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AGI – Il presidente russo Vladimir Putin rimarrà al Cremlino fino al 2030: comodamente rieletto in un voto di fatto senza rivali, ha ottenuto la sua più grande vittoria da quando è al potere, un mandato che gli consentirà di continuare la campagna militare in Ucraina, la brutale repressione del dissenso e il braccio di ferro con l’Occidente. Rivolto al Paese al termine della giornata, il capo del Cremlino ha ringraziato quanti lo hanno votato e hanno contribuito a creare le condizioni per il “consolidamento politico interno” e ha avvertito che non si lascerà “intimidire”. Poi per la prima volta ha parlato della morte del suo principale oppositore, Alexei Navalny.

Ancora non ci sono i dati definitivi, ma lo ‘zar’ 71enne veleggia verso la rielezione con una percentuale record, quasi l’88% dei voti, dieci punti in più rispetto al 2018 (76,5), e un’affluenza alle urne di oltre il 70%. I risultati elettorali non sono stati influenzati nè dalla morte in carcere di Navalny, nè dagli appelli al ‘voto di mezzogiorno’ (l’invito alla protesta lanciato dalla vedova del dissidente, Yulia Navalnaya) nè dalle incursioni al confine ucraino degli ultimi giorni. Un risultato scontato ma che Putin ha voluto rimarcare nel suo discorso per la vittoria, un discorso centrato sulla guerra, al quartier generale della sua campagna elettorale vicino al Cremlino.

 

“Ora la Russia è più forte”, ha detto ringraziando i soldati al fronte, promettendo che “tutti i piani saranno concretamente realizzati e gli obiettivi raggiunti, piani grandiosi che faremo di tutto per realizzare”. Interrogato sulla possibilità di un conflitto diretto con la Nato, ha confermato che “tutto è possibile nel mondo moderno” ma sottolineato che sarebbe “un passo avanti verso una terza guerra mondiale su vasta scala”.

 

 

 

“E non credo -ha aggiunto- che nessuno sia interessato a questo”. Poi per la prima volta ha parlato della morte di Navalny, chiamandolo per nome: ha respinto le accuse di averlo ucciso e sostenuto che qualche giorno prima del decesso, nella sperduta prigione nell’Artico, aveva dato il ‘via liberà allo scambio del dissidente con alcuni prigionieri russi in Occidente. “Che mi crediate o no, l’uomo che mi ha parlato non aveva finito la frase e io ho detto: sono d’accordo. Ma sfortunatamente è successo quel che è successo”.

 

Putin ha spiegato che qualcuno che non appartiene all’amministrazione presidenziale – nei giorni scorsi gli alleati di Navalny avevano parlato dell’oligarca Roman Abramovich – aveva proposto di scambiare il dissidente con i russi imprigionati nei Paesi europei. “Ho accettato ma a una condizione: lo scambiamo, ma che non torni più. Che se ne rimanga lì. Ma questa è la vita”. E poi, parlando del “signor Navalny”, ha descritto la sua morte in una prigione nel Circolo Polare Artico come “un triste evento”.

Dall’esilio o dal carcere, i leader dell’opposizione avevano esortato ad andare alle urne in massa a mezzogiorno in memoria di Navalny e a votare contro Putin. E centinaia di persone hanno seguito l’appello, in prima fila la vedova del dissidente che ha votato a Berlino scrivendo sulla scheda il nome del marito. Oggi Putin dovrebbe celebrare la sua vittoria, nel decimo anniversario dell’annessione della Crimea, con un concerto nella Piazza Rossa di Mosca.

 

Le reazioni internazionali

Ong Golos, campagna incostituzionale

La Ong Golos, che da 20 anni monitora le elezioni in Russia e bollata in patria come “agente straniero”, ha denunciato che “mai prima d’ora si è vista una campagna per le presidenziali cosi’ lontana dagli standard costituzionali”.
“La campagna si è svolta in una situazione in cui gli articoli fondamentali della Costituzione russa, che garantiscono i diritti e le libertà politiche, sostanzialmente non erano in vigore e la Costituzione stessa è stata emendata per aggirare il vincolo dei due mandati del presidente”, si legge nella nota della Ong.

