Ultime News
Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterEmail this to someone

AGI – Sono 2,2 milioni le famiglie italiane in ‘povertà energetica’, pari a 5 milioni di persone che nel 2021 vivevano in abitazioni poco salubri, scarsamente riscaldate d’inverno, poco raffrescate d’estate, con livelli di illuminazione scadenti e con un utilizzo molto contenuto dei principali elettrodomestici bianchi.

Il dato medio nazionale è pari all’8,5%, in crescita dello 0,5% rispetto al 2020. I nuclei familiari più a rischio sono costituiti da un elevato numero di persone, si trovano in condizioni di disagio economico e le abitazioni in cui vivono sono in cattivo stato di conservazione.

A livello territoriale la situazione più critica si verifica in Calabria, dove il 16,7% delle famiglie (composte da 304.675 individui), si trova in condizioni di ‘povertà energetica’. Seguono la Puglia (16,4%), il Molise (16%), la Basilicata (15%) e la Sicilia (14,6%).

Le regioni, invece, meno interessate da questo fenomeno sono la Lombardia (5,3% delle famiglie totali), la Liguria (4,8%) e, in particolar modo, le Marche (4,6%). Lo denuncia l’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato i dati ripresi dal Rapporto Oipe 2023

Si tratta di risultati che “preoccupano non poco, anche perchè sono certamente sottodimensionati, in quanto riferiti a prima dello shock energetico scoppiato nel nostro Paese a inizio del 2022. Le principali condizioni professionali del capofamiglia che si trovano in ‘povertà energetica’ sono, in linea di massima, tre: disoccupato, pensionato solo e in molti casi, quando lavora, lo fa come autonomo”, commenta la Cgia per la quale le famiglie più a rischio, soprattutto nel Sud, sono quelle che utilizzano il gas quale principale fonte di riscaldamento. Coloro che invece utilizzano altri combustibili (bombole a gas, pellet, gasolio, legna, kerosene, etc.), presentano valori percentuali di rischio più contenuti.

L’aumento dei costi dell’energia

Sebbene la spesa delle famiglie e delle imprese per le bollette di luce e del gas sia in calo da parecchi mesi, l’incremento dei costi energetici rispetto al periodo pre-Covid rimane ancora molto elevato. Se il prezzo medio del gas naturale nel 2019 era pari a 16 euro/MWh, ad agosto di quest’anno ha toccato i 34 euro/MWh (+112%).

L’energia elettrica, invece, nel 2019 costava mediamente poco più di 52 euro/MWh, il mese scorso ha raggiunto i 112 euro/MWh (+115%). Dopo i picchi raggiunti nell’agosto del 2022, ricorda la Cgia, i prezzi del gas e dell’energia elettrica sono tornati a scendere. Oggi sono praticamente in linea con quelli che avevamo tra luglio e agosto del 2021. 

I costi energetici continuano a preoccupare ancora tantissime famiglie, anche alla luce delle scadenze previste entro la fine di questo mese, prosegue la Cgia secondo la quale, se non verranno prorogati gli aiuti messi in campo dal governo Meloni con la legge di bilancio 2023, dal prossimo mese di ottobre avremo un deciso aumento delle bollette e a pagarne il conto saranno soprattutto le famiglie dei lavoratori autonomi.

Nel ricordare che il 70% circa degli artigiani e dei commercianti lavora da solo, ovvero non ha nè dipendenti nè collaboratori familiari, moltissimi artigiani, tantissimi piccoli commercianti e altrettante partite Iva hanno pagato due volte l’impennata delle bollette di luce e gas verificatasi negli ultimi due anni. La prima come utenti domestici e la seconda come micro imprenditori. 

AGI – Madri, padri e bambini in passerella con t-shirt, pantaloni e tutine per bebè, con dalie e margherite. Che si aggiungono alle stampe di banane, mirtilli, more, fragole. La collezione SS24 del direttore creativo Andrea Incontri presentata nella Fashion week milanese, è un viaggio colorato nell’universo dei codici di United Colors of Benetton.

