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Quasi Tutti gli Articoli in questa categoria sono tratti dal sito: http://www.gamesource.it/ a cui va riconosciuto il giusto merito e va tutta la mia gratitudine per l’ottimo lavoro che svolgono

La conferenza Sony E3 2016 ha finalmente una data e un orario, cosa ci dobbiamo aspettare? Senz’altro informazioni dettagliate su PlayStation VR e sull’upgrade dell’hardware di PlayStation 4.

PlayStation 4

L’evento si terrà il 13 Giugno alle ore 18 PT (le 3 del mattino in Italia), come al solito dovremo prepararci a fare le ore piccole per seguire gli annunci che Sony è intenzionata a proporre a questo E3 2016. Senza dubbio l’attenzione sarà focalizzata sul parco titoli PlayStation 4, sul VR e sull’update dell’hardware ma ci sarà anche un piccolo spazio per Vita? Le speranze sono esigue per i fan della console portatile Sony, ma non sono trapelati dettagli precisi sulla conferenza dunque è bene avere qualche speranza.

Essendo l’ultima della giornata e evendo quindi la possibilità di assistere alle precedenti conferenze – Microsoft, PC Gaming Show e UbisoftSony potrebbe anche modificare la propria scaletta per cercare ancora una volta di stupire il pubblico come fece l’anno scorso con annunci importanti quali Final Fantasy VII Remake.

In una recente intervista di IGN, Pat Crowley, il produttore esecutivo del film di Assassin’s Creed ha svelato qualche dettaglio.  Pare infatti che il film sarà ambientato per il 65% nel presente e il restante 35% nel passato, a grande differenza da ciò che accadeva nella saga videoludica.

 

Ricordiamo che il periodo storico trattato nel film è quello dell’Inquisizione Spagnola e che il film uscirà a gennaio del 2017.

Final Fantasy Brave Exvius arriverà in Europa quest’estate su Android e iOS in formato free-to-play con microtransazioni. Questo jrpg Square-Enix pensato appositamente per il mercato mobile conta già 5 milioni di giocatori in Giappone.

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Seguiremo le gesta di due cavalieri del regno di Grandshelt, e di una giovane ragazza apparsa dal nulla di fronte a loro, mentre cominciano il loro viaggio alla ricerca di un cristallo molto particolare. I giocatori si faranno strada attraverso vari tipi di dungeon alla ricerca di oggetti, gil, scoprendo passaggi segreti e nuovi percorsi.

Il titolo si caratterizza per un sistema tradizionale di combattimenti a turni che sfruttano i comandi touch in modo intuitivo, risultando immediato per i nuovi giocatori così come per i fan di vecchia data. Il titolo si caratterizza anche per la presenza di filmati in CG di alta qualità per le evocazioni e per il ritorno di alcuni storici personaggi dai titoli del passato come Warrior of Light, Cecil, Vivi e Terra.

Vi lasciamo al trailer di lancio che pubblicizza la pre-registrazione al titolo:

Se volete pre-registrarvi a Final Fantasy Brave Exvius potete collegarvi al sito ufficiale predisposto da Square-Enix per il suo jrpg mobile ricevendo uno speciale oggetto in-game. Il titolo arriverà in Europa quest’estate e sarà disponibile in 6 lingue ma senza la presenza dell’italiano: inglese, tedesco, francese, spagnolo, sinese (tradizionale) e coreano.

Alla fine degli anni ’80 l’Amiga 500, l’ammiraglia di Commodore che fu tra le piattaforme più potenti della storia videoludica, era ormai in produzione da quattro anni, ma mancava ancora di un titolo che potesse esprimerne le reali potenzialità tecniche e di stile. Quella, insomma, che oggi chiameremmo Killer Application: quei titoli che, da soli, giustificano l’acquisto di una piattaforma.

Nel 1989 Psygnosis, azienda inglese con già al suo attivo ottimi titoli come Deep Space, Barbarian e l’avveniristico (per l’epoca) Obliterator, decise di esplorare a fondo le caratteristiche hardware del 16-bit di Commodore, creando quello che sarebbe diventato uno dei migliori titoli per Amiga 500 (e in seguito convertito per praticamente qualsiasi sistema a cavallo tra gli anni ’80 e ’90): Shadow Of The Beast.

Sfruttando i potenti processori della piattaforma, l’azienda inglese creò un titolo dal comparto tecnico mai visto prima, con sprite e personaggi di dimensioni generose, musiche eccellenti (a opera di un David Whittaker all’epoca già bravissimo), un’atmosfera affascinante e uno scrolling parallattico (sezioni del fondale che si muovevano in modo indipendente per simulare l’effetto di profondità) a dodici piste. Traguardi, questi, del tutto impensabili all’epoca.

Gli sviluppatori di Psygnosis, tuttavia, non si accontentarono di creare un comparto tecnico ai massimi livelli, ma ci costruirono intorno un eccellente action-platform decisamente giocabile e impegnativo, e un sistema di promozione altrettanto ben studiato: dall’imponente confezione del gioco fino all’illustrazione di copertina, realizzata da Roger Dean. Dopo aver sviluppato due seguiti di Shadow Of The Beast, e ormai forte del meritato successo della sua creatura, Psygnosis (in seguito divenuta SCE Liverpool Studio e poi Sony Studio Liverpool) negli suoi anni di attività dal 1984 al 2012 si sarebbe costruita un solido e corposo curriculum di eccellenti titoli, la maggior parte dei quali caratterizzati da un livello di difficoltà elevato ma appagante. Fu la From Software degli anni ’80, per così dire.