“Le elezioni si sono svolte in condizioni in cui l’apparato statale, obbligato a essere politicamente neutrale e ad agire nell’interesse della società, è stato effettivamente coinvolto nella propaganda, nella coercizione e nel controllo sugli elettori”, denuncia Golos. “Nel paese è effettivamente nata la censura militare, che è stata attuata attraverso la paura e la forza”, prosegue la Ong, “la politica non è più oggetto di discussione, nemmeno in cucina, anche con i vicini e i propri cari”.

“L’apoteosi”, sottolinea la Ong di osservatori, “è stata l’ultimo giorno delle votazioni, quando in alcune regioni i rappresentanti delle forze dell’ordine hanno controllato l’espressione della volontà degli elettori, punendoli per scritte ‘sbagliate’ sulla scheda elettorale o per l’orario ‘errato’ di arrivo al seggio elettorale per votare e ha persino chiesto di rivelare il segreto della preferenza. Niente di simile è mai accaduto su tale scala nelle elezioni in Russia”, conclude la Ong.

“Se la Costituzione russa afferma che la sovranità, di cui amano tanto parlare, appartiene al popolo, fonte del potere, allora in realtà, durante la campagna elettorale e la fase preparatoria, gli organizzatori delle elezioni hanno fatto tutto il possibile affinchè la distanza tra il popolo e la sua capacità di esercitare questo potere divenne insormontabile”.

 

Xi, rielezione riflette sostegno popolo russo

 Nel suo messaggio di congratulazioni a Vladimir Putin per la rielezione al Cremlino, il presidente cinese Xi Jinping ha sottolineato che il risultato “riflette pienamente il sostegno del popolo russo” al suo leader. Lo riporta Ria Novosti citando la tv cinese Cctv. 

L’Iran si congratula con Putin

Anche il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, si è congratulato con Vladimir Putin per la sua vittoria nelle elezioni concluse ieri in Russia. Lo ha annunciato l’ambasciata iraniana a Mosca, come riporta l’agenzia russa Ria Novosti. 

AGI – Le unità di difesa aerea hanno intercettato 35 droni ucraini su otto regioni russe durante la notte, secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa russo nell’ultimo giorno delle elezioni. La difesa aerea russa ha abbattuto quattro droni sull’Oblast di Mosca, tre sull’Oblast di Belgorod, due sull’Oblast di Kaluga, uno sull’Oblast di Oryol, uno sull’Oblast di Rostov, quattro sull’Oblast di Yaroslavl, tre sull’Oblast di Kursk e 17 nel Kraj di Krasnodar. I media russi hanno riferito che i droni ucraini hanno colpito una raffineria di petrolio a Krasnodar Krai, causando un incendio e uccidendo un lavoratore. “Queste settimane hanno dimostrato a molti che la macchina da guerra russa ha dei punti deboli che possiamo raggiungere con le nostre armi”, ha dichiarato il presidente Volodymyr Zelensky nel suo discorso serale del 16 marzo.

L’ incendio nella raffineria di petrolio di Slavyansk

“I droni sono stati neutralizzati, ma è scoppiato un incendio a causa della caduta di uno dei dispositivi”, ha dichiarato la sede operativa della regione sull’app di messaggistica Telegram. L’agenzia di stampa statale russa Tass ha riferito che un lavoratore della raffineria è rimasto ferito a seguito dell’attacco. La Russia accusa l’Ucraina di aver utilizzato “attività terroristiche” per cercare di disturbare le elezioni presidenziali di tre giorni, che si concluderanno domenica.

 

Gli attacchi dei droni contro le raffinerie e i siti energetici in Russia sono aumentati questa settimana, in vista delle elezioni presidenziali, che dovrebbero consolidare la linea dura del presidente Vladimir Putin. Sabato è scoppiato un incendio in una raffineria di Samara, a circa 1.000 chilometri dal confine con l’Ucraina, dopo nuovi attacchi. E due persone sono morte in seguito a un’operazione, sempre fatta tramite droni, nella città russa di Belgorod.  

 

 

L’offensiva di Mosca

La Russia ha lanciato 14 droni contro la città ucraina di Odessa, danneggiando aziende agricole e infrastrutture. Lo ha riferito il comando meridionale delle forze aeree dell’Ucraina, secondo quanto riporta Reuters. “Gli incendi sono stati spenti prontamente”, ha dichiarato il comando su Telegram. “Le persone non sono rimaste ferite”. Dei droni, 13 sono stati distrutti sopra la regione di Odessa e uno in avvicinamento sopra la regione di Mykolaiv.

