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Continuano ininterrotti i contatti fra M5s e Lega alla vigilia delle consultazioni al Quirinale. Lo confermano fonti qualificate ribadendo, tuttavia, che Luigi Di Maio e Matteo Salvini non si incontreranno prima del giro di consultazioni avviato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Negli ultimi giorni Di Maio ha cercato di stanare i due ipotetici partner di maggioranza, visto che ha dichiarato di guardare anche al Pd. Lo ha fatto anche oggi, con un post, chiedendo loro di scegliere fra il passato e il governo di cambiamento da siglare con un contratto alla tedesca che non sarà un "inciucio".

In realtà, in ambienti parlamentari di centrosinistra, si apprende che i contatti con i Dem, anche con le parti definite più dialoganti, non sarebbe affatto fitto: 'non ci risulta, anzi', dice qualcuno. In ogni caso, la volontà di M5s è arrivare presto alla formazione di un nuovo esecutivo, non per tirare a campare, ma per il bene del Paese. Un Governo dove si lavori insieme e dove il programma da portare avanti, l'impegno che deve essere messo nero su bianco, è l'unico collante fra forze anche distanti. Ecco il senso dell'invito lanciato oggi da di Maio ad incontrarsi comunque al più presto.

Il messaggio di Di Maio alla Lega

La Lega "è la forza politica che ha preso più voti all'interno di una coalizione di centrodestra che di fatto non esiste, e che alle elezioni si è presentata con tre programmi e tre candidati premier differenti", ha scritto il capo politico di M5s Luigi di Maio, sul blog delle Stelle. Deve "decidere da che parte stare: se contribuire al cambiamento che il M5S vuole realizzare per il Paese o se invece rimanere ancorata" a Silvio Berlusconi, un uomo che ha già avuto la possibilità di cambiare l'Italia e che non lo ha fatto.

La scelta è tra cambiare o lasciare tutto com'è, tra spostare le lancette dell'orologio avanti oppure indietro come farebbe inevitabilmente Berlusconi", ha spiegato . Anche il Pd è chiamato a scegliere. Scegliere se seguire la linea di Renzi, che per fare un dispetto al Movimento 5 Stelle vuole lavarsene le mani dei problemi del Paese, o la linea di chi invece vuole contribuire a lavorare per i cittadini.

Il messaggio di Di Maio al Pd

Il Pd ha l'opportunità di non ignorare il messaggio arrivato dagli elettori, che hanno chiaramente bocciato le loro politiche e la legge elettorale che porta la loro firma", ha aggiunto Di Maio, che sabato , si è appreso, sarà ad Ivrea alla convention 'Sum' di Davide Casaleggio. Con il Movimento 5 stelle "c'è un terreno per costruire un governo se cadono certe pregiudiziali", ha ribadito oggi il vicesegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti. La Lega vorrebbe "mettere in piedi un governo forte – ha insistito – che difende gli interesse degli italiani". Ma resta il problema dei veti posti dai 5 Stelle a Silvio Berlusconi e la 'granà della leadership di governo.

"I 'no' servono per fare le trattative i 'si' per fare i governi", ha sottolineato oggi Giorgetti sul fronte che riguarda i veti M5s sul Cavaliere. Se Di Maio e Salvini corrono tutt'e due per Palazzo Chigi, dal Carroccio sono arrivate anche delle aperture: la formula della premiership affidata a un 'terzò rispetto ai due leader di partito in un eventuale governo coi 5 stelle "può avere un senso", ha detto lo stesso Giorgetti.

A patto che, ha poi precisato il vicesegretario della Lega "la persona che guida il governo abbia una legittimazione da parte degli italiani: non può essere un tecnico o un professore". E su questo già lo stesso Di Maio ha precisato: stop a presidenti non eletti. Mettendo, però anche fine ad un'ipotesi circolata nei giorni scorsi in ambienti vicini al Carroccio, di un possibile passo di lato di tutti e due leader.

Il Movimento la premiership continua, infatti, a rivendicarla. Certo, la partita è ancora aperta e in campo ci sono anche le elezioni regionali in Friuli, il 29 aprile, dove per il centrodestra unito corre l'ex capogruppo alla Camera della Lega Massimiliano Fedriga. Oggi, intanto, un nuovo asse M5s- centrodestra si è materializzato in Senato con l'elezione di Vito Crimi alla presidenza della commissione Speciale. Uno schema che ripete quello realizzato per l'elezione del più alto scranno di Camera e Senato.

Con l’avvio delle consultazioni al Quirinale, la ricerca di una soluzione per la nascita di un nuovo Governo è nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, ha analizzato gli orientamenti degli elettorati dei due partiti usciti vincitori dalle urne e che si contendono oggi Palazzo Chigi: i 5 Stelle e la Lega. 

