida, con esponenti renziani che si allontano dal segretario e altri che cercano di tenere insieme le fila. Ecco qual è, al momento, la composizione delle aree Pd:

Matteo Renzi

Il segretario sta per passare il testimone a un reggente e, stando a quanto dichiarato dal capogruppo Pd alla Camera dei deputati, non si ricandiderà alle primarie. Potrà contare comunque su un folto numero di parlamentari con cui eventualmente orientare le scelte del partito.

L'Inner Circle renziano

– Maria Elena Boschi: braccio destro di Renzi fin dai tempi di Palazzo Vecchio.
– Luca Lotti: 'uomo macchina' al quale Renzi delega i dossier più delicati riguardanti il partito.
– Francesco Bonifazi: accanto a Renzi dai tempi in cui era segretario del circolo Pd "Vie Nuove" a Firenze.
– Tommaso Nannicini: consulente economico di Renzi, a lui il segretario ha affidato il programma Pd.

I renziani duri e puri

– Andrea Marcucci: occhi e orecchie di Renzi al Senato, i suoi tweet riportano la linea del segretario.
– Lorenzo Guerini: con Renzi in Anci, quando entrambi erano sindaci, l'uno di Firenze l'altro di Lodi.
– Ettore Rosato: nasce franceschiniano ma diventa uno dei più strenui difensori della linea del segretario.
– Dario Parrini: renziano della prima ora, è stato per anni segretario regionale Pd.
– Davide Faraone: l'uomo di Renzi a Palermo.
– David Ermini: con Renzi nella campagna per le primarie contro Bersani.
– Alessia Morani: avvocatessa di Pesaro, renziana della prima ora.
– Anna Ascani: convertita alla causa renziana dopo essere arrivata in Parlamento con Enrico Letta.
– Luciano Nobili: organizzatore dell'area Renzi e responsabile della campagna di Giachetti contro Raggi.
– Rosa Maria Di Giorgi: considerata una delle fedelissime di Renzi.

