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Pausa di riflessione, in coincidenza con la Pasqua, e poi prenderanno il via le consultazioni dei diversi gruppi al Quirinale per dare un governo al Paese. Un iter complicato come non mai, dopo un risultato elettorale che non ha dato nessuno vincente assoluto e un tripolarismo di fatto. Sergio Mattarella ha voluto lasciare tempo ai partiti per chiarirsi le idee, concedendo cinque giorni di tempo per proseguire i contatti e gli eventuali faccia a faccia come quello che molti ipotizzano potrebbe avvenire tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio dopo Pasquetta. In due giorni sentirà tutti, mercoledì e giovedì prossimo, poi potrebbe prendersi una pausa di riflessione.

Al momento tutti mettono in conto la possibilità di un secondo giro di consultazioni nella settimana successiva, la seconda di aprile, dato che al momento i leader politici sono attestati sulle posizioni di bandiera, come è anche in parte ovvio all'inizio di una trattativa non facile. Serve tempo per far maturare processi di dialogo fino a poche settimane fa impensabili e dunque il Capo dello Stato è intenzionato a lasciare ai partiti il tempo necessario perché questi processi avvengano e vengano spiegati ai diversi elettorati.

In assenza di fibrillazioni sui mercati e di pressioni dall'Europa, qualche settimana di tempo per la nascita di un esecutivo, in presenza di una legge elettorale non maggioritaria, è considerato naturale. Certo non si potrà andare alle calende greche, e nel frattempo si dovrà varare il Def e procedere anche con alcune delle nomine in scadenza non prorogabili, ma un governo c'è ed è quindi prevedibile che quanto al merito delle scelte il Capo dello Stato non intende in alcun modo indirizzare il dibattito in un verso o nell'altro. Soprattutto nel primo giro di consultazioni ascolterà le dichiarazioni dei partiti, sapendo che non sempre a quelle altisonanti a favore di telecamere ne corrispondono di identiche a porte chiuse.

Il suo potrà essere un ascolto di particolare interesse, poi, visto che il centrodestra salirà diviso in singoli partiti. Ma tutti coloro che saliranno al Colle sanno che non dovranno attendersi indicazioni o direttive sulle alleanze; dal Presidente giungerà solo la richiesta di dar vita a un governo che abbia una maggioranza certa, ipotesi di governi di minoranza non sono contemplati, e l'assunzione di responsabilità dei partiti davanti alle scelte che essi vorranno fare.

Fuor di metafora, l'idea di un governo del presidente è quanto di più lontano ci sia dal modo di Mattarella di interpretare il suo ruolo. Se si dovesse arrivare a un governo di tutti, dovrebbero essere i partiti a chiedere di arrivarci. In attesa del primo giro di consultazioni, ovviamente, nulla è ancora deciso sulle scelte che il Capo dello Stato potrebbe fare in caso di stallo: preincarico, incarico esplorativo (e a chi) sono ancora tutte possibilità  sul tappeto ma senza alcuna prevalenza dell'una sull'altra. Insomma, quando mercoledì si apriranno le porte dello studio alla Vetrata al Quirinale, forse saranno ancora poche le certezze e la fase che comincera' potrebbe non essere breve, per consultazioni che nella prima Repubblica si sarebbero definite 'al buio'.

La carica dei questori, la più importante degli uffici di presidenza di Camera e Senato, è al centro della polemica politica per l'esclusione del Pd dai tre posti previsti al Senato. Si gioca invece oggi la partita per gli altri tre previsti a Montecitorio, partita che si annuncia altrettanto intensa. Si tratta infatti, come scrive l'Huffington Post, dei "golden boys" dell'organismo parlamentare, ovvero "una sorta di Cda chiamato a decidere le spese e ad elaborare annualmente il progetto di bilancio interno". Si comprende quindi bene come non essere rappresentati nel Collegio dei questori tagli di fatto fuori un partito da una parte importante del processo decisionale relativo al funzionamento dei due emicicli.

