AGI – Wall Street ha chiuso in rialzo, in una giornata volatile, alterata dal crollo delle azioni di Deutsche Bank, che ha ravvivato le preoccupazioni per il settore bancario e i timori di recessione.
Alla chiusura delle contrattazioni, il Dow Jones ha guadagnato lo 0,41% a 32.237,53, lo S&P 500 è salito dello 0,56% a 3.970,99 punti e il Nasdaq, in cui sono quotate le principali società tecnologiche, ha registrato +0,31% a 11.823,96 punti.
Il mercato azionario di New York ha terminato la settimana in rialzo, anche se ha iniziato la giornata di oggi in rosso dopo le turbolenze causate nei mercati azionari europei dalla debacle del colosso finanziario tedesco. Questo shock inaspettato in Europa, arriva quando Wall Street sembra essersi lasciata alle spalle la tempesta che ha imperversato negli Stati Uniti nelle ultime due settimane, prendendo d’assalto la Silicon Valley e le banche di prestigio.
La banca First Republic, la più colpita dalla crisi finanziaria degli ultimi giorni e salvata dalle grandi banche con un’iniezione di 30.000 milioni di dollari (27.900 milioni di euro al cambio odierno), ha visto le sue azioni svalutarsi questa mattina di quasi il 5% e ha chiuso a -1,36%.
Credite Suisse e Deutsche Bank mal gestite
L’analista Larry McDonald, fondatore del rapporto Bear Trap, ha dichiarato alla Cnbc che il calo delle azioni della Deutsche Bank e, prima ancora, di Credit Suisse, è dovuto al fatto che gli investitori non si erano accorti della loro cattiva gestione fino alla crisi scatenata dalla banca della Silicon Valley.
“Banche come Credit Suisse e Deutsche Bank sono state gestite in modo orribile per decenni, e stiamo parlando di una gestione davvero scadente e all’improvviso gli investitori di tutto il mondo si stanno concentrando su questo”, ha detto McDonald.
A Wall Street la maggior parte dei settori ha chiuso in verde, guidati dai servizi di pubblica utilità (3,12%), dall’immobiliare (2,57%) e dai beni essenziali (1,63%), mentre hanno perso terreno solo i beni non essenziali (-0,35%) e i finanziari (-0,06%).
Tra i 30 titoli del Dow Jones hanno prevalso i guadagni, tra cui Amgen (2,11%), P&G (2,07%) e Coca-Cola (1,64%), rispetto alle perdite di Disney (-1,82%), American Express (-1,81%) e JpMorgan (-1,51%).
AGI – Accenture taglierà 19.000 posti di lavoro, pari al 2,5% della forza lavoro, nel tentativo di ridurre i costi e snellire le operazioni. L’azienda irlandese-americana, con sede a Dublino, ha registrato nel trimestre un aumento del 5% del fatturato e utili migliori del previsto. Accenture, società di consulenza strategica, servizi tecnologici e outsourcing, impiega circa 738.000 persone in tutto il mondo; i licenziamenti saranno effettuati nei prossimi 18 mesi.
“Stiamo adottando misure per ridurre i nostri costi nell’anno fiscale 2024 e oltre, mentre continuiamo a investire nel nostro business e nel nostro personale per cogliere le significative opportunità di crescita che ci attendono”, ha dichiarato Julie Sweet, presidente e amministratrice delegata di Accenture, in un comunicato. Tra le altre grandi aziende che hanno licenziato migliaia di lavoratori quest’anno figurano Amazon, Google, Meta, Microsoft e Twitter, oltre a IBM, Cisco, Dell, HP e Disney.
L’annuncio della riduzione di personale è in un documento depositato presso l’autorità di regolamentazione del mercato azionario statunitense, la SEC. Il gruppo prevede di registrare in questo periodo oneri eccezionali per circa 1,5 miliardi di dollari legati al piano di riduzione dei costi, di cui 1,2 miliardi direttamente legati ai licenziamenti.
AGI – La moda cambia e cambiano anche i suoi direttori creativi, forse perché la moda “sta per diventare un po’ meno divertente”? Più che una domanda, quella del New York Times è un’affermazione di fronte al nuovo cambio della guardia in una maison della moda globale: Jeremy Scott lascia infatti il suo incarico di direttore creativo di Moschino dopo un mandato lungo dieci anni che ha di sicuro “ringiovanito il marchio utilizzandolo come veicolo per prendere in giro il consumismo e contemporaneamente celebrarlo in acrobazie visive fatte su misura per l’era di Instagram”, sottolinea il giornale, che non manca di evidenziare come l’uscita segua solo di qualche mese quella di Alessandro Michele da Gucci, altro fantasioso ed estroverso stilista che ha contribuito non poco a rinfrescare il marchio, anche con una serie di singolari passerelle-evento.