Nel 2013, anno successivo alla chiusura dell’azienda di Liverpool, nel corso della Gamescom venne annunciato un remake del primo Shadow Of The Beast. Passati altri due anni, durante i quali i fan del titolo originale sembravano ormai aver perso le speranze, nel corso dell’E3 del 2015 Sony mostrò un gameplay praticamente definitivo del titolo. Disponibile in versione digitale (finora una versione retail sembra prevista per il solo mercato asiatico) questo Shadow Of The Beast, distribuito da Sony Interactive Entertainment in esclusiva per PlayStation 4, prova oggi a raccogliere l’eredità di quel primo, e ormai leggendario, titolo Psygnosis grazie al lavoro di Heavy Spectrum Entertainment Labs.

Le ambientazioni sono ispirate al titolo originale

Le ambientazioni sono ispirate al titolo originale

Io sono la bestia

La storia del remake di Shadow Of The Beast non è né un seguito degli avvenimenti visti nel titolo di Psygnosis, né una storia nuova, ma riprende e approfondisce la narrazione del titolo originale. Le vaste e desolate terre di Karamoon si trovano ormai sotto la dittatura di un ambizioso mago conosciuto come Maletoth che, come ogni tiranno che si rispetti, si tiene ben lontano dai campi di battaglia, preferendo di gran lunga circondarsi di eserciti, schiavi e bestie. Nel tentativo di creare una sorta di guerriero definitivo da utilizzare come arma personale, Maletoth ordina il rapimento di un bambino di pochi giorni e, nel corso di un complesso rito di magia oscura, ne muta le sembianze trasformandolo in una sanguinaria creatura: il nostro protagonista Aarbron.

Venuto a sapere dell’esistenza di una bambina dalle stesse caratteristiche di Aarbron, e volendo ampliare il numero di creature sanguinarie ai propri ordini, Maletoth incarica del rapimento il suo fedele braccio destro Zelek, che decide di portarsi dietro, come arma, proprio il nostro protagonista. Rintracciata la bambina nelle protettive mani di una setta di Cercatori, Zelek costringe Aarbron a una carneficina che, nel suo culmine, lo porterà a riflettere sul suo passato e a ribellarsi. Vista la pessima piega presa dagli eventi, Zelek cerca di fuggire portandosi via la bambina, inseguito da un Aarbron sempre più inferocito, ormai consapevole della sua reale identità e fermamente intenzionato ad attraversare le terre di Karamoon, dal Regno delle driadi fino alle Distese aride, per mettere finalmente fine alla tirannia di Maletoth.

La storia non sarà subito comprensibile

La storia non sarà subito comprensibile

Il rancore del sangue

Anche il sistema di controllo riprende a grandi linee quanto visto nel titolo di Psygnosis, con l’aggiunta di un sistema di combattimento molto più vario e profondo. I pulsanti utilizzati sono ridotti al minimo, tra attacco base, stordente, salto e parata, comunque in grado di garantire un parco piuttosto vario di attacchi. Padroneggiare il sistema di mosse, così come il tempismo degli attacchi, risulta fondamentale: le meccaniche del titolo sono infatti ben lontane dal classico vai avanti e premi ripetutamente il pulsante di attacco (un sistema invece abusato in molti titoli simili). Ogni tipologia di avversario necessita di una tecnica ben precisa per poter essere affrontata: dai nemici dotati di scudi, che sarà necessario aggirare per poterli attaccare alle spalle, fino ad avversari talmente veloci da dover essere prima storditi.

In nostro aiuto verrà anche una barra rossa, ricaricabile uccidendo gli avversari, che permette di effettuare attacchi speciali in grado di farci recuperare energia (il titolo non usa la classica barra dell’energia, ma un sistema di punti numerici identico a quello del titolo originale), di effettuare una letale sequenza di colpi con un semplice QTE (Quick Time Event) e di aumentare il punteggio generale. Padroneggiare i vari stili di combattimento, quindi, si rivela fondamentale anche per acquisire un maggior numero di punti mana, molto importanti e in grado di dare al titolo una pur vaga impostazione RPG. Uccidere avversari con il giusto tempismo, trovare oggetti nascosti, finire i livelli in minor tempo, portare a compimento una lunga serie di colpi di fila, in generale affrontare l’avventura con un certo stile, permette infatti di ottenere varie qualifiche (le classiche medaglie oro, argento, bronzo e piombo) e acquisire punteggi da spendere nella cosiddetta Saggezza delle ombre per sbloccare potenziamenti, sottotitoli dei dialoghi (personaggi e nemici parlano una lingua inizialmente incomprensibile. Sarà necessario sbloccarne a mano a mano i relativi sottotitoli), filmati, colonne sonore, biografie di personaggi, descrizioni dei nemici, amuleti e altri contenuti. Tra questi troviamo un’interessante prospettiva dedicata alla saga originale e persino una perfetta emulazione del primo titolo per Amiga 500, con relativo video gameplay completo.

Lo stile di gioco, oltre ai numerosi combattimenti, richiede anche la risoluzione di alcuni enigmi ambientali, mai invadenti, e un’attenta esplorazione dei vari livelli, allo scopo di attivare eventi alternativi, trovare oggetti utili e distruggere delle sfere che permettono di sbloccare ulteriori filmati in grado di approfondire la storia principale. Tra le numerose opzioni e modalità troviamo la possibilità di diminuire o togliere del tutto gli HUB presenti su schermo, la classica selezione del livello di difficoltà, un tutorial sempre esauriente e attivo e la possibilità di resuscitare a piacere utilizzando elisir (limitati) o anime (infinite).

