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"La Commissione non vuole una crisi tra Bruxelles e Roma, il posto dell'Italia è al cuore della zona euro, non all'esterno”. Lo ha detto il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici in un'intervista alla radio francese, France Inter.  Moscovici ha spiegato che “quello che conterà è lo spirito” della risposta del governo italiano, in particolare “se si iscrive o no nello spirito comune e nelle regole europee”. “Quando sono andato a Roma è per porre domande, e ne ho ancora” sul deficit strutturale, il debito e le previsioni di crescita, ha sottolineato il commissario. Secondo Moscovici, “il deficit strutturale è troppo elevato” perché “uno scarto di circa 1,5 punti non è mai accaduto da quando abbiamo il Patto di Stabilità e Crescita”. 

“Non mi piace l'espressione bocciare. Le parole contano. Il massimo che possiamo fare, è una possibilità e ne dibatteremo, è di chiedere all'Italia di ri-sottomettere un altro documento di bilancio che tenga conto delle osservazioni, delle questioni e delle regole europee”. La Commissione “non lo ha mai fatto” e la richiesta di un nuovo documento programmatico di bilancio “sarebbe una prima volta”. “Non dico quando decideremo. Domani dibatteremo” al collegio dei commissari che si riunisce a Strasburgo, ha aggiunto Moscovici, ricordando che "non è la fine della storia. Poi c'è un dialogo tra noi che può durare fino a tre settimane alla fine del quale entriamo in un altra fase". 

La candidatura di Marco Minniti non arriva, "al momento". L'ex responsabile del Viminale dovrebbe sciogliere la sua riserva dopo il Forum del Partito Democratico in programma sabato e domenica prossimi a Milano. Questo, almeno, stando a quanto riferiscono fonti del partito vicine all'ex segretario. La posizione tenuta da Matteo Renzi rimane, sulla carta, quella del 'niente convocazione, niente candidato' e tuttavia le avanguardie renziane sono in azione ormai da settimane per arrivare a dama con la discesa in campo dell'ex ministro. Nel frattempo, Renzi ha messo in moto una macchina che sembra andare a pieni giri.

la nuova formula della Leopolda

La Leopolda che nelle parole del padrone di casa non avrebbe dovuto occuparsi di partito e congresso, offre segnali di riorganizzazione del fronte. Intanto nell'opera di 'reclutamento' all'interno di quella parte di società civile dalla quale Renzi ha deciso di ripartire: sindaci, certo, ma soprattutto intellettuali, giornalisti e persone legate a vario titolo al mondo della cultura e dello spettacolo.

Lo strumento che l'ex leader Pd sceglie per presentare questi 'sponsor' è un talk show in stile David Letterman o, per rimanere dentro i confini nazionali, in stile Fabio Fazio. Sul palco della Leopolda compare una scrivania con tanto di tazza 'mug' contenente le penne arancioni distribuite all'ingresso della stazione Leopolda assieme agli altri gadget. A destra una poltrona che sembra aver conosciuto tempi migliori. Su questa si alternano, di volta in volta, i vari ospiti, a partire dall'immunologo Roberto Burioni, campione renziano nella guerra alle fake news sui vaccini.

Poi la sorpresa: Paolo Bonolis. Lo showman inizia punzecchiando Matteo Renzi: porta in dono un poncho degli Intillimani, gruppo musicale peruviano ospite fisso alle feste dell'Unità negli anni Settanta e Ottanta. "Almeno avrai qualcosa di sinistra", spiega Bonolis. Dal 'padre' di Bim Bum Bam non arriva un sostegno esplicito. Con Renzi ci si limita a prendere un po' in giro il governo in carica, battendo sul tema dei migranti e l'utilizzo che ne fa Salvini: il gioco è 'scegli un tema e io incolpo i migranti'. Segue Federica Angeli: la cronista minacciata dai clan ad Ostia e che, può dire, "oggi gli Spada e i Fasciani sono scomparsi. Morti".

Poco dopo spara sull'area non renziana del Partito democratico: "Quando Orfini ed Esposito", rispettivamente commissari del Pd a Roma e nel municipio del lungomare, "venivano ad Ostia li sentivo dire che il Pd deve stare tra la gente. Dietro di loro, però, c'era chi diceva: 'ecco la rottamazione renziana'. Hanno paura perché sono attaccati alle poltroncine". Parole che, sommate alla sempre più frequenza della presenza di Angeli alle iniziative di partito, farebbero pensare a una prossima discesa in campo al fianco all'ex leader.