Al momento Moschino non ha ancora designato il successore di Scott, ma di certo “il cambio rimodellerà ulteriormente il mondo della moda italiana, dove l’abilità di Scott di iniettare una sorta di ironico umorismo pop postmoderno negli abiti ha catapultato Moschino verso una sua nuova rilevanza”, annota il quotidiano americano sempre attento alle uscite e alle entrate nel settore, in quanto il marchio è diventato uno dei preferiti di celebrità come Miley Cyrus, che una volta ha vestito un abito T-shirt Moschino con la scritta “Non avevo niente da mettermi, quindi ho indossato questo abito Moschino” e Katy Perry, “che ha indossato invece un lampadario Moschino al Met Gala 2019”.
Nel ripercorrere la carriera dello stilista, il New York Times mette in evidenza come quasi da subito Jeremy Scott abbia “con il suo gioco di parole abbia attirato una generazione cresciuta sui social media” al punto da segnare “un boom di vendite, almeno fino allo scorso anno” quando nel 2022 Aeffe — il gruppo che detiene anche i marchi Alberta Ferretti, Philosophy di Lorenzo Serafini e Pollini — “ha registrato una perdita di 9 milioni di euro (circa 10 milioni di dollari) su ricavi per 352 milioni di euro (circa 377 milioni di dollari)”, in particolare a causa “delle complicazioni del mercato in Cina”.
Tuttavia, secondo il quotidiano Usa, quel che non è chiaro è se il mandato di Scott a Moschino “sia terminato a causa di un cambiamento nell’umore generale nel settore, che si sta allontanando dal brusio teatrale dei social verso l’atemporalità nel mentre le vendite di marchi di lusso classici tra cui Chanel e Hermès salgono” oppure se, come si dice in giro “un decennio è semplicemente sufficientemente lungo perché un singolo direttore creativo possa dirigere una casa di moda”.
Massimo Ferretti, presidente di Aeffe, il gruppo che possiede Moschino, in una dichiarazione ha ringraziato Scott per “aver inaugurato una visione distinta e gioiosa che farà per sempre parte della storia di Moschino”.
AGI – Non solo petrolio, ma anche – e soprattutto – gas. Vladimir Putin e Xi Jinping hanno raggiunto un accordo sul gigantesco progetto del gasdotto Siberian Force 2, simbolo della volontà di Mosca di reindirizzare la propria economia verso l’Asia a fronte delle sanzioni internazionali. “Tutti gli accordi sono stati conclusi” per l’attuazione del progetto Siberian Force 2, ha affermato Putin dopo le discussioni tra le delegazioni russa e cinese al Cremlino.
“Al momento della messa in servizio”, ha detto, “50 miliardi di metri cubi di gas” passeranno attraverso questo gasdotto lungo 2.600 chilometri che collegherà la Siberia allo Xinjiang cinese (nord-ovest), attraverso le steppe della Mongolia. Il leader russo, però, non ha fornito dettagli sui tempi del progetto, che deve completare un gasdotto già esistente, Siberian Force, che parte dall’estremo oriente russo. L’annuncio consentirà alla Russia di aumentare significativamente le sue consegne di gas alla Cina, in un momento in cui la sua economia deve allontanarsi dal mercato europeo dopo le sanzioni seguite all’invasione dell’Ucraina.
Le quantità previste di consegne a termine rappresentano quasi quanto il Nord Stream 1 (55 miliardi di metri cubi) prima della sua chiusura a seguito del sabotaggio nel settembre 2022. Obiettivo “entro il 2030”: consegnare complessivamente almeno 98 miliardi di metri cubi di gas e 100 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (Lng) all’alleato cinese, ha promesso il leader russo. Vladimir Putin ha assicurato al suo omologo Xi Jinping che la Russia è stata in grado di soddisfare “la crescente domanda di energia della Cina”, mentre gli idrocarburi russi sono sanzionati in Occidente. Nella dichiarazione congiunta finale, i due presidenti hanno sottolineato la volontà di “perseguire una partnership ancora più stretta nel settore energetico”.
Record di consegne di gas il lunedì
Il gigante statale russo Gazprom ha annunciato di aver battuto ieri il record di consegne giornaliere attraverso il gasdotto Siberian Force, che attualmente collega i giacimenti di gas nell’Estremo Oriente russo al nord-est della Cina. “Lunedì Gazprom ha stabilito un nuovo record storico per le forniture giornaliere di gas alla Cina”, ha dichiarato Gazprom in un comunicato, senza fornire cifre specifiche.