Quest’ultima possibilità, comunque disattivabile, accentua quello che forse è l’unico vero difetto di questo remake: la brevità. Nonostante un’alta rigiocabilità, necessaria per sbloccare i numerosi contenuti extra, difficilmente la nostra avventura nelle terre di Karamoon durerà più di una manciata di ore.

Un discorso particolare merita la componente multiplayer online: oltre alle classiche classifiche e sfide, è presente la possibilità di evocare le anime di altri guerrieri per farci aiutare nelle sezioni più difficili e per guidarci verso zone ancora inesplorate. Un meccanismo interessante, che riprende in parte quanto già sperimentato da From Software nei suoi soulslike.

Il titolo è ricco di interessanti extra

Il titolo è ricco di interessanti extra

Lo splendore di karamoon

Gran parte dello stile tecnico di questo Shadow Of The Beast riprende le ispirazioni del titolo originale, a partire dalla visuale. Ben lontani dal riprendere la classica telecamera in terza persona, tipica di molti remake, gli sviluppatori hanno saggiamente preferito mantenere una visuale laterale tipica dei platform degli anni ’80 e ’90, nonostante siano comunque presenti numerosi cambi di distanza della telecamera, molti dei quali decisamente d’effetto. Una scelta adatta per mantenere l’attenzione sulle fasi più movimentate e per rendere ulteriore omaggio al titolo di Psygnosis.

Il comparto tecnico è ovviamente migliorato sotto tutti gli aspetti, ma in modo ancora migliore rispetto a quanto visto in altri remake di titoli storici. Il remake di Heavy Spectrum propone infatti modelli poligonali ben realizzati, un frame rate quasi sempre fisso a 60 fps e scenari ricchi di dettagli. Ma al di là dell’innegabile buona realizzazione tecnica, è l’atmosfera generale del titolo a risultare ancora migliore: tra gigantesche astronavi-robot, ambientazioni a metà tra l’antico e il futuristico, nemici dal design ispirato, tramonti di fuoco, vasti deserti e antichi templi, gli sviluppatori hanno pienamente rispettato, persino migliorandole, le atmosfere del titolo originale.

Anche sul versante sonoro il lavoro è stato più che buono: a fronte di effetti sonori ben realizzati, anche se poco vari, troviamo un’eccellente colonna sonora dinamica, a metà tra l’epico e il drammatico, realizzata questa volta da un ispiratissimo Ian Livingstone.

Un discorso a parte va fatto per la scelta, azzeccata, di includere anche il primo originale Shadow Of The Beast per Amiga 500. L’emulazione, infatti, è realizzata con una cura eccellente, comprensiva di filtri anti-aliasing vari, un ottimo sistema di controllo e persino dell’opzione di invincibilità. Una scelta, quest’ultima, piuttosto utile vista la difficoltà del titolo originale.

L'atmosfera rimane affascinante

L’atmosfera rimane affascinante

Quello dei remake è sempre stato un campo difficile per gli sviluppatori, specialmente in caso di titoli ormai entrati nella storia videoludica come il primo Shadow Of The Beast del 1989. Il rischio di deludere gli appassionati di vecchia data è altissimo, così come quello di non riuscire a interessare le nuove generazioni di giocatori. Per fortuna, non è questo il caso: gli sviluppatori sono riusciti infatti a creare un ottimo remake, decisamente fedele alle meccaniche e alle atmosfere del titolo originale, ma allo stesso tempo abbastanza rinnovato, approfondito e migliorato da poter destare nuovo interesse. Grazie a un riuscito stile visivo a metà strada tra lo Shadow Of The Beast del 1989, God Of War e 300 (il film), alla varietà dello stile di combattimento, all’ottimo comparto tecnico e all’alto numero di interessanti contenuti sbloccabili, il lavoro di Heavy Spectrum può essere considerato un eccellente remake. Nonostante rimanga il difetto della brevità generale dell’avventura, solo in parte aumentata grazie all’alta rigiocabilità del titolo, la pesante eredità del capolavoro di Psygnosis è stata rispettata in modo più che dignitoso.

In un mondo dove siamo abituati a sviluppatori che sfornano sequel, prequel e reboot (spesso non richiesti) delle loro serie a cadenza quasi annuale, pensare che ci siano voluti più di due anni per far uscire la seconda parte della trilogia di The Banner Saga pare quasi una stranezza. Dopo aver lasciato i giocatori con un finale tragico, Stoic ha efficacemente creato la necessità per coloro che hanno apprezzato il gioco (noi compresi) di volerne sapere di più e scoprire se il “viaggio del vessillo” avrà mai fine.

Il viaggio continua...

Il viaggio continua…

The Banner Saga, per chi non lo conoscesse, è un ibrido tra gioco di ruolo e strategico a turni con una profonda componente narrativa ispirato alla mitologia norrena, e se questo non fosse sufficiente motivo di curiosità sappiate che Stoic, il team di sviluppo, è formato da ex membri di Bioware.
Da degno frutto delle saghe vichinghe, il mondo di The Banner Saga è ricco di epicità e oscurità, con un clima costantemente apocalittico e cupo. Questo seguito non è da meno: la trama riprende esattamente da dove era finito il primo, in maniera differente a seconda delle scelte fatte nel precedente capitolo, e incalza immediatamente con nuovi eventi che spingono i protagonisti a rimettere in viaggio la carovana e scappare dagli onnipresenti dredge, la razza di esseri di pietra uscita fuori dalle profondità della terra che sta minacciando tutti gli esseri viventi. Gli altri segni caratteristici che hanno reso il primo capitolo uno dei videogiochi più accattivanti degli ultimi anni, come la colonna sonora emotiva e fondali e personaggi disegnati a mano, sono rimasti, mentre i combattimenti sono profondamente cambiati.