Area Renzi

– Carla Cantone: candidata simbolo di queste elezioni per l'impegno sindacale in Cgil.
– Roberto Giachetti: uno dei più strenui difensori di Renzi contro la minoranza di Bersani e Speranza.
– Filippo Sensi: portavoce di Renzi a Palazzo Chigi e poi al Nazareno, prima di dedicarsi a Gentiloni.
– Silvia Fregolent: torinese, fedelissima dell'ex premier ha guidato la commissione di garanzia del congresso.
– Lucia Annibali: una delle candidate simbolo, assieme a Carla Cantone e Lisa Noja, volute da Renzi.
– Davide Gariglio: segretario regionale in Piemonte ebbe a dire "meglio di Renzi solo de Gasperi". 
– Franco Vazio: una vita nei Ds, bersaniano, si è convertito al renzismo abbracciandone il rito ortodosso.
– Raffaella Paita: candidata fortemente voluta e difesa da Renzi in Liguria, sconfitta poi da Giovanni Toti.
– Maria Chiara Gadda: varesina, incaricata da Renzi per il dipartimento Lotta allo spreco alimentare del Pd.
– Mario Del Barba: frontman del leader Pd in commissione banche.
– Emanuele Fiano: incaricato da Renzi di redigere la prima bozza di legge elettorale, il Fianum.
– Lisa Noja: avvocata che si batte per i diritti dei disabili, accanto a Renzi alla presentazione dei candidati.
– Alfredo Bazoli: nasce prodiano, è passato a Renzi ed è stato tra i pochi a difenderlo dopo il flop urne.
– Elena Carnevali: si definisce "convinta elettrice del Pd e altrettanto convinta sostenitrice di Matteo Renzi".
– Roger de Menech: uomo di fiducia di Renzi in Parlamento e soprattutto in Veneto.
– Alessandro Zan: a lui il segretario ha affidato la battaglia per le unioni civili alla Camera.
– Luciano D'Alfonso: presidente della Regione Abruzzo, fortemente voluto da Renzi in Parlamento.
– Salvatore Margiotta: di casa alla Leopolda, dice di Renzi "nessuno ha la sua stoffa".
– Ernesto Magorno: "special one" dei dem calabresi e photobombing in tutte le iniziative con il segretario.
– Daniele Manca: primo cittadino di Imola definito da Renzi "uno dei migliori sindaci che abbiamo".
– Matteo Richetti: considerato un nativo leopoldino ha avuto alti e bassi con il segretario.
– Simona Malpezzi: a lei Renzi ha affidato il compito di far passare il messaggio della Buona Scuola, ma fonti del Pd oggi la danno in avvicinamento a Graziano Delrio. Mino Taricco: esponente di punta del renzismo nella provincia di Cuneo.
– Giuseppe Cucca: segretario regionale Pd della Sardegna.
– Nadia Ginetti: secondo posto per lei nel listino in Umbria, dietro al Segretario.
– Luigi Marattin: braccio destro economico di Renzi.
– Antonello Giacomelli: sottosegretario al Mise, gia' franceschiniano, oggi e' in asse con Lotti.
– Laura Cantini: toscana, vicina al ministro Luca Lotti.
– Camillo D'Alessandro: assieme a Luciano D'Alfonso il nome forte del Pd in Abruzzo.
– Stefania Pezzopane: ex presidente della Provincia dell'Aquila, bersaniana convertita al renzismo (ma data in uscita dall'area Renzi).
– Umberto Del Basso Decaro: già sottosegretario alle Infrastrutture, fedelissimo del segretario.
– Piero De Luca: figlio del governatore campano, la sua candidatura ha destato polemiche.
– Vito De Filippo: ex sottosegretario alla salute con Renzi premier.
– Antonio Viscomi: vice presidente della Regione Calabria.
– Daniela Cardinale: figlia dell'ex ministro Salvatore, voluta da Renzi in corsa in Sicilia.
– Gavino Manca: assieme a Luigi Cucca e' l'organizzatore dei renziani in Sardegna.
– Luigi Cucca: il secondo pilastro del renzismo nell'Isola.
– Tommaso Cerno: giornalista ed ex condirettore di Repubblica.
– Stefano Collina: per inquadrarlo Wikipedia scrive "vicino alla linea politica di Renzi".
– Vanna Iori: ex bersaniana, si occupa di temi legati all'infanzia.
– Mauro Laus: già presidente del Consiglio regionale piemontese.
– Marco Di Maio: "il Di Maio buono" ebbe a dire Renzi di lui.
– Stefano Lepri: cattolico, si è opposto a Renzi solo in occasione del voto sulle stepchild adoption.
– Patrizia Prestipino: ultrà renziana, ha confessato di scambiare messaggi ed emoticon con il segretario.
– Lia Quartapelle: stimata da Renzi al punto da essere stata in predicato per diventare ministro degli Esteri.
– Andrea Romano: dalemiano negli anni Novanta, oggi è renziano e direttore di Democratica.

Sinistra è cambiamento

L'area di Maurizio Martina ha sostenuto la mozione Renzi-Martina al congresso e, dunque, è a tutti gli effetti in maggioranza. Gli smottamenti conseguenti la sconfitta e il ruolo di reggente che si appresta ad assumere il ministro dell'Agricoltura potrebbero cambiare lo scenario. Altri eletti, oltre a Martina, sono:
– Micaela Campana: entrata in Parlamento in quota Bersani e passata ai 'Responsabili' (altro nome per Sec).
– Mattia Mauri: milanese, uomo-organizzazione della corrente alla Camera.
– Roberto Rampi: brianzolo, al secondo mandato da parlamentare.
– Teresa Bellanova: una vita al sindacato, scelta da Renzi per ricucire con le parti sociali.
– Paola De Micheli: commissaria per la ricostruzione post-sisma succeduta ad Errani a Palazzo Chigi.
– Diego Zardini: segretario Pd a Verona.

