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Ore cruciali per le trattative di governo tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Anche se il dialogo si fa più complicato sul nome del premier che dovrebbe guidare un esecutivo M5s-Lega.

Semba tramontato il nome del leghista Giancarlo Giorgetti: secondo i 5 stelle a stopparlo sarebbe stato lo stesso leader del Carroccio Salvini, mentre in ambienti leghisti si accusa Di Maio di aver 'bruciato' il nome del fidatissimo di Salvini.

Fine dei veti?

Torna sul tavolo l'ipotesi della premiership dello stesso Di Maio. Ripensamento, così spiega qualcuno in ambienti M5s, che sarebbe consequenziale al fatto che adesso sarebbe caduto anche il veto su Forza Italia. Per la prima volta Di Maio ha sostenuto chiaramente che "non c'è un veto su Berlusconi, ma la volontà di dialogare con la Lega" e che "se dovessi fare una graduatoria delle responsabilità di questo blocco e del ritorno al voto – ha aggiunto ancora Di Maio – in cima c'è sicuramente Salvini che ha scelto Berlusconi invece del cambiamento, poi Renzi che ha ingannato il suo partito e l'opinione pubblica, poi c'è Martina che si è piegato a Renzi, e in fondo c'è Berlusconi".

Insomma, parole eloquenti che smussano le posizioni fin qui tenute rispetto al Cavaliere. Ma dai vertici pentastellati tengono a precisare che i veti non sono caduti e che nel corso dell'incontro tra Di Maio e Salvini a Montecitorio, non si sarebbe parlato affatto di premiership nè di caselle dei ministri. Ma che il leader del Carroccio avrebbe solo chiesto più tempo per ottenere il famoso passo indietro o di lato di Berlusconi per poter dar vita al governo giallo-verde.

Tavolo al via

Un faccia a faccia, spiegano ancora dai piani alti M5s, nel quale si sarebbe solo impostato un metodo: "siamo al primo step" sottolineano, "prima i temi e le cose da fare, poi si parlerà del resto". In ogni caso tutti sarebbero d'accordo sul fatto che debba essere un premier politico e non un tecnico, un parlamentare eletto; quindi che sia espressione o della Lega, come i più in ambienti parlamentari danno per sicuro, o del Movimento, e in questo caso l'unica opzione resterebbe quella di Di Maio. E qui si gioca tutta la partita.

Ma l'alleanza di centrodestra resta in piedi

In tutto ciò, Salvini dopo l'incontro con Di Maio ha sentito Berlusconi al quale ha garantito che "non romperà l'alleanza di centrodestra", come poi ha detto anche a favore di telecamere. Da parte leghista c'è attesa per una presa di posizione ufficiale del Cavaliere, dopo quello che viene considerato un via libera di massima dei gruppi parlamentari di Forza Italia. Nel partito non si esclude alcuna ipotesi, tanto che lo stesso Salvini, dopo averli informati sull'ulteriore tempo di "riflessione" chiesto a Sergio Mattarella, ha detto ai suoi parlamentari di non prenotare le vacanze e di tenersi liberi per un eventuale voto ("C'è un 50% di possibilità di accordo e un 50% che si voti", prevede un parlamentare vicino al segretario).


Il totoministri

  • Giustizia: Giulia Bongiorno o Nicola Molteni 
  • Difesa: Lorenzo Fontana
  • Economia: Giancarlo Giorgetti

Fonti di via Bellerio, riferiscono tutte le perplessità del partito sull'ipotesi di indicare un leghista a Palazzo Chigi. "Questa eventualità comporterebbe de facto alla rinuncia della maggior parte dei ministeri chiave a favore dei 5 stelle, con la conseguenza di mettere a rischio la 'faccia' di un 'nostro' uomo per un governo 'non nostro'", dice una fonte. Sul nome del premier – si sottolinea da più parti in casa Lega – chiaramente deve esserci un'interlocuzione preventiva con il Quirinale ma deve andare bene a chi, eventualmente, si astiene: ovvero a Berlusconi. E proprio il Cavaliere avrebbe opposto il suo 'niet' a Di Maio premier.

Sul fronte leghista, i nomi dei possibili ministri sono sempre gli stessi: Nicola Molteni o Giulia Bongiorno alla Giustizia, Lorenzo Fontana alla Difesa e il 'sempreverde' Giorgetti all'Economia. Nell'ambito della coalizione di centrodestra, infine, da parte di Fratelli d'Italia fa fede la nota ufficiale in cui Giorgia Meloni ha ribadito la linea di chiedere l'incarico per il centrodestra. Ma, in un momento di grande confusione, si registrano molti malumori nel gruppo parlamentare e rimangono aperte tutte le ipotesi tra cui, al momento, non si esclude neanche la scelta di stare all'opposizione a un governo M5s-Lega.

Cautela grillina

Anche se il deputato M5s Stefano Buffagni, fedelissimo di Di Maio, dice prudente: "Vedo eccitazioni ingiustificate…" e qualcun altro aggiunge: "non dire gatto se non ce l'hai nel sacco". Ma quasi tutti i 5 stelle tradiscono un evidente sollievo per la possibilità che si possa scongiurare il rischio di tornare alle urne a luglio: perché, racconta qualcuno, "sarà difficile spiegare perché non siamo riusciti a far partire un governo. E poi a luglio già perdiamo il 20% di elettori, quelli che saranno in vacanza…".