Lo spettro del voto anticipato

Più diretto, invece, il dialogo con un'altra giornalista, Rula Jebreal. Renzi le chiede direttamente se si senta pronta a impegnarsi in politica e la scrittrice di orgine palestinese, con cittadinanza israeliana e naturalizzata italiana risponde subito: "In questo momento sento il dovere morale di dare qualcosa indietro a questo Paese che mi ha dato tanto". E allora, conclude Renzi, "Cara Rula, siccome tra qualche mese si vota, non finisce qua…".

Il riferimento è alle elezioni europee, sempre che non si arrivi a un clamoroso election day con politiche anticipate. Una prospettiva che i renziani non si augurano. Non ancora, almeno: troppo delicato il momento per il Paese oltre che per il Pd. Ma la prospettiva è quella di mettere in campo tutta la forza di cui l'ex leader è capace. Di nuovo partito si parla solo in platea, fra le 4.000 persone arrivate ad assistere alla tre giorni di lavori. Per Renzi e i renziani, invece, l'ipotesi non è da prendere in considerazione.

E i comitati civici varati oggi? Servono più a ricreare un rapporto con il territorio e in vista delle elezioni regionali e comunali, è la spiegazione che viene data in ambienti parlamentari vicini all'ex presidente del Consiglio.

E, mentre in platea ci si fregano le mani per quello che sembra essere l'inizio di un congresso renziano, arriva Marco Minniti, l'ospite più atteso della kermesse renziana, ancora incerto se raccogliere l'invito a candidarsi contro Nicola Zingaretti al congresso Pd. "Al momento no", è la risposta laconica che l'ex ministro offre ai giornalisti che si accalcano sotto il palco, prima che si alzi e prenda la via del retro palco. Dove, ad attenderlo, c'è lo stesso Renzi. I due si chiudono in una stanza a parte rispetto ad esponenti come Boschi, Carrai, Rosato e Bonafé. Un colloquio di un'ora scarsa. Poi, così come arrivato, Minniti prende la strada di casa, sempre lontano dalle telecamere.

Pare che la ‘manina’ ci sia stata, e che non fosse proprio una manina tecnica ma politica. A tre giorni dalla denuncia a Porta a porta del vicepremier Luigi Di Maio, comincia a definirsi la vicenda che ha portato nel decreto fiscale l’introduzione dello scudo fiscale per i capitali all’estero.

Quella ‘manina’, secondo un’indiscrezione pubblicata oggi dal Corriere della sera, sarebbe quella di Massimo Bitonci, eletto con la Lega e sottosegretario al ministero dell’Economia. Scrive il Corriere: “Ma prima del consiglio dei ministri, interviene un’altra mano (manina?), quella del collega Massimo Bitonci. Che introduce il condono per gli evasori. Il sottosegretario sostiene di aver inviato il documento alla collega dei 5 Stelle Laura Castelli. Comunque sia andata, prima del consiglio, si raggiunge una sorta di accordo. Il premier Giuseppe Conte fa una sintesi dell’accordo politico. Nel frattempo gli uffici inviano il testo scritto con il dettaglio, che consegnano a Conte. Il quale non lo legge pubblicamente, secondo la versione di Palazzo Chigi, ma riassume i contenuti essenziali. Riassunto che non mette in allarme Luigi Di Maio, presente e verbalizzante” (Corriere della Sera). 

Per approfondire: Breve storia della manina che ha cambiato il decreto fiscale

Di Maio però si accorge di quello che nel decreto fiscale era in pratica diventato un condono quasi tombale. Va in televisione da Vespa e scoppia il primo grosso caso politico nella coalizione di governo. A qualche giorno dalla festa del Movimento 5 stelle al Circo Massimo. E in queste ore si cerca ancora una mediazione ancora difficile, con un Consiglio dei ministri fissato per il pomeriggio di sabato 20 ottobre a cui al momento non si sa ancora se parteciperanno tutti i capi dei dicasteri.

 "Non ci sono problemi per questo governo, la Lega non vuol far saltare questo governo. Ci pagano per risolvere i problemi e domani sarò al Consiglio dei Ministri". Lo ha detto il vicepremier e ministro dell'Interno, Matteo Salvini, da Predaia in Val di Non poco prima di visitare MondoMelinda in occasione del suo tour a sostengono dei candidati della Lega in vista delle elezioni provinciali di domenica.

Salvini ieri in serata è sembrato piuttosto irritato per le minacce di crisi evocate da Luigi Di Maio, e aveva detto in un primo tempo che non si sarebbe presentato al Consiglio dei ministri. Poi ha corretto il tiro: "Se serve che Salvini ci sia, Salvini ci sarà. Ma gli amici di M5s devono darmi una mano, dobbiamo andare avanti e non indietro, servono strade, porti, autostrade, ferrovie. Abbiamo bisogno di correre", aveva detto in serata. Parole che sono arrivate poco un altro segnale di pace, una nota in cui chiedeva "basta liti" agli alleati di governo. 