 

AGI – E’ andata a fuoco l’eccentrica, coloratissima casa di Cara Delevingne a Los Angeles: i genitori hanno raccontato che lei è “devastata”, ma la star può almeno tirare un sospiro di sollievo perchè dopo l’iniziale timore di averli persi tra le fiamme, ha saputo che sono salvi i suoi due gattini. La magione è di quelle che non si dimenticano: apparsa nell’edizione di giugno 2021 di Architectural Digest, ha ospitato – quando era ancora in mano ai precedenti proprietari – anche Giovanni Paolo II. La topmodel era a Londra quando è scoppiato l’incendio, perchè lunedì ha debuttato sul palco del West End, interpretando Sally Bowles nel musical Cabaret (il ruolo reso famoso da Liza Minnelli nella versione cinematografica del 1972). Appreso del devastante incendio, lei ha reagito su Instagram dicendosi con il cuore spezzato e pubblicando la foto dei suoi due meravigliosi gatti: “Non posso crederci. La vita può cambiare in un battito di ciglia, quindi tieni stretto quello che hai”. Ma poche ore dopo ha esultato, sempre su Instagram, raccontando che i due micini erano stati tratti in salvo dai pompieri, che lei ha ringraziato entusiasta. In effetti i vigili del fuoco hanno dovuto lavorare in forze: per più di due ore, all’alba di venerdì, quasi un centinaio di vigili del fuoco si sono avvicendati per spegnere le fiamme. Alla fine ci sono riusciti ma nel frattempo erano andate in fumo una stanza, la soffitta e il tetto era crollato.

 

 

İngiliz model Cara Delevingne’in 7 milyon dolarlık evi yangında kül oldu. pic.twitter.com/sBPGxnScBR

— BPT (@bpthaber)
March 16, 2024

 

 

La residenza in mattoni bianchi, in un vago stile country inglese, fu costruita nel 1941 per la famiglia Von der Ahe, fondatori della catena di supermercati Vons: profondamente religiosi, pare che i Von der Ahe abbiano ospitato papa Wojtyla quando il pontefice visito’ Los Angeles nel 1987. Delevingne ha acquistato la villa – quattro camere da letto su 750 metri quadrati – nel 2019 per 7 milioni di dollari; ma l’ha poi ristrutturata, mettendoci un po’ tutto quello che ispira il suo spirito libero e glamour: gli animali esotici, la natura, la passione per il divertimento. “E’ come un parco giochi al coperto e all’aperto di Alice nel Paese delle Meraviglie”, l’ha descritta. Ancora più efficace Architectural Digest che l’ha raccontata come una casa che è “come Saint-Tropez che incontra Coney Island che incontra un cottage nelle Cotswolds che incontra Monte Carlo che incontra un bar in pelle”. Al momento non è chiaro come sia cominciato l’incendio, causato da “un problema elettrico”, hanno detto i genitori, probabilmente in una zona retrostante della proprietà e poi rapidamente diffuso al sottotetto. Cara ha comunque voluto ringraziare “dal profondo del mio cuore” i vigili del fuoco e “tutti quanti si sono presentati per dare una mano”. 

 

 

บ้านของ Cara Delevingne ที่ LA ถูกไฟไหม้จนเกิดความเสียหายอย่างหนักระหว่างที่คาร่าอยู่ที่ลอนดอน เธอเสียใจมากๆและขอบคุณนักดับเพลิงทั้ง 94 คนและทุกๆคนที่มาช่วยดับไฟ เธอคอนเฟิร์มด้วยว่านักดับเพลิงช่วยแมวทั้งสองตัวของเธอออกมาได้ pic.twitter.com/hbXDhS519B

— วงการฟันเฟิง (Wongarn Funferng) (@moviesmusic_th_)
March 16, 2024

 

AGI – Un comunista, un ultranazionalista e un presunto liberale sono i tre candidati ammessi dal Cremlino a competere, senza alcuna probabilità di successo, alle elezioni presidenziali di questo fine settimana in Russia contro il sicuro vincitore: Vladimir Putin.