La stesura del progetto di bilancio (che, prima di passare all'esame dell'Aula, viene esaminato dai restanti membri dell'ufficio di presidenza: oltre al presidente e ai questori, quattro vicepresidenti e otto segretari) non è l'unica competenza che rende i questori così rilevanti. Oltre a sovritendere al cerimoniale, hanno anche importanti funzioni di controllo, quali "curare collegialmente il buon andamento dell'Amministrazione, vigilando sull'applicazione delle relative norme e delle direttive del Presidente", come recita il regolamento. Cosa significa in concreto? Che, oltre a essere il cda delle camere, ne sono pure la polizia

Dal momento che la forza pubblica non può entrare nelle sedi del Parlamento senza autorizzazione del presidente, spetta ai questori assicurare il mantenimento dell'ordine e della sicurezza nelle aule. Se un parlamentare dà in escandescenze, per esempio, sono loro a ordinare ai commessi di mettere in atto l'espulsione eventualmente disposta dal presidente dell'Assemblea. Stabilire poi le sanzioni spetta all'intero Ufficio di presidenza. 

Il Movimento 5 Stelle ha voluto la presidenza della Camera "perché è lì che bisogna tagliare più vitalizi", aveva dichiarato Di Maio. Che, per portare avanti il piano, dopo aver portato Roberto Fico sullo scranno più alto di Montecitorio, punta a insediare Riccardo Fraccaro nel ruolo di questore anziano. A questo punto, ci sarebbero tutte le condizioni per far passare una delibera che sarebbe già pronta. È quanto scrive il Sole 24 Ore, parlando di una proposta in due punti: "i neoeletti non matureranno più una pensione a 65 anni di età anche dopo cinque anni pieni di legislatura. Tutti gli altri conserveranno la pensione, ma il suo importo sarà profondamente rivisto (al ribasso) perché ricalcolato con il metodo contributivo. E questo varrà sia per i parlamentari che per gli ex parlamentari che sono già andati in pensione".

Una rivoluzione, a partire dal metodo

Il Movimento non intende utilizzare un Ddl o un altro provvedimento di rango legislativo, spiega il quotidiano economico-finanziario, ma "una semplice delibera dell'ufficio di presidenza. Delibera contro la quale i partiti avranno verosimilmente qualche remora ad opporsi". E su questo tema c'è la netta apertura del leader della Lega Matteo Salvini, secondo il quale è giusto che il contributivo valga anche per i politici, perfino in maniera retroattiva: "Non è possibile che ci siano deputati o senatori che lo hanno fatto magari per un anno e che sono in pensione da tempo per 2-3 mila euro, è immorale. Non salva i conti del Paese, ma è un segnale". Un'apertura che dovrebbe consentire alla delibera di avere la strada ulteriormente spianata.

"Per i neoeletti non scatterà più nemmeno il diritto alla pensione di 1.000-1.200 euro al mese a 65 anni e dopo cinque anni di legislatura", spiega ancora Il Sole 24 Ore, "per loro la Camera e il Senato verseranno i contributivi nei cinque o più anni di legislatura (se saranno rieletti) e questi verranno cumulati con quelli versati all'Inps o ad altri istituti previdenziali durante il normale percorso lavorativo. Per gli altri parlamentari l'assegno sarà ricalcolato con il solo metodo contributivo. È chiaro che, una volta portata a termine l'operazione alla Camera non potrà che allinearsi". E se poi arrivassero dei ricorsi? "Questo poco importa ai Cinque stelle: l'essenziale è portare a casa il risultato politico: via i vitalizi per tutti", conclude il quotidiano, "e presto, a inizio legislatura, magari anche prima dell'insediamento del governo. Per dare il segnale di una svolta: i privilegi non esistono più". 
 