Areadem

Si tratta della corrente che fa riferimento a Dario Franceschini, quella con il peso politico maggiore dopo i renziani. Ne fanno parte, tra i nuovi eletti:
– Luigi Zanda: duro lo scambio con i renziani in occasione delle dimissioni del segretario.
– Gianclaudio Bressa: unico non renziano eletto con il maggioritario al Senato.
– Daniela Sbrollini: deputata e responsabile sport Pd (ma molto legata a Ettore Rosato).
– Annamaria Parente: senatrice e responsabile Formazione del Pd.
– Bruno Astorre: romano di formazione democristiana, già assessore con Marrazzo, senatore dal 2013.
– Vito Vattuone: segretario del Pd a Genova, da verificare il suo avvicinamento all'area Renzi.
– Edoardo Patriarca: esperto di Terzo Settore.
– Laura Garavini: torna in Parlamento da senatrice eletta nella Circoscrizione.
– Sonia Ferrari: eletta in Senato, già commissaria del Parco della Sila.
– Caterina Bini: appartiene all'area di Franceschini pur avendo collaborato a stretto contatto con esponenti renziani di primo piano.
– Franco Mirabelli: è stato tra i franceschiniani a prendere posizione contro la scelta di Renzi di "decidere in solitudine" i prossimi passaggi alle Camere.
– Alberto Losacco: franceschiniano, si è avvicinato al segretario. Oggi fonti del Pd lo danno di nuovo in piena Areadem.

Dems

La corrente di Andrea Orlando nella quale sono confluiti anche alcuni esponenti di Sinistra Dem, area guidata da Gianni Cuperlo.
– Andrea Orlando: ministro della Giustizia, ha sfidato Renzi alle primarie.
– Barbara Pollastrini: cuperliana e vice presidente dell'assemblea dem.
– Susanna Cenni: al secondo mandato, Orlando ha battezzato la sua campagna elettorale in Valdelsa.
– Francesco Critelli: segretario del Pd a Bologna, si è schierato con Orlando al congresso.
– Andrea De Maria: già esponente cuperliano, ora sostiene Orlando contro la maggioranza.
– Andrea Giorgis: costituzionalista, in minoranza dal 2013 non ha seguito Bersani in Mdp e Leu.
– Alberto Pagani: ha dichiarato di scegliere Orlando "perché unico a garantire alternanza nel Pd".
– Antonella Incerti: espressione dell'area Orlando nel reggiano.
– Monica Cirinnà: madrina della legge sulle Unioni Civili.
– Anna Rossomando: stretta collaboratrice di Orlando sui temi dei diritti dei detenuti.

Fronte democratico

L'area del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano conta tre eletti:
– Francesco Boccia: presidente della Commissione Bilancio della Camera e fedelissimo del governatore.
– Marco Lacarra: consigliere e segretario regionale del partito in Puglia.
– Ubaldo Pagano: giovane segretario provinciale sul quale scommette Emiliano.

I governativi

– Paolo Gentiloni: presidente del Consiglio, sostenuto dai padri fondatori Walter Veltroni e Romano Prodi, oltre che da Giorgio Napolitano, che lo vedrebbero bene a Palazzo Chigi anche nella legislatura che si sta per aprire. 
– Pier Carlo Padoan: ministro dell'Economia sia con il governo Renzi che con quello Gentiloni. 
– Maria Anna Madia: ministro della Pubblica Amministrazione, nasce veltroniana, oggi è considerata renziana. 
– Dario Franceschini: ministro dei Beni Culturali, punto di riferimento di Areadem, la corrente di maggior perso politico nel partito dopo quella renziana. I rapporti con il segretario dem si sono fatti più tesi negli ultimi giorni. 
– Roberta Pinotti: ministro della Difesa, schierata con Renzi dalle primarie perse dall'allora sindaco di Firenze contro Bersani
– Graziano Delrio: da renziano doc a punto di riferimento per chi cerca l'alternativa a Renzi nel partito.
– Maurizio Martina: ministro dell'Agricoltura e vice segretario del Pd. Sarà lui il "reggente" del partito fino al prossimo congresso.
– Valeria Fedeli: una lunga carriera nel sindacato culminata con la vice presidenza della European Worker Federation. Lascia il sindacato nel 2013 quando diventa senatrice e vice presidente di Palazzo Madama. Gentiloni la chiama a Palazzo Chigi per sostituire Stefania Giannini.
– Marco Minniti: ministro dell'Interno con il governo Gentiloni, apprezzatissimo anche da Renzi per la sua politica sui migranti, è stato anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il governo D'Alema, ha ricoperto lo stesso ruolo con la delega ai servizi segreti durante il governo presieduto da Enrico Letta. 