La soluzione preferita dal 46% di chi ha votato il 4 marzo per il Movimento guidato da Luigi Di Maio, sarebbe quella di un Governo M5S-Lega. In seconda battuta, il 27% preferirebbe tornare alle urne, preferibilmente con una nuova legge elettorale; poco meno di un quinto guarda con interesse ad una soluzione con il Partito Democratico e Liberi e Uguali. In coda, indicata da appena il 4% degli elettori 5 Stelle, l’opzione di un Governo con l’intero Centro Destra, inclusivo di Forza Italia.

Demopolis ha studiato anche gli orientamenti dell’elettorato di Salvini: il 65% riterrebbe accettabile l’ipotesi di un Governo tra i due partiti usciti vincitori il 4 marzo. Sarebbe invece da escludere un’alleanza del Centro Destra con il PD, ritenuta inaccettabile da chi ha votato Lega il 4 marzo. 

“In estrema sintesi – spiega il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento – la soluzione meno apprezzata dagli elettori del Movimento 5 Stelle si conferma quella di un Esecutivo con l’intero Centro Destra (Lega-Forza Italia-FdI), che piacerebbe soltanto al 4% degli intervistati. Sul fronte opposto – conclude Pietro Vento –  l’opzione più invisa ai leghisti risulterebbe quella di un’alleanza con il Partito Democratico, condivisa da appena 5 elettori su 100”. 

La luna di miele tra le due aree politiche si attenua, però, sul nome del Presidente del Consiglio. L’Istituto Demopolis ha rilevato, per il programma Otto e Mezzo, l’opinione degli elettori del Movimento 5 Stelle. Se l’83% ritiene ovviamente auspicabile un Governo con la Lega guidato da Luigi Di Maio, l’ipotesi opposta troverebbe la resistenza di quasi i due terzi dell’elettorato: appena il 20% degli elettori 5 Stelle vedrebbe positivamente un Governo guidato dal leader leghista Matteo Salvini. 

Nota informativa – L’indagine è stata condotta dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, per il programma Otto e Mezzo, dal 2 al 3 aprile 2018 su un campione stratificato di 1.500 intervistati, rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. Supervisione della rilevazione demoscopica di Marco E. Tabacchi. Coordinamento del Barometro Politico Demopolis a cura di  Pietro Vento, con la collaborazione di Giusy Montalbano e Maria Sabrina Titone. Approfondimenti e metodologia su: www.demopolis.it

Deputati e senatori con incarichi aziendali multipli, aziende rappresentate in Parlamento quasi come partiti politici: è il quadro che emerge da una ricerca di Openpolis, in cui si dimostra che il fenomeno riguarda tutte le principali formazioni politiche, anche se con gradazioni diverse.

 Il primato è del centrodestra

Tra i casi più evidenti  Guido Della Frera, neo deputato di Forza Italia, che sarà il parlamentare con il più alto numero di incarichi aziendali della XVIII legislatura, per la precisione 21. Imprenditore del settore sanitario, turistico, alberghiero e ristorativo, Della Frara è anche socio di 8 diverse aziende.  

Sempre con Forza Italia in Toscana è stato eletto Maurizio Carrara, imprenditore nato a Firenze con ben 14 diversi incarichi aziendali. Carrara sarà l’onorevole con il più alto numero di partecipazioni aziendali, essendo socio di 11 imprese.

Assieme a Della Frera e Carrara meritano menzione anche Daniela Santanchè di Fratelli d’Italia, con 16 incarichi aziendali, e Emilio Floris (Forza Italia) socio di 10 diverse imprese. Complessivamente il 35% degli incarichi aziendali e il 33,53% delle partecipazioni presenti nella nuova camera e nel nuovo senato sono riconducibili a parlamentari di Forza Italia.

Oltre a quelli già citati, sono molto ricorrenti anche i nomi degli onorevoli: Giuseppe Massimo Ferro (14 incarichi e una partecipazione), Salvatore Sciascia (12 incarichi), e Cristina Rossello (10 incarichi). Poco distante dal movimento di Silvio Berlusconi troviamo la Lega, seconda in classifica per entrambe le variabili. A seguire il Movimento 5 stelle con il 19,50% delle partecipazioni aziendali e il 20,23% delle partecipazioni.

M5S e Lega, non mancano imprenditori e ad

Il partito guidato da Luigi Di Maio ha schierato, soprattutto nei collegi uninominali, numerosi imprenditori. Tra quelli ora in parlamento possiamo citare: Michele Gubitosa, eletto ad Avellino e socio di 4 aziende e con 8 diversi incarichiMario Turco, senatore pugliese, con 8 incarichi aziendali e infine Salvatore Caiata (attualmente nel gruppo misto) presidente del Potenza calcio con 6 proprietà e 6 incarichi aziendali.

Per quanto riguarda la Lega i neo deputati e senatori con più interessi economici sono Massimo Bitonci, ex sindaco di Padova, con 11 incarichi aziendali e 3 proprietà aziendali, e Giulio Centemero, anche lui con 11 incarichi aziendali, tra cui Ad di Radio Padania, e con quote in una società in liquidazione.