Lo scontro interno al Partito democratico tra vecchia guardia renziana e non renziani, sta trovando in queste ore un nuovo terreno di scontro: l'aut aut dei grillini sulle presidenze di Camera e Senato segna un punto a favore degli oltranzisti che, nel Partito Democratico, non vogliono saperne di trattative sul governo. Matteo Renzi, ieri a Palazzo Madama è tornato a ironizzare con quanti gli chiedevano del tentativo del M5s di pescare tra i voti dem: "guardate i numeri… Per un governo con M5s servirebbe il 93% dei voti del Pd e io penso che piu' del 7% non ci stara'". Nonostante questo, dall'altra parte del fronte interno dem, viene riferito, c'è chi ancora guarda al M5s o, quantomeno, invita a non demonizzare i pentastellati. Ed è anche per questo che, mentre si consuma lo strappo sugli uffici di presidenza della due Camere, i renziani alzano il tiro parlando di "atteggiamento volgare e anti democratico" del M5s arrivando a minacciare di restare fuori dagli uffici di presidenza. "Domani ci riuniremo", viene riferito, "esprimeremo tre nostri candidati – uno per la vice presidenza, un questore e un segretario – e quelli voteremo". Una strategia che alcuni esponenti della minoranza definiscono "perdente", auspicando invece che si faccia di tutto per esprimere almeno un rappresentante, fosse anche un segretario.

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L'esperimento del Lazio

Tra chi vorrebbe lasciare una porta aperta ai Cinque Stelle non sfugge nemmeno quanto avviene in Regione Lazio: il governatore del Pd, Nicola Zingaretti, sta incontrando le opposizioni alla ricerca di una maggioranza stabile in consiglio regionale. Ieri è stato il il turno di Roberta Lombardi che, lasciando il palazzo di via Colombo, ha annunciato di voler concedere un "periodo di prova" alla Giunta, non sostenendo la mozione di sfiducia annunciata da Sergio Pirozzi. "Non e' un appoggio esterno", viene commentato da alcuni non renziani, "ma poco ci manca. E potrebbe essere uno schema che potrebbe essere replicato a livello nazionale". In serata, quando è ormai chiaro che in Senato l'ufficio di presidenza non avrà esponenti delle opposizioni, anche il segretario reggente Maurizio Martina, considerato uomo del dialogo e della mediazione dentro e fuori il partito, pone la "questione democratica" della rappresentanza delle opposizioni. Poco dopo fa sapere che il Pd non parteciperà agli incontri programmati dal M5s con le altre forze per trovare il modo di far partire il nuovo esecutivo. Infine è un comunicato congiunto dei neo capigruppo di Camera e Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, a fissare la linea: il Pd farà "opposizione responsabile" perché è il ruolo che gli hanno attribuito gli elettori con il voto del 4 marzo. Questo, "ovviamente ascoltando con attenzione il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella". 

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Si gioca su più tavoli la trattativa per dare un governo al Paese e uno di questi tavoli è la tornata delle elezioni amministrative, cominciata a marzo e che si concluderà a fine aprile, l’altro sono le elezioni europee del 2019.

Gli attori principali di queste trattative sono soprattutto i due nuovi leader usciti trionfanti dalle elezioni: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Dopo un primo dialogo fruttuoso, che ha portato all’elezione dei presidenti delle Camere, i due si stanno fronteggiando, duellando su chi farà il premier e sul sostegno o meno del partito di Silvio Berlusconi a un eventuale governo centrodestra-M5s.

Il capo grillino ha chiarito che il premier deve essere lui e subito dopo sono cominciate a circolare indiscrezioni su un possibile contatto con il Pd. Seppure con numeri risicatissimi, infatti, una maggioranza Pd-M5s starebbe in piedi. Ma solo con una manciata di voti e dando per scontato (cosa che non è) il sostegno di Matteo Renzi a questa ipotesi. Un laboratorio per questa alleanza potrebbe essere già il possibile accordo tra Nicola Zingaretti e Roberta Lombardi nella regione Lazio, dove Leu ha fatto mancare il suo sì al governatore dem.

Sul piano nazionale, intanto, la risposta di Salvini all’aut aut 5 Stelle non si è fatta attendere: “se Di Maio vuole governare con il Pd, auguri” ha detto intervistato dal Corriere. E ha dato un possibile ritorno alle urne al 50% delle probabilità.