Gli altri

Un gruppo composito è poi quello degli eletti a cui non è possibile, al momento, attribuire una collocazione d'area.
– Roberto Morassut: veltroniano al fianco del padre fondatore Pd dai tempi della giunta di Roma.
– Walter Verini: collaboratore e amico di Walter Veltroni fin dagli anni Ottanta.
– Mauro Marino: piemontese, vicepresidente della fondazione Italia-Usa.
– Eugenio Comincini: eletto nella circoscrizione Lombardia 4 del senato dietro Simona Malpezzi.
– Francesco Giacobbe: senatore eletto nella circoscrizione estero Australia.

Naturalmente, agli eletti e alle correnti del Partito Democratico, vanno aggiunti gli alleati del centro sinistra, dai socialisti-ambientalisti-prodiani di Insieme, ai radicali, col sostegno dei cattolici di Tabacci, di +Europa, passando per la Sudtiroler Volks Partei e l'Union Valdoten. Questi eletti rispondono a sensibilità diverse, difficili da inquadrare con le categorie delle correnti Pd. 

+Europa

– Bruno Tabacci: eletto nell'Uninominale Camera Lombardia, cattolico e leader di Centro Democratico, è stato vicino a Giuliano Pisapia prima che il progetto di Campo Progressista naufragasse.
– Emma Bonino: già ministro degli esteri con Enrico Letta, sostituita da Renzi con il quale, prima dell'alleanza, ha duramente polemizzato per la politica adottata sui migranti.
– Riccardo Magi: segretario dei radicali per Emma Bonino, è il braccio destro della leader.
– Alessandro Fusacchia: eletto con +Europa nella circoscrizione estero, ex capo di gabinetto del Miu con il ministro Stefania Giannini. In precedenza agli esteri con Emma Bonino e al Mise con Passera.

Lista Civica Popolare

– Beatrice Lorenzin: uninominale Camera, Emilia Romagna.
– Pier Ferdinando Casini: uninominale Senato, Emilia Romagna.

Insieme

– Riccardo Nencini: segretario nazionale Psi, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti con Renzi e Gentiloni, eletto nell'uninominale del Senato.
– Serse Soverini: prodiano e collaboratore del Professore dai tempi di Palazzo Chigi.

Svp

– Albrecht Plangger, Renate Gebhard, Juliane Unterberger, Reinhard Durnwalder.

Unione Valdotaine

Albert Laniece 

Danilo Toninelli e Giulia Grillo sono stati indicati da Luigi Di Maio come capigruppo di Senato e Camera durante la riunione in corso al Parco dei Principi di Roma. Le due assemblee separate dei 222 deputati e 112 senatori M5s sono iniziate alle 13.30 nell'hotel scelto in questi giorni come comitato elettorale per i 5 stelle.

Danilo Toninelli è nato a Soresina, Cremona, nel 1974, è considerato un fedelissimo di Di Maio e il più ortodosso tra i cosiddetti “pragmatici”. Liceo scientifico prima di una laurea in giurisprudenza, fino al 2012 è stato ufficiale di complemento dei Carabinieri.