Timori da ferie e da astensionismo. Ma c'è chi invece, tra i pentastellati, preferirebbe tornare al voto perché vede un margine di rischio notevole in un governo con la Lega: "Bisognerà scendere a compromessi, non sarà facile, e così perderemo consenso. Saraàla nostra rovina se non facciamo le cose giuste".

Perché su tutti i ragionamenti aleggia quel 'conflitto di interessi' che Di Maio aveva rilanciato quando si era aperto il 'forno' con il Pd e che ora potrebbe tornare nel cassetto. I timori non mancano su quali provvedimenti potrebbe varare un governo M5s-Lega dove Berlusconi, pur in una posizione di 'opposizione benevola', potrebbe influenzare certe tematiche; vedi anche la legge anti corruzione, altro punto che era stato inserito nell'elenco delle priorità da Di Maio.

 

Matteo Salvini e Luigi Di Maio chiedono un 'supplemento di indagine' al Colle. Serve più tempo (si ipotizzano anche 10 giorni) per verificare se la ripresa delle trattative sul governo possa portare buoni frutti.

Dopo il via libera di massima di Silvio Berlusconi, che pone Forza Italia all'opposizione di un eventuale governo Lega-M5s – niente appoggio esterno, quindi – ma mette in salvo l'alleanza con il Carroccio.

Le parole di Berlusconi sbloccano un primo nodo che frenava la trattativa giallo-verde. E Di Maio annulla gli impegni in agenda: "Con Salvini. Ci sederemo al tavolo e inizieremo a parlare dei temi per il Paese, poi parleremo dei nomi. La cosa importante è il contratto di governo. Ci fa piacere che abbia prevalso la responsabilità", afferma il capo politico M5s.

Salvini ringrazia il leader di Forza Italia ma sottolinea che "rimane da lavorare su programma, tempi, squadra e cose da fare. O si chiude veloce, o si vota. Per me sarebbe un onore guidare il Paese".

La strada resta in salita

La strada è ancora in salita. E nella sua nota il Cavaliere non ne fa mistero. Sceglie di restare fuori, di non metterci la faccia, ma avverte: se salta tutto io non sarò più l'alibi del fallimento. Del resto, gli stessi Salvini e Di Maio sono consapevoli del fatto che nulla può essere dato per scontato.

I due leader sono tornati a vedersi, in un faccia a faccia a Montecitorio che, però, non è affatto risolutivo: restano ancora nodi da sciogliere, a partire dalla casella del premier fino a quelle di alcuni ministeri 'delicati', come l'Economia, il Lavoro, gli Interni e lo Sviluppo economico (secondo alcune fonti azzurre anche la Giustizia), così come la guida di commissioni 'chiave'.

Caselle ritenute importanti anche dal 'terzo incomodo' Berlusconi, e sulle quali il leader di Forza Italia – spiegano fonti di centrodestra – vuole dire la sua e incassare garanzie.

Il placet del Cavaliere, in ogni caso, è il primo step utile per il superamento dello scoglio che, finora, aveva impedito una vera intesa tra Salvini e Di Maio. Innanzitutto perché il segretario della Lega aveva sempre posto come conditio sine qua non la non rottura del patto con l'ex premier.

Che questo fosse per Salvini un punto imprescindibile è chiaro da tempo e lo scandisce lo stesso Salvini dopo il vertice a due con Di Maio: "Qualunque cosa accada non si rompono alleanze e non si tradisce il patto con gli italiani. Non si rompe l'alleanza con FI, questo è un pre-requisito".

Ma nonostante la mossa del Cavaliere la quadra non è ancora stata trovata: "Sì, ci sono delle possibilità", confessa Salvini, "ma non gioco i numeri al lotto, devo prima parlare con Di Maio e con Berlusconi, e al momento non c'è una risposta definitiva da nessuno dei due". Il leader del Carroccio, riferiscono fonti del centrodestra, si era poi sentito con l'ex premier, quando però la trattativa con Di Maio sembrava essersi inceppata sul nome del premier e di altre caselle. Che qualcosa si stesse muovendo si intuiva già dalla mattina di mercoledì, quando Salvini ha ribadito per l'ennesima volta di non darsi per vinto, "fino all'ultimo minuto ci proverò, a costo di sembrare uno che pecca di ottimismo e di fiducia".

Segnali di svolta

Non passa un'ora che arriva un segnale importante, e lo dà Di Maio in persona: per la prima volta il leader pentastellato toglie il veto su Forza Italia e spiega che Silvio Berlusconi è il meno responsabile di questo stallo politico. Quello dei 5 stelle "non è un veto su Berlusconi, ma la volontà di dialogare con la Lega. Noi vogliamo fare un governo che preveda due forze politiche e non quattro", afferma. È il segnale che molti aspettavano e infatti poco dopo Di Maio e Salvini si vedono alla Camera. Quasi in contemporanea dagli azzurri arriva una apertura: "Forza Italia non parteciperà con un appoggio esterno. Ma il che non vuol dire che non si possa guardare a questa esperienza di un nostro socio strutturale da 20 anni con critica benevolenza. Una specie di astensione benevola", afferma Giovanni Toti. Quindi tocca allo storico alleato del Cavaliere, Umberto Bossi, metterci una buona parola: "Berlusconi faccia partire un governo M5s-Lega".

Il pressing sull'ex premier si fa insistente, i gruppi azzurri – un pò tutti i parlamentari si sono riuniti tra Camera e Senato – fanno quadrato e affidano al leader la decisione, ma nel partito cresce la voglia di consentire la nascita del governo: "Se vogliono fare il governo, lo facciano. Del resto anche nel 2011 e nel 2013 la Lega non votò il governo Monti nè il governo Letta, ma l'alleanza rimase", dice ad esempio Renato Brunetta. E Paolo Romani aggiunge: "C'è qualcuno che ha detto che ha voglia di cimentarsi e ho l'impressione che questa possibilità vada sperimentata fino in fondo".