Quel che è certo è che il leader del Carroccio si può permettere di attendere tempi più lunghi rispetto al leader grillino, che è vincolato dal limite del doppio mandato imposto dallo statuto del suo movimento. Il segretario della Lega ha fatto capire che intende andare al governo, con tutto il centrodestra al seguito, ma senza impiccarsi alla sua presenza a palazzo Chigi. Se Di Maio ci starà bene, altrimenti è pronto a lasciar governare un esecutivo M5s-Pd che difficilmente avrebbe vita lunga.

Un obiettivo non sgradito a Salvini potrebbe essere la nascita di un governo traballante a cui fare una opposizione strenua, in modalità campagna elettorale: la possibilità di avere elezioni politiche ed europee insieme nella primavera del 2019, a quel punto, sarebbe a portata di mano. Uno dei principali obiettivi della Lega, infatti, oltre al governo del Paese, è il ribaltone al Parlamento europeo. La speranza del Carroccio è che alle elezioni del prossimo anno il gruppo euroscettico Enl possa diventare la seconda famiglia europea dopo i Popolari, scalzando i socialisti.

La trattativa che sta partendo, dunque, è solo alle mosse iniziali. Dalla prossima settimana si cominceranno le consultazioni, mentre in Friuli Venezia Giulia si avvia una campagna elettorale che potrebbe dare un’ulteriore spinta alla Lega. Nei prossimi giorni proseguirà la partita a scacchi tra Salvini e Di Maio, dunque i colloqui di Sergio Mattarella al Quirinale potrebbero durare più di una settimana e potrebbero dar vita a più tentativi di soluzione. L’unica certezza è che il Capo dello Stato, che non ha una fretta indiavolata, non intende nemmeno far trascinare i tentativi all’infinito e vuole che il Paese abbia un governo entro giugno.

"Sono felice di sostenere qualsiasi policy particolare di qualsiasi partito utile per le nostre fonti o per il dibattito. Durante le elezioni Usa del 2016, sono intervenuto all'assemblea inaugurale del partito dei verdi di Jill Stein perché aveva una posizione forte sulla protezione dei whistleblower​, inclusi Edward Snowden e Chelsea Manning. Nel caso dei Cinque Stelle, hanno politiche di trasparenza e hanno fatto dichiarazioni sulle nostre presunte fonti che ritengo positive". Lo afferma il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, intervistato da 'Repubblica', riguardo la proposta di legge dei pentastellati sui whistleblower.

"Scettico sulla democrazia diretta ma sì all'esperimento"

Assange dice di essere "scettico" sulla democrazia diretta attraverso internet praticata da M5s, "ma – chiarisce – supporto l'esperimento: è importante creare, e verificare cosa va in porto e in quali aree si fallisce. I parametri della politica stanno cambiando rapidamente a causa della tecnologia e quindi la politica deve cambiare. La maggior parte dei tentativi non avrà successo, ma possiamo stare certi che i gruppi che non proveranno neanche a sperimentare, falliranno".

"Cambridge Analytica? Solo parte di un sistema più grosso"

Nel colloquio, Assange parla anche di Cambridge Analytica e dei suoi contatti con la società al centro dello scandalo dei dati di Facebook: "Molti cercano di contattarci continuamente e anche WikiLeaks cerca di contattare tanti, come fa ogni organizzazione giornalistica seria. Quello che non facciamo è parlare delle nostre pubblicazioni imminenti con nessuno, ad eccezione dei giornalisti che lavorano con noi come partner alla rivelazione dei file. Cambridge Analytica non rientra in questo caso, ecco perché abbiamo rifiutato il contatto con loro. C'è un'organizzazione molto più significativa: l'SCL Group, di cui la Analytica è parte. SCL lavora molto per la difesa e l'intelligence inglese e si vanta di essere stata coinvolta in molte elezioni politiche negli ultimi venti anni in 60 paesi. Opera nel settore governativo e commerciale. C'e' ancora un'importante questione da risolvere: fino a che punto le attività dell'SCL sulle elezioni di altri paesi sono state fatte nell'interesse del governo inglese". 