Nessuno di loro ha la

 

del 15, 16 e 17, ma la loro presenza alle urne è vitale per conferire legittimità formale al processo elettorale.
A differenza del 2018, quando i candidati erano otto, questa volta l’opposizione al Cremlino non ha alcun candidato da sostenere, poiché sono tutte favorevoli alla guerra in Ucraina.

 

Kharitonov, il veterano

Nikolai Kharitonov, comunista 75enne, tentò di impedire la prima rielezione di Putin candidandosi nel 2004 e con il 13,69% dei voti ottenne il peggior risultato ottenuto fino ad allora da un candidato comunista. Promette di abbassare l’età pensionabile, aumentare il salario minimo, ridurre le tasse e nazionalizzare gli asset stranieri, le principali banche e le aziende nei settori chiave dell’economia. Sostiene la campagna militare in Ucraina e dichiara che l’unico modo per concluderla è con la “schiacciante sconfitta dell’Ucraina”.

 

Ex presidente di una sovkhoz (azienda agricola statale sovietica) nella Siberia occidentale, sostiene che “la Russia ha solo due alleati: il suo esercito e la sua marina”, riprendendo – ironia della sorte oper un comunista – una citazione dello zar Alessandro III. –

 

Slutski e le vestigia del nazionalismo di Zhirinovski

Il leader del Partito ultranazionalista Liberal Democratico russo, Leonid Slutsky, 56 anni, si candida alle elezioni sotto la lunga ombra di Vladimir Zhirinovsky, il carismatico fondatore del partito, morto nell’aprile 2022 durante la pandemia di coronavirus. “La causa di Zhirinovsky è viva”, si legge nei cartelloni elettorali di Slutski, un chiaro tentativo di approfittare della spinta che aveva il defunto leader ultranazionalista e che imita lo slogan sovietico “la causa di Lenin è viva”.

 

Il vicepresidente della Duma di Stato, laureato in economia, sostiene la campagna militare russa in Ucraina, che ha descritto come una “lotta geopolitica decisiva contro il nazismo, che deve essere vinta”. Nel febbraio 2018, diverse giornaliste hanno accusato Slutski di molestie sessuali e il politico, sostenuto da molti suoi colleghi, ha denunciato di essere stato vittima di una provocazione e di un tentativo di trasformarlo nell’Harvey Weinstein russo. 

“Voglio scusarmi con quelle ragazze nel modo più sincero se ho detto o fatto qualcosa che le ha ferite”, ha detto in seguito.

 

Davankov, il volto nuovo

Il candidato di Gente Nuova, formazione di centrodestra nata nel 2020, è il più giovane dei candidati e, secondo un sondaggio che dà Putin vincitore con il 75% dei voti, potrebbe piazzarsi al secondo posto con il 6% dei voti. Imprenditore e deputato dal 2021, Davankov, 40 anni, è diventato il volto visibile di un partito che secondo l’opposizione extraparlamentare è emerso con il permesso del Cremlino. La sua ascesa è iniziata nel 2018 quando è stato nominato vicedirettore dell’organizzazione no-profit “Russia, il paese delle opportunità”, creata su iniziativa di Putin per promuovere diversi progetti nazionali. Cinque anni dopo si candido’ alle elezioni del sindaco di Mosca, nelle quali ottenne il 5,34% dei voti. Promotore alla Duma di leggi come quella che vieta il cambio di sesso, Davankov si definisce difensore dei valori tradizionali. Due giorni prima dell’inizio delle azioni belliche, il 22 febbraio 2022, Davankov ha difeso il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk.

 

“Il presidente (Putin) ha preso la decisione giusta. La democrazia è quando discutiamo e dibattiamo fino a quando non viene presa una decisione. Ma una volta presa la decisione, dobbiamo agire”, ha detto poi. Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, il suo programma è categorico: “Pace e negoziati. Ma alle nostre condizioni, non si torna indietro”.

AGI – Una prima barca, quella di Open Arms, avanza lentamente verso la Striscia di Gaza (al momento è dinanzi alle coste di Israele); ma quando consegnerà gli aiuti, circa 200 tonnellate di cibo, saranno una goccia nell’oceano dei bisogni. Mentre cresce l’allarme per il rischio carestia a Gaza, ieri Israele ha fatto sapere che sta cercando di “inondare” Gaza di aiuti umanitari: lo ha detto il portavoce dell’esercito, Daniel Hagari, e la dichiarazione segna un’inversione di tendenza rispetto alla politica adottata finora, tenere allo stremo la Striscia come leva di pressione su Hamas perché liberi gli ostaggi.