Nel Pd i numeri calano

Volendo stilare una classifica dei parlamentari con più interessi economici, scondo Openpolis sono pochi gli eletti del Partito democratico che figurerebbero in cima. Tra i primi 15 con più partecipazioni, solamente Gianfranco Librandi, deputato lombardo al secondo mandato, socio di 4 aziende. Per quanto riguarda gli incarichi aziendali, possiamo menzionare: Andrea MarcucciClaudio Mancini e Andrea Colaninno, tutti a quota 7.

Le aziende più rappresentate

Tre consiglieri della Arnoldo Mondadori Editore Spa sono stati eletti in parlamento: Cristina RosselloAlfredo Messina e Pasquale Pio Graziano Cannatelli. Quest'ultimo è anche vice presidente Fininvest, azienda che schiera in parlamento anche il consigliere Salvatore Sciascia. Tutti neo deputati e senatori del centrodestra. Altra azienda gettonata in parlamento è la Dedalo comunicazione Srl, che con le politiche del 4 marzo è riuscita a far eleggere due dei suoi tre soci, tutti di Fratelli d'Italia: Augusta Montaruli e Giovanni DonzelliMichele Barcaiuolo, terzo socio, invece è rimasto escluso. Eletti anche i 2 consiglieri di Cassa depositi e presitiPiero Fassino e Massimo Garavaglia.

La politica del muso duro scelta dai grillini alla vigilia del gran consulto al Quirinale aumenta le tensioni nel  centrodestra, e la Lega si trova davanti al dilemma di scegliere l’antica amicizia con Berlusconi oppure la nuova avventura con Di Maio.

Ma c’è un ma: dal Colle si lascia intendere che i tempi potrebbero essere lunghi, e quando i tempi si allungano aumentano le possibilità di colpi di scena. Anche perché, a ben guardare, un mese non è bastato a sbloccare una situazione uscita quantomeno interlocutoria dalle urne.

Un leader da pensionare

Qualcuno dalle parti del Pd è convinto del contrario, e cioè che i due siano già d’accordo da settimane, e che al momento giusto tireranno fuori l’idea risolutrice (cioè: Berlusconi pensionato, loro due al governo). Se così, lo si capirà nel giro di 48 ore.

Del resto scrive La Stampa: “Silvio di Matteo non si fida per niente, in cuor suo sa già che l’alleato leghista è pronto a scaricarlo, addirittura non vede l’ora di liberarsi della palla al piede berlusconiana e il veto grillino è arrivato a proposito. Dopodiché l’ex premier è deciso a reagire con tutta l’energia necessaria”. E non sarà una reazione soft.

Le 3 opzioni di Salvini

Comunque la Lega si tiene le mani libere: “In ordine di preferenza, quindi, le ipotesi aperte davanti a Salvini sono tre. La migliore, diciamo il piano A, è un governo di centrodestra con lui premier che vada in Parlamento a cercare i voti mancanti, cosa difficile perché alla Camera ne servono più di 50 (‘Comunque meno dei 90 necessari a Di Maio’, spiega un leghista). Il piano B è un governo con il M5S. Il piano C sono le elezioni in autunno, previa una nuova legge che assegni un premio di maggioranza alla coalizione. Prima, si incasserebbero i risultati, previsti ottimi, delle regionali in Friuli del 29 aprile e delle amministrative del 10 giugno. Poi si andrebbe alle politiche cannibalizzando Fi”.

Manovre pentastellate

Anche perché, scrive il Corriere della Sera, anche da questo punto di vista gli interessi dei due partiti usciti rafforzati e non poco dalle urne non sono esattamente in contrasto. Per il M5s “il piano è quello. Andare avanti, procedere lentamente ma inesorabilmente fino a quando si chiuderà la finestra del voto entro l’estate e il Paese si troverà in una condizione di stallo ormai insopportabile. A quel punto, i 5 Stelle saranno cresciuti nei sondaggi e potrebbero minacciare di andare all’incasso con una nuova tornata elettorale.

Ma è un piano che non dispiace affatto alla Lega, nonostante le dichiarazioni di oggi. Perché il Carroccio, dichiarandosi leale a Forza Italia, si dichiarerà fedele anche all’alleanza elettorale di centrodestra. Che potrà presentarsi unita alle Regionali di aprile. Secondo le previsioni, le elezioni potrebbero sancire un nuovo successo di Salvini (attraverso il candidato Massimiliano Fedriga). E la debacle definitiva di Berlusconi”.

Tempi lunghi

Solo che di qui alle prossime, eventuali, elezioni anticipate gli scenari possono cambiare sotto l’effetto di pressioni esterne. Ancora sul Corriere della Sera si legge che Sergio Mattarella “non metterà fretta ai suoi interlocutori. È consapevole che serve tempo prima che possano decantare le tensioni delle ultime settimane. Perciò ha messo in preventivo addirittura un paio di mesi per chiudere la partita: dopotutto la Germania ne ha impiegati sei per risolvere la propria crisi con una grande coalizione. Ma questa è per lui una scadenza limite.