Eletti i capigruppo di Camera e Senato. Forza Italia punta sulle donne, Annamaria Bernini e Mariastella Gelmini prendono infatti il posto di Paolo Romani e Renato Brunetta. Il Pd a sorpresa sceglie Graziano Delrio al posto di Lorenzo Guerini, il cui nome era dato in pole per il passaggio del testimone con Ettore Rosato alla Camera fino a poche ore prima della riunione del gruppo dem. Vince, quindi, la linea Martina della mediazione e il deputato renziano deve fare un passo indietro. Mentre l'area che fa riferimento all'ex segretario Matteo Renzi la spunta al Senato, con l'elezione del fedelissimo Andrea Marcucci. Fratelli d'Italia sceglie l'opzione 'pro tempore': eletti Fabio Rampelli e Stefano Bertacco rispettivamente alla Camera e al Senato. Ma si tratta di un incarico a scadenza: FdI procederà alla elezione definitiva dei capigruppo solo dopo la definizione degli Uffici di presidenza dei due rami del Parlamento. La Lega conferma Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini, alla guida del gruppo di Montecitorio. Una scelta già fatta nei giorni scorsi, quando proprio Salvini delegò Giorgetti a condurre le trattative nella partita per i presidenti delle Camere. Al Senato l'assemblea del gruppo dovrebbe confermare il presidente uscente, Gianmarco Centinaio. Anche per Giorgetti, tuttavia, potrebbe profilarsi un incarico a tempo qualora la Lega dovesse andare al governo. Il fedelissimo del leader del Carroccio, infatti, potrebbe giocarsela per un posto nell'esecutivo. Nessuna sorpresa in casa M5s: sono stati eletti i capigruppo già designati da Luigi Di Maio all'indomani delle elezioni, Giulia Grillo e Danilo Toninelli. La prima guiderà la squadra pentastellata alla Camera, il secondo quella al Senato. Il Gruppo Misto ha eletto presidente Federico Fornaro di Leu e Loredana De Petris, sempre Leu, al Senato.

Al Nazareno c'è qualche malumore

Nessuno stravolgimento rispetto alla vigilia per i nuovi capigruppo: unica eccezione in casa Pd. Le trattative e la mediazione messa in atto dal segretario reggente, Maurizio Martina, sono proseguite fino all'ultimo momento utile: domenica i nomi più accreditati erano ancora quelli di Guerini alla Camera e Marcucci al Senato. Ma già da ieri mattina i contatti tra le varie anime, con riunioni al vertice al Nazareno, facevano presagire un cambio di rotta: e così nel corso della giornata sono spuntati i nomi dii Teresa Bellanova e Tommaso Nannicini. Poi l'ultima mediazione, quella vincente: Graziano Delrio al posto di Guerini. Non mancano, tuttavia i malumori.

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Sebbene l'elezione del ministro dei Trasporti sia avvenuta all'unanimità, c'e' chi, come Antonello Giacomelli osserva: "Martina ha esplicitamente messo la fiducia quindi era impossibile ogni tipo di intervento o di discussione. Per questo si è proceduto per acclamazione e non si è né discusso nè votato. Delrio è sicuramente una ottima proposta, meno comprensibile e' che non lo fosse Guerini. Però è importante che usciamo rapidamente da questa fase di comunicazioni e cominciamo a discutere di politica". Ma Martina rivendica la ritrovata unità: "Vogliamo provare tutti insieme a dare un segnale di squadra e l'unità è il presupposto per costruire il rilancio del Pd". Non che i malumori siano mancati anche dentro Forza Italia, ma per ora prevale anche tra gli azzurri la volontà di dare un'immagine di unità.

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Matteo Salvini avverte il Movimento 5 stelle e stronca sul nascere qualsiasi trattativa che abbia come punto di partenza diktat sulla premiership a Luigi Di Maio e veti sugli alleati di centrodestra. E se Palazzo Chigi dovrà andare a una "persona terza" – né lui né Di Maio – non potrà essere un tecnico ma dovrà essere un "politico", mette in chiaro. "Non puoi andare al governo dicendo 'O io o niente' altrimenti che discussione è? Se Luigi Di Maio dice 'O io o nessuno' sbaglia, perché a oggi è nessuno", scandisce il segretario leghista, ospite di Porta a porta.