L’anno scorso, le consegne di gas attraverso Siberian Force alla Cina hanno raggiunto il massimo storico di 15,5 miliardi di metri cubi. Entro il 2025 Mosca intende moltiplicare per 2,5 le sue esportazioni attraverso questa infrastruttura, fino a 38 miliardi di metri cubi all’anno. Ben consapevole delle potenzialità di questo gasdotto, Vladimir Putin lo aveva definito domenica su un giornale come “l’affare del secolo”.
“Priorità” all’economia
Costretto a trovare nuovi mercati di sbocco per le materie prime russe, Vladimir non ha nascosto la volontà di fare della Cina il suo principale partner economico, a rischio, secondo alcuni osservatori, di diventare un vassallo di Pechino. “La cooperazione commerciale ed economica è una priorità nei rapporti tra Russia e Cina”, ha detto Putin, affermando di aspettarsi scambi che nel 2023 “supereranno la soglia” di 200 miliardi di dollari, che costituirebbe un nuovo record dopo quello del 2022 (185 miliardi).
Il leader del Cremlino si è detto anche “pronto a creare un organismo di lavoro congiunto per lo sviluppo della Rotta del Mare del Nord”, una delle rotte attraverso le acque ghiacciate dell’Artico, ora più facilmente navigabile a causa dello scioglimento dei gelati. Mosca si augura che questa rotta consenta alla fine di aumentare il trasporto di idrocarburi verso l’Asia, in particolare quelli prodotti nell’Artico russo, collegando gli oceani Atlantico, Pacifico e Artico. Vladimir Putin ha anche sottolineato l’importanza di sviluppare le infrastrutture ferroviarie tra Russia e Cina. E si è detto favorevole “all’uso dello yuan cinese negli insediamenti tra la Russia e paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina”, un altro modo per accelerare la de-dollarizzazione della sua economia e il perno della Russia verso l’Asia.
AGI – L’affare di Ubs nell’acquisire Credit Suisse e gli effetti della decisione della Bce di aumetare i tassi sul sistema bancario europeo scosso dalle turbolenze arrivate oltreoceano. Per gli analisti nel salvataggio lampo della banca svizzera ci guadagna la rivale. Secondo Davide Serra, founder e ceo di Algebris Investments “Ubs ha fatto l’affare della vita. Mai nella storia una banca ha aumentato il proprio Nav (Net asset value) del 70% in una notte. Questo sarà molto positivo per tutti gli stakeholder di Ubs. La Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ha certamente sorpreso con la modifica della legge fatta da un giorno all’altro e con il capovolgimento della seniority della struttura del capitale. Questo non è mai successo ed è chiaramente un errore politico molto spiacevole”, spiega Serra.
“Nel frattempo, la dichiarazione della Bce di questa mattina, che ha sempre rispettato la struttura del capitale delle banche dell’Ue, fornisce un chiarimento importante. Non pensiamo che ci sarà un impatto strutturale a lungo termine sugli AT1 (bond) in Europa, al di fuori della Svizzera. Si tratta di strutture di capitale del G20 che esistono in tutto il mondo. Queste obbligazioni che assorbono le perdite fanno parte del tessuto del debito bancario e rimarranno tali in Europa e negli Stati Uniti con Basilea III”, conclude.
Per Francesco Castelli, responsabile Fixed Income Banor Capital, “da operatori di mercato, riteniamo che l’intervento svizzero sia di grande aiuto, anche se doloroso per i detentori di azioni Credit Suisse e obbligazioni AT1. Le autorità svizzere hanno seguito la situazione molto da vicino e hanno prontamente deciso che la banca non era più affidabile come entità indipendente. Il matrimonio con Ubs, dipinto come una transazione privata tra 2 soggetti privati, mostra invece pesanti segnali di intervento pubblico. Gli azionisti di entrambe le banche non saranno consultati facendo pieno affidamento sulla benedizione pubblica e sul denaro pubblico. Un coinvolgimento politicamente sgradevole, ma una garanzia che il mercato vede come positivo e credibile”, conclude Castelli.
“L’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs – afferma Roberto Guida ordinario di economia al Campus Bio-medico di Roma e presidente Efma – dovrebbe poter chiudere una fase delicata, ma il sistema bancario italiano ha dimostrato di poter reggere l’urto. Ciò che appare evidente nella vicenda è l’imponente iniezione di liquidità a opera della Banca svizzera. Ciò che preoccupa è la decisione della Bce di proseguire nel rialzo il costo del denaro, con un possibile effetto depressivo sia per gli investimenti del nostro sistema industriale, sia per i consumi delle famiglie”, evidenzia Guida. “Il continuo aumento dei tassi deciso da Lagarde, pur giustificabile in un contesto di lotta alla persistente inflazione, rischia da una parte di frenare le imprese che hanno bisogno di liquidità per investire nella crescita; dall’altra di aumentare la rata dei mutui a tasso variabile contratti dalle famiglie, riducendone reddito disponibile e capacità di spesa”, conclude.