Il lasciapassare di Berlusconi

Insomma, mentre vanno avanti le trattative tra M5s e Lega, entrambi i 'contraenti' attendono una parola chiara da Berlusconi. Che arriva nella serata di mercoledì. E se da una parte il Cavaliere non pone veti né innalza muri, dall'altra avverte: se il tentativo di fare un governo o anche dopo, una volta nato, l'esecutivo dovesse andare a sbattere non sarà certo colpa di Forza Italia o mia.

"Da parte nostra non abbiamo posto e non poniamo veti a nessuno, ma – di fronte alle prospettive che si delineano – non possiamo dare oggi il nostro consenso ad un governo che comprenda il Movimento Cinque Stelle, che ha dimostrato anche in queste settimane di non avere la maturità politica per assumersi questa responsabilità", premette Berlusconi, che per un certo verso lascia il cerino in mano a Salvini, quando dice che se c'è una forza della coalizione che vuole provare a fare il governo con i 5 stelle bene, "non sta certo a noi porre veti o pregiudiziali".

Ma, avverte, "in questo caso non potremo certamente votare la fiducia, di più a noi non si può chiedere, ma valuteremo in modo sereno e senza pregiudizi l'operato del governo che eventualmente nascerà, sostenendo lealmente, come abbiamo sempre fatto, i provvedimenti che siano in linea con il programma del centro-destra e che riterremo utili per gli italiani".

Quindi, la chiosa: "Se questo governo non potesse nascere, nessuno potrà usarci come alibi di fronte all'incapacità – o all'impossibilità oggettiva – di trovare accordi fra forze politiche molto diverse. Tutto ciò non segna la fine dell'alleanza di centro-destra".

Articolo aggiornato alle 23,00 del 9 maggio 2018.

In serata è arrivato il via libera di Silvio Berlusconi. "Il Paese da mesi attende un governo. Continuo a credere che la soluzione della crisi più naturale, più logica, più coerente con il mandato degli elettori sarebbe quella di un governo di centrodestra, la coalizione che ha prevalso nelle elezioni, guidato da un esponente indicato dalla Lega, governo che avrebbe certamente trovato in Parlamento i voti necessari per governare. Questa strada non è stata considerata praticabile dal Capo dello Stato. Ne prendo atto".

Ma quella dell'ex Cavaliere è evidentemente un lasciapassare a Matteo Salvini per trattare con Luigi Di Maio i dettagli di un governo tra i due vincitori delle elezioni, Lega e Movimento 5 Stelle. Le parole di Berlusconi in una nota:

"Da parte nostra non abbiamo posto e non poniamo veti a nessuno, ma – di fronte alle prospettive che si delineano – non possiamo dare oggi il nostro consenso ad un governo che comprenda il Movimento Cinque Stelle, che ha dimostrato anche in queste settimane di non avere la maturità politica per assumersi questa responsabilità".

"Per quanto ci riguarda non è mai neppure cominciata una trattativa, né di tipo politico, né tantomeno su persone o su incarichi da attribuire".

"Se però un'altra forza politica della coalizione di centrodestra ritiene di assumersi la responsabilità di creare un governo con i cinquestelle, prendiamo atto con rispetto della scelta. Non sta certo a noi porre veti o pregiudiziali",

"In questo caso non potremo certamente votare la fiducia, ma valuteremo in modo sereno e senza pregiudizi l'operato del governo che eventualmente nascerà, sostenendo lealmente, come abbiamo sempre fatto, i provvedimenti che siano in linea con il programma del centrodestra e che riterremo utili per gli italiani"

"Se questo governo non potesse nascere, nessuno potrà usarci come alibi di fronte all'incapacità – o all'impossibilità oggettiva – di trovare accordi fra forze politiche molto diverse. Di più a noi non si può chiedere, anche in nome degli impegni che abbiamo preso con gli elettori. Tutto ciò non segna la fine dell'alleanza di centrodestra: rimangono le tante collaborazioni nei governi regionali e locali, rimane una storia comune, rimane il comune impegno preso con gli elettori. Continuiamo a lavorare per tornare a vincere, ma soprattutto perché torni a vincere l'Italia".

La scelta di Mattarella di concedere tempo ha pagato 

Una proroga, breve, per l’estremo tentativo di scongiurare nell’ordine: un governo “terzo” e un voto d'estate i cui esiti sarebbero meno scontati di quanto non si possa immaginare. Sergio Mattarella la concede su richiesta di Luigi di Maio e Matteo Salvini, i due giovani protagonisti di questa fase della vicenda politica, mantenendo la mezza promessa che aveva fatto filtrare ieri sera, sul tardi. Quella, cioè, che di fronte alla possibilità che alla fine un accordo arrivi, un altro giorno non lo si sarebbe negato. Ma, sia chiaro, non di più: domani, in un modo o nell’altro, ci sarà un governo.

Si arriva così alla svolta della giornata, quando verso le 13 l’ufficio stampa del Quirinale fa sapere, con tono asciutto, che “il M5s e la Lega hanno informato la Presidenza della Repubblica che è in corso un confronto per pervenire a un possibile accordo di governo e che per sviluppare questo confronto hanno bisogno di 24 ore”.