Se infatti le forze politiche si estenueranno in un confronto inconcludente (e c’è chi, per i toni da campagna elettorale che continua a usare, sembra davvero puntare a un ravvicinato voto-bis più che a trovare un successore a Paolo Gentiloni), rischiamo di trovarci senza un inquilino con pieni poteri a Palazzo Chigi quando scatteranno alcuni appuntamenti delicati”. Il Def, innanzitutto, ma anche il Consiglio Europeo di fine giugno, in cui dovranno essere prese decisioni fondamentali anche in materia di immigrazione.

E non è solo un problema di migranti. Sottolinea La Repubblica: la Commissione Ue e i partner europei non potranno accettare che l’unico governo dell’Unione di chiaro stampo populista possa violare le regole comunitarie senza alcuna sanzione. Il precedente di Brexit sta spingendo i vertici dell’Ue a non transigere più”. Come dire: il populismo alla fine divora se stesso. E le prospettive di un governo magari affidato ad un terzo, un tecnico gradito a entrambi, e con il duo Salvini-Di Maio dentro sono ancora tutte da esplorare. Con lapidaria sintesi: “Come era inevitabile, le consultazioni di Mattarella cominciano nel buio fitto”. Lo stesso del 5 marzo scorso.

 

     

Con l'avvio delle consultazioni si apre una fase delicata della politica italiana. I media seguono l'evolversi della situazione, ma spesso utilizzando termini che per politici e giornalisti sono ovvi come una chiave inglese per un idraulico, mentre per chi nella vita si occupa d'altro o non è appassionato della materia sono spesso oscure. Ecco dunque un manuale per seguire passo passo la vicenda.

SALIRE AL QUIRINALE (o al Colle): non è una passeggiata di salute, ma la decisione del presidente del Consiglio, che lavora nella sede del governo a palazzo Chigi, di andare a confrontarsi con il presidente della Repubblica. Quest'ultimo, che attualmente è Sergio Mattarella, lavora nella sede della presidenza della Repubblica, che è il palazzo del Quirinale. Il tratto di strada tra i due palazzi è, appunto, in salita poiché il Quirinale sorge sull'omonimo colle di Roma.

CONSULTAZIONI: quando c'è una crisi di governo il Presidente della Repubblica chiama uno a uno al Quirinale gli ex presidenti della Repubblica e i capigruppo delle diverse forze politiche (eventualmente accompagnati dai rispettivi leader) per consultarli sulla loro volontà. Ogni gruppo spiega al Capo dello Stato se intende sostenere un governo, quale, con quali altre forze politiche.Oppure se preferisce che si vada a elezioni anticipate. Ci possono essere più giri di consultazioni prima che si giunga a una soluzione.

STUDIO ALLA VETRATA: è lo studio al piano nobile del Quirinale dove il Capo dello Stato riceve i politici per le consultazioni.

MANDATO ESPLORATIVO: il presidente della Repubblica, se nelle consultazioni non è emerso il nome di un possibile presidente del Consiglio condiviso da una maggioranza di parlamentari, può dare a una personalità terza (magari istituzionale come uno dei presidenti delle Camere) l'incarico di verificare se almeno esiste una maggioranza che sostenga un governo a un esponente non troppo caratterizzato politicamente e quindi divisivo. Il mandato esplorativo, se ha esito positivo, può diventare incarico di formare il governo.

PREINCARICO: il Presidente della Repubblica può decidere (come fece Napolitano con Bersani nel 2013) di affidare un incarico non pieno a chi ha maggiori possibilità di trovare una maggioranza pur non avendo tutti i numeri necessari. Se trova anche gli ultimi voti il preincarico si può trasformare in incarico pieno per diventare premier, altrimenti deve tornare al Quirinale e il Presidente cercherà una altra personalità a cui affidare il tentativo di dar vita a un governo. 

GOVERNO POLITICO: è un governo che ha una maggioranza politica coesa, uscita dal voto delle elezioni politiche in base ad accordi sul programma e, in linea di massima, sul nome del presidente del Consiglio.

GOVERNO ISTITUZIONALE: è un governo che, nell'impossibilità di avere un governo politico, viene guidato da una figura istituzionale (di solito uno dei due presidenti di Camera o Senato).

GOVERNO DEL PRESIDENTE: è un governo il cui presidente del Consiglio è scelto dal presidente della Repubblica in quanto figura di spicco e prestigiosa, anche se non politica. Anche il programma di governo è fortemente suggerito dal Capo dello Stato.

GOVERNO TECNICO: governo guidato da una personalità tecnica, di solito proveniente dal mondo economico e non eletto alle elezioni, chiamato dal Capo dello Stato in una fase di fibrillazione delle istituzioni per una crisi economica.

GOVERNO DI SCOPO: è un governo che può esser guidato da un politico, un tecnico o una carica istituzionale, ma ha un programma chiaro e delimitato a pochissimi punti. Solitamente si tratta di uno o due punti di programma, che vanno dall'approvazione della legge di bilancio a una riforma istituzionale o elettorale. 