Il governo farà di tutto per contrastare chi vuole dividere Italia e Russia e cercherà di convincere i partner europei dell'assurdità delle sanzioni. È il messaggio che il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha lanciato oggi a Mosca alla comunità imprenditoriale italiana, riunita per l'assemblea generale di Confindustria Russia, che da anni lamenta le forti perdite causate dalle sanzioni occidentali.

Salvini ha comunque tenuto a precisare che per ora, nel quadro delle tensioni già esistenti con Bruxelles su dossier scottanti come la manovra economica, porre il veto al rinnovo delle misure punitive dell'Ue non è una priorità. Aggiungendo: basta aspettare ancora fino alle europee di maggio e le cose cambieranno. "Questo regime sanzionatorio – ha tuonato dal palco dell'evento Salvini, accolto dagli applausi degli imprenditori – non ha alcun senso e non ha conseguenze positive, finirà. Io ce la metterò tutta".

Il veto alle sanzioni – il cui rinnovo è possibile solo con l'unanimità di tuti i membri Ue – non è, però, oggi una "priorità. Se uno ha un jolly se lo gioca una volta sola – ha spiegato – c'è la questione del bilancio Ue, la questione delle migrazioni e la manovra, che se ce la bocciano non so cosa giocarmi, ma andremo avanti lo stesso. Ora – ha ammesso il vicepremier – la priorità è la manovra economica, perchè tutte le nostre attenzioni sono riservate a garantire agli italiani quello che ci siamo impegnati a fare".

Il veto alle sanzioni sarà l'extrema ratio 

Il leader leghista ha ribadito, di fatto, la linea già espressa nella sua precedente visita a luglio a Mosca e cioè che l'eventuale veto italiano alle sanzioni sarebbe solo l' "extrema ratio". Salvini ha però rinnovato anche l'auspico di riuscire a convincere i partner europei della loro "assurdità". Se, però, dovesse fallire nel suo intento, ha lasciato intendere il ministro dell'Interno parlando alla platea di oltre 700 persone, basta aspettare maggio e le elezioni europee che "segneranno l'inizio di un cambiamento epocale. Chi parla a sproposito di Europa oggi fra qualche mese cambierà residenza e mestiere. Dobbiamo portare pazienza ancora qualche mese", ha dichiarato Salvini, parlando di "ultimi giorni del bunker" per i vertici dell'Ue.

La visita lampo del vicepremier leghista precede di una settimana quella del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al quale Salvini ha detto di voler già stasera "relazionare" su quanto raccolto oggi a Mosca sulle difficoltà e i bisogni degli imprenditori e sulla necessità di ribadire ai partner russi la contrarietà del governo alle sanzioni. è un ottobre denso di visite ad alto livello a Mosca, dove meno di dieci giorni fa è arrivato in visita anche il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi.

Una dinamica "molto attiva" l'ha definita oggi il vice ministro degli Esteri russo Grushko, che però secondo Salvini non compromette i rapporti di Roma con il partner Usa. Proprio a margine dell'assemblea di Confindustria Russia, Salvini ha infatti rivelato di aver incontrato, la settimana scorsa, l'ambasciatore americano a Roma, anche in vista della preparazione del suo viaggio a Washington, che spera si possa tenere "tra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo".

Resta alto il consenso ai due partiti dell’area di Governo. La Lega si conferma, con il 31,5% prima forza politica: un punto e mezzo sopra il Movimento 5 Stelle, posizionato oggi al 30%. È la fotografia che emerge dal Barometro Politico di ottobre dell’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento. 

Sia pur con impercettibili segni di ripresa, restano molto distanti i partiti di opposizione: secondo i dati rilevati da Demopolis, il Partito Democratico, in attesa del nuovo segretario, si attesta al 17,4%, Forza Italia all’8,3%. Fratelli d’Italia otterrebbe il 3,2%, LeU il 2,1%, +Europa il 2%.  L’affluenza appare in calo al 70%, 3 punti in meno rispetto alle Politiche del 4 marzo scorso.

Leggi qui info su approfondimenti e metodologia.

La deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma rappresenta una ferita insanabile per l'intero popolo italiano. Lo ha affermato il capo dello Stato, Sergio Mattarella, secondo il quale "il 16 ottobre 1943 fu un sabato di orrore, da cui originò una scia ancor più straziante di disperazione e morte: la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma costituisce una ferita insanabile non solo per la comunità tragicamente violata, ma per l’intero popolo italiano". È "in questo giorno di memoria e raccoglimento" che Sergio Mattarella conferma che "la Repubblica si stringe alla Comunità ebraica italiana, ai parenti, ai discendenti dei deportati, poi torturati e uccisi, e rinnova il proprio impegno per rafforzare i valori della Costituzione, che si fonda sull’inviolabilità dei diritti di ogni persona e che mai potrà tollerare discriminazioni, limitazioni della libertà, odi razziali".