“C’è una maggiore consapevolezza per l’eredità del marchio, la qualità e il progetto – spiega nel backstage lo stilista -. Quello che sto cercando di fare è ricostruire i valori fondamentali attraverso il prodotto. Che sia inclusivo. Il mio approccio non è legato tanto al genere quanto alla qualità. Sono dei prodotti trasversali, e soprattutto è un marchio generazionale, credo sia forse l’unico al mondo ad avere questa estensione. Noi abbracciamo dal neonato fino all’adulto”.

E infatti in pedana si sono visti sfilare interi nuclei con lo stesso look, distinti solo da tonalità di colore. Lo scambio generazionale è il vero manifesto di questa sfilata. Un fashion show dove righe di colore invadono lo spazio a 360, una catwalk con modelli e modelle – e kids – che rappresentano identità reali: nuclei multietnici e poligenerazionali, a sottolineare la democratica bellezza di Benetton e la ricerca di sensibilità umana.

Andrea Incontri applica la sua filosofia di praticità al patrimonio estetico del brand, affascinato dall’interazione tra iconico e riproducibile. Iconico come la maglieria, core business del brand. Proprio da liì è partito il direttore creativo: “la maglieria è il punto focale della collezione, nasce nel 1965. È La genesi vera del marchio, fino all’evoluzione più grande legata al jersey, abbiamo una parte di Twin set stampati in maglieria. Anche la polo è protagonista nello show. Ci sono uniformi stampate con i fiori, un all over molto preciso sia per l’uomo che per la donna, fino ad arrivare a delle polo in piqué over size che funzionano molto come dei mini dress”.

A questo si aggiunge l’attenzione per i dettagli. C’è la Be Bag, postina 3.0 che è diventata un piccolo cult e la soffice ‘pillow bag’ una morbida tracolla. E “c’è anche un vero cuscino con la coperta, perché noi ci occupiamo anche di Home Collection. Il progetto dunque è estendibile non solo a diverse età ma anche a diversi contesti e funzioni d’uso”. E poi ci sono le stampe e le scritte, messaggere di un significato. Colorate ai pastelli, dipinte a olio, all over o in 3D.

“Il logo è una rappresentazione, non insolita certo, in questo caso – spiega Incerti – l’ho fatto riprendendo una maglia di archivio con questo ricamo tono su tono. Nella mia prima collezione Fruit of desire, con le ciliegie è andata molto bene, sia a livello mediatico sia con il consumatore e per questo abbiamo voluto portarla avanti, è diventata quasi un segno distintivo. Adesso abbiamo le fragole le banane”. E poi stripes, le righe – codice del brand – qui riprodotte in multipli di stile, a crochet, o impreziosite da fili di lurex.

AGI – I mercati perdono colpi e sono in affanno, dopo che ieri la Fed non ha smesso i suoi abiti da ‘falco’, mantenendo invariati, come previsto, i suoi tassi d’interesse, ma lasciando intendere che questa pausa non significa la fine delle strette e che la fase restrittiva di politica monetaria sarà più lunga del previsto. In altre parole la Fed ha messo in conto un altro rialzo dei tassi quest’anno e meno tagli nel 2024 e 2025, dicendosi convinta di essere in grado di raffreddare l’inflazione senza una recessione o un forte aumento della disoccupazione.

La mossa ha ridotto la propensione al rischio degli investitori, facendo schizzare i rendimenti del Treasury a 2 anni al 5,2%, il top da 17 anni, mentre le Borse asiatiche calano e anche i future a Wall Street e in Europa arretrano, dopo che ieri i tre indici di New York hanno terminato la sessione col segno meno.

Nel dot plot, il grafico che prospetta le proiezioni economiche individuali dei funzionari della Fed, si legge che i tassi toccheranno il picco quest’anno al 5,5-5,75%, il che significa che a novembre o dicembre ci sarà un altro rialzo di un quarto di punto e che nel 2024 ci saranno 2 tagli contro i 4 previsti a giugno.