APPOGGIO ESTERNO: alcuni gruppi parlamentari possono decidere di non far parte della maggioranza, di non entrarvi, ma di permettere comunque che il governo nasca. I parlamentari di questi gruppi non votano contro la fiducia, ma nemmeno a favore: di solito o si astengono o non partecipano al voto.

ELEZIONI ANTICIPATE: se dopo una crisi di governo nessuno dei mille tentativi possibili ha successo si va ad elezioni politiche prima che termini il tempo naturale previsto di 5 anni. 

FIDUCIA AL GOVERNO: quando il governo (o esecutivo) si presenta alle Camere, dopo un discorso del presidente del Consiglio che espone il suo programma, deputati e senatori
votano la fiducia. Se il governo la ottiene governa, altrimenti cade e si apre una crisi.

PASSAGGIO PARLAMENTARE: è l'occasione in cui il governo si presenta alle Camere, solitamente con un discorso del presidente del Consiglio (attualmente Matteo Renzi) e chiede ai parlamentari di dare un voto (si, no o astensione) al discorso e quindi al governo medesimo. Può anche concludersi senza un voto se il presidente del Consiglio, sentiti gli interventi dei capigruppo in Aula, decide di evitare che i parlamentari si esprimano e trae le sue conclusioni. Di solito dopo tale passaggio sale di nuovo al Colle per riferire al Capo dello Stato le sue intenzioni.

RIMPASTO: quando un governo ottiene di nuovo la fiducia dalle Camere, dopo aver però cambiato qualche ministro o sostituito uno o più partiti di maggioranza con altri. Si parla in questo caso di 'bis' (ad esempio Gentiloni bis).

REINCARICO: per avere un rimpasto il presidente della Repubblica deve dare di nuovo l'incarico di formare il governo allo stesso presidente del Consiglio che si è appena dimesso. E dunque gli affida il reincarico.

RIMANDARE ALLE CAMERE: il presidente della Repubblica chiede al presidente del Consiglio di verificare se ha ancora la maggioranza e lo manda alle Camere per ottenere il voto di
fiducia.

VERIFICA DELLA MAGGIORANZA: nel passaggio alle Camere si ha una verifica della tenuta della maggioranza, solitamente serve il voto dei deputati, ma in teoria può anche bastare il pronunciamento dei capigruppo.

CRISI DI GOVERNO: quando per diversi motivi il governo non ha più la fiducia della sua maggioranza o il presidente del Consiglio si dimette. Comincia un iter gestito dal presidente della Repubblica che porta o a un nuovo governo o a elezioni.

DIMISSIONI: quando il presidente del Consiglio, salito al Quirinale, comunica al presidente della Repubblica che non intende proseguire nel suo incarico. Il Capo dello Stato può chiedere al premier (presidente del Consiglio) di provare a formare un nuovo governo (e gli affida il reincarico) oppure accetta le sue dimissioni.

DIMISSIONI IRREVOCABILI: il presidente del Consiglio non accetta il reincarico e lascia definitivamente palazzo Chigi. Il presidente della Repubblica può dare l'incarico a un altro, dopo aver svolto le consultazioni, o può sciogliere le Camere se non c'è nessuna maggioranza per un altro governo.

PARLAMENTARIZZAZIONE DELLA CRISI: in passato le crisi di governo sono state spesso gestite tutte in consultazioni più o meno formali e non sono passate dal voto delle Camere. Ultimamente, salvo rari casi, si preferisce seguire alla lettera la Costituzione e decretare la crisi di governo con un voto di sfiducia di Camera o Senato. 

Pronti via. La legislatura è appena iniziata e già è tutto un fiorire di iniziative: leggi per gli animali nei circhi, leggi per il pomodoro, leggi per modificare la Costituzione, leggi per i cortei in costume. Molte sono iniziative del tutto programmatiche e legate alla linea politica presentata dai singoli partiti nella campagna elettorale, altre hanno l’aspetto delle classiche leggine pronte a pesare al momento giusto, in una commissione magari in sede deliberante.

Le ha raccolte, analizzate, elencate e sistematizzate l’edizione cartacea del Messaggero, scoprendo peraltro che la buona volontà, a queste Camere, non fa certo difetto. Nella legislatura finita con le elezioni del 4 marzo – durata un filo meno dei cinque anni canonici – i disegni di legge di iniziativa parlamentare erano stati circa 7.400. Oggi, con Montecitorio e Palazzo Madama aperti da pochissimi giorni (una decina a cui togliere le festività pasquali, le domeniche, i giorni impegnati in altre attività istituzionali come l’elezione dei presidenti delle assemblee, e scusate se è poco) siamo già a quota 436. Di questo passo, prima dell’estate si sarà abbattuto il muro delle 1.500, se non delle duemila; alla fine dell’anno si marcerà oltre le cinquemila e, se la legislatura dovesse reggere fino in fondo, si arriverebbe a 25.000 e passa disegni di legge. Un parlamento che non dorme mai.