Secondo un articolo del Sole24Ore, "Fa parte della folta schiera di persone che si è avvicinata al Movimento (è il fondatore del gruppo cremasco nel 2010, ndr) attratta dai richiami via blog sul rispetto dell’ambiente e sulla necessità di cambiare i paradigmi sull’economia e sull’energia partendo da sé e dal proprio quotidiano". Non è mai stato critico verso i vertici, anzi, nei "momenti di maggiore difficoltà è stato chiamato a spendersi, come davanti alle peripezie della giunta romana di Virginia Raggi". Secondo i dati di Openpolis è 86 esimo su 630 deputati per indice di produttività parlamentare e ha il 69% di presenze al voto elettronico. Ha votato in maniera contraria al proprio gruppo alla Camera una volta ogni duecento votazioni. È stato il depositario della prima legge elettorale a firma grillina, il Democratellum: "un proporzionale fortemente corretto, con le preferenze, in cui sono vietate le candidature plurime ed è previsto un doppio sbarramento". Ha dato poi una dura battaglia all'Italicum, "un cibo avvelenato" lo definì a La7, sostenendo di volerlo cancellare. 

Anche se di fatto è l'uomo dei 5 stelle chiamato ad affrontare i complicatissimi aspetti dei sistemi elettorali, nel 2013, poco dopo la sua elezione alla Camera per il M5s nella circoscrizione Lombardia 3, è stato primo firmatario di una proposta di legge per abolire le province. In occasione del "Decreto Scuola", il 22 ottobre 2013 presenta un emendamento, poi approvato, che introduce il plurilinguismo nelle scuole dell'infanzia. Alle elezioni politiche del 2018 è invece candidato al Senato della Repubblica, in regione Lombardia, come capolista nella quota proporzionale del Movimento 5 Stelle.

Giulia Grillo è nata a Catania nel 1975. Non ha nessun legame di parentela con il garante del M5s. È al suo secondo mandato alla Camera, durante il primo mandato è già stata capogruppo per tre mesi. Ma, a differenza di 5 anni fa, il suo mandato questa volta durerà 18 mesi. È stata eletta nel collegio uninominale di Acireale. Durante la Maratona elettorale di La7 lo scorso 4 marzo ha ringraziato Beppe Grillo perché "noi non intendiamo essere una forza politica che calcherà la scena in eterno, noi vogliamo lasciare qualcosa di buono e di positivo per il Paese e migliorare le cose. Quando lo avremo fatto non avremo più ragione di esistere". È al suo secondo mandato, quindi non potrà più ricandidarsi: "È una garanzia", disse allora. 

Di professione medico, una delle sue battaglie è stata quella sulla sanità. Critica duramente i tagli alla sanità del governo Renzi, che accusa in un video sul canale ufficiale del M5s. Denuncia gli sprechi che avrebbero potuto essere tagliati invece dei servizi, dalle auto alle società partecipate locali, create "per mettere i propri amici nei consigli di amministrazione". Si avvicina alla politica proprio grazie al Movimento 5 stelle nel 2006 fondando i Meetup di Catania. Fa politica attiva per il comitato anti-inceneritori, partecipando poi alla costituzione dell’associazione decontaminazione Sicilia. Si batte contro le trivellazioni in Val di Noto (comitato no Triv). Partecipa alla nascita del comitato Addio Pizzo di Catania. Alle regionali siciliane del 2008 si candida con lista “Amici di Beppe Grillo con Sonia Alfano Presidente”, ma non viene eletta. Elezione che arriva 5 anni dopo, nel 2013, quando viene eletta alla Camera. Secondo i dati Openpolis è stata presente nel 65% delle votazioni, votando meno di una volta su cento in maniera diversa rispetto al suo gruppo parlamentare. 

 

 

 

 

Chi sono le 'new entry' dei 5 Stelle in Parlamento? Questa volta chi ha assegnato le candidature ai collegi uninominali e nei listini plurinominali è stato attento a soppesare il titolo di studio e la storia professionale.