La Fed crede in un atterraggio morbido 

“La diminuzione del numero di tagli nel 2024 è uno dei cambiamenti più significativi di questo mese”, commenta Andrew Patterson, economista senior di Vanguard. “Ciò significa – aggiunge – che la Fed è sempre più fiduciosa di poter attuare un atterraggio morbido e che l’economia può sopportare tassi più alti più a lungo”. Ieri Jerome Powell ha ribadito che la Fed deciderà sui tassi “meeting dopo meeting” sulla base dei dati, e che per centrare il target d’inflazione del 2% ci vorrà parecchio tempo.

“La lezione che Powell ha appreso dall’esperienza degli anni ’70 – si legge sul Financial Times – è che dichiarare vittoria e allentare la politica troppo presto, vuol dire far riemergere il genio dell’inflazione dalla lampada e poi dover aumentare nuovamente i tassi”.

I paragoni con gli anni ’70 – quando successivi shock petroliferi portarono a una seconda ondata di inflazione – sono stati rispolverati, perchè il prezzo del petrolio è salito del 30% negli ultimi due mesi, pur frenano oggi sui mercati asiatici, proprio a causa della prospettiva dei tassi più alti negli Stati Uniti. 

In Asia penalizzati i listini a più alto contenuto tecnologico

Oggi in Asia i listini più penalizzati sono quelli a più alto contenuto tecnologico e cioè Tokyo, Seul e Hong Kong, che perdono rispettivamente tra l’1% e l’1,5%. Anche Sydney e Mumbay sono in rosso, mentre Shanghai arretra un pò meno, intorno al mezzo punto percentuale, dopo che ieri la Pboc ha mantenuto i tassi di riferimento sui prestiti ai minimi storici, assicurando di essere pronta a fornire maggiori stimoli monetari.

Tuttavia i mercati cinesi in questa fase si lamentano dell’incapacità di Pechino di garantire stimoli adeguati in grado di far ripartire l’economia. In Asia i prezzi del petrolio sono calati, assestandosi nettamente al di sotto dei massimi da 10 mesi toccati in precedenza, a causa della Fed e in vista delle riunioni di oggi della BoE e di domani della Boj.

A Londra la Banca d’Inghilterra potrebbe non aumentare i tassi, dopo che l’inflazione nel Regno Unito ieri è cresciuta leggermente meno del previsto. Domani toccherà alla Banca del Giappone, che probabilmente non farà cambiamenti offrendo però spunti su una potenziale svolta per allontanarsi dai tassi di interesse negativi. Il governatore Kazuo Ueda aveva recentemente segnalato una simile mossa, affermando che i salari e l’inflazione erano cresciuti costantemente negli ultimi mesi.

Il dollaro si rafforza sull’euro 

Il biglietto verde, dopo la Fed, ha ripreso a rafforzarsi sopra 1,06 sull’euro e sopra quota 148 sullo yen, mentre la sterlina è debole sul dollaro a 1,2322, dopo che ieri la discesa a sorpresa dell’inflazione ha abbassato al 50% le probabilità che la BoE rialzi oggi i tassi e di conseguenza ha aumentato al 50% la possibilità di una pausa. Dopo i dati sull’inflazione “l’incontro della Banca d’Inghilterra è diventato molto più interessante”, ha commentato James Smith, economista di Ing.

Oggi, oltre alla Boe, sono attese le decisioni sui tassi di Indonesia, Filippine, Svizzera, Svezia, Norvegia, Turchia, Sudafrica e Taiwan. Dagli Usa inoltre usciranno i dati sul mercato immobiliare e i sussidi di disoccupazione, mentre domani, per quanto riguarda i dati macro, è prevista una stabilizzazione degli indici Pmi manifatturieri e dei servizi, con quest’ultimo che proprio il mese scorso si è indebolito, scandendo spesso sotto soglia dei 50 punti, ossia in area di contrazione, mentre il manifatturiero è depresso da oltre un anno.

Sempre domani in Giappone avremo i dati sull’inflazione di agosto. Intanto negli Usa proseguiranno le trattative per evitare lo shutdown delle attività del governo. I legislatori americani hanno a disposizione meno di due settimane di tempo per votare un disegno di legge sulla spesa fiscale, il cui fallimento potrebbe causare l’interruzione del funzionamento di ampie fasce di attività del governo.