Quanto agli argomenti, molte iniziative sono volte a recuperare il lavoro lasciato a metà dalla fine della legislatura precedente, e deve essere ricominciato da capo. Ecco allora che Leu, per mano di Laura Boldrini, rilancia un provvedimento sullo Ius Soli. In contemporanea Piero Grasso chiede che venga istituita anche da queste Camere la Commissione d’inchiesta antimafia. Con la stessa coerenza Giorgia Meloni propone – e vorrebbe il Parlamento disponesse – la modifica delle regole per l’elezione del Presidente della Repubblica. Tutte materie pesanti e coerenti con il dibattito politico preelettorale. Coerenza anche da Maria Vittoria Brambilla, già avanti nella battaglia per i diritti degli animali nel chiedere il divieto per il loro utilizzo nei circhi e negli spettacoli popolari come nei mezzi a trazione (leggi carrozzelle). Ma non solo: tutela per loro anche nel corso delle eventuali separazioni matrimoniali dei loro padroni, perché se la coppia scoppia non deve rimetterci il cane.

Ma anche il pomodoro San Marzano ha i suoi diritti, e il deputato di Forza Italia Paolo Russo chiede a riguardo il rafforzamento delle garanzie della Dop.

Per amor di statistica: i più prolifici in assoluto sono quelli del centrodestra (trecento proposte circa) seguiti dal Pd (un centinaio) e dai grillini (sessanta o giù di lì). Ma nel rapporto rappresentanza istituzionale-capacità d’iniziativa a vincere sono i parlamentari delle minoranze linguistiche, che tra Camera e Senato sono poche decine ma hanno già proposto 62 iniziative. Di questo passo, alla fine dell’anno saranno in caso di mantenimento del ritmo di produttività almeno 250. Ma una regola che va ben oltre le mura dei palazzi, ed investe tutte le sfere dell’agire umano, è quella della stanchezza: si inizia con l’entusiasmo, poi ci si accorgere che reggere il passo è dura. E subentra la stanchezza.

Alberto Lucarelli è professore di Diritto Costituzionale a Napoli, estensore con Ugo Mattei del referendum sull'acqua del 2011 e assessore nella fase iniziale della giunta De Magistris. Ma, soprattutto. è il mentore del nuovo presidente della Camera, il grillino Roberto Fico. E' lui che ha ispirato e sostenuto sul piano giuridico l'azione sui beni comuni e sulla democrazia partecipativa. E riguardo il suo pupillo assicura: "è uno veramente di sinistra e non andrà mai con la Lega". 

Fico e Lucarelli, racconta il costituzionalista a La Stampa, si sono  conosciuti a Napoli nel 2005, ai tempi delle Assise di Palazzo Marigliano  con Gerardo Marotta per parlare di acqua, rifiuti, beni comuni. "Siamo sempre rimasti in contatto, lui veniva spesso a trovarmi all'università per consigli sui quei temi" racconta Lucarelli, "è uno coerente, determinato, coraggioso. Realmente di sinistra".

Che vuol dire essere di sinistra

Già, di sinistra., Ma che vuol dire per un grillino essere di sinistra? "Che pone al centro della sua azione politica la relazione tra giustizia sociale e tutela dell'ambiente e del territorio, secondo le logiche di democrazia partecipativa più fedeli al concetto di sovranità popolare" spiega il costituzionalista che ora spera che questi temi "siano finalmente portati nell'agenda parlamentare". E tra le cose che gli ha suggerito, dopo l'elezione, ci sono: fronteggiare la direttiva Bolkenstein dell'Ue per evitare la svendita e la privatizzazione delle spiagge e delle coste e a rilanciare i lavori interrotti della commissione Rodotà sui beni comuni.

Oltre a riproporre il vincolo costituzionale di mandato per i parlamentari per "scongiurare quel mercato delle vacche delle ultime legislature e i passaggi di casacca hanno costituito uno dei maggiori tradimenti della volontà popolare".

Nessun problema, poi, per Lucarelli a definire 'populista' M5s: "E' un movimento che si relaziona direttamente al popolo, presenta caratteri del populismo".

I 5 punti fondamentali

Secondo il mentore di Fico, a questo punto M5s dovrebbe "mettere sul tavolo cinque punti fondamentali su politica internazionale, economia, lavoro, Europa e ambiente, cercando un'alleanza con le forze democratiche del Paese, non solo con il Pd". Esclusa un'alleanza con la Lega che non sarebbe "in linea con la cultura politica di Fico" il cui "pensiero democratico" è "ispirato ai principi dell'inclusività e dell'accoglienza".

È passato quasi un mese dalle elezioni, ma pare che sia passata solo qualche ora: alla vigilia delle consultazioni al Quirinale la situazione resta congelata esattamente come se fosse la mattina del 5 marzo.