Toti preannuncia la "astensione benevola" di Forza Italia

Resta a questo punto un doppio nodo: il nome del premier ed il destino di Silvio Berlusconi, ed in entrambi i casi non è cosa da poco. Se però sul primo punto non si registrano novità, è vero che dalle parti di Forza Italia qualcosa si sta muovendo. Lo si capisce quando Giovanni Toti assicura: “Ho sentito Berlusconi stanotte. Il tema è che Lega e M5S hanno i voti per un accordo di Governo, a cui Forza Italia non parteciperà con un appoggio esterno. Ma il che non vuol dire che non si possa guardare a questa esperienza di un nostro socio strutturale da 20 anni con critica benevolenza. Una specie di astensione benevola. Dopo di che vedremo cosa faranno". 

I meno giovani tra gli osservatori non mancano di notare che il frasario pare quello di una volta, di quando cioè i governi erano di coalizione. Un paio di repubbliche fa.

Brunetta assicura: resteremo alleati della Lega

Giovanni Toti, comunque, è da sempre un forzista di simpatie leghiste, e potrebbe parlare spinto anche da un desiderio, oltre che da un’idea. La conferma che Arcore sta ancora pensando, e non ha certo chiuso la porta, viene però da Renato Brunetta.

"L'alleanza rimane, è un grande valore. Nessuno però ci può chiedere altro”, dice l’economista, tradizionalmente tra i più affezionati a Berlusconi, “ Se vogliono fare il governo, lo facciano. Del resto anche nel 2011 e nel 2013 la Lega non votò il governo Monti né il governo Letta, ma l'alleanza rimase"-

E per Di Maio in fondo Berlusconi non è il male assoluto

Nel frattempo Di Maio si lascia scappare una frase sibillina. “Silvio Berlusconi? E’ meno responsabile di altri di questo stallo e del ritorno al voto”, dice, “il nostro non è un veto contro di lui. Vogliamo fare un governo solo con la Lega, che preveda due forze politiche”.

Salvini assicura, 24 ore basteranno

Accordo fatto? Ancora presto per dirlo, perché poco dopo Salvini ammette: "Devo parlare con entrambi", sia con Silvio Berlusconi che con Luigi Di Maio, "e non c'è ancora una risposta definitiva da nessuno". Ma basteranno 24 ore, come avete chiesto a Mattarella? "Assolutamente sì, basteranno 24 ore, l'abbiamo tirata già troppo per le lunghe".

Anche perché domani, in un modo o nell’altro, un governo ci sarà.

Oggi pomeriggio, al massimo domani. Ma più probabilmente oggi pomeriggio, perché al Colle si sono stufati di aspettare e al massimo, ma è veramente il massimo, aspetteranno fino a domattina per dar tempo a M5s e Centrodestra di trovare una quadra, e sciogliere il nodo annunciando un accordo di governo.

Altrimenti già alle 17 di oggi (ieri Mattarella lo aveva detto a Juventus e Milan: “Non so se farò in tempo a vedere la finale di Coppa Italia”) si avrà il nome neutrale che guiderà il governo di servizio. I giornali di oggi, da parte loro, parlano di massimo riserbo sulla scelta. Ma poi fanno circolare i primi nomi. È una crisi in cui la confusione l’ha fatta da padrone.

Segnali discordanti

Ugo Magri, su La Stampa, ritiene sostanzialmente valido lo schema preannunciato nei giorni scorsi: alle 17, in caso di nessuna vera novità, incarico e, la prossima settimana, giuramento e presentazione alle Camere. “Se stamane, invece, accadranno fatti nuovi, Mattarella sarà felicissimo di sospendere il conto alla rovescia. Ma non sembra probabile. Alle antenne del Quirinale sono giunti ieri sera segnali discordanti; qualcuno annunciava la resa del Cav e altri che Berlusconi avrebbe resistito fino alla morte”.

Ora “tutto fa ritenere che, nel dibattito in Parlamento, grillini e destre bocceranno l’esecutivo del Presidente. A quel punto, tempo poche ore, Mattarella firmerà il decreto di scioglimento. Leggi e regolamenti alla mano, la prima data utile per elezioni bis cadrà il 22 luglio, con milioni di italiani in vacanza e altri milioni che preferiranno la domenica al mare. Per i partiti, nessuno escluso, un rischio e un azzardo. Tuttavia a Mattarella non sarà consentito spostare il voto a settembre se il Parlamento non glielo chiederà espressamente. Per esempio con una mozione sottoscritta da tutti i partiti. Oppure attraverso qualche forma di sostegno indiretto al governo presidenziale, che permetta almeno di superare agosto”.

Conclusione del ragionamento: “Posti davanti al dilemma tra elezioni in piena estate e un’astensione tecnica, è possibile che quanti oggi gridano ‘al voto al voto’ si acconcino a preferire la seconda strada”. Per Mattarella sarebbe una gran soddisfazione.  

L'ipotesi del voto balneare

Secondo Goffredo De Marchis, su La Repubblica, la cura Mattarella ha avuto la sua efficacia. “La minaccia delle elezioni il 22 luglio o anche a settembre ha colpito nel segno. Ha avuto l’effetto sperato sul Colle. L’intera pattuglia forzista, ieri in Parlamento, discuteva, alla prima vera seduta dopo le elezione dei presidenti delle Camere, del timore di tornare al voto, di perdere il posto ma non solo. Del risultato elettorale di Forza Italia, soprattutto. Il calcolo sembrava, in quei conciliaboli, piuttosto semplice: su 105 deputati ne rientrerebbero 60. E solo grazie all’uninominale, per l’accordo con Matteo Salvini, finendo dunque nella bocca del leone”.