AGI – Il salvataggio di Credit Suisse, acquistata per tre miliardi di franchi svizzeri dall’eterna rivale Ubs, non sembra tranquillizzare i mercati, che già venerdì scorso avevano potuto tirare un sospiro di sollievo per il salvataggio dell’americana First Republic Bank.
Le borse europee aprono in calo. Nei primi scambi a Francoforte il Dax cede lo 0,34% a 14.718,25 punti, a Londra l’Ftse 100 scende dello 0,97% a 7.264,40 punti, a Parigi il Cac 40 e’ piatto a +0,02% e 6.926,62 punti e a Madrid l’Ibex-35 cala dello 0,46% a 8.679,23 punti. A Piazza Affari Ftse Mib a -0,90%.
Forti vendite sui bancari
Le azioni del gigante bancario svizzero Ubs sono scese dell’8,77% nelle prime contrattazioni di oggi, a 15,61 franchi svizzeri, dopo che le autorità svizzere hanno fatto pressioni sull’azienda per rilevare Credit Suisse ed evitarne il collasso. Le azioni di Credit Suisse sono crollate al di sotto del prezzo di offerta di Ubs, scendendo del 63,70% a 0,6752 franchi svizzeri dopo che ieri Ubs ha accettato di pagare 0,76 franchi ad azione.
L’indice del settore bancario europeo (Stoxx Europe 600/banks) è sceso del 5,92%. A Parigi, Bnp Paribas è calata di oltre l’8% e Société Générale di oltre il 7%. A Francoforte, Deutsche Bank ha perso più del 6% e Commerzbank quasi il 5%. A Londra, Standard Chartered è scesa di oltre il 6%, NatWest di oltre il 4% e Hsbc del 3%.
Giù le piazze asiatiche
La Borsa di Hong Kong chiude con una perdita del 2,65%, dopo aver ceduto oltre tre punti a causa del crollo di HSBC e Standard Chartered, entrambe giù di oltre il 6%, e di altri istituti di credito, in linea con la flessione registrata in tutta l’Asia. Le vendite sono dovute alle preoccupazioni degli investitori per l’esposizione degli istituti di credito a obbligazioni rischiose legate alla banca elvetica. Tra i sottoindici, il più colpito è stato ancora una volta quello dei titoli finanziari, che ha perso il 3,22%.
Lo Shanghai Composite Index arretra dello 0,48% a fine seduta, invertendo i guadagni iniziali registrati sulla scia della notizia che la Cina aveva tagliato la quantità di contanti che le banche devono tenere in riserva nel tentativo di rilanciare i prestiti. Lo Shenzhen Composite Index, la seconda borsa cinese, lascia sul terreno lo 0,27%.
La Borsa di Tokyo ha chiuso in ribasso, anche a seguito del rafforzamento dello yen. L’indice di riferimento Nikkei 225 è sceso dell’1,42%, o 388,12 punti, a 26.945,67, mentre l’indice Topix ha perso l’1,54%, o 30,12 punti, a 1.929,30.
Attesa un’apertura debole a Wall Street
È atteso un avvio debole e misto per Wall Street. I future sul Dow Jones cedono lo 0,28%, quelli sullo S&P perdono lo 0,08% e quelli sul Nasdaq sono poco mossi (+0,04%).
AGI – Le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Lo afferma l’ufficio studi della Cgia, secondo cui nel confronto con i principali Paesi Ue, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola. “Se nel 2020 da noi ha raggiunto il 13,5 per cento (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7 per cento (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3 per cento (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1 per cento (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea scontiamo oltre 2 punti percentuali in più”, scrive la Cgia.
Un ulteriore elemento che conferma l’elevato livello di tassazione sulle nostre imprese – prosegue la Cgia – emerge dal confronto delle principali aliquote che gravano sul reddito imponibile delle società. Se in Italia si attesta al 27,9 per cento, tra i nostri principali competitor scorgiamo che in Francia è al 25,8 per cento e in Spagna al 25 per cento. Tra i big solo la Germania, pari al 29,8 per cento, sconta un livello superiore al nostro. Rispetto alla media europea, in Italia l’aliquota è superiore di ben 6,7 punti. Nel 2022, la pressione fiscale in Italia, data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil – osserva la Cgia – ha raggiunto il 43,5 per cento; un livello mai toccato in precedenza.
“Il record storico raggiunto l’anno scorso, comunque, non è riconducibile a un aumento della tassazione su famiglie e imprese, ma – osserva la Cgia – dal combinato disposto di tre aspetti congiunturali distinti. Il primo da un forte aumento dell’inflazione, che ha fatto salire le imposte indirette; il secondo dal miglioramento economico e occupazionale avvenuto, in particolar modo, nella prima parte dell’anno, che ha favorito la crescita delle imposte dirette e il terzo dall’introduzione nel biennio 2020-2021 di molte proroghe e sospensioni dei versamenti tributari, agevolazioni che sono state cancellate per il 2022.