 

AGI – L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un procedimento per possibile abuso di posizione dominante di natura escludente da parte di Ryanair DAC, primo operatore nel trasporto aereo di linea passeggeri nei voli nazionali e da e per l’Italia.

Secondo quanto ipotizzato nel provvedimento, avviato a seguito di varie segnalazioni ricevute a partire dallo scorso mese di maggio, Ryanair farebbe leva sulla posizione dominante detenuta nei mercati in cui opera per estendere il proprio potere anche nell’offerta di altri servizi turistici (ad esempio hotel e noleggio auto) ai danni delle agenzie di viaggio – online e offline – e dei clienti che se ne avvalgono per comprare tali servizi.

In particolare, Ryanair da un lato sembra ostacolare l’acquisto – da parte delle agenzie – dei biglietti aerei direttamente dal proprio sito, dall’altro consente l’acquisto degli stessi alle sole agenzie tradizionali tramite piattaforma GDS a condizioni che risulterebbero di gran lunga peggiorative in termini di prezzo, di ampiezza dell’offerta e di gestione post vendita del biglietto.

La condotta di Ryanair, volta a limitare alle agenzie di viaggio la vendita dei biglietti aerei – che in genere sono il primo acquisto effettuato nell’organizzazione di una vacanza e che rappresentano il “punto di accesso” per la vendita di ulteriori servizi – avrebbe effetti non solo sulle agenzie ma anche sui consumatori finali: si determinerebbero infatti condizioni peggiorative sotto il profilo quantitativo e qualitativo e ingiustificate difficoltà nella gestione della prenotazione.

AGI – Entro il 2030 l’Unione europea potrebbe diventare dipendente dalla Cina per le batterie agli ioni di litio e le celle a combustibile tanto quanto lo era dalla Russia per l’energia prima della guerra in Ucraina, a meno che non si adottino misure consistenti. Questo è quanto emerge da un paper riportato dalla “Reuters” e preparato per i leader europei.

Il documento dovrebbe costituire la base delle discussioni sulla sicurezza economica dell’Europa durante l’incontro dei leader dell’Ue che si terrà a Granada, in Spagna, il 5 ottobre.

Preoccupati per la crescente assertività globale e il peso economico della Cina, i leader discuteranno le proposte della Commissione europea per ridurre il rischio che l’Europa diventi troppo dipendente dalla Cina e la necessità di diversificare le catene di fornitura verso Africa e America Latina.

Il documento afferma che, a causa della natura intermittente delle fonti energetiche rinnovabili come il solare o l’eolico, l’Europa avrà bisogno di modi per immagazzinare energia per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050.

“Ciò farà salire alle stelle la nostra domanda di batterie agli ioni di litio, celle a combustibile ed elettrolizzatori, che si prevede si moltiplicherà tra 10 e 30 volte nei prossimi anni”, si legge nel documento preparato dalla presidenza spagnola dell’Ue.

Sebbene l’Ue abbia una posizione forte nelle fasi intermedie e di assemblaggio della produzione di elettrolizzatori, con una quota di mercato globale superiore al 50 per cento, fa molto affidamento sulla Cina per le celle a combustibile e le batterie agli ioni di litio cruciali per i veicoli elettrici.

“Senza l’attuazione di misure forti, entro il 2030 l’ecosistema energetico europeo potrebbe avere una dipendenza dalla Cina di natura diversa, ma con una gravità simile, rispetto a quella che aveva dalla Russia prima dell’invasione dell’Ucraina”, si legge.

Le batterie agli ioni di litio e le celle a combustibile non rappresentano l’unica area di vulnerabilità dell’Ue, afferma il documento della presidenza spagnola.

“Uno scenario simile potrebbe verificarsi nello spazio della tecnologia digitale”, afferma il documento. “Le previsioni suggeriscono che la domanda di dispositivi digitali come sensori, droni, server di dati, apparecchiature di archiviazione e reti di trasmissione dati aumenterà notevolmente in questo decennio”.

“L’Ue ha una posizione relativamente forte in quest’ultimo, ma mostra notevoli debolezze negli altri settori”, si legge.