Insomma, qualcuno usa il pallottoliere e si accorge che è meglio non toccare nulla. Si rafforza l’idea di un appoggio indiretto al governo suggerito dal Colle. “I requisiti dell’esecutivo di servizio non sono cambiati, in particolare quelli del presidente del Consiglio: competenza economica, europeismo e capacità di tenuta di fronte agli “insulti” possibili nelle aule parlamentari.

Una diplomatica al potere

È anche sicuro che il Quirinale punti su una donna, per segnare una novità assoluta e una discontinuità nella storia italiana. Il nome di Elisabetta Belloni, 60 anni, circola con insistenza. Segretario generale della Farnesina (significa il capo amministrativo dei diplomatici italiani), docente alla Luiss, una lunga carriera al ministero degli Esteri, ha le porte aperte nelle Cancellerie europee. Le manca la preparazione nelle materie economiche. Ma per questo si affaccia una specie di ticket. Al ministero dell’Economia potrebbe andare Salvatore Rossi, 69 anni, direttore generale di Banca d’Italia da 5 anni”.

Marzio Breda, sul Corriere della Sera, sottolinea un aspetto della questione che solo apparentemente è secondario: al Quirinale non hanno gradito per nulla il modo di fare di Di Maio e Salvini, che senza attendere nemmeno la fine delle consultazioni, l’altro giorno, hanno deciso unilateralmente sia lo scioglimento anticipato delle Camere, sia – addirittura – la data delle elezioni. “Irritante per Mattarella, che pure aveva messo tutto nel conto come ‘prevedibile’”.

Il gioco delle ipotesi

Il Presidente “ieri ha trascorso la giornata con un occhio alle agenzie di stampa, che riferivano del pressing dei salviniani su Berlusconi, ‘affinché consenta di far partire un esecutivo della Lega con i 5 Stelle’ (ipotesi cui al Quirinale non si crede più). E con l’altro occhio al foglio dove ha scritto la rosa di nomi per la premiership e per i ministri del ‘suo’ governo. Ancora poche ore e sapremo tutto”.

Intanto Il Foglio guarda oltre. E dice delle cose interessanti. “In realtà quello di Mattarella è molto di più di un timore. È una certezza, quasi matematica. Alcuni giorni fa YouTrend ha pubblicato uno studio dimostrando che, se si andasse alle urne senza modificare il Rosatellum (tenuto conto di tutti i passaggi burocratici, la prima data possibile sarebbe quella del 22 luglio), non solo cambierebbe poco o niente, ma neppure la fatidica quota del 40 per cento basterebbe per garantire un governo all'Italia”. Insomma, si ricomincerebbe daccapo. Altro giro, altra corsa.

 

La voglia di andare alle urne ad ogni costo non sembra essere così travolgente: protagonisti delle schermaglie tra Lega e M5S per riuscire a formare un nuovo governo sono stati gli stessi partiti chiedevano a gran voce le consultazioni per l’8 luglio.

Se la Lega vuole far nascere un governo politico convinca il Movimento 5 stelle ad accettare Forza Italia nella maggioranza, chiedono i grillini all’alleato riottoso Matteo Salvini. Il partito di Silvio Berlusconi respinge però la richiesta e conferma che non farà alcun passo di lato e che non darà l’appoggio esterno a un esecutivo guidato dal leader leghista o da Luigi Di Maio.

Giorgetti chiede una dimostrazione di buona volontà 

“Vogliamo trovare una soluzione per permettere la partenza di un governo politico e una forma di coinvolgimento di FI che sia compatibile con la presenza del Movimento 5 stelle", ha detto il capogruppo della Lega alla Camera, Giancarlo Giorgetti.

Una proposta che Maria Stella Gelmini, capogruppo alla Camera di Forza Italia, ha giudicato irricevibile, così come la presidente dei senatori di FI, Anna Maria Bernini, che ha affermato: "La Lega mira a fare nascere un governo politico? Non abbiamo nulla in contrario, come abbiamo sempre sostenuto. Basta far cadere i veti dei 5 stelle nei confronti di Forza Italia e di Berlusconi e si può passare immediatamente a scrivere un programma condiviso, se si riuscirà".

Giorgetti (che ha anche ribadito la necessità di tornare al voto il prima possibile e non a settembre o in autunno) ha poi confermato la lealtà del suo partito alla coalizione ma ha avvisato: FI aprirebbe “un grosso problema” per la tenuta del centrodestra se decidesse di sostenere il governo tecnico. Sospetti che sono stati decisamente respinti da Giorgio Mulè, portavoce unico dei gruppi di Camera e Senato.

I grillini insiustono: con Berlusconi no 

Luigi Di Maio resta irremovibile sul no a Berlusconi. "Volevo capire se Salvini c'era o ci faceva… per 55 giorni ho provato a proporgli un governo insieme. L'unica cosa che ho chiesto era di staccarsi da Berlusconi, specie alla luce della sentenza di Palermo.

Sembrava che Salvini potesse fare il grande passo, ma ha scelto la restaurazione invece che il cambiamento, e di questo ne risponderà alla storia e alle prossime elezioni politiche", ha detto a Rtl 102.5 il capo politico di M5s: "Adesso spero che si torni al voto, non vedo alternative. E' probabile che si andrà a finire al 22 luglio".

Ma le cose forse non sono come appaiono

Però c’è un però. Anzi, un pare. Pare, infatti, che all’interno del partito di Berlusconi cresca il numero di quanti, un po’ spaventati per il possibile esito delle elezioni anticipate, remano sul leader perché alla fine, magari previa trattativa, dia il suo consenso al matrimonio.