Due partiti che rivendicano la vittoria e palazzo Chigi, un perdente dilaniato, un semiperdente che si è messo in posizione di attesa, e sta alla finestra. I quotidiani di stamane fotografano il paesaggio, e spiegano. Spiegano che il primo giro di consultazioni, c’è da scommetterci, finirà come è iniziato, nell’incertezza, e che questa no sarà colpa della Presidenza della Repubblica.

Intanto Di Maio e Salvini dovranno trovare un’uscita allo stallo, il Pd alla crisi interna, Berlusconi al problema di che fare di se stesso e del suo partito, soprattutto alla luce del fatto che in questa fase pare destinato più a subire che ad attaccare. 

Scrive il Corriere della Sera che “le consultazioni partiranno al buio, senza un’ipotesi di accordo sul tavolo” e che i due contenenti per la guida del governo, Di Maio e Salvini, non scopriranno le carte prima della prossima settimana, vale a dire del secondo giro di stadio.

“Se l’enigma non sarà sciolto  nemmeno con un terzo nome, Mattarella potrebbe non affidare alcun incarico esplorativo e dare ai partiti qualche altro giorno, per svolgere le loro assemblee e poi tornare al Quirinale con le idee più chiare”.

Problemi di chi ha vinto. Tra chi invece ha perso “il più dilaniato è il Pd, che non trova un punto di equilibrio tra la linea renziana dell’Aventino e la tentazione di un dialogo con il M5S”. Un dialogo, non un governo perché gli stessi Franceschini e Veltroni puntano piuttosto a un governo “con tutti dentro” sotto la regia del Colle.

Ma Renzi “non sarebbe disponibile nemmeno a un’ipotesi di questo tipo”. Lui vuole due cose: opposizione senza se e senza ma, e poi il lancio di un soggetto politico alla Macron che superi lo stesso Pd. Gli chiede a questo punto, dalla pagina dei commenti del giornale milanese, Ernesto Galli Della Loggia di riflettere sulla sua strategia: “ancora una volta egli sbaglia i tempi: ritirandosi sotto la tenda fa oggi quello che semmai avrebbe dovuto fare — ma per sua disgrazia non ha fatto — dopo la sconfitta referendaria”.

Anche perché c’è chi non dà per scontata la nascita di un’intesa M5S-Lega. Su La Stampa, ad esempio, Di Maio viene dipinto come decisissimo a fare un nome per Palazzo Chigi fin da subito: il suo. E sarebbe intenzionato a dimostrare la sua capacità di progettazione politica portando a Sergio Mattarella un Def già bell’e pronto, un documento di intenzioni economico-finanziarie pensato “per dimostrare di essere già maturi per il governo e, al tempo stesso, cercare di convincere Bruxelles”.

Quanto a convincere Salvini, probabilmente sarà ancora più dura. Sempre alla Stampa qualche leghista confida; “Ben venga quindi un incarico al giovin signore pentastellato così, parola di un leghista importante, magari capirà che il 32% non è il 51%. Insomma, se Di Maio vuole fare davvero un governo con il centrodestra, bisogna si rassegni al fatto che non sarà lui a presiederlo. E su questo punto i margini di trattativa, più che ristretti, sono inesistenti”.

“Governo con il centrodestra”, si badi, e non semplicemente con la Lega. Anche perché Berlusconi lascia intendere che senza di lui non ci sono possibilità di un esecutivo stabile, e intanto lancia il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, che pare sempre più vicino al doppio incarico in Europa e nel partito. E, intervistato da La Repubblica, sostiene senza giri di parole: “Non esistono leader di serie A e di serie B. Quattro milioni e mezzo di italiani hanno votato un simbolo con scritto Berlusconi presidente. Perciò parlare con noi senza coinvolgere Berlusconi è un periodo ipotetico dell’irrealtà”. C'è da credergli, se non altro perché il latino lui lo ha studiato in uno dei migliori licei di Roma, il Tasso.

Anche se poi, alla fine, tutto si gioca su un altro tavolo, che è quello del Quirinale. Commenta una volta di più La Stampa: “Le consultazioni che iniziano domani saranno un bagno di realismo per tutti e un passaggio non privo di rischi per i vincitori. Ad esempio, una volta al Quirinale, Matteo Salvini si accorgerà che è un po’ diversa da come lui se l’immagina. Invece è Sergio Mattarella che lo aspetta per chiedergli come pensa di mettere in piedi una maggioranza e un governo, con l’aiuto di chi, con quali programmi, quanto sono avanti i contatti coi grillini, dove si sono arenati, se Berlusconi c’entra davvero qualcosa e dove altro Salvini conta di bussare. Sarà la Lega a dover fornire risposte, non viceversa”.

Quanto a Di Maio, “intende far pesare che ‘sono stato indicato dal popolo», dunque «l’incarico mi spetta’. Però da lui Mattarella vorrà sapere dove prevede di raggranellare i voti mancanti alla Camera e al Senato, nel caso di accordo con Salvini chi siederebbe al volante, se tra loro due ne hanno già ragionato o ancora no, e quando allora lo faranno”. Insomma: Hic Rodhus, hic saltus. Mattarella non è andato al Tasso, ma il latino lo conosce benissimo.