Entro il 2030, questa dipendenza dall’estero potrebbe ostacolare seriamente gli incrementi di produttività di cui l’industria e il settore dei servizi europei hanno urgentemente bisogno e potrebbe impedire la modernizzazione dei sistemi agricoli essenziali per affrontare il cambiamento climatico. 

AGI – Le tre maggiori case automobilistiche statunitensi hanno ripreso i colloqui con il sindacato Uaw per porre fine allo sciopero che da venerdì ha paralizzato diversi siti. La trattativa per il rinnovo del contratto collettivo, durata diversi mesi, è al palo e il contratto ora è scaduto.

“Oggi abbiamo avuto discussioni ragionevolmente produttive con la Ford”, ha dichiarato l’Uaw (United Auto Workers) all’Afp. Da venerdì sono stati chiusi tre siti: uno stabilimento General Motors a Wentzville (Missouri), un altro stabilimento Stellantis a Toledo (Ohio) e una filiale Ford a Wayne (Michigan). Si tratta di 12.700 dei 146.000 iscritti all’Uaw presso i tre produttori, noti anche come “Big Three”, che non hanno mai affrontato uno sciopero simultaneo.

I repubblicani imputano la controversia industriale al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, alla sua presunta responsabilità per l’impennata dell’inflazione e al suo desiderio di accelerare la transizione energetica dell’industria automobilistica.

Ad aprile, il suo governo ha proposto nuovi e più severi standard di emissione di CO2, che potrebbero portare la percentuale di veicoli elettrici tra le auto non commerciali negli Stati Uniti al 67% entro il 2032. La posta in gioco è alta per Joe Biden, candidato a un secondo mandato, che venerdì ha inviato un messaggio di sostegno ai membri dell’Uaw e ha invitato i produttori ad “andare oltre” nelle loro proposte.

Nella sua lista iniziale di richieste, l’Uaw ha chiesto un aumento salariale del 40%, che corrisponde all’aumento medio degli stipendi dei dirigenti delle tre aziende negli ultimi quattro anni.

Secondo quanto riportano i media statunitensi, Stellantis, la casa madre di Chrysler, Dodge, Jeep e Ram, ha dichiarato che la sua offerta più recente prevedeva un aumento immediato del 10% e ulteriori aumenti che avrebbero aumentato i salari in totale del 21% nel corso della durata del nuovo contratto, che di solito è di quattro anni.

L’azienda ha inoltre dichiarato di aver offerto la possibilità di adeguare i salari in base all’inflazione. In base alla sua proposta, i nuovi assunti raggiungerebbero il massimo salario – attualmente 32 dollari l’ora – in quattro anni anziché in otto. Secondo l’Uaw, la General Motors ha aumentato la sua offerta giovedì, portando l’aumento salariale proposto dal 18 al 20%.

Ma i lavoratori a ore sostengono che i giganti dell’auto devono produrre pacchetti significativamente migliori per compensare quelli che definiscono magri salari e tagli ai benefit dopo la crisi finanziaria del 2008, quando sia GM che Chrysler hanno subito riorganizzazioni fallimentari. 

AGI – Il salario minimo non basta, serve un salario giusto. E sono necessarie regole chiare e prevenzione per la tutela della sicurezza sul lavoro e più Europa per evitare i rischi sociali che deriverebbero da transizioni accelerate e per affrontare la sfida del clima.

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ha aperto i lavori dell’ultima assemblea annuale del suo mandato iniziato nel 2020, in piena crisi Covid, con la premesse di non esprimere “osservazioni sullo stato dell’economia, sul Pnrr, o sulla manovra di bilancio che si avvicina”, temi poi affrontati in conferenza stampa al termine della mattinata.

Oltre duemila gli invitati all’auditorium Parco della Musica a Roma, tra imprenditori e rappresentanti delle istituzioni. A partire dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, accolto da una standing ovation, che per la prima volta ha preso la parola a un’assemblea degli industriali, e a cui Bonomi ha rivolto il suo grande apprezzamento: “E’ per noi tutti un onore averLa qui. Noi siamo tra coloro che credono che, in un ordinamento come il nostro, che correttamente ambisce a una maggiore stabilità di governo, il Capo dello Stato debba continuare a essere il garante della Costituzione”.