Nel collegio di Pomigliano un non laureato, come il leader Luigi Di Maio, ha stravinto. Eppure nelle altre sfide a due il Movimento si è preoccupato di schierare le élite delle professioni: veterinari, ortopedici, ingegneri energetici, giornalisti, biologi, generali, ricercatori di chimica organica, avvocati, criminologi, commercialisti.

Nei listini proporzionali, scrive il Corriere, è montata la marea di chi non ha potuto vantare un cursus honorem a cinque stelle: precari, camerieri, ex assistenti parlamentari, agenti turistici, impiegati, attori, operatori di cali center. Tutti, laureati e non, comunque con poca esperienza politica tranne gli ex portaborse.

Nome per nome

Silvana Nappi, medico della Asl Napoli 3 Sud, ha stracciato a Nola l'ex dc Lorenzo Cesa. La veterinaria Doriana Sali ha battuto al Vomero il medico Paolo Siani arruolato nel Pd. A Cagliari, il M5S si è affidato allo skipper Andrea Mura che ha mandato a casa l'ex governatore Ugo Cappellacci (FI) e il senatore uscente Luciano Uras. Il generale di brigata Antonio Del Monaco, già direttore di un carcere militare, è stato eletto a Caserta. Mentre il record dei voti lo ha ottenuto a Napoli la sindacalista degli insegnanti (Gilda) Rina De Lorenzo.

I parlamentari per caso

C'è da dire poi che il grande successo del M5S un partito di massa, a questo punto ha mandato in tilt il Rosatellum: in alcune circoscrizioni ci sono stati più seggi assegnati di quanti candidati fossero scesi in pista. Dunque, sono entrati in Parlamento anche i cosiddetti 'riempilista' chiamati all'ultimo momento dagli attivisti.

Con questi numeri, sono state elette molte persone della porta accanto. Piero Lorefice ha fatto l'articolista come dipendente comunale a Gela. Luciano Cadeddu, pastore e allevatore, è il nuovo deputato grillino della provincia di Oristano.

Vincenzo Garruti, militare, impegnato in molte missioni all'estero, è stato eletto in Puglia. E nella lista degli eletti in Sicilia, a Marsala, c'è anche la testimone di giustizia Piera Aiello che iniziò a collaborare dopo l'omicidio di suo marito Nicola Atria.

Invece Maria Luisa Faro, 32 anni, eletta alla Camera, manda avanti un'agenzia di viaggi in Puglia. A Taranto Alessandra Ermellino, 39 anni, grafica pubblicitaria si è avvicinata al M5S guardando i video di Beppe Grillo.

Quelli che vengono da 'altrove'

Nell'esercito di parlamentari grillini che oggi sbarcano a Roma ci sono pure alcuni ex militanti di altri partiti: Gelsomina Vono detta Silvia, avvocatessa, eletta a Catanzaro, ha presieduto un circolo dell'Idv di Antonio Di Pietro, è stata assessore a Soverato per una lista civica vicina al Pd. Sempre in Calabria, a Castrovillari, ce l'ha fatta l'ortopedico Massimo Misiti che vanta nel suo curriculum molte missioni in Africa, e una puntata anche alla Leopolda di Matteo Renzi.

Luciano Cillis, agronomo di Potenza, arriva dall'Udeur di Clemente Mastella che lo candidò alle provinciali del 2009. L'ingegnere Francesco Mollame di Palermo si era fatto le ossa nel 2008 con l'Mpa di Raffaele Lombardo. Ma la storia più singolare è quella di Luca Carabetta, ex assistente del deputato Ivan Della Valle e poi startupper.

 

“Ognuno deve prendere la sua barchetta e andare in soccorso del PD. Disfatte se vissute con dignità e onore possono essere la premessa per una vittoria futura. #dunkerque”. Parola di Carlo Calenda che su Twitter invita i simpatizzanti del Partito democratico a serrare i ranghi e a dare il proprio contributo alla ricostruzione del partito, per ritrovare la sua base elettorale. Lo fa citando un esempio storico, la battaglia di Dunkerque, diventata lo scorso anno anche una pellicola di successo con Dunkirk, nome inglese del porto francese, di Christopher Nolan.