Anche stavolta ogni scelta avrà conseguenze

Anche stavolta ogni scelta avrà conseguenze

I combattimenti di The Banner Saga sono stati forse l’unico punto davvero dolente del primo capitolo, non perché non offrissero un buon grado di sfida (tutt’altro!) ma perché a lungo andare scadevano nella ripetitività a causa delle meccaniche piuttosto povere. Stoic ha adottato l’unica soluzione possibile, ovvero aggiungere contenuti: una nuova razza con meccaniche di gioco completamente diverse dalle altre, differenti nuove classi di combattenti, un level cap più alto con possibilità di scegliere tra differenti abilità per i singoli personaggi. Non solo: mentre il primo capitolo offriva combattimenti essenzialmente statici dove l’unico obbiettivo era eliminare tutti gli avversari, The Banner Saga 2 rende più dinamici i campi di battaglia con ostacoli e coperture al suo interno, condizioni metereologiche che influenzano le statistiche, mappe che si estendono e obbiettivi più variegati che non comportano necessariamente l’uccisione di tutto ciò che si muove.

Gli eventi climatici influenzano le abilità dei combattenti

Gli eventi climatici influenzano le abilità dei combattenti

Meno differenti i viaggi in carovana: anche in questo capitolo la gestione delle scorte di cibo, decidere quando fermarsi a riposare e le (tante) scelte multiple sugli eventi che capitano determineranno vita o morte di personaggi giocabili e non, l’unica reale novità è la possibilità di addestrare questi ultimi negli accampamenti per ottenere nuovi guerrieri non controllabili (che aumenteranno le probabilità di sopravvivenza durante determinati eventi di battaglia) o punti bonus da spendere per quelli controllabili.

Gli "horseborn", la nuova razza di The Banner Saga 2

Gli “horseborn”, la nuova razza di The Banner Saga 2

L’unico difetto concettuale del primo gioco è stato pressoché risolto, ciò nonostante The Banner Saga 2 non è un capolavoro a causa della sua stessa natura di saga: questo episodio lascia una sensazione simile a quella di una stagione di intermezzo di una serie televisiva, con primi episodi molto caldi e promettenti ma un proseguimento che lascia costantemente tiepida l’attesa di un momento cruciale che alla fine non arriva, o quantomeno non arriva con la stessa enfasi e brutalità del primo episodio. Non possiamo comunque non ritenerci soddisfatti: il livello qualitativo resta molto alto, e quando The Banner Saga 3 uscirà sarà bellissimo poter rigiocare l’intera serie tutta di un fiato.

Ventidue mirabolanti capitoli. Un epilogo. Il tutto letteralmente divorato nell’arco di una dozzina abbondante di ore di gioco. Poi compare il logo di Naughty Dog e iniziano a scorrere i titoli di coda. Ed è allora ci una lacrima di commozione ci riga il volto: stiamo salutando un vecchio amico sapendo già che si tratta di un addio. Nathan Drake sfora gli ideali limiti della trilogia e con il quarto capitolo della sua stellare serie si accomiata senza permetterci di sollevare obiezioni. Perchè è questa la grande fregatura orchestrata ad arte da Naughty Dog: Uncharted 4: Fine di un Ladro è lo stato dell’arte del videogioco per Playstation 4, il traguardo di una maturazione artistica coltivata con costanza negli anni. Un prodotto pressoché perfetto, in grado di relegare un titano come The Last of Us al semplice ruolo di prova generale per il vero obiettivo: chiudere in gloria una serie leggendaria con il miglior capitolo di sempre. Una fregatura, appunto: come potremmo mai chiedere un altro capitolo di un gioco ormai perfetto? Cosa potremmo pretendere da una trama che vede finalmente chiariti tutti gli accenni lasciati in sospeso negli anni? Come potremmo mai lamentarci dopo il turbinio di emozioni che Uncharted 4 ha suscitato in noi? Non possiamo, ecco la fregatura. E allora non ci resta che una cosa da fare: tornare ai nostri titoli di coda, osservare il logo Naughty Dog e dire l’unica parola rimasta: “Grazie”.

Uncharted 4 01

Sic Parvis Magna

“Da umili origini verso grandi imprese”: il motto del corsaro Francis Drake calza davvero a pennello per il protagonista di Uncharted. Che Nathan non è veramente un Drake lo sappiamo ormai dagli eventi di Uncharted 3, ma questo non significa che Nate non meriti comunque di portare il nome che si è scelto: orfano in giovanissima età, dopo un breve periodo in orfanotrofio il piccolo avventuriero cresce in compagnia di suo fratello Sam, che lo inizia all’arte del ladrocinio. Certo, detto così pare che ci siano le umili origini ma che la vita che i due si sono scelti non sia propriamente orientata alle grandi imprese decantate dall’aforisma di Sir Francis, ma negli anni la saga di Uncharted ci ha insegnato che a certi ladri si possono associare parole come coraggio, rispetto, lealtà, amore. Per Nathan Drake sono il coraggio di buttarsi a capofitto nella mischia pur di raggiungere il proprio obiettivo, il rispetto dei luoghi scoperti e persino dei propri nemici, la lealtà verso la figura paterna di Victor Sullivan e verso il proprio fratello Sam, per anni creduto morto in carcere, l’amore verso Elena Fisher, moglie stupenda e fedele dopo le tante avventure passate insieme.