Bonomi ha chiesto alla politica unità, e di abbandonare la logica “divisiva”, soprattutto nel percorso di riforma costituzionale, riprendendo le parole di Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 che aveva redatto il progetto di Costituzione: non bisogna ripetere gli errori del passato quando “veti e bandierine avevano avuto la meglio sulla scelta di una efficace democrazia governante”.

Come imprenditori, ha rimarcato, “auspichiamo profondamente riforme che leghino governabilità e capacità di dare voce e rappresentanza alle tante istanze che la società civile è capace di esprimere” e “alle forze politiche dico dunque: guardatevi dal compiere lo stesso errore di sempre.

Evitate di progettare interventi sulla forma di Stato e sulla forma di governo maturati e ispirati da una dialettica divisiva, aliena per definizione dalla serietà con cui proporre e giudicare impianti istituzionali così rilevanti per la democrazia e la libertà del nostro Paese”. 

Il salario minimo non risolve la questione del lavoro povero 

Soffermandosi sul tema del salario minimo, Bonomi ha spiegato che Confindustria “resta convinta che la mera introduzione di un salario minimo legale, non accompagnata da un insieme di misure volte a valorizzare la rappresentanza, non risolverebbe nè la grande questione del lavoro povero, nè la piaga del dumping contrattuale, nè darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”. Il numero uno degli industriali ha ribadito il ruolo della contrattazione collettiva.

“La discussione di questi mesi sulla opportunità o meno di introdurre per legge un salario minimo, sembra trascurare che la nostra Costituzione ci obbliga a riconoscere al lavoratore un salario giusto. Questa funzione, nello spirito della nostra Costituzione, è affidata – per quanto concerne il lavoro subordinato – alla contrattazione collettiva “.

Sicurezza del lavoro, servono regole chiare 

Parlando della sicurezza del lavoro, tema tornato recentemente sotto i riflettori, ha detto che “la tutela presuppone regole chiare e semplici e si fonda sulla prevenzione”. “La nostra visione, l’unica che per noi ha senso è che sia necessario evitare gli incidenti valorizzando una logica partecipativa, una logica che unisca nelle azioni e nelle relative responsabilità, non che divida e contrapponga, eredità di vecchi antagonismi di classe”.

“Chi sbaglia deve pagare”, ha osservato ancora nel corso della conferenza stampa sottolineando che “la vera svolta è intervenire ex ante, non ex post”. Il numero uno di Confindustria ha quindi invocato un’inversione di rotta sul lavoro, capace di “promuovere tutte le condizioni affinchè il diritto al lavoro sia effettivo” e di migliorare l’inclusività, soprattutto nei confronti dei giovani e delle donne.

L’inverno demografico 

E “di fronte a una preoccupante prospettiva di inverno demografico”, Bonomi ha invocato “la sostenibilità delle misure pubbliche destinate all’assistenza, alla sanità e alla previdenza”, tema che “deve diventare un assillo per tutti”.

Il presidente degli industriali ha poi lanciato un monito: “Se non vogliamo che le transizioni accelerate minaccino il mercato unico – ha osservato – se non vogliamo trovarci con migliaia e migliaia di lavoratori disoccupati nelle piazze, se non vogliamo regalare ulteriori ragioni a chi lavora per alimentare la sfiducia e la destabilizzazione, la demagogia e il populismo, allora delle due l’una: o dopo le prossime elezioni europee si aprirà uno scenario per cui l’Unione Europea sarà in grado di riprendere il cammino di maggior integrazione realizzato nel Covid e poi interrotto; oppure, in nome della ragionevolezza, bisognerà correggere al ribasso l’accelerazione degli obiettivi e degli investimenti necessari a realizzarli in così pochi anni e con tale disparità di risorse”.

Quindi, ha messo in guardia: “Senza fondi sovrani comuni europei, nei prossimi anni si spezzerà il mercato unico” e questo rappresenta “una minaccia serissima per l’Italia “. 