Certo, Renato Brunetta insiste nel ribadire la richiesta di un esecutivo von mandato pieno al centrodestra, ma forse la sua voce è isolata. Magari la paura delle elezioni, prospettate da Mattarella, riesce a fare il miracolo.

"Un buon arbitro spera sempre di non essere notato e può non essere notato solo se i giocatori sono corretti". Sergio Mattarella riceve Milan e Juventus alla vigilia della finale di Coppa Italia e con una frase fa capire il suo umore di queste ore. E fa capire anche molto delle sue scelte degli ultimi giorni.

Se le forze in campo fossero corrette e non indulgessero in tattiche di "simulazione", la partita non avrebbe bisogno di un pesante intervento di quell'arbitro cui il Presidente si è paragonato quando tre anni fa si è insediato. Ecco perché, mentre si impegnava nella scelta del premier del governo neutro e di servizio di cui ha parlato al termine delle consultazioni, non ha cessato di guardare al lavorio dei partiti.

L'accordo sfumato

Anche al Colle erano giunte infatti le voci di un possibile accordo in extremis tra Lega e M5s, a fronte di un sussurrato passo indietro di Silvio Berlusconi. Pur con il disincanto di chi ha visto dissolversi diversi accordi dati per fatti, nelle ultime settimane, il Presidente, aveva guardato a quel che stava succedendo tra Lega e Fi, poi in serata l'ennesima chiusura: Berlusconi ha negato di poter dare un appoggio esterno a un governo giallo-verde.

Le possibilità che l'arbitro non si faccia notare sono ridotte dunque al lumicino. Per questo Mattarella procede nel percorso indicato, rallentando semmai di qualche ora per dare anche un ultimo possibile minuto di recupero ai partiti. Ma la sua roadmap, nel merito, resta invariata: nel pomeriggio dovrebbe affidare l'incarico al premier, o alla premier, individuata. Che poi giurerà entro domenica e andrà alle Camere per il voto di fiducia la prossima settimana.

Lo spettro delle elezioni

Se venisse bocciato, l'unica strada sarebbero le urne, o il 22 luglio o in autunno, decidendo in base alla valutazione delle forze politiche. Se dai partiti giungessero segnali molto concreti di possibili aperture di dialogo, questo iter potrebbe rallentare di qualche ora, ma la strada è segnata e solo dichiarazioni ufficiali potrebbero interrompere il percorso annunciato dal Presidente.

Addirittura qualche spiffero in Transatlantico ipotizzava un cambio di schema dei partiti durante il voto di fiducia al governo di servizio, ma ormai sembrano soprattutto desiderata di peones che vedono sfumare un seggio appena conquistato.

Un grande classico: il totonomi

Dunque al Quirinale  si vagliano i possibili candidati e si sonda quali siano quelli disponibili a un compito considerato quasi una mission impossible. Tra i nomi rimbalzati ormai anche sulla stampa straniera quelli di alcune donne: Fabiola Gianotti, Lucrezia Reichlin, Marta Cartabia, Elisabetta Belloni, Annamaria Tarantola. Ma queste sono più che altro ipotesi, a cui si aggiungono i nomi di Sabino Cassese, Carlo Cottarelli, Salvatore Rossi, Enzo Moavero Milanesi, Guido Tabellini.

La lista è lunga, ma alla fine si ridurrà a un nome per il premier e a non più di dodici ministri. Intanto al Quirinale giungono attestati di stima, incoraggiamento e sostegno. La maggior parte via social network, ma non solo: Gigi Buffon, ricevuto nel pomeriggio come capitano della Juventus non è entrato nel merito delle polemiche politiche ma è stato chiaro: "l'italia non può essere una nazione mediocre, ci affidiamo alle persone capaci e di valore come lei".

Al termine di una giornata in cui si attendeva solo il passo di lato del leader di Forza Italia per far nascere un governo a guida M5s e Lega, Silvio Berlusconi utilizza poche righe per bloccare qualsiasi tentativo e smentire qualsiasi apertura. Il Cavaliere mette in chiaro: nessun appoggio esterno, non possiamo accettare veti.

Renzi lancia Gentiloni

Sul fronte del  Pd si ragiona sui passi da compiere qualora si dovesse davvero tornare a elezioni in tempi brevi (l'Assemblea deciderà sabato 19) e Matteo Renzi lancia la premiership di Paolo Gentiloni (che ha presieduto "l'ultimo Consiglio dei ministri"): sarebbe lui il candidato dem, afferma Renzi. Ipotesi avanzata anche da una dei fedelissimi dell'ex premier, Maria Elena Boschi. "Tendenzialmente sarà Gentiloni, specie se si voterà presto. Naturalmente non voglio tirarlo per la giacchetta", dice Renzi.

Nella testa di M5s una sola idea: votare

Alla vigilia del possibile annuncio da parte di Sergio Mattarella della personalità scelta per guidare il governo di tregua e di servizio, sono proseguiti i contatti tra pentastellati e leghisti, ma al momento nulla di nuovo è all'orizzonte. Con Luigi Di Maio che continua a chiedere il ritorno alle urne già a giugno ("pronti a votare un decreto" che lo consenta, velocizzando le procedure per il voto degli italiani all'estero) e Matteo Salvini che non chiude gli ultimi spiragli ma incassa il no di Forza Italia al governo indicato dal Colle ("siamo leali", garantisce la capogruppo azzurra Mariastella Gelmini).