Oltre a queste tre specificità, va altresì considerato che a partire da marzo 2022 le famiglie italiane percepiscono l’assegno unico, misura che ha sostituito le “vecchie” detrazioni per i figli a carico. Questa novità (a parità di condizioni) ha delle evidenti implicazioni sul calcolo della pressione fiscale. Se le detrazioni riducevano l’Irpef da versare al fisco, la loro abolizione ha incrementato il gettito fiscale complessivo annuo di circa 6 miliardi di euro”.
Cgia ricorda che, ora, le risorse per erogare l’assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio statale come uscite. In termini assoluti, infine, Cgia segnala che secondo i dati resi noti nei giorni scorsi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (gennaio-dicembre 2022), le entrate tributarie e contributive sono aumentate, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, complessivamente di 68,9 miliardi di euro (+9,2 per cento).
Di queste, le entrate tributarie sono aumentate di 53,7 miliardi (+10,5 per cento) e le contributive di 15,7 miliardi (+6,4 per cento)”.
AGI – Credit Suisse ha due giorni di tempo per trovare la formula che permetta di rassicurare e convincere gli investitori, prima dell’apertura dei mercati di lunedì. Il Financial Times ha riferito, citando diverse fonti anonime, che Ubs, prima banca svizzera, è in trattativa per rilevare in tutto o in parte la rivale, con l’esplicita benedizione delle autorità di regolamentazione svizzere.
La banca centrale svizzera “vuole una soluzione semplice” prima dell’apertura dei mercati la prossima settimana, afferma il quotidiano economico, riconoscendo che non è certo si possa raggiungere un accordo. Nè Credit Suisse nè la BNS hanno voluto commentare. Credit Suisse non è certo cara. Dopo una settimana negativa in borsa, che ha costretto la banca centrale a concedere un prestito di 50 miliardi di franchi svizzeri (50,4 miliardi di euro) per dare respiro all’istituto zurighese e rassicurare i mercati, alla chiusura di venerdì sera il suo valore superava di poco gli 8 miliardi di franchi svizzeri (8,1 miliardi di euro). Ma un’acquisizione di queste dimensioni è complessa, soprattutto se fatta in fretta.
Sebbene le autorità di regolamentazione abbiano dichiarato, al culmine della tempesta, che “Credit Suisse soddisfa i requisiti di capitale e liquidità per le banche di importanza sistemica”, l’impennata dei prezzi degli strumenti di copertura della banca, i credit default swap (CDS), è un segnale di mancanza di fiducia.
Gli scandali recenti
Credit Suisse è reduce da due anni segnati da diversi scandali, che hanno rivelato, secondo la stessa dirigenza, “debolezze sostanziali” nel suo “controllo interno”. La Finma le aveva rimproverato di aver “gravemente mancato ai suoi obblighi prudenziali” nel fallimento della società finanziaria Greensill. Nel 2022, la banca ha subito una perdita netta di 7,3 miliardi di franchi svizzeri, in un contesto di massicci prelievi di denaro da parte dei clienti. Per quest’anno prevede ancora una perdita “sostanziale” al lordo delle imposte. “È una banca che non sembra mai mettere ordine in casa propria”, ha osservato Chris Beauchamp, analista di IG, in un commento di mercato. Per quanto riguarda UBS, ha trascorso diversi anni a riprendersi dalla crisi del 2008. E non è chiaro se voglia imbarcarsi in un’altra ristrutturazione ora che sta iniziando a raccogliere i frutti dei suoi sforzi.
La possibilità di un’acquisizione di Credit Suisse da parte di una banca è stata sollevata anche dagli analisti di J.P. Morgan questa settimana, “con UBS come potenziale opzione”. Considerato il peso di una fusione, gli analisti ritengono che la filiale svizzera del Credit Suisse, che comprende il retail banking e i prestiti alle Pmi, potrebbe essere quotata in borsa o scissa. In questo modo si eviterebbero anche massicci licenziamenti in Svizzera a causa dell’inevitabile duplicazione delle attività. Secondo il FT, solo la gestione dei fondi e dei patrimoni potrebbe essere venduta a UBS o a un altro pretendente.