Uncharted 4 02

Ma l’amore di Nathan è anche per l’avventura e il pericolo: la vita tranquilla da sommozzatore – con le giornate passate a recuperare detriti sul fondo del fiume – non può bastare all’uomo che ha scoperto la città d’oro di Shambala, che ha attraversato a piedi il deserto del Rub ‘Al Kali fino a toccare con mano i pilastri di Iram, che è uscito praticamente indenne da centinaia di scontri a fuoco sopravvivendo a spericolati inseguimenti in auto, deragliamenti ferroviari e lo schianto di un aereo cargo (dal quale pochi secondi prima si era gettato senza paracadute). Chiunque abbia giocato negli anni ai vari Uncharted si commuoverà certamente nella soffitta di casa Drake, vedendo Nathan soppesare tra me mani i ricordi di mille avventure e sognare un combattimento con una pistola giocattolo: un ladro può essere buono, leale, innamorato, ma alla fine resta sempre un ladro. Un avventuriero e un cacciatore di tesori per essere più precisi, in attesa di un mero pretesto per ritornare a vivere quelle avventure che sono sempre stato il pane quotidiano della sua vita, fin da quando era un bambino impaurito sotto la protezione del fratello maggiore.

A proposito di questa storia del fratello maggiore, non preoccupatevi se non ne sapevate niente: è Nathan stesso a non averne mai parlato con nessuno, nemmeno con Elena. Sam Drake era morto nel tentativo di evasione da un carcere, o almeno questo era quello che credevano tutti. Nathan stesso lo aveva visto colpito da più pallottole precipitare nel vuoto, e da allora aveva dedicato la sua vita a cercare tesori come quando i due erano inseparabili. Il problema è che dopo anni Sam ritorna, e lo fa con una proposta che non si può rifiutare: il tesoro di Henry Every, quello per la cui ricerca 15 anni prima era praticamente morto, esiste per davvero e lui ha tutti gli indizi. In più, deve trovarlo per ripagare a suon di monete d’oro il boss che l’ha aiutato a evadere. Ecco il pretesto che tanto aspettava Nathan: abbastanza forte da spingerlo a mentire ad Elena per ritrovarsi con Sam e Sully a pianificare insieme un nuovo furto, seguito da un viaggio intorno al mondo alla ricerca del tesoro più grande di tutti i tempi.

Uncharted 4 07

Non è un caso che il primo indizio sia una croce raffigurante San Disma, il ladrone buono che, durante la crocifissione di Gesù, secondo la bibbia si pentì per i suoi peccati e venne accolto in Paradiso. La metafora è più che palese e la narrazione di Uncharted 4 è interamente volta a farci capire che un ladro può essere buono, soprattutto se quel ladro è Nathan Drake. Attenzione però: il giorno della crocifissione i ladroni erano due, proprio come i fratelli Drake. E se uno era buono e pentito, l’altro non era proprio un santo. Ci fermiamo qui per evitare spoiler, ma avrete già capito che Uncharted 4 vanta una profondità narrativa ben superiore ai capitoli precedenti e, grazie anche ad una longevità anch’essa sopra la media e alla solita presentazione non lineare dei fatti, durante l’avventura c’è modo di approfondire ogni singola sfaccettatura delle relazioni che legano i personaggi: sarà finalmente chiaro come Nathan sia divenuto quel che è oggi, sarà approfondito attraverso corsi e ricorsi storici il suo rapporto con Sam, così come quello con Sullivan (il cui passato abbiamo già visto in Uncharted 3) e quello con Elena. Il tutto tramite commoventi scene cariche di sentimento, tramite dialoghi di altissimo livello.

Non mancheranno come da copione due Villain degni di nota: Rafe Adler e Nadine Ross, rispettivamente un ricco e spietato cacciatore di tesori – che in passato ha avuto a che fare con Sam e Nathan proprio per la croce di San Disma e il tesoro di Henry Every – e una mercenaria assassina a pagamento che non vede certo di buon occhio Sullivan, figuratevi il povero Nate. La caratterizzazione di questo cast stellare è perfetta: non una sbavatura, non un controsenso. Tutti i personaggi si comportano in maniera coerente con i loro trascorsi e in base al proprio carattere, reagendo alle varie situazioni come ci si aspetterebbe facessero nella vita reale.

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Insomma, lo stato dell’arte. Henry Every, la sua ciurma, il tesoro scomparso e la leggendaria città di Libertalia non sono che un mero pretesto. Perchè la vera storia di Uncharted 4 è una storia di amore fraterno, di amore coniugale, di amore per l’avventura. Ci insegna che persino il peggiore dei ladri può avere un codice d’onore. È una storia che diverte, commuove, educa, soddisfa. E poi si conclude: niente finale aperto, niente ultimo colpo di scena dopo i titoli di coda. L’epilogo dopo il ventiduesimo capitolo conclude semplicemente la storia di Nathan Drake nel migliore dei modi possibili. Ecco dov’è la tremenda forza di Uncharted 4: ci lascia sul più bello, quando le luci della ribalta sono tutte su di lui e può ritirarsi a testa alta, da guerriero imbattuto, regalandoci un epilogo che ci riporta a ripercorrere tutte le meravigliose avventure iniziate nell’ormai lontano 2007 su Playstation 3, per arrivare allo stupendo finale che Naughty Dog ha pensato per il suo eroe.