Insomma, a forse 24 ore dal nuovo governo, solo il Pd si dice pronto a votare la fiducia in Parlamento. Il capo politico dei 5 stelle ribadisce il suo 'no': "Un governo non può essere mai neutrale. E questo non per criticare le decisioni del Presidente, ma perché si dovranno affrontare delle scelte".

L'ultima speranza di Salvini

Anche il leader della Lega di governo di tregua non vuol sentir parlare e non demorde: "lavoro fino all'ultimo minuto per far partire un governo, e qualche possibilità ancora c'è, altrimenti l'unica cosa che si può chiedere è la data delle elezioni. Il prima possibile perché gli italiani hanno fretta", spiega.

Ma Di Maio non offre appigli: "Dopo 65 giorni ho smesso di sperare che ci possa essere una svolta. Ora se ci dovessero essere delle novità" da parte della Lega "devono andare dal presidente della Repubblica e spiegargli per filo e per segno" quali siano. 

Quasi nessuno si sbilancia a parlare di un netto successo del Quirinale sui partiti che pretendono le elezioni, ma i quotidiani di oggi sono quasi unanimi nel dire che la mancata nascita di un nuovo governo porterà guai e incertezze, e che Sergio Mattarella ha messo ognuno di fronte alle proprie responsabilità.

Su La Repubblica, Stefano Folli parla di “coraggio istituzionale del Presidente” in un gesto compiuto “senza enfasi, con lo stile essenziale che è la sua cifra”. Il presidente della Repubblica ha investito il prestigio della sua carica per chiedere alle forze politiche di assumersi una precisa responsabilità verso il Paese”.

Purtroppo “Cinque Stelle e Lega sono già in marcia verso il voto” e “colpisce la mancanza di rispetto istituzionale verso il capo dello Stato che non ha sospeso la democrazia, ma chiede di non aggravare la condizione economica con qualche errore di troppo. In verità la spaccatura politica del Paese è tale che nessun richiamo al buon senso riesce a comporla”, ed ora ci si consumerà “in una corsa verso elezioni che potrebbero non dare alcun risultato utile. E allora sì che la crisi politica diventerebbe istituzionale.

Quasi prevedendo l’andamento delle borse di oggi, Dino Pesole sul Sole-24 Ore non si cela dietro i giri di parole. Il richiamo alla responsabilità rivolto ai partiti dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non può essere sottovalutato. Il rischio è che la speculazione finanziaria possa trarre alimento da questa grave e prolungata fase di impasse politica, mentre si moltiplicano i segnali di rallentamento della congiuntura. L’incertezza investe la stessa manovra di bilancio e la possibilità di evitare l’aumento dell’Iva. 

Antonio Polito, sul Corriere della Sera, ricorre ai simboli della pop-culture, quasi a ribadire che l’italiano medio ha di che essere ben poco soddisfatto di come sono andate le cose. “Tra i partiti ha prevalso il giochino del pop corn”, rileva, “ogni volta che qualcuno voleva sfuggire alle sue responsabilità, se ne usciva dicendo: ‘Ora ci compriamo i pop corn e ci divertiamo’”. Bene, “si sono divertiti tutti, pare; e adesso vogliono che il pop corn lo compriamo noi elettori e ci sediamo ad assistere al più straordinario degli spettacoli politici mai visti: la seconda campagna elettorale in sei mesi”.

Conclusione: “C’è ancora qualche ora per ripensarci. Ma la legge di Murphy dice che se una cosa può andare male, andrà male. E questa legislatura è finora andata così male da far disperare che si possa riprendere in articulo mortis”.

Alessandro Sallusti, su Il Giornale, è di avviso ben diverso: “L’appello di Mattarella è caduto nel vuoto. Di più: è stato respinto con violenza. Un caso di ammutinamento dei partiti nei confronti del Quirinale senza precedenti”.

Ma poi aggiunge: “Quando si gioca con i dilettanti di solito finisce così, male per tutti. Votare a fine luglio è una follia solo a pensarlo, non sostenere un governo tecnico chiamato a scongiurare l’aumento dell’Iva un suicidio. Le ultime due novità della politica italiana (Renzi e grillini) non solo non hanno cavato un ragno dal buco, ma hanno portato alla paralisi della vita politica”.

Con diversa grazia Renato Farina, su Libero, sintetizza: “Con quel suo discorsetto da furetto candido, Mattarella, ha infilato un fico d’India in un oscuro pertugio di Silvio, così da farlo ribellare al ruolo di cameriere vergognoso di Salvini”.

Una “faina siculodemocristiana”, Mattarella, “ed ora il Cavaliere ha recuperato colore, fervore e persino furore”.

È solo l’inizio di una campagna elettorale che durerà tra i due e i quattro mesi.

Un governo di tregua per uscire dalla situazione di stallo che la politica italiana vive dopo le elezioni del 4 marzo. Questa è la scelta del Presidente Mattarella dopo il terzo giro di consultazioni. E come succede in questi casi il totonomi ha riempito le pagine dei giornali italiani. Nomi di possibili ministri, alcuni “scomodi", che possano mettere in difficoltà i due principali candidati a Palazzo Chigi: Matteo Salvini e Luigi di Maio. E smuovere le acque. Ai 16 nomi iniziali, che avevamo elencato qui, insomma, ci sono state delle aggiunte. Tutte di rilievo.   