Un altro ostacolo alla fusione è rappresentato dalla Commissione per la concorrenza, secondo quanto spiegato da Eugene Haltiner, ex direttore della Finma, in un’intervista rilasciata a CH Media Group. “La Comco incontrerebbe senza dubbio grossi ostacoli perchè entrambi gli istituti hanno una posizione di mercato dominante”, ha detto Haltiner. Con l’aiuto della banca centrale di mercoledì, Credit Suisse ha guadagnato “tempo prezioso”, sostengono gli analisti di Morningstar, precisando pero’ che la ristrutturazione è stata “troppo complessa” e non è andata “abbastanza lontano” per rassicurare investitori, clienti e azionisti. Gli analisti suggeriscono, tra l’altro, che Credit Suisse venda le sue attività di brokeraggio in perdita. Gli analisti della banca statunitense J.P. Morgan stanno valutando un’opzione radicale, che sarebbe quella di “chiudere” semplicemente le attività di investment banking.
Il piano di risanamento
Alla fine di ottobre, Credit Suisse ha presentato un vasto piano di ristrutturazione che prevede l’eliminazione di 9.000 posti di lavoro entro il 2025, pari a oltre il 17% della sua forza lavoro. Obiettivo della banca, che a fine ottobre contava 52.000 dipendenti, era di concentrarsi sulle attività piu’ stabili e trasformare radicalmente l’attività di investment banking. Gran parte delle attività della banca d’investimento, che ha subito pesanti perdite, sarà ribattezzata First Boston, dal nome di una banca d’investimento statunitense che il Credit Suisse ha rilevato nel 1990 e poi gradualmente esternalizzato.
AGI – Il Consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge delega di riforma del fisco e avviato così un percorso che entro 24 mesi dovrà portare all’approvazione dei decreti attuativi di modifica del sistema di tassazione. La novità più significativa è il passaggio da 4 a 3 aliquote Irpef, gli obiettivi politici dichiarati sono la riduzione del carico fiscale sui redditi dipendenti e l’introduzione della possibilità di aderire al regime di flat tax per tutti.
La riforma, rivendica il Mef, “riscrive l’attuale sistema tributario varato negli anni 70” e garantisce “l’equità orizzontale, attraverso la riduzione della pressione fiscale, passando da 4 a 3 aliquote e con l’obiettivo della flat tax per tutti”. Il testo è stato pensato per semplificare e ridurre la pressione fiscale, favorire investimenti e assunzioni e instaurare un rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria nella logica di un dialogo tra le parti secondo le esigenze di cittadini e imprese. Il testo punta anche a garantire la razionalizzazione e semplificazione dell’intero sistema Irpef (Redditi agrari, fabbricati, finanziari, da lavoro dipendente, autonomo, d’impresa e diversi).
Meloni: “Con il nuovo fisco definiamo una nuova idea di Italia”
“Con il nuovo fisco delineiamo una nuova idea di Italia, vicino alle esigenze dei contribuenti e attrattivo per le aziende”, afferma il premier Giorgia Meloni. “La riforma contiene una visione complessiva e programmatica – prosegue – che premia la lealtà e la responsabilità del contribuente, gettando le basi per un nuovo rapporto di fiducia con il fisco. Grazie alla Riforma del sistema fiscale abbassiamo le tasse, aumentiamo la crescita e l’equità, favoriamo occupazione e investimenti”.
Le tre aliquote Irpef “le avvieremo dal prossimo anno”, specifica il viceministro all’Economia Maurizio Leo. “Sui numeri sarei cauto perchè la legge delega – prosegue – non detta i numeri puntuali. Saranno poi i decreti attuativi a individuarli, così come le risorse, senza fare uno sforamento di bilancio”. Da gennaio 2024 invece entrerà in vigore un modulo di riforma: “Troveremo le risorse e le coperture necessarie. Abbiamo indicato le priorità e a quelle faremo fede”.
La tax expenditures e la no tax area
La delega prevede anche la revisione delle tax expenditures, (oggi più di 600 voci) e l’equiparazione della no tax area per lavoratori dipendenti (8.174 euro e pensionati 8.500 euro). Per le imprese è prevista una riduzione dell’attuale aliquota Ires per chi investe eo assume. Il provvedimento dispone anche una graduale eliminazione dell’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive.
Con l’istituzione del concordato preventivo biennale e il rafforzamento dell’adempimento collaborativo cambiano anche le regole della lotta all’evasione fiscale che nelle intenzioni del Mef diventa preventiva e non più repressiva. Nelle bozze circolate nei giorni scorsi si parlava anche di possibile razionalizzazione del numero delle aliquote Iva per renderla più omogenea ai criteri Ue. La delega, tra le numerose voci, prevede anche un nuovo sistema fiscale per Comuni, Province e Città Metropolitane attraverso un riordino dei tributi locali e la semplificazione degli adempimenti.
AGI – Nella media del 2022, dopo la forte riduzione del 2020 e la crescita contenuta nel 2021, il numero di occupati aumenta di oltre mezzo milione di unità (+545 mila, +2,4%), tornando ai livelli del 2019. Lo comunica l’Istat sottolineando che il primo semestre dell’anno registra la crescita più marcata (+791 mila, +3,6%) cui segue, a ritmi più che dimezzati, quella del secondo semestre (+300 mila, +1,3%).