 

Hagari ne ha parlato ieri, a Tel Aviv, nel consueto briefing con la stampa: “Stiamo cercando di inondare l’area di rifornimenti”; e ha aggiunto che Israele sta lavorando per aprire nuove rotte a terra e via mare, oltre a continuare a facilitare i lanci aerei (finora ce ne sono stati circa 30). Uno dei percorsi previsti è la nuova strada che Israele ha costruito nel centro della Striscia di Gaza, che è stata utilizzata martedì notte per la prima volta per consentire a un convoglio di rifornimenti di sei camion di accedere a Gaza City dopo essere stato ispezionato sul lato israeliano al valico di Kerem Shalom.

 

Del resto la pressione internazionale è molto alta: l’Onu avverte da settimane che Gaza è a rischio carestia e l’Ue ha denunciato che la fame viene usata come arma di guerra nel territorio. Finora, secondo le Nazioni Unite, sono morti almeno 25 minori di malnutrizione e disidratazione, e la minaccia pesa come una nube nera su tutti i 335 mila bambini nell’enclave palestinese. Una situazione ancora più grave nel Nord di Gaza, dove l’ingresso degli aiuti alimentari è completamente bloccato. Tra l’altro la distribuzione del cibo nella Striscia rimane pericolosa: solo ieri l’Onu ha denunciato che uno dei suoi magazzini a Rafah è stato colpito da un attacco che ha ucciso almeno uno dei suoi dipendenti e ne ha feriti diversi altri (Hamas sostiene che siano morte almeno quattro persone).

 

Ieri c’è stata una riunione on-line di alti funzionari di Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Cipro, Emirati Arabi Uniti e Qatar che al termine hanno esortato Israele a facilitare gli aiuti: nella dichiarazione, i Paesi hanno ricordato che “non c’è alcun sostituto delle rotte terrestri attraverso l’Egitto e la Giordania e i punti di ingresso da Israele a Gaza per la consegna di aiuti su larga scala” e sottolineato “la necessità che Israele apra ulteriori valichi” e allenti le restrizioni doganali.

 

Del resto, l’Onu lo dice da tempo: le spedizioni marittime e i lanci aerei non possono bastare. L’incontro si è anche concentrato sul corridoio marittimo (a partire dalla prossima settimana si terranno delle riunioni logistiche a Cipro per definire i prossimi passi). Martedì infatti sono salpate dagli Stati Uniti quattro navi dell’esercito americano con un centinaio di soldati e l’attrezzatura necessaria per costruire un molo galleggiante e temporaneo, dinanzi le coste di Gaza. Ma i tempi sono lunghi: almeno 60 giorni.

AGI – “Da un punto di vista tecnico-militare, la
Russia è pronta per una guerra nucleare” se c’è una
minaccia allo Stato, alla sovranità o all’indipendenza russa: lo ha detto il presidente russo
Vladimir Putin. Parlando in un’intervista alla televisione di Stato russa Rossiya 1 e all’agenzia Ria Novosti, il capo del Cremlino ha detto di
sperare che gli Stati Uniti evitino qualsiasi escalation che potrebbe innescare una guerra nucleare, ma ha sottolineato che le forze nucleari russe sono pronte. Alla domanda se abbia mai preso in considerazione l’uso di armi nucleari sul campo di battaglia in Ucraina, Putin ha risposto che non ce n’è stato bisogno. 

AGI – Pressato da una situazione sempre più allo sbando nel Paese, sollecitato a lasciare dalla comunità internazionale, il primo ministro di Haiti, Ariel Henry, ha accettato di farsi da parte e dare spazio a una spinta regionale per una transizione di governo.

 

Le nazioni della comunità dei Caraibi, Caricom, si erano riunite di emergenza ieri in Giamaica per cercare di venire a capo di una situazione di caos totale in un paese travolto dalla guerriglia delle bande. All’incontro aveva partecipato anche il segretario americano Antony Blinken che è riuscito a ottenere le dimissioni del premier a seguito anche della promessa di ospitalità a Porto Rico, il paese caraibico sotto il controllo statunitense dove Henry si era rifugiato. “Il governo che guido non può rimanere insensibile a questa situazione.