La sfida climatica 

Parlando della sfida climatica, Bonomi ha chiarito: “Noi continueremo a batterci crescano le risorse e i progetti gestiti dall’Europa in senso cooperativo. Ma se così non sarà, e se prevarrà il ritorno alle vie nazionali per affrontare sfide così immani, sarà bene ricordare che le nostre critiche non nascono certo da negazionismo della sfida climatica o da indifferenza ai suoi effetti. La sostenibilità ambientale è ineludibile. Ma non può prescindere dalla sostenibilità economica e da quella sociale. L’Europa deve agire compatta”.

Rendere strutturale il cuneo fiscale 

Al termine dell’assemblea, in conferenza stampa, il numero uno di Confindustria ha rinnovato l’auspicio che il governo renda strutturale il taglio del cuneo in manovra indicando le priorità da affrontare: il taglio delle tasse, gli investimenti e le riforme.

“Penso che la strada per mettere più soldi nelle tasche degli italiani sia il taglio delle tasse e credo che qualche riflessione da questo punto di vista vada fatta. Il governo ha fatto un taglio in corso d’anno e auspichiamo che lo renda strutturale in questa legge di bilancio”, ha spiegato Bonomi sottolineando che le risorse “si possono trovare, c’è una spesa pubblica di 1.100 miliardi di euro, riconfigurare il 4-5% credo si possa fare”.

Extraprofitti

E le imprese, ha assicurato, sono disposte a rinunciare ai 14 miliardi di tax expenditure “se le risorse vanno totalmente al taglio del cuneo”. Riguardo alla tassa sugli extraprofitti delle banche e delle misure contro il caro voli, il presidente di Confindustria ha evidenziato che non si può “intervenire di imperio” ma che si possono trovare delle soluzioni.

E infine, tracciando un bilancio del suo mandato: “Ho ancora 9 mesi. Non ho sassolini nella scarpa da togliermi. È stato un periodo difficile, complesso, non sta a me dire se lavorato bene o no ma abbiamo perso un pò di competitività. Nel Patto per l’Italia, c’erano tanti temi che potevamo affrontare insieme, gli incidenti sul lavoro e i contratti che non sono stati fatti, mi dispiace perchè è stata un’occasione persa per il Paese”.

 

 

 

 

 

AGI – Ryanair chiede le dimissioni del presidente Enac Pierluigi Di Palma sostenendo che i dati presentati al governo sulle modalità di costruzione delle tariffe dei voli siano falsi. Non si placa dunque la contesa tra il vettore low cost e l’Italia dopo il provvedimento del governo che a inizio agosto ha introdotto un price cap sui biglietti aerei, chiedendo di non utilizzare l’algoritmo via web per determinazione dell0’importo.

Nel frattempo il Mimit, che giovedì ha riunito il tavolo permanente sul caro prezzi, chiede maggiore trasparenza sulla formazione delle tariffe, auspicando maggiori poteri di regolamentazione del mercato in favore delle Authority.

Ryanair chiede al presidente dell’Enac “di assumersi la responsabilità (per il falso rapporto prodotto e presentato al governo sul prezzo dei biglietti aerei) e di dimettersi”. La compagnia ritiene “inaccettabile che il presidente della direzione del trasporto aereo italiano non abbia spiegato con precisione il diritto comunitario al ministro Urso, che garantisce a tutte le compagnie aeree la libertà di prezzo”. Per l’azienda: “Questo falso rapporto dell’Enac dimostra che il suo presidente non è idoneo a supervisionare le attività”.

La replica di Di Palma

“Piu’ volte ho richiamato O’Leary a tenere in profilo più istituzionale. Da amico uno può anche divertirsi ma da presidente dell’autorità del trasporto aereo sentirsi dire da un amministratore delegato un fatto del genere è abbastanza grave”, è la risposta del dirigente, “il mio mandato ogni giorno è a disposizione del governo italiano, sicuramente non mi faccio dire da un ad di una compagnia aerea una cosa così grave. Diciamo che il garbo istituzionale è un po’ carente”. 