Il Corriere della Sera racconta delle quotazioni in ascesa di Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina. Un nome su cui il Movimento 5 Stelle potrebbe non storcere il naso vista la sua lunghissima esperienza e la capacità "di resistere con nervi saldi pure dopo le molte nomine decise da Matteo Renzi e da Angelino Alfano". Tra i possibili ministri elencati dal giornale di Via Solferino ci sono anche Salvatore Rossi, 69 anni, direttore generale della Banca d’Italia, profondo conoscitore del sistema economico italiano, e Dario Scannapieco, 51 anni, vicepresidente della Banca europea degli investimenti (Bei), una di quelle figure che Mattarella vorrebbe per affrontare le sfide imminenti, e faticose, che arrivano dall'Europa.  

Nella carrellata di figurine che Repubblica ha messo insieme in questa galleria emerge invece la candidatura di Alessandro Pajno, 69 anni, magistrato, docente universitario e attualmente presidente del Consiglio di Stato. Su quella di RaiNews, invece, compaiono gli sguardi di Giuseppe Tesauro, attualmente presidente di Banca Carige ma con un passato, ben 9 anni, come giudice della Corte Costituzionale, di cui è stato anche Presidente per pochi mesi, e quello di Ignazio Visco, attuale governatore della Banca d'Italia. 

Non è la prima volta che in queste liste spunta il nome di Lucrezia Reichlin, economista di fama internazionale e docente alla London Business School, apprezzata trasversalmente da molte forze politiche. Ma il Quirinale, in realtà, non si sarebbe ancora mai messo in contatto con lei. A raccontarlo è sua madre, Luciana Castellina, scrittrice, giornalista e fondatrice de Il Manifesto, in una intervista rilasciata a TPI.  Insomma l'unica cosa certa è che il governo neutrale non piace quasi a nessuno. Salvini e Di Maio preferirebbero andare al voto, anche in piena estate, pur di non appoggiare un’altra realtà politica diversa da quella emersa dalle urne. E poi c’è Alessandro Di Battista che, con spirito ancor meno diplomatico, punta il dito sui “traditori della patria”. Quelli che sarebbero pronti a votare la fiducia a un governo fatto di totonomi e figurine.

Voto a luglio o a ottobre, il Partito Democratico si interroga già sul percorso di avvicinamento ad una campagna elettorale che nessuno nel partito avrebbe voluto sostenere. Tra i dem c'è la consapevolezza che i i rapporti di forza in campo non saranno molto diversi da quelli visti il 4 marzo. Anzi, il timore fra i parlamentari è che "a rimetterci di più tra le forze politiche sia proprio il Pd". Prima delle urne, inoltre, c'è da eleggere il nuovo segretario. In assemblea o con regolare congresso, primarie incluse, dipenderà dalla data del voto. In caso di voto a luglio, l'assemblea eleggerà direttamente il segretario; in caso di voto in autunno si andrà alle primarie. Questo stando a quanto riferiscono fonti parlamentari di aree diverse.

Quando e come scegliere?

Tra i renziani, tuttavia, si giudica impossibile organizzare il congresso entro ottobre e più realistico pensare ad una soluzione in assemblea. A questo riguardo, stando a quanto si apprende, la suggestione che piace tanto all'interno delle minoranze quanto tra i renziani sarebbe quella di Paolo Gentiloni segretario eletto in assemblea e, per statuto, candidato premier. Uno schema che viene definito come "il più naturale" da esponenti dem vicini all'ex segretario. Ma c'è da vincere le resistenze dello stesso Gentiloni. In risposta alle indiscrezioni sul suo futuro da segretario, fonti di Palazzo Chigi definiscono "fantasiose le ricostruzioni relative a futuri ruoli cui aspirerebbe o sarebbe destinato il presidente del Consiglio".

La ragione per cui i favori di una larga fetta di partito cadrebbero su Gentiloni sono almeno due: da una parte il presidente del Consiglio è la personalità nel partito che è riuscita a mantenere un alto livello di consenso fra i cittadini e potrebbe essere il volano in grado di risollevare le sorti di un partito duramente segnato dal voto del 4 marzo; in secondo luogo, Gentiloni è visto come un segretario di garanzia al quale guarda con favore la minoranza, ma anche parte della maggioranza renziana. I primi, inoltre, punterebbero su di lui per "scompaginare" tutte le correnti in assemblea, un organo più vasto e con delegati più autonomi rispetto alle logiche delle correnti, depotenziando l'area Renzi. Per gli esponenti vicini all'ex segretario una eventuale candidatura del presidente del Consiglio risolverebbe il rebus del candidato d'area.

Gli altri papabili

I nomi che si fanno, sono sempre quelli di Lorenzo Guerini e Graziano Delrio, ma gli interessati continuano a nicchiare. La partita, d'altra parte, è assai delicata visto che sarà il segretario, eletto in assemblea o al congresso a definire le nuove liste. Fonti di area Renzi, a questo proposito, ipotizzano un lavoro collegiale sui candidati, con un rappresentante per ciascuna corrente. E c'è chi si spinge a ipotizzare la possibilità di riprendere le liste presentate per il voto del 4 marzo, "al netto di chi rinuncia", e ripresentarle.

Un'idea che, dato il livello di conflitto interno al partito, è di applicazione quantomeno difficile. "La prossima assemblea del Pd deciderà se convocare il congresso o eleggere direttamente il nuovo segretario, come previsto dallo statuto. È chiaro che la scelta sarà condizionata dall'evoluzione della crisi politico-istituzionale. E il Pd lo farà, ne sono certo, ricercando la massima condivisione possibile", sottolinea il portavoce della segreteria Pd, Lorenzo Guerini.