 

Come ho sempre detto, nessun sacrificio è troppo grande per la nostra patria Haiti”, ha detto Henry in un discorso di dimissioni pubblicato online. I capibanda haitiani avevano chiesto la dipartita di Henry che, pur definendosi una figura di transizione, era rimasto al potere dal 2021, quando il presidente Jovenel Moise era stato assassinato.

 

La soluzione, trovata in extremis, è stata quella annunciata dal presidente della Guyana, Irfaan Ali, che presiede il Caricom, che ha annunciato una nuova autorità transitoria. Si tratterà di un nuovo Consiglio presidenziale che avrà sette membri votanti che prenderanno decisioni a maggioranza. I sette includeranno rappresentanti dei principali partiti politici, del settore privato e del Gruppo Montana, una coalizione della società civile che aveva proposto un governo a interim nel 2021 dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moise.

 

Ci saranno anche due seggi senza diritto di voto nel consiglio: uno per la società civile e un altro per la chiesa. Blinken, che ha trascorso sette ore durante i colloqui in un hotel di Kingston, ha confermato le dimissioni di Henry in una telefonata con il primo ministro delle Barbados, Mia Mottley. Sono state inoltre discusse le modalità per prevenire rappresaglie contro Henry e i suoi alleati, con gli Stati Uniti che hanno concordato che il primo ministro uscente sarebbe il benvenuto a rimanere sul suolo americano se non si sentisse sicuro ad Haiti.

 

Intanto la situazione ad Haiti è fortemente compromessa. Il coprifuoco notturno è stato esteso fino a giovedì prossimo, anche se è improbabile che la polizia riesca a mantenerlo. Secondo il primo ministro giamaicano Andrew Holness, che ha ospitato i colloqui sulla crisi, il Paese rischia una guerra civile totale.

 

“E’ chiaro che Haiti è ora a un punto di svolta”, ha detto, sollecitando “un’azione forte e decisiva” per “arginare il mare di illegalità e disperazione prima che sia troppo tardi”. Oltre a offrire ospitalità a Henry gli Usa hanno anche promesso altri 100 milioni di dollari per sostenere una forza di stabilizzazione internazionale, portando il totale promesso dagli Stati Uniti a 300 milioni di dollari da quando la crisi si è intensificata diversi anni fa.

 

Blinken ha anche offerto altri 33 milioni di dollari in assistenza umanitaria immediata. L’escalation della violenza “crea una situazione insostenibile per il popolo haitiano e sappiamo tutti che è necessaria un’azione urgente sia sul piano politico che su quello della sicurezza”, ha affermato Blinken. “Tutti noi sappiamo che solo il popolo haitiano può, e solo il popolo haitiano dovrebbe, determinare il proprio futuro, e nessun altro”, ha detto il segretario americano.

AGI – Era l’ora di punta e i treni regionali entravano nella stazione madrilena di Atocha per riversare migliaia di pendolari. Quasi in simultanea dieci ordigni esplosero su quattro convogli. Fu il caos. Fu una strage. In 192 persero la vita quel giorno di 20 anni fa, perlopiù umili lavoratori immigrati e studenti, dilaniati dagli ordigni piazzati da una cellula di fondamentalisti islamici. In un primo tempo le autorità puntarono il dito contro i separatisti dell’Eta, di certo non nuovi ad attacchi dinamitardi, ma i baschi si affrettarono a smentire ogni responsabilità. E allora, complice il fatto che erano passati esattamente due anni e mezzo dall’11 settembre del 2001, fu facile giungere a un’altra conclusione.

 

La Spagna e l’Unione Europea rendono oggi omaggio alle 192 vittime degli attentati che segnarono l’inizio di un’ondata di attacchi islamici in Europa. Il re Filippo VI e la regina Letizia presiederanno la cerimonia ufficiale alle 12,15 nella Galleria delle Collezioni Reali, un museo vicino al palazzo.
Organizzata da Bruxelles, l’11 marzo è diventata ufficialmente la Giornata europea della memoria “per le vittime del terrorismo”.