Enigmi, proiettili e tuffi nell’erba

Far stare tutto quello che vorremmo dire sul gameplay di Uncharted 4 in una sola recensione sarebbe praticamente impossibile, semplicemente perchè nel gioco c’è tutto quello che ci saremmo aspettati più un’infinità di piccole migliorie e novità in grado di dare nuovi significati alla parola perfezione. Come in passato uno degli elementi fondamentali dell’esperienza è l’esplorazione, solo che stavolta è possibile interagire con molteplici oggetti in ambienti di ampio respiro. L’avventura è come al solito sui binari, ma Naughty Dog ha svolto un lavoro sopraffino riuscendo a nascondere quei binari sotto la superficie, dando l’impressione che le varie sessioni di gioco siano sconfinate e immense. L’esplorazione comprende il girovagare a piedi ma anche a bordo di veicoli, tra i quali una la jeep già provata durante il nostro hands on e una barca, da entrambe delle quali si potrà scendere e risalire mentre si setacciano i più remoti angoli del mondo in cerca di indizi.

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Un secondo importante pilastro portante che da sempre caratterizza Uncharted sono i momenti platform e le arrampicate a rotta di collo, in Uncharted 4 rese ancora più spettacolari grazie al rampino e al chiodo da roccia – quest’ultimo un po’ preso in prestito dalla picozza degli ultimi Tomb Raider, ma comunque sfruttato in maniera diversa – che permettono di coprire distanze altrimenti impossibili da superare con un semplice salto. La corda e il rampino, così come il verricello della jeep, sono spesso e volentieri utilizzati per risolvere semplici enigmi ambientali che, se nella maggior parte dei casi sono riconducibili al classico “sposta la cassa per salire più in alto” sfoderano sempre qualche variabile inaspettata che offre quel pizzico di originalità all’enigma: una corrente d’acqua, una collina resa scivolosa dal fango o il classico script che vi costringerà a ragionare in fretta mentre il pavimento vi si sbriciolerà letteralmente sotto i piedi sono numerose variazioni sul tema che tengono sempre viva l’attenzione. Non mancheranno ovviamente anche una manciata di enigmi più complessi, legati a macchinari di grandi dimensioni da attivare decifrando gli indizi raccolti durante l’esplorazione. Stavolta il diario di Nathan – preso in prestito con licenza poetica da quello utilizzato da Indiana Jones negli omonimi film – verrà utilizzato molto più attivamente, a volte con tanto di pagine strappate e riassemblate per decifrare rompicapo inizialmente irrisolvibili. Il livello di sfida degli enigmi, comunque, è sicuramente alla portata di tutti e, nonostante alcuni di essi siano decisamente semplici e lineari, sono talmente ben realizzati da dare comunque soddisfazione una volta risolti.

Uncharted 4 03

La terza macro area in cui possiamo idealmente dividere l’esperienza di Uncharted sono le sparatorie. Come in passato ci si ripara dietro ogni possibile copertura, ci si sporge, si spara e si rotola per evitare il fuoco nemico, ma tutto questo lo sapete già. La vera novità è l’ottimizzazione delle sessioni stealth, che rispetto al passato, sono finalmente credibili e dedicate ai giocatori che preferiscono un approccio furtivo rispetto al mero gettarsi a testa bassa nella battaglia. In Uncharted 4 è possibile nascondersi tra la vegetazione e segnare i nemici con un tag per seguire i loro spostamenti, pianificare l’azione ed eliminarli uno ad uno restando nell’ombra. Se si viene scoperti inizia la sparatoria ma, data l’ampiezza del mondo di gioco, è sempre possibile fuggire e restare nascosti per qualche secondo per far cessare l’allarme e ricominciare con le eliminazioni stealth, cosa un tempo impensabile. Ai puristi e a quelli che nella possibilità di marchiare i soldati nemici vedranno il gioco assomigliare troppo a Metal Gear Solid, segnaliamo che è comunque possibile deselezionare l’opzione dal menu di pausa del gioco, attraverso il quale sarà anche offerta la possibilità di personalizzare l’esperienza in base al proprio stile e alle proprie capacità: i livelli di difficoltà sono ben cinque, da aggiungersi alla possibilità di attivare o meno la mira automatica. Così facendo Naughty Dog è riuscita a nostro parere a creare un’esperienza che la quasi totalità degli utenti Playstation potranno apprezzare, adattando il livello di sfida alle loro esigenze, siano interessati a Uncharted 4 per il gameplay o per la trama.

Ci fermiamo qui e il perché ve lo abbiamo detto prima: a voler analizzare tutte le sfaccettature di un gameplay così articolato potremmo scrivere un trattato. Vi basti sapere che se inizialmente vi sembrerà il solito Uncharted basteranno pochi minuti per cambiare idea: Uncharted 4 offre esplorazione subacquea, corse sui tetti, inseguimenti in barca e in auto, sparatorie mozzafiato, fughe a rotta di collo, brevi quick time event, esplorazione in stile RPG e (credeteci o meno) persino un paio di partite a Crash Bandicoot. Non riusciamo a trovare cosa manca, probabilmente perché non manca davvero niente per rendere l’esperienza migliore di come è stata confezionata, dal primissimo all’ultimo momento di gioco.