All’attuale ministro dello Sviluppo economico la situazione del Pd deve apparire, almeno in metafora, simile a quella disperata in cui si trovavano l’esercito britannico e quello francese assediati dalle truppe di Hitler sulle spiagge del Canale della Manica: circondati, sotto il fuoco nemico, e apparentemente senza possibilità di fuga. 

A Dunkerque fu necessaria una straordinaria operazione di evacuazione. Nel maggio del 1940 le forze migliori della marina militare inglese, allora la più potente al mondo, erano bloccate. Con loro, quello che restava dell'esercito francese reduce della sconfitta da parte delle truppe tedesche della Wehrmacht per un totale di circa 400 mila uomini. L'unica via possibile, con le truppe tedesche che assediavano gli uomini costretti alla ritirata dopo la sconfitta, rimaneva quella del mare. E fu elaborata quella che passò alla storia come 'Operazione Dynamo'.

“Le cose iniziarono molto male”, ricorda un articolo del Post che ripercorre la storia di quei giorni. “Nel primo giorno di evacuazione, il 27 maggio, meno di 8 mila soldati vennero imbarcati. Le operazioni dovevano essere accelerate e venne dato ordine di iniziare a imbarcare gli uomini anche lungo le spiagge: ma i grossi cacciatorpediniere della marina militare, le navi più grandi che i britannici potevano permettersi di rischiare a Dunkerque, non erano in grado di raggiungere le acque basse vicino a riva. Così squadre della marina furono mandate a requisire migliaia di piccole imbarcazioni civili e un appello fu lanciato a tutti i proprietari di barche del sud dell’Inghilterra perché corressero in soccorso all’esercito intrappolato: una scena che viene mostrata nei primi minuti del film. Il giorno dopo centinaia di piccole imbarcazioni civili, a volte guidate dai loro proprietari, si affiancarono ai cacciatorpediniere della marina nelle operazioni di salvataggio”. L’operazione riuscì, ma a costo di un enorme sacrificio umano. 338 mila soldati furono portati in salvo in nove giorni. 

Il paragone forse può suonare un po’ eccessivo, ma racconta bene quelli che devono essere gli umori del Pd alla vigilia di un congresso che arriva in una situazione che pare altrettanto difficile. Calenda chiede l’aiuto di tutti, di ogni singola “barchetta”. E al Pd ne servono parecchie.

Da dove viene il pieno di voti fatto da M5s e Lega nelle elezioni del 4 marzo? Il voto è stato caratterizzato dalla significativa crescita dei due movimenti: quello guidato oggi da Luigi Di Maio – con 10 milioni e 700 mila voti – guadagna 2 milioni di voti rispetto al 2013; la Lega – 5 anni dopo – ottiene 4 milioni e 300 mila voti in più.

L’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, ha analizzato la provenienza del consenso al Movimento 5 Stelle, rispetto al voto espresso dagli italiani 5 anni fa: dei 10 milioni e 700 mila elettori odierni, 67 su 100 avevano già votato il Movimento alle Politiche del 2013. Otto sono elettori al primo voto o cittadini che si erano astenuti. Il dato più significativo è però il flusso in ingresso: 14 elettori su 100 del M5S avevano scelto nel 2013 il PD di Bersani, 5 il PDL di Berlusconi.

Interessante risulta anche il profilo elettorale del partito di Salvini: appena 24 su 100 sono gli elettori odierni che avevano già votato la Lega nel 2013. 11 arrivano dal M5S, 12 dal PD ed altri partiti. Ma – secondo i dati dell’Istituto Demopolis – il flusso determinante, nel successo odierno della Lega, proviene dall’area di Berlusconi: 40 elettori su 100 avevano scelto il PDL 5 anni fa.