 

 

 

 

 

Il rischio terrorismo "era e rimarrà alto", e l'attenzione marcata ora è per i 'lupi solitari', capaci di muoversi in piena autonomia. Il ministro dell'Interno Marco Minniti lo ha detto a più riprese nei giorni scorsi e specie in prossimità di importanti scadenze e festività, e lo ribadisce oggi in un'intervista al quotidiano Il Giornale, dove parla anche del fenomeno dei flussi migratori e della vicenda di Bardonecchia.

Minniti si dilunga sul tema dei 'lupi solitari', che nei giorni scorsi in Italia ha avuto maggiore risonanza mediatica in seguito alle operazioni di Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri che hanno portato all'arresto, in zone diverse d'Italia, di persone ritenute vicine, se non potenziali protagoniste, ad ambienti che preparavano piani terroristici. Lupi solitari che si muovono "perché autoattivati, e questa è la forza dell'Is", che in questi anni "ha costruito una rete di terroristi pronti ad agire", una forza che paradossalmente "nemmeno l'Islamic State sa di avere". Ma "per fortuna abbiamo la capacità di previsione delle nostre forze di polizia. Di fronte alla imprevedibilità funziona anche il controllo del territorio".

Il rischio di jihadisti nascosti nei flussi di migranti

A proposito invece di foreign fighter, per Minniti è questo l'attuale terreno operativo del Califfato, che con la caduta di Raqqa "ha subito un colpo durissimo" e "non sappiamo quanti siano sopravvissuti rispetto ai circa 30mila iniziali". Se torneranno o meno in Europa non c'è certezza, di qui l'importanza dello scambio di informazioni con altri Stati, per meglio prevenire. "Non siamo di fronte a una ritirata organizzata" – dice Minniti – ma dal momento che la fuga è ora individuale "viene lecito pensare" che la via migliore per rientrare "sia quella di una rotta già aperta, quella dei trafficanti di esseri umani". E questo rimanda pertanto all'esigenza di controllare i flussi migratori, con politiche adeguate, con metodo.

Un messaggio per il successore

Infine le cose di casa nostra, la stretta attualità politica italiana: che farà Minniti al termine di questo mandato di ministro? "Il parlamentare. È importante si mantenga terzo il ruolo di ministro dell'Interno. A chiunque andrà al governo vorrei dire che gli altri Paesi ci ammirano per la nostra manifesta capacita' di garantire la sicurezza e perché, nonostante il rischio terrorismo, il 2017 è stato per l'Italia l'anno con le maggiori presenze turistiche straniere. E poi non credevano – conclude – che avremmo governato i flussi migratori. Sono cose che il Paese dovrebbe tenere a cuore: costituiscono un vero patrimonio dell'Italia".

Il fumo e Matteo Salvini. Il segretario leghista venerdì ha annunciato che proverà a smettere di fumare come regalo per il figlio Federico, che martedì compira' 15 anni. "Lui e la Mirta, che ha cinque anni, mi dicono 'Papà basta con 'sta puzza di sigarette, ti fai del male, quand'è che smetti? Non è facile in periodi come questi di litigi, incontri, telefonate e trattative. Se uno è nervosetto e stanco la sigaretta se la accende", si è sfogato coi suoi fan, in diretta Facebook.

In realtà, come tanti altri fumatori, il capo del partito di via Bellerio ha detto 'addio' più volte alla sigaretta. L'ultima volta è successo all'indomani dei ballottaggi delle amministrative del 2016. "Lunedì 20 giugno, alle 23:59, mi accendo l'ultima sigaretta – aveva promesso a 'Un giorno da pecora' -. Fumare è da idioti e fa male". "Avevo smesso per otto anni a Capodanno dal 2000 ma poi, stupidamente, ho ripreso. Stavolta non lo farò". Salvini mantenne la promessa e smise, ancora una volta, di fumare, documentando sui social le difficoltà dell'astinenza da nicotina (per esempio a metà luglio 2016 scrisse soddisfatto: "Nonostante Renzi, sono al 24esimo giorno senza sigarette, senza ingrassare e senza arrabbiarmi troppo"). Non è dato sapere quando il 'capitano' leghista abbia ripreso in mano la sigaretta, almeno in privato. Sicuramente, dopo la breve crisi, poi risolta, con la fidanzata Elisa Isoardi, nel luglio scorso, ha ricominciato a fumare in pubblico. Ora la nuova sfida, lanciata alla vigilia di una settimana cruciale, con l'avvio delle consultazioni al Colle per la formazione del governo, che lo vedrà tra i protagonisti. 

E anche ieri Salvini è tornato sul tema e non ha mancato l'occasione di farne una questione politica e attaccare ancora il Partito democratico. "Via tasse assurde inventate dal Pd. Chi smette di fumare insieme a me?", ha scritto, linkando su Facebook un articolo sulla tassa sulle sigarette elettroniche.