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Immancabile ormai dai tempi di Uncharted 2, anche la modalità online: i dettagli, i perks e la frenesia dell’azione sono quelli che abbiamo già ampiamente trattato durante la nostra prova della versione beta di quella che è poi divenuta la componente multiplayer di Uncharted 4: Fine di un Ladro. Oltre al sempreverde deathmatch è possibile scegliere di affrontare due modalità: in una bisognerà conquistare l’avamposto della squadra avversaria, nella seconda rubare loro un idolo e riportarlo al proprio avamposto. Detto questo, abbiamo quasi esaurito la descrizione dell’esperienza, dal momento che la modalità non prevede un sistema di crescita del personaggio profondo come in Uncharted 3 o delle idee innovative come lo furono ai tempi di Uncharted 2. Bisogna comunque ammettere che la fluidità dell’esperienza online – grazie anche ad un visibile ma assolutamente accettabile downgrade grafico – garantisce un’esperienza ottimale e una precisa risposta ai comandi impartiti. Il nostro consiglio è di affrontare la modalità di cattura dell’idolo con un team composto da amici affiatati: il gioco di squadra e la collaborazione in questa particolare modalità tirano fuori il meglio che il multiplayer di Uncharted 4 può offrire, almeno per il momento. Soltanto i futuri aggiornamenti ci permetteranno di valutare se l’online del gioco avrà altro da offrire e sarà in grado di aumentare la longevità dell’esperienza, o se invece i giocatori si sposteranno velocemente verso altri lidi multigiocatore.

Uncharted 4 Multiplayer

Il fascino dei dettagli

Graficamente la saga di Uncharted ha sempre fatto scuola, sia per il character design che per le ambientazioni proposte, con ogni capitolo dedicato a un particolare elemento naturale: nel primo episodio era l’acqua, nel secondo la neve, nel terzo la sabbia. In Uncharted 4 Nate e soci girano il mondo e incontrano tutti questi elementi, ottimamente realizzati, ma la vera novità è data dalla vegetazione: rigogliosa, mossa dal vento e incredibilmente realistica, la natura in Uncharted 4 non offre soltanto riparo durante le sessioni stealth, ma è il fondamento sul quale Naughty Dog ha costruito un mondo che appare davvero vivo e pulsante, come mai prima d’ora.

Della medesima fattura sono le texture e gli ambienti, così come lo sono i modelli dei personaggi, le animazioni e i volti: dopo quattro capitoli Uncharted stupisce ancora per come Nathan cerchi reali appigli nella roccia durante le arrampicate, o come gli si dipinga in volto un’espressione di terrore quando dopo un salto particolarmente difficile resta appeso soltanto con una mano. Poi ci sono le piccole cose: i fucili che vengono imbracciati o messi in spalla utilizzando la tracolla, Nate che deposita le armi ingombranti sul sedile dell’auto prima di mettersi alla guida, i vestiti che si sporcano o si bagnano in base all’ambiente circostante, i personaggi che rispondono in modo perfetto ai colpi inflitti dai proiettili o durante le scazzottate.

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Ma non finisce certo qui: se fino ad Uncharted 3 ad essere graficamente impressionante nei primissimi piani era soltanto il volto di Nathan Drake, in Uncharted 4 anche il più semplice dei comprimari vanta una realizzazione tecnica che definire maniacale sarebbe riduttivo. I capelli di Elena e quelli della nuova antagonista Nadine sembrano veri e si muovono nel vento, nelle zone calde i personaggi hanno la fronte perlata di sudore, gli occhi sono tra i più espressivi che abbiamo mai visto in un action adventure e le mimiche facciali, soprattutto in una particolare scena di litigio tra Nathan ed Elena, si candidano all’oscar come miglior interpretazione di sempre in un videogioco. Non dimentichiamoci, lo dicevamo poc’anzi, che stiamo parlando di un action adventure, mentre ci siamo trovati con stupore e ammirazione di fronte al livello di dettaglio che ci saremmo aspettati da un’avventura grafica.

Non stiamo neanche a puntualizzare che il motore grafico gira senza un tentennamento, anche in scene come la sparatoria al mercato, dove decine di personaggi e oggetti sono contemporaneamente in movimento sullo schermo. Vi avvisiamo però che Uncharted 4 parte quasi in sordina, per generare a mano a mano che si prosegue con l’avventura un climax grafico che soltanto da metà avventura in poi inizia a far soffiare con prepotenza le ventole di raffreddamento della Playstation 4. Crediamo che anche questo faccia parte dell’esperienza maturata negli anni da Naughty Dog che, scegliendo di stupire come mai prima d’ora, tiene sempre in serbo qualche cartuccia da sparare capitolo dopo capitolo, fino ad arrivare al tripudio di effetti speciali delle ultime ore di gioco, che per ovvi motivi non vi possiamo descrivere ma che vi garantiamo essere davvero spettacolari in ogni singolo frame.

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Abbiamo già accennato al doppiaggio italiano, ottimamente realizzato e recitato: le voci sono quelle che abbiamo imparato a conoscere negli anni, così come le battute sono scritte con incredibile maestria e permettono al gioco di spostarsi tranquillamente dalla battuta sconcia al cinismo, colpendo subito dopo al cuore con una frase semplice ma piena di significato per il modo in cui viene pronunciata. Durante le fasi di esplorazione è possibile interagire con i personaggi controllati dalla CPU avvicinandosi a loro e assistendo a dialoghi aggiuntivi che approfondiscono i rapporti interpersonali dei soggetti coinvolti e la trama. Impressionante come durante l’esplorazione con la jeep sia possibile ascoltare Nathan, Sam e Sullivan iniziare un discorso che, se improvvisamente interrotto per la presenza di un nemico o perchè vi sarete allontanati a piedi per esplorare l’ambiente circostante, una volta ritornati un auto riprenderà in maniera naturale: si tratta di piccoli dettagli che ci fanno capire come Naughty Dog non abbia davvero trascurato nessuna parte del gioco. Passando brevemente alla colonna sonora, il tema principale della serie è questa volta riarrangiato in molti modi per adattarsi alle tante situazioni. Il leitmotiv del gioco restano comunque musiche ed effetti suonati con strumenti etnici, che ben si prestano alla sensazione di avventura e scoperta che Uncharted riesce ancora a trasmettere dopo tutti questi anni.