Il tasso di occupazione di 15-64 anni sale al 60,1% (+1,9 punti percentuali in un anno), superando di 1,1 punti il livello del 2019. Nel 2022 si registra anche una forte diminuzione del numero di persone in cerca di occupazione (-339 mila, -14,3%), nonostante sia in leggero aumento quello di chi cerca lavoro da almeno un anno: l’incidenza di questi ultimi sul totale dei disoccupati sale al 57,3% (+0,5 punti in un anno).
Il tasso di disoccupazione scende all’8,1% (-1,4 punti rispetto al 2021) e risulta inferiore di 1,8 punti a quello del 2019. La crescita dell’occupazione ha riguardato sia i dipendenti – a termine (+147 mila, +5,1%) e a tempo indeterminato (+346 mila, +2,4%) – sia, con minore intensità, gli indipendenti (+52 mila, +1,1% – Prospetto 14) e ha coinvolto sostanzialmente il lavoro a tempo pieno (+536 mila), essendo rimasto quasi stabile il numero degli occupati a tempo parziale (+9 mila).
Nel IV trim. gli occupati aumentano (+120 mila, +0,5%) rispetto al trim. precedente e su base annua (+353 mila, +1,5%); nel 2022 aumentano di oltre mezzo milione di unità (+545 mila, +2,4%) rispetto all’anno precedente #istat https://t.co/lxJgZuKafA pic.twitter.com/0YhwRM5eBB
— Istat (@istat_it)
March 15, 2023
Come si trova lavoro in Italia
Nella ricerca di lavoro continua a prevalere l’uso del canale informale: rivolgersi a parenti, amici e conoscenti rimane la pratica più diffusa, sebbene in calo (75,5%, -0,4 punti); risultano invece in crescita alcune azioni di ricerca più formali, come l’invio di domande/curriculum (65,0%, +0,9 punti), la risposta ad annunci o la pubblicazione di inserzioni (29,5%, +1,2 punti), l’aver contattato una agenzia di lavoro interinale (20,0%, +1,9%), e soprattutto l’aver sostenuto un colloquio o una selezione di lavoro (25,6%, +5,8 punti) e l’essersi rivolto al Centro pubblico per l’impiego (22,3%, +4,4 punti).
Gli inattivi
Nel 2022 il numero di inattivi di 15-64 anni diminuisce per il secondo anno consecutivo (-484 mila, -3,6% in un anno, per effetto del calo delle forze di lavoro potenziali (-596 mila, -19,4%), la componente più vicina al mercato del lavoro; risultano infatti in aumento gli inattivi che non cercano e non sono disponibili a lavorare (+112 mila, +1,1%).
Diminuisce il numero di scoraggiati (-86 mila, -7,6%), così come quello di chi aspetta gli esiti di passate azioni di ricerca (-71 mila, -10,4%) e, soprattutto, di chi è in attesa di tornare al proprio lavoro (-239 mila, -48,9%). Peraltro, tra gli inattivi di 15-64 anni si riduce il numero delle persone in cassa integrazione guadagni da più di tre mesi che si attesta a 18 mila unità (lo 0,1% del totale inattivi di 15-64 anni) rispetto ai 173 mila del 2021 (l’1,3% del totale). Il tasso di inattività 15-64 anni scende al 34,5% (-1,1 punti rispetto al 2021), rimanendo di poco superiore al periodo pre-pandemia (era 34,3% nel 2019).
I divari di genere
Tornano ad aumentare, nel 2022, i divari di genere: tra gli uomini il tasso di occupazione aumenta di più (+2,1 punti rispetto a +1,7 punti le donne) e quello di disoccupazione presenta un calo maggiore (-1,6 e -1,3 punti, rispettivamente); quasi identica è invece la riduzione del tasso di inattività 15-64 anni (-1,0 punti gli uomini e -1,1 punti le donne).
Il tasso di occupazione supera i livelli pre-pandemia per entrambe le componenti di genere, ma la maggiore crescita per gli uomini (+1,2 punti rispetto a +0,9 punti le donne) determina un aumento della differenza tra i due tassi: il gap passa da 17,8 punti del 2019 a 18,1 punti nel 2022.
Differenze regionali
A livello territoriale, il tasso di occupazione aumenta maggiormente nel Centro (+2,3 punti) rispetto al Nord (+1,7 punti) e al Mezzogiorno (+1,8 punti), mentre quello di disoccupazione diminuisce in maggior misura nelle regioni meridionali (-2,1 punti) in confronto al Centro e al Nord (-1,7 e -0,9 punti, rispettivamente); il calo del tasso di inattivita’ e’ invece simile per territorio.