"Non è il modo giusto per partire: se volessimo guardare i numeri rispettando il voto degli italiani, ha vinto il centrodestra e all'interno del centrodestra ha vinto la Lega. Non vedo l'ora di essere messo alla prova dei fatti ma sarebbe scorretto dire 'O io o il diluvio'. Se Di Maio insiste e dice 'Io io io', io dico 'Amico mio, non se ne fa niente'", continua, anticipando, però che incontrerà il candidato premier del M5s la "prossima settimana". Poi a chi gli chiede se direbbe 'Arrivederci' ai 5 stelle in caso nel caso in cui permanesse il veto su FI, il leader milanese risponde: "Assolutamente sì, è chiaro".

"Grillo e 5 stelle sono persone ragionevoli"

Per tutto il resto rimangono le aperture al Movimento fondato da Beppe Grillo, e soprattutto al dialogo su alcuni temi. "Conoscevo poco Di Maio e M5s. Devo dire che in questi giorni ho trovato persone ragionevoli, costruttive e propositive. Logico che ci siano schermaglie, ma attorno ad un tavolo è possibile ragionare", afferma Salvini. Ma "tutte le persone che sto incontrando mi dicono 'Adesso passate dalle parole ai fatti', il mio obiettivo è la cancellazione della Fornero, la riduzione delle tasse, il controllo dei confini, l'espulsione dei clandestini. Da quello riparto, lo proporremo come centrodestra unito, la coalizione che ha vinto è una squadra. Da soli non si va lontano. Io sono pronto, c'è una squadra pronta".

Per il numero uno della Lega, "non è il momento in cui l'Italia si può permettere delle preclusioni o degli arroccamenti: spero che entro un mese qualcuno possa giurare al Quirinale. Farò di tutto per avere un governo serio il prima possibile". La natura dell'esecutivo che ha in mente il 'capitano' leghista è chiara: "i governi con tutti dentro, tanto per far qualcosa, non sono per me. Io vado al governo se posso fare, escludo 'governissimì tanto per fare qualcosa: o riesco a fare il 90 per cento di quello che ho in mente o non ho paura di riandare a votare". "Proporremo a M5s un'idea di Italia non di cinque mesi, ma di cinque anni – assicura -. Non pretendo di imporre il mio pacchetto, ma tutti devono ritenersi provvisori su questa Terra".

"Aboliremo la Fornero, disposto a studiare il reddito di cittadinanza"

l programma di governo prende ispirazione da quello del centrodestra ma non senza aperture. "Entro il primo anno di governo le proposte diventano realtà: aboliremo la legge Fornero", promette. Mentre "sul reddito di cittadinanza sono disposto a studiare e capire. Se è un sussidio sine die per chi sta a casa allora no, perchè va contro la crescita e il lavoro. Se si tratta di un sussidio in attesa di riavviarsi al lavoro allora parliamone". Confermata l'apertura anche sui vitalizi parlamentari. "Se vado verso un sistema pensionistico totalmente contributivo, deve valere anche per la politica e lo faccio anche retroattivamente. Non è possibile che ci siano deputati o senatori che lo hanno fatto magari per un anno e che sono in pensione da tempo con 2-3 mila euro, è immorale. Non salva i conti del Paese ma è un segnale".

L'ipotesi Giorgetti premier

Oggi il gruppo della Lega alla Camera all'unanimità ha eletto presidente il vice di Salvini in segreteria, Giancarlo Giorgetti. E proprio attorno al suo nome i leghisti vorrebbero raccogliere un consenso, eventualmente allargato anche al M5s, da proporre per la premiership di un governo sostenuto da tutto il centrodestra. Ma al passo di lato su Palazzo Chigi annunciato da Salvini, ieri, non ha fatto seguito un gesto del tutto simile da parte del leader pentastellato che anzi ha rivendicato quella poltrona per Di Maio come conditio sine qua non per l'avvio di qualsiasi dialogo. E tra i leghisti in molti hanno letto questo gesto come il segno che i 5 stelle stiano cercando in altre direzioni, Pd o FI, in vista della trattativa per il governo che si aprirà formalmente martedì con le consultazioni.