Il vettore low cost irlandese – prima compagnia in Italia, nel 2022 ha totalizzato 45,7 milioni di passeggeri, pari a un terzo del totale – contesta dunque l’intervento statale chiedendo un passo indietro in nome della concorrenza e del libero mercato. Nel frattempo dalla scorsa settimana Ryanair ha annunciato la riduzione di circa il 10% dei voli da e per la Sardegna e la Sicilia, due delle aree più interessate dal caro voli.

Il tavolo tecnico

Urso al termine del tavolo tecnico si dice soddisfatto: “È stato un incontro costruttivo, servirà anche eventualmente a migliorare il contenuto del decreto nel percorso parlamentare. Si tratta di conferire alle authority dei poteri maggiori per garantire ai consumatori e ai vettori la massima trasparenza sulla formazione dei prezzi e sulle risorse che ciascun aeroporto intende investire per la sua connettività”.

Interpellato in merito alle nuove polemiche sollevate da Ryanair, il ministro replica: “La cosa importante è che tutte le autorità competenti abbiano giudicato positivamente l’iniziativa del governo, è una rarità, questo ci dice che siamo sulla strada giusta per realizzare un mercato libero”.

Particolare attenzione durante la riunione è stata posta alla necessità di maggior trasparenza rispetto alla composizione del costo dei biglietti aerei e dei meccanismi che portano alla formazione del prezzo, oltre alle risorse che ciascun aeroporto investe per favorire la propria connettività.

Al tavolo erano rappresentati di Ita Airways, Ryanair, Malta Air, Aeroitalia, Easyjet, Wizz Air, Neos, Sky Alps e Volotea, delle organizzazioni delle compagnie aeree Iata, Aicalf e Ibar, delle associazioni che rappresentano i gestori degli aeroporti Assaeroporti e Aeroporti 2030, di Assoclearance e Assohandlers.

AGI – “Non è intenzione del governo procedere alla proroga” del Superbonus “nelle forme a oggi conosciute“. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso del question time.

Il Ministro ha ricordato che si tratta di “misure pagate da tutti gli italiani hanno interessato meno del 3% del patrimonio immobiliare esistente: prime e seconde case, al mare e ai monti, di ricchi e di poveri, e anche sei castelli”, ha spiegato. 

“Il mercato di acquisto dei crediti è ripartito anche grazie all’impegno del governo e alla certificazione della natura di tali crediti. Sono allo studio dell’esecutivo strumenti attraverso i quali consentire la verifica della bontà di quelli ancora in possesso di cittadini e imprese e sorti nel periodo antecedente l’introduzione dei vincoli di appropriatezza: tale circostanza dovrebbe contribuire a rimuovere gli ostacoli frapposti alla loro cessione”.

AGI – Si profila lo sciopero generale della Cgil se il governo non dovesse ascoltare le richieste dei sindacati nella stesura della manovra. “Al governo abbiamo avanzato richieste precise – chiarisce il segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini, da Bologna -: sulla riforma fiscale che non sta facendo, sulla riforma delle pensioni, sul superamento della precarietà, per aumentare davvero i salari”.

“Se nei prossimi giorni – avverte – i documenti di programmazione economica e la legge di bilancio che il governo deve presentare entro metà ottobre non daranno risposte a queste nostre richieste, noi non escludiamo nulla. Se il governo continua su questa linea è chiaro che non escludiamo il ricorso allo sciopero generale”.

“Il 7 ottobre – spiega – la Cgil andrà in piazza con altre organizzazioni”. Se nel mentre dal Governo non arrivassero segnali positivi – anticipa – “proporremo anche alle altre organizzazioni di utilizzare questo strumento, insieme ad altri che vanno messi in campo per cambiare politiche economiche che stanno portando il nostro Paese a sbattere” conclude. 

La Cgil ha iniziato una campagna di mobilitazione in vista della manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma che avrà il titolo ‘La via Maestra’ e sta facendo un percorso di confronto con Cisl e Uil “perché dobbiamo costruire il più possibile insieme nell’ambito dei contratti e nelle rivendicazioni nei confronti del governo”.