In tutte le ripartizioni il tasso di occupazione ha superato i valori del 2019: di +0,2 punti nel Nord, +1,2 punti nel Centro e +1,8 punti nel Mezzogiorno, diminuendo gli elevati divari territoriali che rimangono comunque molto consistenti. Il tasso di occupazione nel Nord (68,1%) è di 21,5 punti superiore a quello del Mezzogiorno (46,7%) e il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali (14,3%) è quasi tre volte quello del Nord (5,1%).
La situazione per i giovani e per gli stranieri
Tra i giovani 15-34enni è più marcato sia l’aumento del tasso di occupazione (+2,8 punti rispetto al 2021), sia la diminuzione di quello di disoccupazione (-3,4 punti). Il primo aumenta, con minore intensità, anche per i 35-49enni (+1,8 punti) e per i 50-64enni (+1,5 punti), che registrano anche il calo di quello di disoccupazione (-0,9 e -0,7 punti, rispettivamente).
Il tasso di inattività diminuisce in maniera pressoché analoga per tutte le classi di età (-1,2 punti per i 15-34enni e per i 35-49enni, e -1,1 punti per i 50-64enni). Rispetto al 2019 i giovani, che hanno risentito di più sia della dinamica negativa del 2020 che del ciclo economico positivo degli ultimi due anni, presentano un aumento più sostenuto del tasso di occupazione (+2,0 punti rispetto a +1,4 punti i 35-49enni e +0,7 punti i 50-64enni) e un calo più intenso di quello di disoccupazione (rispettivamente -3,8 punti, -1,6 punti e -0,6 punti).
Nel 2022 gli stranieri mostrano una crescita del tasso di occupazione (+2,8 punti) superiore a quella degli italiani (+1,8 punti) e al contempo una maggiore riduzione del tasso di disoccupazione (-2,4 e -1,3 punti rispettivamente); è invece simile il calo del tasso di inattività 15-64 anni (-1,2 punti e -1,0 punti). Ciononostante, per gli stranieri il tasso di occupazione rimane ancora inferiore a quello del 2019 (-0,5 punti), mentre per gli italiani il valore e’ superiore di 1,3 punti.
I livelli di istruzione
Riguardo ai livelli di istruzione, tra i diplomati sia la crescita del tasso di occupazione (+2,1 punti rispetto a +1,6 punti di chi ha conseguito un titolo più basso e +1,4 punti dei laureati) sia la riduzione del tasso di inattività 15-64 anni (-1,1 punti rispetto a -0,8 e -0,6 punti) sono più marcate rispetto agli altri livelli di istruzione; la riduzione del tasso di disoccupazione diminuisce, invece, all’aumentare del livello di istruzione (-1,7 punti per i titoli bassi, -1,4 punti per i diplomati e -1,0 punti per i laureati).
Rispetto al 2019, si ampliano i divari per livello di istruzione: il recupero del tasso di occupazione è maggiore tra i laureati (+1,6 punti) rispetto ai diplomati (+0,9 punti) e a chi ha conseguito al massimo la licenza media (+0,5 punti). Il tasso di occupazione tra i laureati (80,6%) è superiore di circa 15 punti a quello dei diplomati (65,8%) ed è quasi doppio rispetto a quello di chi possiede fino alla licenza media (44,6%). Il tasso di disoccupazione sale dal 4,1% tra i laureati, al 7,8% tra i diplomati fino a raggiungere l’11,6% per quanti hanno conseguito un titolo più basso.
Il tasso di occupazione
Nel complesso, dunque, il tasso di occupazione (15-64 anni) nel 2022 è superiore di 1,1 punti a quello del 2019 e il numero di occupati è sostanzialmente lo stesso (-10 mila rispetto alla media 2019); sebbene con intensità diversa, la crescita del tasso si osserva per tutte le principali caratteristiche socio-demografiche, con l’unica eccezione degli stranieri (Figura 23), mentre il numero di occupati, per alcune sotto-popolazioni, è inferiore a quello del 2019.
Tale andamento dipende dalla riduzione della popolazione in età lavorativa e dalla sua ricomposizione per classe di eta’. Tra il 2019 e il 2022, la popolazione di 15-64 anni è diminuita di 741 mila individui (-1,9%), per effetto del calo dei 35-49enni (-7,3%) e di quello dei 15-34enni (-2,0%); la popolazione di 50-64 anni è invece aumentata (+3,3%).
Anche a seguito delle dinamiche migratorie, la riduzione della popolazione in età lavorativa è stata più accentuata nel Mezzogiorno (-3,7%) rispetto al Centro (-1,5%) e al Nord (-0,8%). Inoltre, il progressivo innalzamento del livello di istruzione si lega al calo degli occupati che hanno conseguito fino alla licenza media e al contestuale aumento del relativo tasso di occupazione.