Un contesto tesissimo

Sebbene la Spagna abbia vissuto decenni di violenza per mano dei separatisti baschi, non era mai stata colpita da un attacco di tale portata, con tassisti e cittadini intervenuti per aiutare i servizi di emergenza a trasportare quasi 2.000 feriti in ospedale. Conosciuti come 11M – abbreviazione spagnola per 11 marzo – gli attacchi contro un treno alla stazione di Atocha e altri tre diretti lì, furono compiuti in un contesto politico tesissimo, pochi giorni prima delle elezioni generali del 14 marzo. All’epoca, il Partito Popolare (PP) del premier uscente Jose Maria Aznar era il favorito per sconfiggere l’opposizione socialista guidata da Jose Luis Zapatero

 

Un anno prima, il governo di Aznar aveva deciso di unirsi all’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti, nonostante la diffusa opposizione dell’opinione pubblica. E nei mesi successivi Bin Laden aveva minacciato attacchi di vendetta contro i Paesi che sostenevano l’invasione. Ciononostante, a poche ore dagli attacchi di Madrid, il governo di Aznar accusò pubblicamente l’Eta, solo per vedersi sbugiardato quasi in tempo reale dalle prove trovate in zaini e borse che contenevano altri tre ordigni rimasti inesplosi. La stessa Al-Qaeda rivendicò la responsabilità degli attacchi affermando che erano una risposta al coinvolgimento della Spagna nella guerra in Iraq.

Gli elettori punirono Aznar

Anche se i social media non esistevano ancora, i dubbi sulle spiegazioni del governo si diffusero rapidamente in tutta la Spagna e, durante le grandi manifestazioni del giorno successivo, la folla accusò il governo di mentire in un’epoca in cui la parola “disinformazione” esisteva a malapena. Il 14 marzo gli elettori consegnarono una clamorosa vittoria ai socialisti dell’opposizione e secondo gli analisti la disastrosa gestione degli attacchi da parte del governo giocò un ruolo chiave.

 

All’inizio di aprile, sette presunti membri della cellula jihadista coinvolta nella carneficina si fecero esplodere mentre la polizia circondava l’appartamento in cui si erano nascosti, nella periferia sud-occidentale di Madrid. Rimase ucciso anche un agente di polizia che in Spagna è considerata la 193esima vittima degli attentati.Dopo un’indagine durata tre anni, 29 sospettati, la stragrande maggioranza marocchini, finirono sotto processo all’inizio del 2007 e 18 furono condannati.

 

Vent’anni dopo, solo tre sono ancora in prigione: due marocchini condannati a quasi 43 mila anni ciascuno, e uno spagnolo, che fornì gli esplosivi condannato a quasi 35 mila anni. Tutti gli altri sono stati rilasciati dopo aver scontato la pena, la stragrande maggioranza di loro è stata espulsa o estradata, principalmente in Marocco. 

 

 

AGI – Cinque persone, tra cui due bambini, sono disperse nel Gard, nel dipartimento meridionale dell’Occitania,
travolte dalle alluvioni mentre cercavano di attraversare i ponti in auto nella notte tra sabato e domenica. Un padre e i suoi due figli di 4 e 13 ann
i sono stati portati via dalle acque a Dions, a nord di Nimes, intorno alle 23,30 di sabato, ha riferito la prefettura, e altre due persone a Goudargues, nel nord del dipartimento, intorno alle 5 di oggi. A questi si aggiunge un automobilista che risultava già disperso da sabato sera a Gagnieres, nel nord del dipartimento.

AGI – Meghan Markle è tornata a parlare in pubblico criticando la “tossicità apparentemente infinita” delle piattaforme social e rivelando di essere stata presa di mira da “bullismo e abusi” mentre era incinta di Archie e Lilibet. La duchessa di Sussex è stata invitata a partecipare a un panel in occasione della Giornata internazionale della donna all’annuale festival SXSW ad Austin, in Texas. Il principe Harry era in prima fila, tra il pubblico, ad ascoltare l’evento intitolato ‘Breaking Barriers, Shaping Narratives: How Women Lead On And Off The Screen’. La 42enne, ex attrice di Suits, ha confessato di aver iniziato a mantenere le distanze dai commenti social “per il suo benessere” spiegando di trovare “inquietante” che le donne “vomitino” odio l’una contro l’altra online: “Non riesco a capirlo. Se stai leggendo qualcosa di terribile su una donna, perché lo condividi con i tuoi amici?” ha chiesto alla platea. “Se fosse una tua amica, o tua mamma o tua figlia, non lo faresti. Abbiamo dimenticato la nostra umanità e questo deve cambiare.”