L'ipotesi è stata evocata dallo stesso Giorgetti: "Se nessuno rinuncia a niente, non si arriva da nessuna parte. Se vuole, Di Maio può chiedere al Pd. Magari il Pd riconosce a Di Maio il ruolo di presidente del Consiglio. La vedo molto, molto improbabile, ma mai dire mai". Intanto al Colle il centrodestra andrà diviso e probabilmente con richieste diverse, almeno allo stato attuale. FI e FdI hanno già fatto sapere che confermeranno la versione concordata nel primo vertice 'post votò: governo di centrodestra con Salvini premier (anche se per la formazione di un esecutivo di questo colore mancano almeno una cinquantina di parlamentari). Non è chiaro ancora cosa proporrà la Lega: a questo proposito il segretario leghista si è limitato a dire che "il punto di partenza è il programma di centrodestra", che eventualmente sarà sottoposto al Parlamento. Prossimo passo l'elezione dei vice presidenti delle Camere, giovedì. In pole per la Lega l'altro vice di Salvini, Lorenzo Fontana, a Montecitorio, e l'uscente Roberto Calderoli, a Palazzo Madama.

Un Occidente al tramonto, una Tradizione da riscoprire, tanti nemici assoluti da combattere soprattutto nel nome dell’appartenenza ad una ortodossia: c’è una forte continuità tra il Salvini che ieri ha criticato la decisione dell’Ue di fare il muso duro con la Russia, quello che mostrava il rosario e il Vangelo in un comizio preelettorale, quello che riceve l’endorsement di Steve Bannon. Anzi: non c’è nessuna discrepanza, anche se a prima vista criticare l’Ue nel nome dei valori dell’identità e vedere in Putin quasi una figura protettiva sono atteggiamenti che possono confondere. Quanto poi al Vangelo ed al rosario, che i vertici della Conferenza Episcopale se ne risentano è qualcosa a cui rispondere, più o meno, con un’alzata di spalle.

Eppure, per l’appunto, un metodo c’è, dietro tanta apparente confusione. Lo stesso Salvini lo lascia capire nello stesso momento in cui, nel respingere l’idea dell’espulsione dall’Italia di un paio di diplomatici russi per il caso Skripal, ha sottolineato come il vero pericolo sarebbe l’Islam terrorista. Anche qui; cosa c’entra una cosa con l’altra? C’entra, quasi a livello consustanziale. Almeno a seguire il filo di un certo ragionamento. Quello che Steve Bannon, ex stratega vicino al cuore di Trump, usa per ordire la sua rete di contatti che lo ha portato dalle nostre parti e lo ha spinto a vedersi, l’8 marzo scorso, a Milano con il leader leghista.

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Non è stato certo il primo viaggio italiano di Bannon, e forse nemmeno il più importante. Quello che segnò uno spartiacque ebbe luogo nel 2014, e lo vide presentarsi addirittura in Vaticano per partecipare ad una conferenza di opinionisti e pensatori non esattamente schierati con il nuovo corso di papa Francesco. “Siamo fuori della carreggiata”, affermò, “la nostra è una crisi della Chiesa, della fede, dell’Occidente e del capitalismo”. 

Insomma, come esattamente un secolo fa, quando Oswald Sprengler spianava il terreno alla destra europea teorizzando il tramonto dell’Ovest.  Solo che questa volta c’è Vladimir Putin a comprendere quali siano i pericoli dell’espansione islamica e la necessità di rafforzare l’identità e la tradizione di ciascuno, e “noi dobbiamo davvero prestare attenzione a quello che Putin dice”. Leader dell’Eurasia, propugnatore di una “Unione Paneuropea” che ben poco ha da spartire con l’Unione di Bruxelles.

Un vero e proprio programma politico. Con un ultimo particolare: in quel discorso Bannon citò, e non per criticarlo, persino Julius Evola, che teorizzava la rivolta contro il mondo moderno e le sue democrazie frutto dell’indebolimento delle identità dei figli del Sole.