Mattarella ricorda che "l’inizio anche in Italia, favorita dalle leggi razziali varate dal regime fascista, di una caccia spietata che non risparmiò donne e bambini, anziani e malati, adulti di ogni età e condizione, messi all’indice solo per infame odio. Oltre duemila italiani di origine ebraica scomparvero da Roma in pochi mesi, costretti nei treni della morte verso i campi nazisti".

Prosegue Mattarella: "Le lezioni più tragiche della storia vanno richiamate alla conoscenza e alla riflessione delle giovani generazioni, affinché, nel dialogo, cresca la consapevolezza del bene comune. Il sacrificio, la tribolazione, il martirio di tanti innocenti, è un monito permanente alla nostra civiltà, che si è ricostruita promettendo solennemente 'mai più' e, tuttavia, ogni giorno è chiamata a operare per svuotare i depositi di intolleranza, per frenare le tentazioni di sopraffazione, per affermare il principio dell’eguaglianza delle persone e del rispetto delle convinzioni di ciascuno".

Nuovo richiamo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la sicurezza sul lavoro. "Il dramma delle vittime degli incidenti sul lavoro ancora oggi ferisce la nostra società. Garantire a tutti la possibilità di lavorare in un ambiente sicuro è scelta di civiltà. L'attenzione per ciò che può costituire pericolo per la salute del lavoratore non può mai venire meno e deve, anzi, essere oggetto di continuo aggiornamento", scrive Mattarella, in un messaggio al presidente dell’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (Anmil), Franco Bettoni, in occasione della 68esima giornata per le vittime degli incidenti sul lavoro. "Nell'efficacia delle tutele – sottolinea il capo dello Stato – emergono specificità legate a particolari ambiti lavorativi: da queste esperienze deve venire una spinta verso una prospettiva di omogenea ed elevata sicurezza, nonché la salubrità di tutti gli ambienti di lavoro. A dieci anni dall'entrata in vigore del testo unico sulla sicurezza – avverte Mattarella – si registrano ancora percentuali inaccettabili di irregolarità conferma di come ci sia ancora molta strada da fare per diffondere la cultura della prevenzione un'opera in cui è meritoriamente impegnata l'Anmil". In occasione della giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, il presidente auspica "che il miglior successo della celebrazione odierna diventi il superamento dell'urgenza che ancora oggi la genera: il lavoro non può e non deve mai generare vittime o causare infermità". 

Il 52% degli italiani esprime, nel complesso, una valutazione positiva sulla manovra economica annunciata dal Governo in occasione della presentazione del Def; un giudizio di segno opposto giunge invece dal 38% dei cittadini: è il dato che emerge da un’indagine condotta dall’Istituto Demopolis.

L’opinione pubblica si divide maggiormente sulla scelta di alzare il deficit al 2,4%: il 48% ritiene la decisione necessaria per l’attuazione delle misure economiche previste dal programma di Governo stilato da Salvini e Di Maio. L’innalzamento del deficit è considerato invece inopportuno dal 37% degli italiani, preoccupati dei rischi legati all’incremento del debito pubblico e all’aumento dello Spread. 

Il dibattito dell’ultima settimana sembra pesare sul giudizio dell’opinione pubblica in merito ad alcune misure della legge di Bilancio. Secondo l’analisi effettuata da Demopolis per il programma Otto e Mezzo, quasi un italiano su due ammette di avere un certo timore dell’aumento dello Spread registrato negli ultimi giorni; poco più di un terzo sostiene invece che non sia un problema, trattandosi di un tentativo di influenza dei mercati sulle scelte politiche. Il 16% non si esprime in materia.  

Sia pur con alcune preoccupazioni legate alla manovra economica ed una lieve flessione nell’ultima settimana, sembra pressochè inalterata – da giugno ad oggi –  la fiducia degli italiani nel Governo Movimento 5 Stelle-Lega: secondo i dati dell’Istituto diretto da Pietro Vento, il 58% dei cittadini esprime un’opinione positiva sull’attuale Esecutivo.   

Nota informativa – L’indagine è stata condotta dall’10 al 12 ottobre 2018 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, per il programma Otto e Mezzo, su un campione stratificato di 1.500 intervistati, rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. Supervisione della rilevazione demoscopica di Marco E. Tabacchi. Coordinamento di Pietro Vento, con la collaborazione di Giusy Montalbano e Maria Sabrina Titone. Approfondimenti e metodologia su: www.demopolis.it