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La (stupenda) fine di un ladro

Uncharted 4: fine di un ladro è il motivo per cui possedete una Playstation 4. Naughty Dog decide di mettere la parola fine alle avventure di Nathan Drake con un’opera che non possiamo definire semplicemente videogioco: Uncharted 4 è un’esperienza da vivere, soprattutto per chi si è appassionato negli anni con i precedenti capitoli. È un’opera che commuove, appassiona diverte. Uncharted 4 fa riflettere sulla vita e sulle scelte che tutti gli uomini, ladri o meno, prima o poi devono prendere. È un’avventura lunga e sapientemente ritmata, durante la quale c’è spazio per le lacrime, la violenza, il tradimento, l’amore, il perdono. È il canto del cigno di una serie che se ne va a testa alta, mentre ci rendiamo conto di sorridere esaltati al pensiero di cosa Naughty Dog possa realizzare in futuro. È un tumulto di dettagli, che si fondono nel magico e immenso affresco che è l’universo di Uncharted. Per il momento sappiamo che tutte le cose belle prima o poi finiscono. E non poteva essere che così per Uncharted 4, la migliore esperienza di gioco che è al momento disponibile su Playstation 4.

Arrivano novità importanti da Nigh Dive Studios per la versione Remastered di System Shock, l’atteso remake del classico di Looking Class del 1994. Annunciato tramite un video su Facebook si evince che la campagna Kickstarter sarà lanciata a partire dal 29 di Giugno.

system_shock_rem

Non sappiamo molto su questo remake, ma delle voci confermano che la versione remastered manterrà molti aspetti dell’originale. Se non potete aspettare o non avete mai provato l’esperienza di questo bellissimo gioco potrete sempre acquistare su Steam la versione Enhanced. Per chi non lo sapessi Night Dive Studios si sta occupando anche delle remastered di Turok 1 e Turok 2 per Xbox One.

Il nuovissimo JRPG di casa Atlus, Persona 5, è disponibile in Giappone e già cominciano ad uscire nuove e importanti informazioni, ad esempio le ambientazioni, le attività da svolgere, i livelli, la dimensione e la durata del gioco.

Persona 5 characters

Questa è la traduzione completa delle informazioni:

Per tutti i fan degli RPG ecco Persona 5! Finalmente chiunque può mettere mano sul nuovo capitolo della serie Persona nella quale si mescolano elementi familiari come l’amiciza e l’amore, voci misteriose, leggende metropolitane e storie occulte, nella quale Tokyo fa da palcoscenico. Come nella vita reale, il personaggio potrà vivere la sua vita, andare a scuola, studiare, uscire con gli amici e cercare un lavoro part-time per guadagnarsi dei soldi. Deciderete voi come vivere la vostra vita. Durante la notte potrete diventare ladri, proteggere i deboli, teletraposrtarvi nei cosiddetti “Palazzi” che sono una distorsione del mondo reale, uccidere nemici in gran quantità e trovare forzieri. Come stile di gioco ricorda molto Persona 4. Avremo un anno per vivere la nostra vita tra scuola e lavoro.”

Considerando quanto sia stato bello Persona 4 non immaginiamo cosa potremmo aspettarci dal nuovo capitolo, in uscita su Playstation 3 e Playstation 4.

Che il comparto tecnico di Uncharted 4 sia spettacolare è un dato di fatto. Dopo il rilascio del gioco nei giorni scorsi, però, in rete stanno comparendo immagini che dimostrano come la cura che Naughty Dog ha riposto nella realizzazione grafica del proprio titolo di punta rasenti l’impossibile. In uno dei primi capitoli del gioco Nathan ed Elena sono in casa e quest’ultima sta scrivendo un articolo al computer. Bene, attarverso la photo mode è possibile inquadrare lo schermo del Pc e leggere effettivamente l’articolo parola per parola, così come altri utenti dichiarano sia possibile leggere per intero – sempre attarverso la ,modalità fotografica che permette di spostare a piacimento l’inquadratura della scena – i testi delgi sms che Nathan invia utilizzando il cellulare durante il gioco. Vi lasciamo all’immagine dell’articolo di Elena.

Uncharted 4 dettaglio

Incredibile ma vero, anche un gioco apparentemente osannato da critica e pubblico come Uncharted 4 ha i suoi detrattori. O così potrebbe sembrare, dal momento che a ben vedere la recensione negativa pubblicata dal Washington Post nei giorni scorsi era stata ideata a scopo satirico. Peccato però che la pubblicazione e il relativo voto siano stati inseriti nel calcolo del metascore del famoso aggregatore di giudizi Metacritic, abbassando nettamente una media che fino a pochi istanti prima era da studente modello.

Uncharted 4: recensione satirica rovina il metascore
Chissà come la prenderanno Sony e Naughty Dog? Sicuramente, a giudicare dai commenti fino ad ora apparsi in rete, l’utenza e i fan di Uncharted non stanno affatto ridendo nonostante l’intento goliardico degli autori della recensione.