Salvini non ha mai citato Evola, però a Mosca è andato diverse volte e non da ieri sono noti i suoi rapporti con la leadership russa. Non è certo l’unico in Italia, tantomeno in Europa: colpisce che tra i paesi dell’Ue che non hanno voluto aderire alla politica delle espulsioni dei diplomatici russi vi sia l’Austria, dove la destra al potere ha i suoi interlocutori privilegiati tra le parti del Cremlino.  

Intanto si sta dimostrando essere il miglior interlocutore del sovranismo europeo. A differenza però degli inglesi dello Ukip, anche loro amici di Bannon, sarà chiamato ad assumersi tra qualche tempo responsabilità di governo. A differenza della destra austriaca, con rispetto parlando, dovrà farllo in un Paese che storicamente è uno dei pilastri dell’Unione Europea e della Nato. Atlantismo ed europeismo sono i due cardini della politica estera italiana fin dal 1945, e nessuno ha osato metterli in discussione.  Almeno finora. Un cambiamento di rotta difficilmente passerà senza essere notato dalle parti di Washington e di Bruxelles.

Chiusura di Equitalia, abolizione della Legge Fornero, modifica della Buona scuola, contrasto all'immigrazione clandestina. In campagna elettorale hanno speso parole contro gli inciuci della vecchia politica, e anche dopo il voto del 4 marzo Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno escluso la possibilità di un'intesa per andare insieme al governo. Prese di posizione ribadite più volte anche dopo l'elezione dei presidenti del Senato e della Camera, frutto – quelle sì – di accordi e veti incrociati. Mettendo a confronto i programmi presentati agli elettori dalla Lega e dal Movimento 5 stelle i punti di convergenza però non sono pochi, a partire dal tema delle pensioni.

Pensioni

Per il Carroccio si devono reintrodurre le pensioni di anzianità e la quota 100 (la somma tra l'età anagrafica e l'età contributiva) abolendo la legge Fornero, per i 'grillini' la riforma approvata dal parlamento sotto il governo Monti si deve invece "superare", tagliando anche le pensioni d'oro e portando quelle minime a 780 euro, contro i 1.000 di Salvini e centrodestra. Anche sul tema del taglio dei costi della politica, evocati da ultimo dal neo presidente della Camera, Roberto Fico, durante il discorso di insediamento, le comunanze non mancano, così come sul lavoro. Di Maio vuole reintrodurre l'articolo 18, Salvini – che ha sempre criticato la misura contenuta nel Jobs act del governo Renzi – spinge anche sul varo del salario minimo.

L'Europa

Parità di vedute anche sul rapporto con l'Europa, nei confronti delle politiche di austerità e sulla proposta di superare il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil per trovare risorse per concedere più aiuti alle famiglie e alle imprese. In entrambi i programmi si chiede poi la modifica dei Trattati e si annuncia l'intenzione di portare il Paese a contare di più nel contesto europeo.

Immigrazione

Sul tema dell'immigrazione – uno degli argomenti più dibattuti durante le settimane precedenti al voto – le posizioni non sono molto dissimili. Sul fatto che i migranti irregolari vadano rimpatriati, nessuno dei due ha dubbi e se la Lega propone il potenziamento dei centri di identificazione ed espulsione e intese con i paesi di provenienza dei migranti per scoraggiare le partenze, il Movimento propone (tra le altre misure) il superamento del regolamento di Dublino "perché il meccanismo di redistribuzione dei migranti deve essere automatico e obbligatorio".

Fisco

Sul capitolo tasse si registrano invece divergenze di rilievo, ma l'obiettivo di abbattere la pressione fiscale e' comune. La Lega vuole la flat tax e una no tax area per chi guadagna fino a 12mila euro annui. Una misura, la prima, criticata dagli M5s che invece propongono una rimodulazione verso il basso delle aliquote dell'Irpef e niente tasse per chi percepisce fino a 10mila euro. Divergenze anche sulle politiche di sostegno. Il Movimento 5 stelle insiste con il reddito di cittadinanza, la Lega lo boccia e oppone il reddito di dignità. "L'importante è che non ci sia una legge che ti paga se stai a casa", ha confermato proprio oggi Salvini che ha poi aggiunto: "Quando la capiremo ne parleremo".